Dalla Crocetta del Monte Grai

Ci siete mai saliti sulla vetta del Monte Grai Topi?

Noooo?! Come no?! Non ci credo… ma comunque vi ci porto lo stesso e vi ci porto attraverso un magico viaggio che tocca tutte le stagioni dell’anno perché, anche questo luogo, è sempre splendido.

Per arrivare in cima a questo monte alto 2.012 mt e godere di un panorama fantastico ammirando gran parte della Val Nervia, della Francia, il mare e tutta la Valle Argentina, si può passare da diverse strade sia a piedi che con la Topomobile… ma dev’essere una Topomobile adatta. Lo sterrato è molto sterrato!

Andiamo su questa enorme cupola, ricca di natura, che sorge sulla cresta del confine italo-francese.

In questa immagine invernale potete vederlo bene. E’ quello più a destra. Gli altri due sono i suoi vecchi amici con i quali forma un famosissimo trio: Il Monte Toraggio (1973 mt) quello più a sinistra e il Monte Pietravecchia (2038 mt) quello al centro.

Si può passare dal Passo di Collardente, arrivando a lui dalla zona di Marta, oppure da Colle Melosa e, da qui, sono due i cammini da poter intraprendere.

Il più grande e forse anche più comodo è la ex strada militare, carrozzabile, che si può percorrere anche in auto, mentre l’altro è un sentiero che sale un po’ più ripido (ma è molto panoramico) il quale si può vivere solo zampettando poiché molto stretto e in salita.

Entrambi i percorsi vi porteranno al noto Rifugio del CAI situato sotto la vetta del monte, a circa 1920 mt d’altitudine.

Si tratta di un Rifugio incustodito. Sembra un grande casermone. E’ un edificio grigio e rettangolare con tante finestre.

Una parte è totalmente abbandonata, l’altra parte invece, dovrebbe essere attrezzata per ospitare gli escursionisti.

La larga mulattiera non asfaltata ci passa proprio davanti zigzagando come un sinuoso serpente tra i monti più affascinanti della Liguria.

Qui vive un’allegra famigliola di Gracchi Corallini e ho detto Corallini non Alpini!

C’è differenza? Certo!

Gli Alpini sono molto più soliti e, infatti anch’essi abitano queste zone… ma i Corallini, invece, sono un po’ più rari… e più presuntuosi! Oh si! Hanno un caratterino con il quale potrebbero tranquillamente andare d’accordo con la mia nemica-amica Serpilla la Ghiandaia.

Ma la vera differenza tra i due è che i Gracchi Alpini hanno il becco giallo, come quello che vedete in foto, mentre i Corallini lo hanno di un bell’arancio vivace.

Ma torniamo alla nostra meta.

Oltre ai Gracchi sono davvero tantissimi gli esemplari di Fauna e Avifauna che possiamo incontrare in questa zona: Camosci che si arrampicano ovunque, simpaticissime Donnole, Grifoni durante l’estate e i Corvi Imperiali che, anche loro, come i cugini Gracchi, sorvolano questi cieli ogni giorno.

Questo territorio è splendido. Il panorama si mostra entusiasmante già dopo aver percorso i primi metri e, una volta arrivati in cima, è davvero tutto indescrivibile.

E’ come essere sopra al mondo intero.

Sarà una piccola e anche un po’ instabile crocetta in legno ad accogliervi.

Una crocetta trattenuta da un ammasso di pietre.

Su di lei sono state incise le seguenti lettere “M. GRAI – 2012”, nome e altezza di questa montagna che è una delle più alte di tutta la Valle Argentina.

Sono entusiasta, ho conquistato un’altra preziosa meta.

Ma qui non c’è solo la vista che può sconfinare fino all’infinito, come caratteristica spettacolare.

Anche la Flora regala il meglio di sé nonostante un terreno severo.

L’Astro Alpino, lo Sparviere Lanoso, il Semprevivo, il Timo… sono tanti e presenti con i loro colori sgargianti: lilla, fucsia, giallo, viola!
E quante Farfalle attirano!

Sembra davvero di essere in una fiaba! Le Farfalle sono tantissime e anche i Grilli e le Cicale, le quali iniziano a cantare in tarda mattinata.

I boschi di Conifere appaiono qua e là regalando un po’ di ombre e un profumo salubre e balsamico.

