Filastrocca per Ballare

É in queste giornate di festa che, nella maggior parte delle famiglie, dopo aver mangiato, bevuto e scartato i doni, si inizia qualche ballo folkloristico nelle case o nelle sale prenotate per stare tutti insieme appassionatamente.

Gli uomini anziani sono sempre i più spigliati, mentre le donnine, arrossendo, rifiutano parecchie volte credendo di non essere in grado di portare a termine la danza in programma. Quando accade così, la colpa è sempre del marito (nel ballo è colui che conduce, e con un buon portatore si dice che chiunque riesca a muovere i piedi coordinatamente e a volteggiare come una farfalla). È per questo che gli amici iniziano a canzonare il malcapitato, soprannominandolo “palo” o “manico di scopa”, canticchiandogli questa simpatica filastrocca:

Bala, bala, Giancuseincalla, ta mugge perchè a nu bala?

Balà a nu bala perchè a nu sa, faila balà che a imparerà!

Che in italiano significa:

Balla, balla, Giancuseincalla (colui che si osa. Gian è un nome tipico), tua moglie perchè non balla?

Ballare non balla perchè non lo sa, falla ballare che imparerà!

Be’, che dire, a questo punto il povero consorte non può certo tirarsi indietro!

Vi saluto zampettando e, fiato alle trombe, BUON ANNO A TUTTI! INIZIATE IL 2012 NELLA MERAVIGLIA E NELLA FELICITA’.

LA VOSTRA TOPINA PIGMY!

M.

Cencio

Visto il furore che ha avuto Nocciola, non potevo non parlarvi anche di Cencio.

È cosa davvero ardua beccarlo sveglio. Pigro come non so cosa e, presumo, anche narcolettico, passa le ore semplicemente a dormire. I gatti, si sa, lo fanno con passione, ma lui è a dir poco esagerato. Il suo nome deriva da come si è presentato in casa mia una splendida domenica d’agosto alle sette e mezza del mattino.

Avete presente quelle calde giornate estive e per giunta domenicali in cui la sera prima vi siete detti: «Domani non metto nemmeno la sveglia. Voglio dormire!»? Bene, non avevo fatto i conti con la mia cara amica che, domenica o no, lei alle sei deve portare fuori il cane a fare una lunga e rilassante passeggiata. Che vita vuota, lo so! Ma perchè andarci di mezzo io? Semplice: chi meglio di una topina del mulino per prendersi cura di un cucciolo appena nato? Ebbene sì, i miei amici lo sanno: dove ci sono i miei simili, ci sono anch’io.

Amo prendermi cura di loro. Cencio venne trovato da lei sui binari mezzi distrutti della ferrovia che lasciò poi il posto alla pista ciclabile. Era sporco di sangue secco, con il cordone ombelicale ancora attaccato e, nonostante l’afa, completamente intirizzito dal freddo. Deducemmo che dovesse essere nato quella stessa notte.

La mia amica ha cercato la mamma ovunque. «Forse ha cambiato zona, gli è caduto durante il trasporto e non lo trova più», ha pensato. E cerca, cerca, cerca… ma nulla. Né un micio, né una cucciolata. Due randagi che mettevano paura anche a un cane, furono gli unici felini che vide. Erano sudici, affamati e mezzi spelacchiati. Non potevano certo essere i genitori del piccolo, anche perchè passarono di lì senza nemmeno considerarlo e se ne andarono con i loro occhi cisposi.

Da poco passata l’alba, il dlin dlon del mio campanello suonò.

Non era possibile. Era domenica, per giunta di agosto… chi poteva essere?

