Da Colle Melosa al Rifugio Grai

Esiste un sentiero che da Colle Melosa porta al Rifugio Grai posizionato sul monte omonimo.

E’ un sentiero che taglia una montagna dall’altezza ridotta, un po’ in salita e anche un po’ faticoso a scendere, visti i tratti con abbondanti pietre al suolo ma assolutamente fattibile.

Da fare se si vuole poi godere di un panorama davvero mozzafiato, spesso reso ancora più incredibile dai giochi che le nuvole si prestano a mostrare. E sono giochi stupendi, mai banali.

Subito dopo la Locanda di Colle Melosa, si sorpassa il rudere di una vecchia postazione militare, un piccolo edificio e una baita continuando a rimanere sulla strada principale.

Dopo pochi metri, oltre questa casa solitaria, anziché continuare per lo stradone che diventa sterrato, ci si inoltra in un percorso ben visibile che inizia sotto l’ombra di diverse Conifere. Si tratta di una stradina che rimane sulla destra ed è unica, senza deviazioni, basta salire.

Salire, sì, certo. Ma, attenzione, occorre tener presente che gli occhi servono ben aperti e serve guardarsi attorno.

Il motivo è la presenza di molta fauna e avifauna che popola quella zona. Non sarà difficile infatti notare sulle montagne di fronte Caprioli e Camosci o Aquile e Corvi Imperiali sorvolare quei cieli.

Tenete anche conto che stiamo per raggiungere un luogo abitato dai Gracchi Alpini. Ebbene sì, questi uccelli, simili a dei Corvi ma più piccoli, hanno preso residenza da parecchi anni proprio sul Rifugio.

Ma andiamo con calma, abbiamo un po’ di strada da fare anche se siamo su un cammino abbastanza breve. E’ interessante anche la natura che ci circonda più da vicino e che quasi calpestiamo.

In questo periodo stanno nascendo i primi Crocus che, ancora chiusi e timidi, si rizzano tenaci in mezzo ai fili d’erba inariditi dal gelo. Sono molto teneri ma danno un tocco di colore in mezzo a tutte quelle tinte ancora assonnate e, a bassa voce, parlano già di primavera.

Tra il Semprevivo che ha patito l’umidità invernale e aspetta il caldo, si può notare anche la Stregona Candida con le sue foglie spesse e lanose che spuntano tra gli steli di quello che sembra essere fieno.

Questi doni di Madre Terra si iniziano a intravedere dopo aver abbandonato le Conifere a inizio percorso, le quali, sono splendide da osservare quando, ricoperte di nebbia, si bagnano fino a gocciolare dai loro aghi stille d’acqua come se piovesse.

Il resto del sentiero è all’aperto e sotto il sole, soprattutto durante la prima parte della giornata. La bruma però scende sovente nel pomeriggio e al calar della sera se non si è in piena estate.

Già salendo lo sguardo viene appagato da un bel vedere unico. I monti intorno sono bellissimi e le nuvole, sempre più basse rispetto a noi, sembrano giocare a rincorrersi muovendosi veloci nel cielo. Sembrano enormi coperte di cotone. La loro presenza però non ci ha proibito di godere di un’alba bellissima come sempre accade qui a Colle Melosa.

Il Rifugio, nostra meta, lo si può già vedere. E’ incastonato nel Monte Grai come una pietra preziosa e mostra tutta la sua facciata principale. Lunga e grigia.

Le sue finestre oggi sono delle aperture senza protezione ma un’unica grande finestra è la vista che offre su tutta la mia Valle.

Giunti alla sua base non si può non ammirare il Monte Gerbonte, il più vicino a noi da qui che, meno alto degli altri, riposa in tutta tranquillità in mezzo alla Valle.

Ma la sua immagine ci mostra una montagna davvero caratteristica e spettacolare con le sue rocce che salgono verso il cielo e le distese di Larici che lo ricoprono. Appare ruvido, severo, ma se lo si guarda in autunno, grazie al generoso foliage dei suoi alberi, regala palcoscenici molto colorati e dona calore.

Da qui ci si incanta anche a vedere la famosissima Diga di Tenarda. Un lago artificiale creato all’inizio degli anni ’60 e che, in questa stagione, sembra un lago selvaggio del Québec. Una piccola parte delle sue acque è ancora ghiacciata, se ne denota il brillio, ma lo spettacolo più intenso lo regalano gli alberi attorno che riflettono la loro figura in quello specchio immobile.

E’ meraviglioso poter vedere la Catena Montuosa del Saccarello. La si vede perfettamente stagliarsi contro l’infinito. Si riconoscono tutti i miei monti, uno per uno, e fra loro è ben visibile anche il Passo della Mezzaluna.

Ci si può sedere su quelle pietre e su quel bordo che mostra il dirupo. Ci si può sedere e ammirare tutto con serenità. Quello che si vede riempie il cuore nella sua zona più profonda e un senso di gioia pervade tutto il corpo. E’ bellissimo, è come essere in cima al mondo.

A scendere, come vi dicevo, si può faticare un poco a causa delle pietre, alcune dissestate, che si incontrano lungo il cammino ma vi assicuro che non c’è nulla di difficoltoso in questo.

Si fa quindi ritorno alla Locanda dove ci aspetta la Topomobile e, piena di ricchezza dentro me, posso rintanare.