Si tratta prevalentemente di Larici. Ma qui sappiamo esserci anche l’Abete Bianco, il Rosso e il Pino Nero.

Nonostante tutta questa bellezza di vita, non si può però non dare uno sguardo più significativo al suggestivo panorama che si apre generoso davanti ai nostri occhi.

La prima cosa che colpisce è sicuramente la Diga di Tenarda.

Questo lago artificiale degli anni ’60, in questo periodo afoso, appare in secca a causa della siccità. Lo avevate mai visto così asciutto?

Tutta la Catena Montuosa del Saccarello si staglia di fronte a me limitando la parte opposta della Valle Argentina rispetto a quella nella quale mi trovo io. Vedere i miei monti tutti assieme mi apre il cuore.

L’antico e caro Gerbonte con le sue foreste che lo ricoprono e, in autunno, lo colorano di un foliage pazzesco…

Colle Ciaberta che presenta Carmo Gerbontina più avanti.

Sembra una cresta tagliente.

E naturalmente non posso non ammirare la bellezza di Triora che, vista da qui, sembra una pietra preziosa incastonata nei monti.

Adagiata come in una culla.

Tutto è meraviglioso e, come vi ho detto a inizio articolo, lo è sempre, durante tutto l’anno. Per questo ci tengo a sottolineare una cosa molto importante: siamo in uno dei punti più belli della Valle sì… ma è anche uno dei più pericolosi.

In questa zona, a causa di un matrimonio tra le correnti e il gelo, in inverno si forma uno strato di ghiaccio molto spesso e ingannevole.

E’ un ghiaccio che, talvolta, perdura persino fino a giugno e questo avviene prevalentemente nel curvone dietro al Monte Grai, nel Vallone del Negré.

Il fatto che questo strato ghiacciato perduri così tanto, viste le belle giornate primaverili, fa credere di non essere poi così pericoloso dato il tepore del sole; ma, in questo punto, il sole non riesce a scaldare.

Spesso l’ultima neve sembra soffice e percorribile ma non fatevi ingannare poichè sotto di essa resiste una patina ghiacciata da non sottovalutare assolutamente. E… se si cade da lì… si hanno davvero poche speranze.

Bene, penso di avervi detto tutto riguardo questo paradiso.

Non mi resta che andare a preparare il prossimo articolo.

Vi mando uno squit-bacio e vi aspetto per il prossimo tour.

Memorie di zona Sciorella

Cari Topi,

vi ho condotti spesso al Passo della Mezzaluna, luogo ben noto della Valle Argentina, ma oggi vi ci porto nuovamente perché voglio farvi conoscere una zona nei pressi di questo posto che per me è davvero particolare.

Andiamo in zona Sciorella.

Si tratta di un’antica e piccola frazione, appartenente al paese di Andagna, che si divideva un tempo in Sciorella Soprana e Sciorella Sottana.

Col dire “un tempo” intendo, grosso modo, fino agli anni ’70 del secolo scorso, dove, nei dintorni di questa borgata, venivano coltivati patate, grano e cavoli. E quindi risultava, in qualche modo, ancora vissuta.

Non solo, anche il bestiame abbondava e poteva far man bassa dell’erba buona del Praetto e della Mezzaluna stessa.

Oggi, di questa località rimangono solo alcuni ruderi in pietra ma credetemi sulla parola se vi dico che questo luogo parla…

Parla e racconta di sé e di chi lo abitava…

Gli orti e le coltivazioni nascevano accanto alle case. Ancora oggi si possono notare rimasugli di terrazzamenti completamente ricoperti dal bosco adesso.

Forse ancora più affascinanti.

Quando gli alberi sono spogli si possono intravvedere bene, altrimenti, il ricco fogliame li nasconde un po’.

Ci sono casette dall’area di pochi metri e altre più grandi, più capienti.

Alcune erano vere e proprie dimore, altre erano Selle e cioè dei ripari nei quali stoccare rifornimenti, soprattutto alimentari, per superare il periodo invernale.

Sopra all’abitato di Andagna, un altro paese, oggi fantasma, è da sempre meta prediletta di parecchi amanti della Valle vista la sua bellezza. Si tratta di Drego.