La mia amica tirò fuori quell’esserino infreddolito dalla tasca della sua salopette. Inutile dirvi quando lo vidi quel che provai. Perdonai quella rompigioiellidifamiglia e mi misi immediatamente all’opera con i suoi «Salvalo! Salvalo!» che mi rimbombavano nelle orecchie. In effetti, non era proprio in ottima forma. Con ancora orecchie e occhi chiusi dava pochi segni di vita. A peso morto, non reagiva a nulla. Presi subito un biberon dalla mia scorta e lo riempii di latte caldo. Insomma, inutile dirvi che Cencio è ancora oggi, a distanza di sette anni, vivo e vegeto a casa di un mio amico. Li salvo, ma non posso mica tenerli tutti! Dove l’ho spedito (a due passi da me) sta benissimo, ma continuiamo a sentirci una coppia. Instauro con tutti loro uno splendido rapporto perpetuo. Cencio, al contrario di Nocciola, dà confidenza a chiunque. Non ha mai avuto paura di niente e di nessuno ed è ora un gattone enorme. Magro, snello, sempre che gioca, ma con una muscolatura invidiabile. Il sinonimo di straccio però gli è rimasto. Quando lo vidi la prima volta mi diede l’impressione di essere davvero un toglipolvere, poverino! Lo prendevamo tutti in giro perchè, a causa della sua audacia, e della sua inesperienza, finiva sempre per mettersi nei guai o farsi male, e dire che sta sveglio solo due minuti al giorno! Secondo me è un po’ tonto, ma gli voglio bene ugualmente. Anche lui è molto affettuoso, ama dormirti accanto e sentire il calore che gli è mancato dalla mamma. La sua sindrome dell’abbandono lo ha sempre portato a preferire una coscia piuttosto che un morbido cuscino. Uno squit affettuoso anche a te, e a voi ovviamente, che mi auguro siate allietati da quest’altra bella storia  a lieto fine.

Un saluto, vostra Pigmy e uno squit anzi… miao!

M.

La piccola Chiesa di Lampedusa

Cari topi, oggi vi porto a visitare una delle chiese più belle della Valle Argentina, la chiesa di Nostra Signora di Lampedusa o anche, Madonna dei Fanciulli, a Castellaro.

E’ vero che siamo a 370 metri d’altidunine, ma guardate il panorama che ci offre. Meraviglioso.

Il mare da una parte, giù in fondo alla vallata, e i monti dall’altra.

Questo Santuario, eretto nel 1619, è palcoscenico della maggior parte di matrimoni nella mia zona.

Infatti, è veramente caratteristico e la storia che lo accompagna è davvero curiosa. Si dice infatti che è stato fatto costruire da un certo Andrea Anfossi che, rapito dai saraceni e portato nell’Isola di Lampedusa, aveva giurato che se si fosse salvato e fosse riuscito a fare ritorno a casa, avrebbe fatto erigere una chiesa in onore della Madonna proprio perchè, nella sua fuga, trovò un dipinto della Vergine Maria e la stessa, gli apparve in sogno indicandogli la retta via della liberazione.

Dopo essersi costruito un’imbarcazione di fortuna, riuscì nell’impresa a raggiungere il Mar Ligure e approdare a Taggia (Arma di Taggia in realtà, ma, ai tempi, Arma era ancora solo un gruppo misero di case) e infine, a Castellaro e iniziò a realizzare quello che aveva promesso.

Iniziò a costruire questa casa mariana nel 1602 e la ultimò nel 1619 aiutato da tutti i castellaresi.

Sopra al suo maestoso portone, entrando, si può notare subito un bellissimo affresco che rappresenta appunto il viaggio dell’Anfossi con, sullo sfondo, le navi dei saraceni e, dipinta su un rosone di gesso bianco, la scritta “indulgenza plenaria” invita ad entrare purificati da ogni peccato e accolti così come si è.

Questo Santuario costruito su una collina chiamata Costaventosa, dista dal paese di quasi 1 km ma le sue campane, quando suonano a festa, rimbombano per tutta la valle e viene festeggiato ogni anno l’8 di settembre.

Il suo tetto, che crollò nel 1887, durante il terremoto che devastò Diano Marina, causò la morte di 47 persone. Il campanile fu una delle ultime cose ad essere finita e mantenuta ma, vengono attribuiti a questa Madonna di Lampedusa tanti miracoli inerenti a calamità naturali, o personali, come l’aver salvato vite coinvolte, ad esempio, in incidenti.

Al suo interno, è piccola ma bellissima.