Non mi resta che lasciarvi un bacio grande quanto grande è ciò che ho visto e andarvi a preparare il prossimo articolo che sarà davvero suggestivo.

A presto quindi! Squit!

Via Grande a Molini – la via delle vie

Beh, ecco… prima o poi dovevo pur parlarvi di questa via. E’ assai importante. Importante per tutta la Valle ma soprattutto per il paese di Molini di Triora.

Al di là dell’essere davvero molto carina, antica e caratteristica è la strada in cui, ancora oggi, sorge la casa natia di Beato Giovanni Lantrua ma… chi era costui?

Ve lo spiegherò meglio in un altro articolo a lui dedicato ma posso accennarvi che morì martire in Cina e venne beatificato dalla Chiesa Cattolica il 27 maggio del 1900.

Per i fedeli della Valle Argentina è una figura di grande rilievo che, per questo carruggio, viene ricordato anche attraverso una statua che lo rappresenta. Inoltre, alcuni abitanti di questo borgo, sono suoi discendenti. Ma andiamo con ordine. Partiamo dall’inizio.

Dal centro dell’abitato di Molini, proprio davanti a quella che fino a poco tempo fa era la Bottega di Angela Maria, conosciuta da tutti, si apre un arco in pietra rivestita che mostra una gradinata in salita formata da ciottoli e mattoncini color rosso vermiglio.

E’ Via Grande che, al suo principio, è addobbata da una gigantesca immagine la quale mostra diversi ponti della zona.

L’aria si fa subito più cupa e ombrosa sotto a quella volta ma si può tornare a vedere il cielo continuando a percorrere quei gradini.

Poco prima di giungere a metà percorso, sulla sinistra, una piccola fontanella in pietra, simile a molte altre della mia terra, indica l’inizio di un’altra piccola stradina. Vedrete che sono tanti i vicoli che si intersecano a quello che è il carruggio principale del paese. Breve ma centrale, a formare il centro storico molinese.

Questo è quello che porta alla dimora del fu Francesco Lantrua divenuto poi – Giovanni – una volta fattosi Sacerdote.

Quand’ero solo una piccola Topina, qui ci venivo in colonia e passavo delle estati bellissime. Ovviamente, anche questo stretto vicolo è dedicato al Santo e porta il suo nome.

Quasi di fronte a questo carruggio si trova la grande Chiesa dedicata a San Lorenzo Martire.

Si tratta di una Chiesa dall’impronta gotica e dal portale importante e suggestivo, in ardesia, con scritte scolpite in questa pietra lavagna per noi molto pregiata. Ampi rosoni ne addolciscono lo stile ma resta comunque imponente e spicca con le sue pareti tinte di crema.

E’ molto antica, la sua realizzazione è iniziata intorno al 1486 e regala prospettive bizzarre e tagli del cielo davvero caratteristici se guardati da qua sotto. Questo grazie soprattutto al suo campanile che svetta altissimo al di sopra di tutto.

Mi sento osservata e continuando a guardare la bellezza azzurra che sbuca dai vari edifici noto che qualcuno mi sta guardando.

Sono due Piccioni curiosi, i quali mi suggeriscono di aggirare la Chiesa e andare a vedere cosa si cela dietro di lei.

I pennuti mi hanno consigliato bene. Su un cartello posto contro la parete di una casa, adiacente l’edificio religioso, leggo “Piazza Vittorio Veneto” e mi inoltro.

Davanti a me si spalanca uno spazio molto carino. Sembra di essere nella contea di qualche paese del Nord Europa.

Si vede bene il retro della Chiesa che continua a mostrare ulteriori aperture circolari in mezzo a tutta la pietra che la realizza.

Delle case, dall’aspetto pittoresco e piacevole, la circondano e a terra noto la figura di una torre nera creata con delle grandi piastrelle di marmo.

La stessa torre, che è proprio un simbolo, la si trova sullo stemma del Comune rappresentata anche sul gonfalone concesso al paese dopo il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri avvenuto in data 12 settembre 1953.

Proseguo per la via che oggi voglio conoscere meglio. Come ad essere in un labirinto vedo che tante altre viuzze s’intersecano ad essa. Ne leggo i nomi incuriosita e guardo quello che mi circonda.

Ci sono piante e fiori. Ortensie antiche ed essiccate che comunque suggeriscono bellezza. Vedo i colori dei muri delle case. Il rosa è tra i preferiti, tipica tinta della Liguria, e dove l’umidità la fa da padrona, si scrosta un po’ l’intonaco.

Anche questa è una caratteristica dei nostri carruggi dove il sole fatica a entrare e le notti sono più scure del buio; per questo si possono incontrare tanti lampioni, in diverso stile.

Sono tante le cose che mi colpiscono. Ci sono diversi complementi che adornano questa stradina e le stesse case sono molto carine e ben tenute.

Un’abitazione abbastanza grande sembra prestigiosa. E’ segnalata da una targa che confida chi vi è nato. Un certo Avvocato Serafino Caldani, il quale pare abbia fatto tanto per il bene pubblico del paese e gli abitanti di questo borgo lo ricordano con una scritta inamovibile.

Il cielo intanto si è trasformato. E’ ora un guazzabuglio di nubi mosse dalle correnti che regalano strane scie nell’aria. Affascinano. M’incanto ancora ma, con la coda dell’occhio, noto la famosa statua che vi dicevo prima.