Sopra a Drego, continuando per raggiungere il Passo della Mezzaluna, si arriva ai Confurzi (un giorno vi parlerò anche di questa località qui) e più su ancora, sotto al Monte Bussana e Cima Donzella, ecco lo svilupparsi di Sciorella.

Il termine “Confurzi”, con cui si conosce l’altra zona, indica la confluenza di diverse acque e questo sta a significare come quei terreni potevano essere ben nutriti e generosi.

Nei pressi di Sciorella troviamo diverse Conifere ma soprattutto, a regnare, sono i Carpini, i Noccioli e i Castagni che un tempo permettevano alle persone di sfamarsi e di avere un commercio. Anche la Rosa Canina, con i suoi arbusti spinosi, è molto presente.

La Fauna selvatica, invece, è formata prevalentemente da Caprioli, Lepri, Cinghiali e Lupi ma, se si alzano gli occhi al cielo, si possono anche ammirare straordinari esemplari di Albanella Reale, Aquila Reale e Corvo Imperiale.

Per non parlare dei tanti uccellini che accompagnano il mio cammino all’interno della macchia come i Picchi, i Cuculi e i Fringuelli. E molte altre specie.

Vi confiderò un segreto… pare che qui, in passato, siano anche stati avvistati dei Cervi di passaggio.

Il Cervo non vive nella mia Valle ma vive nei dintorni di essa e, probabilmente, nello spostarsi e nell’andare a conoscere la vasta Foresta dei Labari, è passato anche da qui.

Da questa zona dei miei monti la vista è splendida, sono a circa 1400 mt di altitudine… mi chiedo come facessero un tempo, gli abitanti, ad attraversare quei boschi e quei sentieri per scendere giù in paese. Tutto sembra lontanissimo, poichè pare di essere in cima al mondo.

Posso vedere tutta l’altra parte della mia Valle che è fatta a ferro di cavallo ma posso vedere anche i paesi principali come Triora.

E’ divertente riconoscerli da qui e spostarmi per vedere quale dei tanti sbuca: Andagna, Molini, Corte….

Guardate come sono lontani però! Ritorno col pensiero alla tanta strada che si doveva percorrere.

Negli ultimi anni, infatti, questa è diventata una località prettamente estiva, usata per portare le greggi di Capre, Pecore e Mucche; ciononostante, indica davvero la tempra di chi ci ha preceduto.

E’ un sentiero ben delineato quello che mi permette di attraverso questo luogo silenzioso.

A volte sono all’interno di un intricato bosco, a volte mi trovo in radure ampie, più spoglie. Ma tutto è magico.

Ci sono punti in cui la vegetazione la fa davvero da padrona. In primavera è un verde intenso a regnare e sembra non esserci nemmeno un centimetro di spazio per passare (a parte per me che sgattaiolo ovunque).

Girandomi da dove sono arrivata rivedo il Passo e ammiro il mio amato Carmo di Brocchi che si innalza sopra ogni cosa.

E’ solenne, sovrano e splendido.

Continuando potrei arrivare fino ai Prati di Corte e ai Casai ma oggi voglio godermi questa bellezza antica e restare ancora ad ascoltare cos’hanno da dirmi tutte queste pietre che, ad una prima vista, appaiono silenziose.

Delineano confini, parlano di guerre, di povertà e ricchezza.

Trasudano del duro lavoro. Inventano leggende e fiabe.

Affermano un passato severo ma ricco di valori.

La loro voce è lieve, mai prorompente.

Appaiono fragili ma non lo sono. Sono lì da tempo.

Chissà quante ne hanno visto! Chissà da chi sono state posizionate in modo tanto ordinato e con maestria. Chissà perchè è stata scelta questa zona per vivere… beh… la risposta è facile… perchè c’è tutto: l’acqua, il bosco con i suoi frutti, il pascolo per il bestiame, la neve in inverno come riserva idrica, i fiori d’estate che nutrono le Api, l’aria salubre, tanto sole, il buon terreno, la selvaggina, le vette incontaminate…

Un paradiso insomma!

I nostri avi pensavano a tutto.

E questo – tutto – è oggi narrato dall’atmosfera di Sciorella. Serve solo restare in ascolto.

Rizzate le orecchie Topi! Ma preparatevi anche per il prossimo post, nel quale, come sempre, vi porterò con me alla scoperta di qualcosa che riguarda la mia amatissima Valle!