Di forma circolare, è dotata di tre altari, uno più grande centrale e altri due laterali, più piccoli, ognuno dedicato a un Santo ed entrando si può notare subito, dopo il confessionale di legno, la statua di San Giovanni che venera Maria in ginocchio.

Grazie ad una scaletta che passa dietro l’altare principale, formando una specie di ponte, possiamo ammirare tutta l’entrata della chiesa dall’alto e le panche sotto di noi dove pregano i fedeli.

Da qui, l’interno sembra più piccolo ma offre tutta la sua bellezza. E’ proprio cercando di raggiungere la sacrestia qui accanto che possiamo inoltrarci nello stretto corridoio, il quale, alle sue pareti, esibisce i fioretti, le richieste e i doni fatti alla mamma di Gesù in cerca di aiuto e speranza. Ce n’è davvero di tutti i tipi: cuori dorati o di velluto, disegni, poesie, doni, ognuno ha presentato il suo ringraziamento o la sua richiesta. La sua preghiera. Alcuni, non lo nego, fanno tenerezza.

Ognuno, ha messo in bella mostra il suo ex-voto fatto con le proprie mani. Ci sono anche tele dipinte che rappresentano l’eventuale incidente, ricami, scritte su pergamene, nomi e anche fiocchi rosa e azzurri di bimbi nati. Quanta pazienza e quanta devozione si legge in questi che, talvolta, sono veri e propri cimeli risalenti a tantissimi anni fa.

E’ sempre qui inoltre che risiede un vecchio pianoforte di legno e le sedie dei coristi che intonano canti religiosi durante la messa domenicale. Intorno a lui anche lapidi di marmo con incise le vite dei Santi e dei parroci che hanno celebrato in questo Santuario la parola del Signore, guarendo, tramite la mano della Vergine, così vuole la leggenda, malattie in modo miracoloso.

Un bellissimo vetro dipinto, rappresenta Maria nei tradizionali colori del bianco e del blu, i colori della purezza e della meditazione, con intorno le colombe che volano.

La stessa Madonna, quella dei Fanciulli, di cui vi parlavo a inizio post, la possiamo vedere anche fuori la chiesa, in una piccola grotta, protetta da un vetro, mentre abbraccia un Gesù ancora bambino, e dove un’insegna di bronzo elenca tutti i diritti di cui devono usufruire i piccoli che lei protegge come quello di avere una famiglia, di nascere, di vivere una vita decorosa, di avere cibo, rispetto e così via. In questa cavità c’è anche chi getta qualche monetina sperando di avverare i suoi desideri.

Si, sono davvero tante le persone che passano di qua e lasciano il proprio segno, tra l’altro, posso assicurarvi che di sera è un posticino davvero romantico e tranquillo con tutto il panorama illuminato sottostante.

E’ facile infatti trovare coppiette di fidanzatini che passeggiano intorno la chiesa, sotto la grotta, giurandosi amore eterno. Ah…. carini… bhè, io invece, giurandovi che questo non sarà l’ultimo luogo che vi farò conoscere vi saluto e vi abbraccio. A presto Pigmy.

M.

Il Presepe di S. Stefano

Santo Stefano al Mare è un paese adiacente ad Arma di Taggia. Non è grandissimo ma è davvero caratteristico. Pulito, tenuto bene.

Reso importante dal ricco Porto “Marina degli Aregai” (dal dialetto “Mare degli Uragani”) vanta una meravigliosa passeggiata a mare e, da qualche anno, una stupenda piazza, atta ad accogliere eventuali spettacoli con tanto di praticello all’inglese, per soffermarsi con i propri bimbi e giocare.

Ed è proprio in questo spiazzo che, Santo Stefano, si veste maggiormente a festa per osannare la celebrazione natalizia.

In questo punto infatti viene realizzato un bellissimo presepe sul palco di listelli di legno, controllato dall’alto da una sontuosa e luminosissima Stella Cometa blu, le quali luci, si accendono e si spengono ritmicamente.