Ecco il Santo in tutto il suo splendore. La statua sembra in bronzo e attorno a lei una cascata di piccoli fiorellini gialli appena sbocciati l’abbellisce ulteriormente. Alcuni petali sono caduti a terra e creano un tappeto fiorito dal colore vivace e intenso che rallegra i grigi ciottoli dei gradini.

Osservando l’espressione del Lantrua, che pare pregare con lo sguardo rivolto verso Dio, noto la costruzione che si para verso la fine di questa via centrale.

Si tratta del Ricreatorio San Giovanni Lantrua. Eh sì, tutto riporta il suo nome.

Questo edificio storico è raccontato dalle diverse targhe appese alle sue pareti che parlano di lui come un oratore. Innanzi tutto si viene a conoscere il fatto che è stato costruito nel 1925 grazie alle offerte donate dalla Compagnia Teatrale Filodrammatica diretta e fondata dalla signora Faustina Balestra.

E si può poi comprendere come, le fontane sottostanti la struttura, furono ben accolte dai molinesi, nel 1899, quando l’Amministrazione Comunale le inaugurò.

Questa è l’ultima grande casa di Via Grande, da qui inizia Via Case Soprane ma, per arrivare sin qui, ho incontrato anche: Via Giulietti, Via del Canto e Via Aia di Pe’, oltre a quelle che vi ho citato prima.

Bene Topi, non mi resta che riscendere e andare a fare nuove scoperte.

Quante storie si nascondono nei dedali dei miei borghi e quante belle cose interessanti da conoscere ci sono, non vi pare?

Allora io vi saluto con un bacio storico e vi aspetto al prossimo articolo.

La lunga storia del Carnevale di Arma

Quella che vi racconto oggi è una lunga storia, una lunga e bella storia. Una storia fatta di maschere, di coriandoli, crustoli e divertimento.

Ebbene sì, Topi cari, vi voglio parlare di una tradizione che da ben sessantatre anni rende speciale una giornata all’anno in quel di Arma di Taggia. Si tratta della Festa di Carnevale che, ormai, è un appuntamento irrinunciabile.

Tutto iniziò nel 1955 nell’Oratorio Don Bosco di Arma. Una sfilata di Mascherine partecipò all’evento con molto entusiasmo ma si trattava di un gruppo di persone, all’epoca, abbastanza ridotto confronto a quello che si è visto in futuro. Data la gioia dei partecipanti e il bel clima di cui godono i nostri luoghi, si è presto deciso, gli anni seguenti, di realizzare questa festa all’aperto e, ben presto, le persone aumentarono.

Due anni fa, nel 2018, si arrivò a contare più di duemila persone. Sì, un qualcosa di incredibile.

Ho molti ricordi legati a questa manifestazione. Mia mamma si è occupata per anni di creare con polistirolo e pittura i Carri di Carnevale assieme alle Suore e, ogni anno, dopo tanto lavoro, prendeva vita un nuovo Carro a rappresentare il tema deciso: la Fattoria, la favola di Biancaneve, etc…

Ad organizzare questa ricorrenza è, fin dai tempi della sua nascita, la Parrocchia, la quale oggi può contare sull’aiuto del Gruppo Scout FSE di Arma di Taggia 1 e la P.A. Croce Verde di Arma di Taggia ma, da qualche tempo, anche sulla preziosa collaborazione del Comitato Natale a Villa Boselli il gruppo ormai divenuto mitico che realizza anche l’anniversario natalizio più significativo di tutta la Valle.

Si tratta di una mezza giornata (quest’anno si svolgerà martedì 25 febbraio a partire dalle ore 14:00) all’insegna del divertimento, della spensieratezza e delle risate.

Adulti e bambini, vestiti con il loro abito preferito, cammineranno prima per le vie principali del paese seguendo la prestigiosa Banda Pasquale Anfossi di Taggia e continueranno i giochi davanti alla Chiesa di Sant’Antonio e San Giuseppe dove la grande piazza accoglierà anche i Carri a tema per trasportarsi totalmente in un mondo fantastico.

Ma non è finita qui. Oltre al lancio di coriandoli e stelle filanti, si potranno gustare i crustoli caldi dal dolce sapore, osservare le realizzazioni carnevalesche che hanno creato i Papà del Comitato dopo tanto lavoro e partecipare al Concorso “La Maschera più Bella” durante il quale, a presiedere in giuria, ci sarà Rita Longordo vincitrice della 62esima edizione dello Zecchino d’Oro.

Insomma, non è difficile comprendere come questo Carnevale sia diventato, negli anni, sempre più bello e sempre più importante.

Si tratta davvero di una festa che non ha eguali e io consiglio a tutti i piccoli Topini della Valle di scendere sulla costa per quel giorno e assicurarsi momenti di infinita felicità.

Ma… quale sarà il tema di quest’anno? L’anno scorso si è pensato di dedicare questa giornata a Mario Bros. gioco della Nintendo molto amato dai bambini e dai ragazzi. Quest’anno sarà una sorpresa. Oh! Io lo so, certo… sgattaiolo ovunque e sono sempre ben informata, ma non posso spifferarvi nulla, ho dato la mia parola d’onore di Topina e, inoltre, beh, insomma, una sorpresa dovrete pur averla!

E non sarà l’unica, perché in questo articolo non vi ho detto tutto appositamente. Non vi resta che partecipare, numerosi, all’evento più divertente della Valle Argentina.