Squit!

La spettacolare fioritura dei Rododendri sul Saccarello

Allora Topi,

intanto, per cominciare bene questo magnifico tour, dovrete tener presente una cosa: ogni immagine che vedrete di questo post, contenente delle macchie scure di vegetazione sul verde brillante dei monti, immaginatela completamente… rosa!

Rosa! Sì! Perché oggi vi porto sulla cima più alta della Liguria, sul Monte Saccarello, a 2.202 mt di altitudine per mostrarvi le straordinarie fioriture dei Rododendri selvatici che ricoprono gran parte dei pascoli di queste montagne.

Uno spettacolo unico e dalla bellezza indescrivibile del quale si può godere durante i mesi di Maggio e Giugno.

Infatti, come vi anticipavo, molti Rododendri non erano ancora sbocciati quando ho fatto le foto e non è che posso salire sul Saccarello tutte le settimane (!) quindi… con un po’ di fantasia, come vi ho suggerito, colorate di rosa quei cespugli non ancora in fiore. Oppure, zampe in spalla, recatevi di persona nel – paese delle meraviglie -!

In realtà non troverete distese infinite di questi fiori sulla cima di questo monte ma, naturalmente, tutto intorno e sulle sue pendici.

Sono su un confine. Da una parte posso ammirare la bellissima Val Tanarello, i paesi di Monesi e Piaggia e le dolci sfumature che li circondano, dall’altra parte posso provare vertiginose sensazioni osservando la Valle Argentina, più severa ma altrettanto splendida e i paesi di Verdeggia, Realdo e Carmeli.

Nonostante il mio anticipo, posso comunque mostrarvi questa tinta sgargiante che ha già iniziato a manifestarsi rendendo questo ambiente fantastico.

Permettetemi di descrivervela.

I miei occhi e il mio cuore non vedono l’ora di condividere con voi questo spettacolo!

Nel momento in cui i Larici si rivestono di tenerissimi aghi impalpabili, colorati di un verde molto chiaro e parecchi animali fanno capolino dopo il lungo letargo invernale, ecco che assieme alla Genzianella, ai Botton d’Oro, al Camedrio Alpino e al Non Ti Scordar Di Me, i Rododendri (Rhododendron ferrugineum) iniziano pian piano a sbocciare.

Il nome scientifico di questo splendido fiore riporta al rosso del Ferro e, infatti, le loro foglie, in alcuni periodi dell’anno, appaiono di color ruggine.

Il Rododendro è la pianta preferita dai Galli Forcelli o Fagiani di Monte, i quali si nascondono dentro a questi cespugli per poi uscire all’improvviso facendo spaventare chiunque stia camminando sereno per i sentieri montani.

Questo fiore ha un significato davvero importante: simboleggia il riuscire a intravedere le insidie e gli inganni della vita e, eventualmente, di chi ci circonda e crediamo erroneamente totalmente onesto.

Questo messaggio deriva da alcune specie di Rododendro che sono tossiche ma nessuno lo direbbe mai vista la loro bellezza che abbaglia.

Questo è il momento in cui i Grifoni fanno ritorno da paesi lontani e sorvolano l’intera Catena Montuosa del Saccarello ora vestita di rosa.

Passeranno qui tutta l’estate e la loro presenza contribuisce a rendere queste vette davvero speciali.

La statua del Redentore è immersa tra pascoli colorati e panorami che lasciano senza fiato. In estate, questi pascoli sono vissuti dai greggi che i pastori portano in alta quota e il cibo, a quel bestiame, non manca di certo.

Il rosa non è l’unico protagonista di questa bellezza.

I profili di queste montagne sono spettacolari.

Le rocce bianche, le conifere ritte come soldatini, gli uccellini festosi.

Questo angolo di mondo è ovviamente stupefacente anche in inverno ma in primavera, con tutte quelle tinte vivaci, si mostra come una fiaba.

Percorrendo i crinali dal Saccarello a Cima Garlenda si cammina su un morbido tappeto di velluto. Questa tenera erbetta è una leccornia per i Camosci che vivono qui e non aspettavano altro.

Ma questa è terra anche di predatori che non giungono solo dal cielo come le Aquile Reali che, in primavera, mirano ai piccoli Capretti… bensì anche da terra. Sono i Lupi.