In legno e in cartone pitturato, è composto dalla: Sacra Famiglia, le pecorelle e qualche pastore. Il tutto realizzato rigorosamente a mano.

C’è anche un suonatore di cornamusa che, davanti a tutti, pare invitare la gente ad avvicinarsi e guardare meglio chi è nato.

Tanta precisione nei dettagli, lascia senza parole.

Pare essere osservato anche dai volti di Mazzini, Garibaldi e Pisacane, riflessi da una luce sul Palazzo Comunale che è, in realtà, una torre ennagonale risalente al 1566 e costruita per avvistare i nemici.

La poca luce non mi ha permesso di far risaltare le ombre dei visi, ma potete ugualmente vedere la costruzione di questo torrione recentemente ristrutturato. E si, questo è il centocinquantesimo Natale di un’Italia Unita e, in questa cittadina, hanno voluto tenerne conto.

Tutto questo si affaccia direttamente sul mare e con la brezza e l’aria pungente di queste serate pare davvero di dirigersi alla grotta della natività.

San Steva, come lo chiamiamo noi in ligure, è Bandiera Blu dal 2006, grazie alla sua acqua marina limpida e pulita ed è attraversato completamente dalla pista ciclabile.

E’ bello vedere tanta cura per una ricorrenza in un paese che giri a piedi in un’ora. Dove ultimamente tutti questi decori vengono meno e dove, se un Comune non può fare nulla, a causa di mancanza di fondi, ci pensano gli stessi abitanti ad abbellire la propria città. Posso assicurarvi che non accade ovunque e quando lo vedo mi riempie di gioia e mi soddisfa. Un impegno ammirevole.

Nelle altre vie e nei carruggi che lo circondano, ovviamente le luci, non sono da meno. Tutto è uno scintillio per nulla banale e diverso dagli altri luoghi. E’ stato bello fare un salto da voi in questi giorni, sanstevani.

Buon presepe a tutti e buona festa di Santo Stefano dall’omonimo paese.

Pigmy.

M.

De Pè Russu mancu a Vacca!

Il titolo di questo post, deriva da un antico detto del mio paese e significa: di pelo rosso nemmeno la mucca!

Detto così può sembrare una frase senza senso, o inventato da chi preferisce una livrea bionda o bruna, piuttosto che color carota.

Ebbene, dietro a questa frase, c’è molto di più.

Tutta la mia Valle, è stata abitata, così vuole la tradizione, da numerose streghe.

Donne, amiche del diavolo, secondo la tradizione, che venivano condannate dalla popolazione ad atroci torture perchè devote al maligno.

Oggi, si ha nel cuore il loro vissuto, le si ricorda con rispetto, le riteniamo vecchie amiche ormai inesistenti e i luoghi, dove si crede abbiano abitato, sono mete turistiche molto ambite ma, un tempo, le poverine, ne hanno patito di ogni sorta.

La stragrande maggioranza delle misere, aveva proprio come colore di capelli, il colore rosso. Se nascevi pel di carota, ed eri una femmina, automaticamente venivi marchiata con il nome di “megera”.

Il rosso non era come oggi, il colore dell’amore e della passione, apparteneva a lui, a Lucifero, al Signore del Male e bisognava fargliela pagare alle malcapitate sue seguaci.

E’ così che, ancora fino a pochi anni fa, i vecchi dei miei luoghi, alle ragazze, mie coetanee, se nascevano con i capelli di quel bel caldo arancio intenso, rispondevano al loro educato saluto, con la sprezzante frase “De pè russu mancu a vacca!”.

Non si faceva nemmeno il latte con una mucca di quel colore, sarebbe stato come minimo avvelenato!

Pensate che la prima macchina che si vide nella mia vallata, o meglio, in uno dei paesini montani della mia Valle, una Spider rosso fiammante, impauriva gli abitanti così tanto da farli rintanare in casa dicendo “U ghè u Diau cu i oeggi de foegu” (C’è il diavolo con gli occhi di fuoco).

E questo Diavolo doveva essere anche arrabbiato, visto il rombo che emetteva attraverso uno splendido motore.