Ops! Dimenticavo… in caso di brutto tempo, il tutto sarà rinviato al sabato successivo in quanto, qui, nessuno si scoraggia e questo Carnevale, molto atteso, sa’ da farsi!

Sapete bene che non vi ho mai consigliato male quindi fidatevi se vi dico di accorrere! Palloncini che verranno distribuiti e tanti colori vi aspettano per festeggiare in piena allegria la manifestazione più esilarante che ci sia!

Un sorriso a voi! Io vado a truccarmi, ci sentiamo al prossimo articolo!

Il Ponte di Glori tra abbracci silenziosi

I raggi del sole tardano a scaldare in questa mattina di febbraio e la brina, sulle piccole foglie dall’animo placido, può donare il suo abbraccio più a lungo.

Ne ricopre i bordi, disegnando asterischi ghiacciati che creano un contrasto con il colore della natura ancora addormentata.

L’erba è schiacciata dal gelo come perduta, in realtà a riposo.

Cammino per questo piccolo sentiero indicatomi da una vecchia casa abbandonata a bordo strada e continuo a guardare quella bellezza che scricchiola sotto alle mie zampe. E’ proprio vero che la meraviglia si nasconde nelle piccole cose.

Starei ore, incantata, ad osservare quei bianchi e freddi fiocchetti ricoprire ancora tutto il mio mondo e so di avere poco tempo anche se il sole non si è ancora alzato nel cielo.

Il sentiero è davvero breve e pulito. Mi condurrà a un ponte conosciuto come “Il Ponte di Glori” perché si trova proprio sotto a questo paese del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/03/25/glori-un-mucchietto-di-case/

Il barego (casone-rudere) è appena prima questo ponte che sto cercando. E’ fatto completamente in pietra e, al posto di porta e finestre, ora ha delle aperture che permettono di vederne il nudo interno.

Mi trovo per la strada che sale per la Valle conosciuta come “la strada di sotto”, cioè la via che sarebbe dovuta essere ricoperta dalla diga non più realizzata. Questa vecchia struttura la si vede molto bene sotto strada, a sinistra (salendo).

La natura si è impossessata di lei dentro e attorno.

Mentre la guardo posso già sentire lo scrosciare dell’acqua poco distante da me. E’ potente e la sua voce riecheggia colpendo le alte rocce che formano il canale del suo passaggio.

Sono rocce lisce alcune, altre ruvide mostrano strie in rilievo. Sono grigio chiaro, a tratti ricoperte da un muschio che mostra varie tonalità di verde.

Anche quello di questa tenera erbetta minuscola, che sembra una moquette, mi pare un abbraccio stretto verso quelle grandi pietre.

In certi punti, le rocce, formano dei veri muraglioni ed è proprio nel punto in cui tali pareti si alzano molto che sorge il ponte.

Posso già intravedere, tra la vegetazione, il suo esserci e gli spruzzi bianchi dell’acqua sotto di lui.

Sul ponte non ci sono muretti a protezione e nemmeno staccionate.

Occorre non sporgersi troppo, è abbastanza altino e sotto scorre il Torrente Argentina in tutto il suo splendore scontrando i massi e formando pozze dove Trote e Gamberi di Fiume trovano dimora.

Sembrano lagune in miniatura. Quanta vita celano là sotto.

E’ possibile passare su questa antica costruzione e raggiungere l’altra parte che mostra un altro sentiero ma permette di raggiungere anche scogli enormi dai quali si ha una bella vista sull’intero arco in pietra che forma quello che oggi voglio ammirare.

In realtà gli archi sono due ma uno è più piccolo, da un lato. L’altro invece, sostiene l’intera struttura centrale.

Il fiume scorre veloce ma attorno al ponte la natura è quieta.

Nonostante la fredda stagione, qualche piccolo accenno di primavera prova a spuntare e, ora che il sole si è alzato e batte forte su quelle rocce, si sta d’incanto.

Tenere e minute foglie dal verde sgargiante spiccano in mezzo a quelle sfumature spente.

Solo gli alberi che racchiudono il percorso offrono zone d’ombra ed è proprio qui, in questo piccolo boschetto, che noto l’abbraccio più bello che mi sia capitato di vedere oggi. Quello tra due alberi che sembrano ballare il tango. E con tanto di casquet!

Mi sposto per osservare quella realizzazione storica da un’altra prospettiva cercando di distogliere lo sguardo da quelle piante romantiche.

Si tratta di un ponte medievale che permetteva lunghe passeggiate sulle sponde opposte e sui monti. Monti che donavano lavoro ma anche frutti e la possibilità di costruire dimore che venivano realizzate in quella macchia.

E’ bellissimo stare qui. Seppur sono vicina alla strada che passa di sotto, per raggiungere da Taggia – Molini di Triora, non si sente volare una mosca e tutto offre un’atmosfera onirica.

Non sono in grado di affermare se questo ponte abbia bisogno di un intervento di restauro. Di certo, guardandolo dal di sotto, pare più solido e più in buone condizioni rispetto a molti altri. E’ facile confonderlo con quello di Agaggio, molto più antico e più malconcio, ma secondo le mie fonti, quello di Glori, è proprio questo.

Vi mando un abbraccio quindi, per restare in tema, anziché un bacio, e vi aspetto per il prossimo tour!

Il Toraggio – l’uomo addormentato e il suo nome

Come molti sanno, il Monte Toraggio, è uno dei miei monti preferiti.