Terra bella e selvaggia.

Qui la natura pullula di vita… di nuova vita e questa rinascita è palpabile sotto ogni suo aspetto.

Questi monti parlano e raccontano di quanta bellezza c’è a questo mondo e non si può rimanere indifferenti davanti a tanto splendore.

Ogni volta che vengo qui mi sento fortunata. E’ come essere in un luogo terapeutico che fa del bene al fisico e allo spirito.

Perciò… no… sicuramente non posso venire quassù tutte le settimane, perchè la Valle Argentina voglio farvela conoscere tutta quanta… ma di certo, questa è una zona che mi vede spessissimo sgattaiolare tra i suoi prati infiniti.

E spero tanto che vi sia piaciuto sgattaiolare con me.

Vi aspetto per il prossimo magico luogo nel quale vi porterò. Nel frattempo, se potete, seguite il mio consiglio: non perdetevi queste fioriture! Andate a godervele dal vivo.

Un bacio, la vostra Topina.

La vita di Rio Infernetto

Al di sopra delle porte dell’antico Monte Gerbonte (1727 mt) tra le falesie di una delle zone più impervie dell’Alta Valle Argentina, nasce un Rio al quale sono molto affezionata in quanto attraversa luoghi splendidi del mio mondo e seguirlo è sempre una meraviglia.

Nasce tra rocce severe, accarezzando scogli grigi, ma il suo percorso offre poi scenari davvero particolari che ogni volta mi incantano.

Sono diversi tra loro, a volte dolci e morbidi, a volte rudi e spogli ed è difficile far ritorno alla propria tana quando si è nei pressi delle sue acque che rapiscono l’animo.

Si tratta di Rio Infernetto che taglia il sentiero dei Parvaglioni (e cioè dei Larici Monumentali della Foresta del Gerbonte) dando vita ad una natura florida e spettacolare.

Ma ci sono punti in cui attraversa rocce aguzze e sporgenti, austere e taglienti.

Le attraversa placido, con le sue acque linde, per poi tuffarsi in cascatelle impetuose come a dare maggior vita a se stesso e al Creato che lo circonda.

Lo si può infatti incontrare calmo, a formare pozze, oppure vivace, mentre allegramente scavalca grandi massi, sorpassa ponti, si infila in canali di pietra e bagna rive.

Rio Infernetto è tutto questo e anche di più.

Splendido, in qualsiasi stagione dell’anno.

Il punto che preferisco è il suo arrivo dove forma una piccola laguna che in estate è abitata dai Gerridi (i Ragni d’acqua) e le Libellule.

Una laguna cangiante, dalla bellezza che lascia senza fiato sia in estate che in inverno.

Qui l’acqua è così trasparente che si può vedere il fondale e diverse piante scendono a cascata a far da cornice.

Le rocce le danno una forma circolare ed è come essere in un piccolo paradiso.

Il silenzio avvolge, rotto soltanto dal canto di qualche uccellino cordiale.

Trovo molto divertente il modo di fare di questo rio.

In alcuni tratti luccica al sole come a volersi far ammirare in tutto il suo splendore, altre volte invece appare cupo, sembra voler nascondere qualche misterioso segreto che solo chi lo ama profondamente può scoprire.

Sa nutrire ma anche proteggere.

Grazie a lui, molta natura viene alimentata e sono tante le esistenze che prendono vita grazie al suo scorrere perpetuo.

Fiori di ogni tipo spuntano per primi già nei mesi ancora freddi per lasciare poi il posto a quelli più grandi e colorati dell’estate.

Un ciclo che si ripete manifestando la bellezza della Natura.

Enormi foglie sembrano ninfee e molte creature del bosco si abbeverano mentre lui scende a Valle sereno.

Le rane depongono le loro uova nei suoi piccoli laghetti. A loro basta un palmo di acqua e, in certi punti, Rio Infernetto è proprio la tana ideale per anfibi e rettili acquatici.

Anche il Gambero di fiume adora questo piccolo torrente perché offre nascondigli adatti alla vita che conduce questo raro crostaceo d’acqua dolce. Raro perché, purtroppo, non ce n’è più una quantità come un tempo ma qui, gli esemplari rimasti, riescono ad ottenere il loro habitat ideale per vivere e riprodursi.