Cari topi, qui, nella Valle Argentina, sono tutti tori, appena vedono rosso, non capiscono più niente. Ma sono i miei compaesani e ogni luogo, immagino, ha le sue credenze.

Io comunque invidio le donne dai capelli color della carota soprattutto quando sono anche piene di lentiggini perchè, che se ne dica, a me piacciono tantissimo!

La foto è presa da internet, non è mia, ma guardate che bella chioma ad esempio! La splendida Rita Hayworth! Donna, per me, stupenda. Se fosse nata in questo borgo non sarebbe di certo divenuta una star mondiale del Cinema!

Un caloroso, anzi rovente, abbraccio. Pigmy.

M.

Week End in tenda

Nella mia Valle sono numerosi i luoghi nei quali d’estate si può pernottare in tenda.

Prati infiniti, verdi montagne, ambienti da togliere il fiato ma, questa volta, vi porto in un altro luogo anche se poco distante la mia Valle.

In questo periodo, guardare queste foto calde e estive, mi fa venire malinconia!

Siamo ad una trentina di km dalla città di Imperia, fa ovviamente un gran caldo e qui, posso dire di aver visto uno dei cieli notturni più belli ch’io abbia mai osservato.

Quella notte, in tenda, ho potuto godermi tutte le costellazioni del firmamento.

Siamo ad Armo, “marito” montano probabilmente della più marinara Arma ma, i suoi abitanti, per distinguersi dagli armesi vengono chiamati armensi.

Siamo a quasi 600 m d’altitudine e, l’aria, nonostante vi stia portando in quel che era il periodo di agosto, è fresca e ti obbliga al golfino.

Armo è un piccolo paesello di circa 120 anime. Come Comune si dice sia il meno abitato di tutta la mia provincia.

Esso si trova ai piedi del monte Rocca delle Penne e la sua economia è basata maggiormente sulle coltivazioni d’Ulivo che permettono un ottimo olio, la vendita di funghi trovati nei dintorni e la produzione di latte ottenuto dall’allevamento del bestiame.

Dove sono stata io in campeggio, non c’era nulla di tutto questo.

Il mio campeggio è avvenuto in un luogo dove solo qualche Pino ci circondava ma, per il resto, si vedevano solo prati di un verde chiarissimo e l’unica costruzione era una splendida chiesetta solitaria su un’altura.

Nulla a che vedere con la grande chiesa nel centro del paese dedicata alla Natività di Maria del XVI secolo.

Lo stemma di Armo è suddiviso in quattro quadrati, ognuno contenente un simbolo del paese: la A del nome, la campana dorata, due ricci di Castagno e un grappolo d’Uva color porpora.

Anche in questo caso si parla di un nome che deriva dalle stesse origini del paese di Arma. Equivale a dire che, anch’esso, deriva dall’antico Barma o Balma che significa roccia, grotta; non è da meno infatti nei ritrovamenti di cimeli e documentazioni inerenti alla preistoria.

Anche a livello storico questo borgo non scherza e una lunga vita ha questa fontanella che troviamo poco distante da noi. Nonostante sia stato rifatto il suo perimetro recentemente e sia stata abbellita la sua fonte, essa sgorga direttamente da una roccia accanto ad un casone per attrezzi e animali.

Nel 1233 questo paese si unì ad altri per la costruzione del più giovane Pieve di Teco al quale venne poi aggregato nel 1928 e, come toccò alla maggior parte di questi Comuni, venne governato dalla Repubblica di Genova per parecchio tempo.

Siamo nella Alta Valle Arroscia e famose sono le vecchie battaglie che Armo combatteva contro i Comuni Cuneesi, come Caprabruna, alla conquista e per le divisione dei pascoli, essendo vicino al confine con il Piemonte.

La pace e la tranquillità che si assaporano ad Armo sono indescrivibili. Se si vuole staccare dalla frenetica vita cittadina non c’è altro di meglio e il panorama che regala è meraviglioso, da godere con gli occhi.