In questi due link qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/07/19/saliamo-sulla-vetta-del-toraggio/ e qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/08/08/scendiamo-dal-toraggio-e-arriviamo-a-fontana-itala/ ho parlato molto di lui, spiegando come raggiungere la sua parte più vicina al cielo e come discendere, da un altro sentiero, ammirando luoghi nuovi e meravigliosi.

Pur non essendo in Valle Argentina, lo si considera comunque un monte “nostro”, in quanto, con la sua solenne presenza, lo si può ammirare da ogni punto della Valle ed è, col passare degli anni, divenuto un caro amico. Come un simbolo. Uno dei tanti che abbiamo e amiamo. Inoltre, appartiene alla Catena Montuosa del Saccarello e alle Alpi Liguri quindi è come se appartenesse anche un po’ a noi.

La cosa principale poi è che, da come lo vediamo noi, o per lo meno dalla maggior parte delle zone della Valle Argentina, appare come la sagoma del viso di un uomo addormentato, con un naso un po’ aquilino e una fronte importante. Ma non è finita qui.

Assieme al Monte Pietravecchia e al Monte Grai, che si trovano accanto a lui verso Nord, quel viso appare congiunto anche a un corpo, tanto da aver assunto nel tempo il nome di “Uomo che dorme” o persino “Il Napoleone addormentato”.

Questo perché, a volte, attraverso varie atmosfere climatiche che si formano attorno a lui, delle nubi spesse e candide alle sue pendici, pare formino i capelli bianchi del noto Imperatore.

Il Monte Toraggio, alto 1.972 mt, ha l’aspetto severo e rude. Le sue pareti non sono morbide e tondeggianti anzi… alcune guglie di pietra gli recano proprio quel fascino brusco che ammalia.

Il suo nome deriva probabilmente da “Torevaius” un termine che, un tempo, soprattutto in ambito pagano, era dedicato a importanti luoghi di culto. Torevaius, infatti, sarebbe il nome antico di un Dio preromano custode delle vette.

Non solo, lo stesso nome “Torevaius”, deriverebbe da un’antica lingua romanica che indica “In Terrabulis” e cioè “Su luogo terribile” perché – terribili – erano considerate le sue cime frastagliate.

Forse è proprio questa sua autorevolezza che mi rapisce. Quella sua bellezza data da certe rocce sporgenti e alte falesie.

Il Toraggio esige molto rispetto e non è conveniente salire su di lui quando Madre Natura non lo permette forse proprio perché, in certi momenti dell’anno, quella natura vuole starsene in totale solitudine.

Sempre da parte di alcune antiche popolazioni preromane, si è ottenuto però anche il vocabolo “Tauraricum” ad indicare un diritto di pascolo che si è poi trasformato, come termine, a causa della lingua provenzale entrata a vivere quelle Alpi. Ovviamente si parla degli ampi prati attorno alla sua base che, in estate, offrono fiori di ogni genere e il verde smeraldino di quell’erba tenera.

Si tratta di luoghi incontaminati, che invitano Cicale e Farfalle.

Il Toraggio offre ovviamente una vista spettacolare. Si vede persino il mare dalle sue vette e una distesa di monti a perdita d’occhio.

Si è quasi a 2.000 mt di altezza e sono poche, nelle sue vicinanze,  le montagne alte quanto lui o più, perciò si gode di una vista aperta da ogni lato. Una vista che non la si dimenticherà più.

E’ sicuramente una meta da raggiungere almeno una volta nella vita, perchè regala emozioni uniche.

Anche lui è magnifico sempre. Visto da ogni dove. Imponente e aspro.

Adoro le sue forme, la personalità che emana. E’, per me, anche un punto di riferimento.

Sono nata guardandolo e continuo a farlo. Così come continuerò a parlarvi di lui.

Vi mando un bacio spettacolare quanto il suo splendore e vi aspetto per la presentazione del prossimo monte. A presto!

Il sentiero oltre le mura

Triora è un borgo meraviglioso da visitare. I suoi carruggi raccontano di storie antiche, di streghe, di battaglie e signorotti.

È suggestivo camminare per quei vicoli, toccare le pietre che reggono quelle case imponenti, ammirare i contrafforti che parlano di unione.

Appare assurdo notare come, in alcuni punti, i potenti raggi del sole non riescono ad entrare nonostante stiano picchiando su ogni tetto con forza e calore. Si possono ben vedere e ben sentire, fuori le mura del paese.

Ai confini di quell’abitato che da qui, senza più case attorno, mostra la mia splendida vallata. Fuori le mura che, un tempo, chiudevano il villaggio in un mondo a sé, totalmente autonomo. Fuori da mura che proteggevano chi viveva all’interno.

Ed è da qui, verso Sud, che nasce un sentiero panoramico assolutamente da percorrere, costeggiando così Triora dall’esterno. È un sentiero a salire che ci porterà verso la parte più alta del paese ma, soprattutto, ci farà giungere in uno dei luoghi più noti di tutta la Valle Argentina.

Si tratta della “Cabotina”, un piccolo spazio dove molti molti anni fa, secondo la voce del popolo, le streghe si ritrovavano di notte per ballare col diavolo.

La natura è assai presente lungo questo percorso ben delineato in terra battuta e ciottoli.

Oltre ad alberi spogli e arbusti verdi posso già notare fiori di Calendula e Borragini destinati ai più golosi. Preziosi doni di Madre Terra già sbocciati nonostante il freddo mese di gennaio.