Amano infatti nascondersi e avere angolini bui dove stare tranquilli e adorano anche una certa vegetazione.

A proposito di questo il Rio Infernetto cambia persino colore sapete?

Il muschio e le alghe gli conferiscono sfumature uniche.

Ci sono zone in cui la sua acqua sembra azzurra come il cielo e nei suoi abissi diventa blu cobalto… ma in altri punti invece è verde come gli smeraldi.

Le rocce si specchiano in lui grazie alla sua limpidezza.

Nascendo tra le alte vette che circondano Borniga, osservando i Bastioni rocciosi del Monte Gerbonte, non può certo inquinarsi.

Lì tutto è arido, pulito, roccia pura, ricca di minerali.

Luoghi in cui un tempo vivevano uomini primitivi in profonde grotte e, oggi, queste montagne, sono vissute solo dagli animali più agili e selvatici.

Dove passa Rio Infernetto tutto è selvatico.

E’ sicuramente una delle parti più selvagge della Valle. L’Alta Valle Argentina. Ed è di una bellezza mozzafiato.

Questo rio incontra il Torrente Argentina poco prima del paese di Creppo.

Al di sopra di alcune delle sue incredibili forre si può vedere gran parte della vallata manifestarsi a Sud, verso Loreto, e il panorama è incredibile.

Dona libertà, senso dell’infinito. Permette di vedere le mie amate montagne.

Sono sempre felice quando giungo nei pressi di questo torrentello.

E’ la vita che si mostra e illumina il mondo.

Fa questo effetto anche a voi vero?

Ma ora vi mando un bacio Topi!

Ci vediamo alla prossima meraviglia della Valle! A presto!

Sul selvaggio Bric dei Corvi

Pronti per il selvaggio Topi?

Ottimo, perché oggi vi porto in un luogo davvero “barbaro” anche se, ovviamente, stupendo!

No, tranquilli, non è difficile da raggiungere. E’ il mondo che mostra ad essere severo, arido, ricco di alte falesie, di grandi rocce nude, di burroni, di arbusti intricati… è un pezzo di Valle che lascia senza fiato per via di quella Natura incredibile, austera e meravigliosa al tempo stesso, abbracciata da panorami mozzafiato.

Andiamo sul Bric dei Corvi… nessun nome fu più azzeccato.

Il Corvo Imperiale è un grande uccello nero molto presente in Valle Argentina e sorvola le più alte vette.

Tra questi faraglioni e pietraie, dove i rapaci più impavidi ricercano cibo e gridano nell’azzurro del cielo, i Corvi accompagnano con il loro gracchiare la mia passeggiata.

Su Bric dei Corvi ci si arriva direttamente da Borniga facendo poca strada oppure, come ho fatto io, da Borniga si scende prima a Bric Castellaccio e si risale a Bric dei Corvi percorrendo un anello.

Ho preferito fare così per allungare il mio cammino, osservare più meraviglia e passare tra gli antichi ruderi di Borniga Sottana, un’antica frazione che oggi non esiste più, ma è bello vedere dove vivevano un tempo i nostri predecessori e osservare dove costruivano i terrazzamenti che gli permettevano di coltivare, di tenere il bestiame e riporre provviste per uomini e animali.

Inoltre, posso a lungo godermi il mio caro Monte Gerbonte che regna sovrano in quello spendore, mostrando la sua imponenza e la sua secolare foresta.

Da Bric Castellaccio, dopo aver osservato una Sella (Tholos) e cioè un riparo d’altri tempi simile ai Nuraghi sardi, ai Trulli pugliesi o alle Casite dell’Istria, inizio a salire percorrendo un sentiero pietroso e aperto che mi dona una vista spettacolare sull’Alta Valle Argentina.

Passo anche sotto a qualche Roverella ma cammino per lo più in spazi aperti dove il sole di questa bellissima giornata mi scalda anche la coda.

Come al solito, qualche Cincia e qualche Fringuello, incuriositi dal mio passare, mi cantano dolci canzoni da sopra i rami.  

I ruderi della vecchia Borniga posso vederli subito affacciandomi da un crinale che fa venire i brividi. La Valle sembra molto profonda da qui ed è come toccare il cielo con un dito.

Le fasce sono pulite si contraddistinguono bene.