Non vi ho postato foto del paese in quanto l’ho solo visitato di sfuggita, ho preferito godermi il suo silenzio intorno, per due giorni, che mi ha davvero riportato freschezza e vitalità a contatto della sua natura.

Questa volta il paesaggio. Il paese invece, la prossima volta.

Ora però, devo tornare nel freddo invernale che ci circonda e abbandonare questi caldi ricordi. Piacevoli però. Felice di averli vissuti.

Uno squit tutto per voi Pigmy.

M.

Nocciola

Vi sembrerà strano ma, nonostante io sia un piccolo topo, amo tutti gli animali, compresi i gatti e, mi piacerebbe presentarvi quella che è stata per anni la mia gattina scontrosa.

Dal dolcissimo musetto, pare essere la gattina più tenera e affettuosa del mondo, in realtà, non c’era scampo per nessun estraneo, persona o animale, che si permetteva d’invadere il suo territorio.

Con noi nel Mulino era incredibilmente cara e ruffiana, si lasciava coccolare in tutti i modi e, come gli altri miei gatti, arrivava se sentiva pronunciare il suo nome ma, le sue fusa, si trasformavano immediatamente in ringhi o soffi appena in casa entrava qualcuno.

Andava subito a nascondersi, non per paura, ma per non far capire al nemico da dove sarebbe giunto l’attacco e iniziava un borbottio che durava un’ora.

Fortunatamente le sue vittime sono state poche e solo se realmente andavano a cercarsela credendo che – gatto che brontola non graffia -.

Ebbene si, Nocciola, era quel che si poteva definire un gatto da guardia. Ma lo direste mai? Guardatela, con quegli occhioni? Sembra il gatto con gli stivali di Shrek, quando vuole fare tenerezza.

E’ stata portata con i suoi quattro fratellini, tutti completamente bianchi come la neve e gli occhi azzurri (lei secondo me era un corno) in un negozio di animali da una bionda signora che li aveva trovati in un parcheggio.

Ovviamente lei, dalla gabbietta nella quale erano stati messi, non usciva, e aveva in muso quell’espressione come a dire –Voi siete matti! – ai fratelli più impavidi che affrontavano il mondo esterno lasciandosi coccolare dalle persone che li circondavano.

Tra quelle persone c’ero io.

I candidi felini vennero presi all’istante e portati nelle varie famiglie. Senza nemmeno una chiazza di altro colore, erano rarissimi, e possederli era un pregio.

Lei, nessuno la considerava. Classica tigrata, con gli occhi scaccolosi e per giunta antipatica e introversa. Provava già a soffiare senza esserne nemmeno capace, si raschiava così tanto la gola da strozzarsi ogni volta. Mi stava in una mano e non è un modo di dire. Era così piccola che a tenerla tra le dita si rischiava di farle male. Pigra come pochi. Vederla sveglia era un momento raro. Lo è sempre stato, ha perennemente ronfato senza sosta. Altezzosa e presuntuosa.

A differenza degli altri gatti, era una micia per nulla curiosa, a lei non interessava niente degli altri e di ciò che le viveva intorno, a lei interessava solo di se stessa.

Sì, faceva finta di niente ma, alla fine, gira che ti rigira, sempre ad accovacciarsi vicino veniva e, con la testa, spingeva contro la mano per farsi fare le carezze in mezzo alle orecchie.

A me voleva un gran bene, era antipatica lo so, ma non potevo non amarla, anzi ci amavamo a vicenda.

Un affetto fatto di sguardi, carezze e rimproveri da ambedue le parti.

Ritenendola comunque bellissima e particolare, dato il suo muso schiacciato e gli occhi color dell’ambra, vi posto altre sue foto nel mio album personale, spero vi piacciano.

Vi mando un abbraccio graffiante così come anche lei avrebbe sicuramente fatto, impertinente e fetente come sempre, ma tremendamente dolce.

Vostra Pigmy.

M.

Tra qualche giorno…

Vi ho quasi sempre mostrato la mia Valle alla luce di splendide giornate estive, illuminata dal sole o, al massimo, ricoperta da nuvole candide, ebbene, vorrei darvi un piccolo assaggio di quello che, in alcune zone, sarà la Valle Argentina tra qualche giorno e iniziare a farvi assaporare la sua bellezza anche in inverno.