È entusiasmante vedere da qui Molini di Triora laggiù in fondo. Lo si vede in tutta la sua grandezza, disteso lungo il torrente. Di lui si notano i tetti rossi delle case, il campanile della chiesa e i monti che lo circondano. Si vede bene anche la Strada Provinciale che si percorre per salire su in Valle, partendo dal mare.

Al di sopra sonnecchia Andagna appoggiata sul monte. E’ riconoscibile anche la sua piccola chiesetta di San Bernardo alla sua destra.

Anche il paese di Corte è una meraviglia visto da qui incorniciato da foglie vive e turgide.

Ebbene sì, da come potete vedere, la vista è ampia e splendida.

All’inizio di questo percorso, ciò che resta di quelle mura in pietra, si vede ancora bene e, in principio, si passa sotto ad una volta, anch’essa in pietra, che un tempo doveva essere una delle varie entrate nel villaggio. E’ stretta e ricoperta di rovi. Immagino guardie davanti a lei a controllare il territorio. Chi si avvicinava e chi usciva dal borgo.

Tratti di quelle rovine accompagnano lungo tutto il cammino, anche se di loro è rimasto ben poco e, quel poco, oggi, è ricoperto da una natura selvaggia e ingorda.

Ci sono delle costruzioni. Sembrano vecchie case. Sono dei ruderi. Si individuano delle finestre e delle porte nelle pareti restanti. Forse erano le case delle sentinelle o abitacoli nei quali accordarsi per decidere come muoversi contro il nemico.

Continuando si arriva in un punto in cui degli scalini e un po’ di salita ci portano sempre più vicino alle zone abitate dalle streghe. Dei paletti di legno servono da ringhiera e muretti in pietra, più recenti, formano quel tratto di strada.

Il piazzale nel quale si giunge è lastricato di pietre piatte e lisce. Ci si può ballare sopra sicuramente ma le bazue, di certo, avranno danzato su un terreno più rude.

Anche da qui un altro splendido panorama arricchisce gli occhi. Si può vedere una parte della Catena Montuosa del Saccarello ed è una meraviglia.

Alcune piccole porte in legno sono dipinte. Sono diverse le porte disegnate in questo paese conosciuto come la “Salem d’Italia”.

L’atmosfera è diversa adesso rispetto a prima. Si entra nell’arcano.

La rappresentazione di una bella strega dai capelli rossi lo conferma. Accanto a lei uno scaffale pieno di erbe essiccate per ricordare gli elisir e le pozioni che queste donne creavano.

Donne vissute nel XV secolo e perseguitate dall’Inquisizione che qui, a Triora, è stata davvero protagonista per molti anni.

Una passeggiata breve, tranquilla, da fare se ci si vuole rilassare e per vedere questo paese, conosciuto in tutto il mondo, e la mia Valle anche da un altro punto di vista.

Ora mi guardo i vecchi casoni che si trovano proprio qui, alla fine di questo sentiero.

Un bacio stregato a voi! Alla prossima!

Dal Praetto ai Confurzi fino a Santa Brigida

Dal Passo della Mezzaluna, prendendo il sentiero tra i pascoli che taglia i Monti Donzella e Bussana arrivo ad una piccola radura chiamata il Praetto (Piccolo Prato).

È un sentiero molto carino, pulito, arricchito da un vasto panorama e tanta erba che, in questo periodo, è addormentata.

Le zampe poggiano su schegge di una particolare Ardesia. È bicolor, grigia e bordeaux. I coriandoli della Terra. Sono friabili, si rompono facilmente.

Appena intrapreso questo sentiero, se mi giro indietro, posso vedere ancora una piccola parte del Passo e il Monte Arborea illuminati dai raggi del sole.

Se guardo alla mia sinistra, invece, si apre un panorama bellissimo, fatto di monti e paesi.

Al Praetto si arriva in fretta e anche qui si può godere di una vista spettacolare.

Se mi giro verso la Catena Montuosa del Saccarello, un bosco di Conifere inizia in discesa e nasconde diversi animali. Un Gallo Forcello mi ha quasi spaventata partendo all’improvviso davanti alle mie zampe e andando a nascondersi lì, tra quegli alberi dalla corteccia ruvida.

Ma non devo passare di lì, in mezzo a quel verde scuro. Devo dirigermi in giù, verso Andagna e più precisamente verso la piccola Chiesetta di Santa Brigida. Sbucherò infatti dal tornante sopra di lei.

Inizio per quello che non ha più niente a che vedere con il sentiero piano e pulito di prima.

Sono in discesa su un terreno sconnesso. Non è pericoloso ma vi posso assicurare che tonifica di sicuro zampe e glutei.

Piccole frane, piogge e Cinghiali han reso questo tratto di bosco abbastanza impegnativo. Le foglie secche a terra (ce n’è una quantità industriale) ricoprono pietre tonde che rotolano e scivolano se ci si mette una zampa sopra, perciò occhio a non prendere storte che lo so che non siete agili come me.

E’ bellissimo vedere come il suolo muta dopo qualche metro; prima è ricoperto da foglie di Nocciolo, poi di Castagno, poi di Roverella e così via, cambiando tappeto molto spesso.

Sono infatti circondata da alberi, alberi dalla forma anche strana e mi rendo conto che alcuni sono la tana di qualche parente.