Sono delle linee, perfettamente orizzontali, sulla montagna. L’erba è chiara in questa stagione e le pietre dei muretti fuoriescono da quelle tonalità ancora invernali proponendosi agli occhi di chi guarda.

Continuo a salire avvicinandomi a quella parete tratteggiata. Le costruzioni in pietra mostrano una forma cubica e non sono piccole. Alcune sono anche unite tra di loro.

Sopra la mia testa c’è invece la nuova Borniga e io la sto raggiungendo per poi salire sul Bric dei Corvi.

Passo per un sentierino stretto sorpassando rocce nude che sovrastano arbusti.

Tra di loro si nascondono le prime Lucertoline coraggiose che cercano di scaldarsi dopo la stasi invernale. Sono furbe e veloci anche se ancora assonnate.

Bric dei Corvi appare frastagliato come un diamante grezzo che ancora deve essere lavorato.

La vetta del Bric (1260 mt) è inconfondile. Il mio amico Harald Philipp, noto biker (mtb) della Valle Argentina, ha posizionato su di lui delle colorate bandierine tibetane rendendo quel luogo ancora più affascinante.

Una colonna di pietre a forma di cupola arricchisce quello che oggi appare come un sereno santuario di preghiera e tutto infonde calma e pace.

Mi incanto guardandomi attorno.

La sella di Collardente si palesa con la sua fila di alberi messi ben in riga. Sembra la cresta di un gigante con i capelli a spazzola. E’ bellissima.

Davanti a lei il Saccarello e poi il continuo della Catena Montuosa principale della mia Valle.

Molti dei miei monti sono qui, attorno a me.

Posso anche vedere Bric Castellaccio, lo spunzone di roccia sul quale mi trovavo prima. Rimane in basso adesso e, da qui, ne posso vedere la forma a panettone.

Altri denti rocciosi si innalzano nel vuoto, sono appuntiti, nudi e mostrano tutta la severità delle rocce più dure.

Sono in un luogo bellissimo, quasi mistico, e intendo godermelo fino in fondo.

Quindi… me ne starò un po’ in questo silenzio adesso.

Vi mando un bacio, ci vediamo al prossimo articolo!

Squit!

Particolari emozioni tra i ruderi di Drondo Inferiore

Che meraviglia! Che meraviglia! Oggi Topi vi porto in un luogo che considero fantastico!

Molte volte vi chiedo di seguirmi in zone della Valle che raccontano di una vita passata che non esiste più. Spesso si tratta di avvenimenti militari, leggende legate alla stregoneria, il significativo operato di personaggi religiosi ma, oggi, tutto questo non c’entra.

Non c’entra perché questa volta andiamo a vivere “semplicemente” quella che era la vita in Valle Argentina fino agli anni del dopoguerra. Una vita fatta di contadini, terrazzamenti, la quotidianità di un tempo, il sole, le case di pietra…

E che sensazioni indescrivibili ci aspettano!

Credetemi… non posso non immaginare una donna, con la sua pitocca scura e u fudà (il grembiule) infornare del buon pane nel forno comune, non posso non immaginare un uomo uscire al mattino per dirigersi nei suoi campi; piedi che affondano in questo tappeto di foglie secche e ricciolute, sacchi di patate riposti nelle caselle, grida di richiamo da una fascia all’altra che echeggiano per tutto il fondovalle.

E’ impossibile non fantasticar su tutto questo e sapete perché? Perché andiamo a Drondo Inferiore cari amici! E questo significa fare un salto in un passato che poche volte si mostra così evidente.

Drondo Inferiore, oggi completamente disabitato e riconoscibile solo grazie ai ruderi rimanenti, è una piccola frazione di Creppo che sorge nei pressi delle pendici del Monte Gerbonte.

Siamo in Alta Valle Argentina e il termine – Inferiore – ci fa capire che sicuramente c’è anche una parte più sopra chiamata – Superiore – e infatti è proprio così. Di quest’ultima zona resta però davvero pochissimo, per questo vi porto prima qui, in zona Sottana. L’altro Drondo ve lo farò conoscere un’altra volta.

Per arrivare in questo nucleo fantasma serve prendere il sentiero che scende dalla strada principale subito dopo Creppo oppure, proprio da Creppo, prendere la mulattiera che và verso il torrente e si congiunge poi con questa stradina in mezzo al bosco nella quale camminiamo oggi.