Guardate, non è semplicemente meravigliosa? Ah! Ma questo è niente, però dovrete attendere però.

Le piccole briciole fredde e bianche ancora non si sono posate su strade, alberi, cespugli e tetti.

Bisogna aspettare e non è detto che la neve arrivi, specialmente nelle zone più basse.

Appena però, s’impadronirà dei miei luoghi, vi prometto un post da fiaba, dove tutto sembra fermarsi e attendere. Dove tutto sarà tinto di bianco e il verde e l’azzurro, dei quali vi ho sempre parlato, lasceranno posto al grigio e al candore.

L’inverno, per noi topini, è la stagione del letargo. Amiamo molto di più l’estate, la primavera, il caldo tepore del sole e il senso di libertà che solo le stagioni tiepide sanno regalare ma, come si può rimanere indifferenti a tanto fascino e tanta maestosità? E’ incantevole, credetemi.

Questa strada è la stessa che vi avevo mostrato nel post “Da Triora a Sansone” ricordate? Una strada bianca in inverno, rosa in primavera, verde in estate e arancione in autunno. Si può volere di più? No. Non credo proprio.

Pochi sono i luoghi, purtroppo, nel quale si possono differenziare parecchio le quattro stagioni. Ammiratele quando le trovate. Tenetene cura nei vostri pensieri e aspettate, insieme a me, che cadano i candidi fiocchi.

Non vedo l’ora di farvi conoscere stupende fotografie di un posto che mi circonda da sempre.

A presto, la vostra Pigmy.

M.

Canzone Natalizia

Tanti auguri a tutti!

A tutti voi che leggete ogni giorno quello che scrivo e a tutti i miei nuovi amici conosciuti in questo nuovo mondo con i quali scambio continui commenti. Grazie per i vostri consigli, le vostre battute, le vostre opinioni, il vostro seguirmi, ovviamente, corrisposto con tanto affetto ogni giorno.

Mi farebbe piacere dedicarvi quella che per me è la più bella canzone di Natale, che a questa festa, ci crediate oppure no. Per quello che comunque questa festa vale e per quello che può essere per ognuno di noi.

Augurandovi che siano, questo e tutti gli altri giorni a venire, sempre sereni. Con tutti i problemi che la vita sempre ci pone davanti ma con tanta serenità in fondo al cuore.

La canzone è un pò malinconica ma anche speranzosa e ha una melodia dolcissima.

Mi accompagna da quando ero bambina e accompagna oggi tutti i topini che mi stanno attorno.

Sono un pò in anticipo, lo so, ma probabilmente, tra qualche giorno, sarete tutti molto presi avendo ovviamente e giustamente, ben poco tempo per ricevere i miei auguri che invece ci tengo a farvi.

Auguri a tutti, Pigmy.

BUON NATALE

Buon Natale, buon Natale e che sia quello buono, che ti porti un sorriso e la gioia di un dono, sotto l’albero stanco di frutta e di mele, è Natale più bianco se viene la neve, e se brilla una stella cometa lassù, vorrei tanto ci fossi anche tu…

Buon Natale, buon Natale perchè sia quello vero, e poi zucchero e miele e un augurio sincero, per un giorno di festa e di felicità, per ognuno che resta e per chi se ne va, per adesso mi chiedo fra tanti perchè, è Natale e non sei qui con me…

Buon Natale, buon Natale canterò una canzone, buon Natale, buon Natale, mi va tutto benone, specialmente se scrivi due righe per me, e se vieni c’è ancora un regalo per te, e chissà se ritorni, se resti o se vai, è Natale se tu tornerai…

M.

Lo strano incontro di Pigmy

Quel pomeriggio stavo passeggiando tranquillamente per le vie del mio paese. Era estate, faceva caldo e, a quell’ora, per le strade, non c’era nessuno; chi era chiuso in casa al fresco, chi era al mare, chi al lavoro ma, in giro, nemmeno un’anima viva….. o quasi.