Continuo a scendere per quel bosco fatto di massi e tronchi fino ad arrivare dove a regnare è l’acqua. Eccomi giunta nella zona chiamata I Confurzi (ad indicare acqua che confluisce).

E’ tutto bagnato attorno a me. L’acqua sgorga da ogni dove e scende verso fondo Valle.

Ci sono piccoli edifici in pietra e cemento chiusi da porte verdi. Ci sono fontane e rii.

Le piccole onde e gli spruzzi scavalcano pietre e rami.

E’ acqua fresca, limpida e allegra che passa sotto le foglie, crea pozzanghere e ruscelli.

Il sentiero si appiana. Si passa vicino a delle alte rocce sotto alle quali noto le prime Primule di quest’anno e anche qualche Helleborus Faetidus sempre pronto a sbocciare. Ama le zone umide e ombrose e non patisce il gelo. Ne ho visti molti sopravvivere con tanta neve attorno.

Conosco anche un nuovo Tizio, mai visto prima, sembra un Maggiolino con le borchie ma riesce a sparire prima di rivelarmi il suo nome.

Quando non ci sono alberi si può vedere una bella parte di Valle fatta di montagne ricoperte di un verde pallido e spento che sembra velluto.

E’ tutto bellissimo e, laggiù in fondo, intravedo già la mia meta, il Santuario conosciutissimo al quale molte persone della Valle Argentina sono affezionate. Nella foto (scattata dalla parte opposta di dove mi trovo oggi) potete vedere da dove sbucherò quando giungerò in fondo a questa mia escursione.

Incontro un’edicola solitaria in mezzo a tutta quella natura. E’ bianca, anch’essa in cemento. Uno dei tanti emblemi del culto mariano molto sentito in zona.

Anche una specie di costruzione realizzata con le pietre del luogo sembra voler abbellire quel posto. Stanno ferme e in bilico.

Immagino che d’estate questo posto sia pieno di fogliame e fiori. Sono sicuramente tante le specie di flora che arricchiscono questo territorio anche se, in questo periodo, devo accontentarmi di un Creato più svogliato e ancora sonnolente. Splendido comunque.

Si arriva al traguardo senza nessuna fatica. Dopo quei primi cinquecento metri, di cui vi ho parlato a inizio post, il sentiero e bello e pianeggiante.

Anche questa volta ho vissuto una bella esperienza e ho visto un luogo che ancora non conoscevo e che mi ha colpito per il suo incredibile silenzio.

Un silenzio rotto solo dallo scorrere dell’acqua.

Bene Topi, come avete visto sono arrivata, non mi resta che salutarvi e aspettarvi per il prossimo tour che faremo assieme, come sempre!

Un bacio schioccante a voi!

Dalle antiche case di Drego al Passo della Mezzaluna

Quella che ho vissuto oggi è stata un’avventura emozionante e la voglio condividere con voi portandovi in luoghi dalla bellezza mozzafiato, facendovi conoscere alcuni miei amici animali e mostrandovi un panorama senza eguali. Vi piace l’idea? Bene, allora inizio.

Inizio da antiche case in pietra, case di pastori, case alcune diroccate oggi, altre rinnovate. Sono le case di Drego, piccola e amata frazione della mia Valle, a 1100 mt s.l.m. 

Da queste case, e da ciò che di loro resta, mi avventuro costeggiando i bellissimi monti che mi permettono di giungere al loro Re, il Carmo di Brocchi. Questa volta potrò vederlo da sotto, dal suo versante a Sud Ovest, la parte più aspra, rocciosa, severa.

Dopo A Rocca du Luvu (La Rocca del Lupo) un’edicola attrae la mia attenzione e mi dirigo verso i bareghi (ruderi).

Cammino su erba ghiacciata. È appena giunta l’alba e la brina può ancora ricoprire quel mondo dalle sfumature tenui prima di sciogliersi al calore del sole.

Il sentiero è morbido. Nonostante qualche roccia, la terra battuta e l’erba cotta dal gelo mi permettono di procedere in silenzio e posso così udire diverse volte il verso di alcuni rapaci.

Sentirne il richiamo è bellissimo ma vederli è ancora più emozionante. Non so ancora che verrò accontentata a breve ma attendo fiduciosa il loro presentarsi.

D’un tratto, infatti, un’Aquila Reale si mostra a me in tutta la sua bellezza sorvolando la Valle e tutto quel vuoto da Nord a Sud.

Plana, poi sbatte le ali, volteggia e si lascia fotografare quasi vanitosa. Come ad essere sicura di aver fatto breccia nel mio cuore, decide di tornare indietro e mi regala ancora diversi minuti di spettacolo.

Da dov’è lei mi rendo conto che stiamo ammirando lo stesso panorama e mi sento una privilegiata. Tutta quell’immensità che mi circonda si trova sotto al suo sguardo e sotto al mio cuore. Sono alta quanto lei.

Mi accorgo di vedere bene Rocca della Mela, vedo sui suoi pascoli un gruppo di Mucche che brucano e ne sento il din don dei campanacci che mi porta il vento.

Proseguo in quello scenario montano che sa di valli incontaminate e indisturbate disposte a regalare il meglio. Le discese alla mia sinistra mi ricordano quelle “ardite” di Battisti e della sua “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…”.

Il Timo e la Lavanda hanno le foglie sottili in questo periodo, sembrano vuote, ma sono piante robuste, non patiscono neanche il gelo e rilasciano ancora il loro piacevole profumo come negli ultimi caldi mesi precedenti.

I miei monti sono meravigliosi visti da qui e sembrano abbelliti da pietre preziose che sarebbero i paesini che ben conosco.

La strada, che da Andagna conduce a Drego, sembra ora un grosso serpente che si insinua tra i pascoli ma le sue curve sono dolci e familiari. Vedo bene tre dei santuari più noti della zona: Madonna del Ciastreo di Corte e San Bernardo e Santa Brigida di Andagna.

È la strada che conduce al Passo della Teglia e, in questa stagione, permette di vedere spettacolari tramonti mentre i raggi del sole vanno a nascondersi dietro al Toraggio.

Il marrone, l’ocra e il bronzo sono i colori più presenti ma sono molte le sfumature di verde che posso vedere vicino e lontano da me.

Alcune montagne, viste da qui, mostrano linee ondulate di roccia dai tratti sporgenti e color pesca. Diversi cespugli sembrano batuffoli di cotone tinto e ammorbidiscono persino ciò che l’occhio vede.

Avanzo in quella natura selvaggia fatta di quiete e sono due, adesso, le Aquile Reali che volteggiano sopra la mia testa formando grandi cerchi nel cielo. Che meraviglia!

Le emozioni però non sono finite, me lo sento, e avrei potuto scommetterci dal momento che subito il mio sguardo si incanta su un gruppetto di Camosci. Uno più bello dell’altro.

C’è il Camoscio sentinella che mi guarda tra lo stupore e la preoccupazione. C’è il Camoscio curioso del quale spunta solo il muso da dietro un grande masso. C’è mamma Camoscio con Capretto, Camoscio unicorno che ha perso uno dei due cornini, Camoscio pigrone che se sta accovacciato su una pietra sporgente e diversi Camosci sportivi che corrono tra un arbusto e l’altro.

Mi fanno sorridere, sono dolci e simpatici allo stesso tempo ma… non sono gli unici a correre.

Girandomi verso sinistra ho la fortuna di cogliere la suggestiva corsa verso cresta di tre Caprioli e un Cinghiale. Mi danno immediatamente la sensazione di “convivenza felice”. Due specie totalmente diverse. Chissà se si stanno totalmente disinteressando l’uno degli altri o se si riconoscono tra loro e stanno assieme per volere. Penso che sia uno dei tanti segreti della natura e non ho bisogno che mi venga svelato. Lo amo per quello che è.

Ho amato quel momento per quello che era e per quello che mi ha dato e, non lo nego, mi ha fatto molto ridere. Erano intenti a correre, come per allontanarsi da qualcosa, ma non erano terrorizzati e questo mi ha sollevata.

Finito quello spettacolo per il quale non ho dovuto pagare nessun biglietto continuo a costeggiare i miei monti.

Dietro ad una curva, che vedo ancora lontana, so esserci il Passo della Mezzaluna ma non riesco a immaginare la sua bellezza da questa prospettiva pur conoscendo molto bene quel luogo al quale sono molto affezionata.

Non riesco a immaginare che, ancora una volta, sarà in grado di lasciarmi senza fiato.

Prima di giungere alla mia meta incontro vecchi casoni dei quali sono rimaste solo rovine.

Il sole ora batte in modo più intenso. Una fontanella dalla quale sgorga acqua ghiacciata fa apparire quel posto come il ricordo di un antico villaggio. Ci sono ancora le piatte ciappe di Ardesia dei tetti e alcuni travi in legno ricoperti oggi da un muschio chiaro e soffice come quello che ho visto su molte rocce.

Qui mi fermo assaporando con l’animo quello che queste vecchie dimore suggeriscono. Un Corvo Imperiale si libra nell’azzurro e, mentre mi passa sopra la testa, posso vedere bene tutta la sua nera e scintillante bellezza.

Sono in cima ad una delle tante vette che mi circondano. Posso ammirare una vasta parte della mia Valle e tutta quell’immensità nitida e piena di vita mi arricchisce.

Qui non ci sono pensieri, non ci sono turbamenti, solo emozioni forti e meravigliose.

Alcune me le regala un’Albanella Reale. Che uccello stupendo! E’ una femmina e presenta delle chiare tinte ocra e avorio sferzate da righe nere. E’ a caccia. Ha un volo particolare e a raso terra. Afferra qualcosa e si sofferma per mangiare. Un altro evento emozionante che mi godo quasi commossa.

Si è lasciata ammirare in lungo e in largo, sotto e sopra, davanti e dietro per tanti tanti minuti. Insomma, mi ha fatto un regalo davvero grande.

L’ultimo tratto che mi porta al passo mi fa camminare su un tappeto di neve ghiacciata. Serve fare attenzione e sfrutto le impronte degli animali più grandi di me come appoggio. Grazie!

Ed ecco lo spettacolo che stavo aspettando! Cavoli! Non l’avevo mai visto da questa parte e non l’avevo mai visto in questa atmosfera.

Oh! Si! Dovete sapere che la Natura muta in continuazione ad ogni stagione, in ogni mese e persino ad ogni ora! E ogni volta è una sorpresa incredibile.

Ora che sono giunta sin qui mi godo questa bellezza e poi mi preparerò per raggiungere un’altra meta. Verrete di nuovo con me ma questa è un’altra storia.

Alla prossima quindi, tenete gli zaini pronti!

Un bacio fortissimo a voi!