Vedo venire, verso di me, una donna già di una certa età. Da lontano non me ne accorsi subito ma, guardando meglio, vidi che mi stava osservando, anzi, a dire il vero, mi stava proprio puntando con lo sguardo.

Mi guardai intorno con la coda dell’occhio, per un attimo, senza farmene accorgere, facendo finta di niente.

Sicuramente stava scrutando qualcuno, o qualcosa, al mio fianco ma… ahimè per me, ero sola come una volpe artica in un deserto.

Ad un certo punto, la vedo corrugare la fronte e indicarmi con la mano aperta. “Alè, ci siamo” pensai, sapendo già, sentendo addosso, che quel pomeriggio, non sarebbe più trascorso liscio come l’olio.

Mi si avvicina e mormora – Signorina…io…io…dove sono? -. Si, avete letto bene, normale amministrazione per me.

Benissimo” mi dissi con la speranza di aver capito male, ma lei, vedendo che la guardavo senza proferire parola, mi ripetè la stessa frase. Oh Santa Topa di tutte le tope! Ma perchè tutte a me!?

Potevo forse rimanere indifferente davanti ad una povera signora anziana, sofferente di demenza senile, che si era sicuramente smarrita? No.

Spiegai alla signora in che paese e in che via si trovava ma, a lei, tutto pareva una novità e aggiunse – Ma io dove abito? – sempre con la sua flebile voce. Et voilà! Ma benedetta creatura!

A quel punto avrei dovuto chiamare Federica Sciarelli di “chi l’ha visto?”, non c’era altra soluzione.

Mi guardai nuovamente intorno per controllare se quella non fosse la trappola messa in atto da qualche malvivente, noi topini siamo molto prudenti ma ancora nulla si muoveva intorno a me.

Proposi alla donna, che a quel punto mi stava iniziando a tirare la maglietta, di sedersi un momento insieme a me sul muretto di un negozio e pensai che la situazione si stava aggravando nel momento in cui iniziò a confidarmi che si sentiva depressa e aveva voglia di farla finita.

Ma santo cielo, povera persona per carità, ma tutte a me ripeto?!

Fu in quel momento che presi il cellulare e chiamai il 118.

Dall’altra parte del telefono, l’operatore che mi rispose, si comportò molto gentilmente. Probabilmente conosceva già la donna perchè me la descrisse e mi rincuorò dicendomi che era una prassi, mi disse di attendere, e che sarebbero arrivati e si complimentò con me per come mi ero comportata finora, trattenendola, distraendola e facendola parlare rincuorandola.

Nell’attesa, la signora continuava a strattonarmi e a piagnucolare e iniziai a preoccuparmi quando mi accorsi che si stava spazientendo e avrebbe voluto andare via. Non mi fidavo a lasciarla da sola e quindi, iniziai a inventarmi storie assurde della mia vita per trattenerla. Ogni tanto ridevo da sola e lei mi guardava come a dire “questa non è normale”.

Praticamente, tra tutte e due in quel momento, non so qual’era la più sana di mente.

Nel mentre, ovviamente, stavo sulle spine e non vedevo l’ora arrivasse qualcuno.

Ecco che alla fine ci raggiunsero i vigili. Dell’ambulanza neanche l’ombra perchè non serviva il suo intervento, dissero.

Seppi dai vigili che i due figli della signora, uno abitava in paese e l’altro invece in Lombardia, non se ne preoccupavano minimamente di lei ma, da quel che ho capito, i vigili li avrebbero condotti verso il giusto rispetto nei confronti del genitore.

Io non mi permetto di giudicare in quanto non conosco minimamente la faccenda.

L’anziana signora venne portata via dagli uomini della Polizia Municipale e, salita in macchina, assieme a uno di loro, mi rivolse un ultimo sguardo.

Non mi salutò, nè mi sorrise ma, con quell’occhiata, sembrò dirmi tante cose.

Buon Natale anche a te vecchia signora e uno squit a tutti, Pigmy.

M.