Si tratta di un bosco meraviglioso. Faggi, Noccioli e Abeti mi circondano ma sono, senza ombra di dubbio, i maestosi Castagni secolari ad attirare maggiormente la mia attenzione. Non bastano cinque uomini per abbracciarli sapete?

Sì, alcuni sono davvero enormi e rinfrescati da Muschio e Felci.

Altri invece sono molto vecchi, secchi e sono stati attaccati da funghi e parassiti. Sulla loro corteccia generosa zampettano insetti di ogni tipo e parecchi uccelli e roditori hanno costruito la loro tana.

E’ un bosco magico. La Primavera esulta attraverso Violette, Anemoni e Primule e il sentiero è pulito e pianeggiante. Adatto a chiunque.

Tutti quegli alberi sembrano schiere di soldatini messi in fila e, grazie a diverse indicazioni, capisco che da qui posso dirigermi in diversi luoghi.

Potrei andare sulla vetta del Gerbonte o a Borniga, potrei tornare verso Creppo e ammirare il suo ponte antico oppure, come ho detto, proseguire per Drondo attraversando il Rio Infernetto che mi accompagna strada facendo.

Il suono delle sue acque che scorrono sembra a volte silenziato dal canto degli uccelli vivaci che vivono in questa fitta macchia e non stanno zitti un secondo!

Santa Topa, non riesco neanche a scrivere con il baccano che fanno… Vabbè, tanto lo sanno che li adoro e se ne approfittano…

Picchi, Cince, Ghiandaie e Fringuelli se la cantano allegri che è un piacere ma, più avanti, risalendo verso i confini a Nord della Valle, lasceranno il posto a Gheppi, Poiane, Falchi e persino ai Bianconi nella giusta stagione.

Anche Drondo ha un suo ponte e devo attraversarlo per arrivare alle case ma, qui, una sosta è d’obbligo.

L’acqua che scorre sotto di lui è quieta e passa tra grandi massi brillando sotto il sole.

E’ un ponte in pietra così come le fasce che posso iniziare a intravedere.

L’edicola di una Madonnina avvisa che si sta giungendo a un centro abitato dove, un tempo, poteva ricevere preghiere da chi, ogni dì, le passava davanti.

Anche in muretti che racchiudono queste coltivazioni sono in pietra e, immediatamente, mi faccio domande sulla fatica che è stata consumata per poter avere da mangiare.

Passo sopra a quell’arco sospeso nel vuoto. Ora il sentiero si modifica leggermente.

Dei grossi gradini di pietre e radici mi conducono un po’ più su e la vista di alcuni vecchi ripari mi fa procedere con sempre più entusiasmo. Ci sono quasi.

Attorno a me il verde nuovo gareggia con il marrone dell’autunno scorso che l’inverno non è riuscito a spegnere.

Salgo ancora una rampa, sorpasso qualche tronco sceso che forma portali e…. eccomi!

Le prime case di Drondo si mostrano davanti a me sul ciglio di un corridoio calpestato chissà quante volte, in passato, da chi qui viveva.

Alcune porte sono aperte e io sono elettrizzata.

Ci sono delle inferriate alle finestre, alle poche rimaste, e molti oggetti dentro e fuori queste costruzioni.

Pare che qui la gente abbia vissuto fino alla Seconda Guerra Mondiale ma la presenza di pali della luce e cassette delle lettere indicano anni decisamente più recenti.

Anche la fantasia dei rivestimenti sembra la classica degli anni ’70.

<< E’ permesso?! >> domando a quello che sembra essere il nulla ad un primo sguardo. Non posso entrare perché quelle dimore sono parecchio distrutte e malconce ma posso affacciarmi ai loro usci e non vorrei dar fastidio a Pipistrelli o Merli che si sono appropriati di queste costruzioni.

Letti in legno, a una piazza e mezza come si usava una volta… damigiane, piastrelle, scarpe, armadietti dei medicinali… c’è di tutto e c’è anche tanta tanta natura che adesso ha preso il sopravvento.

L’edera si aggrappa a quei muri con tenacia mostrando tinte vivide e venuzze quasi fosforescenti.

Ma da chi sono state toccate quelle pietre prima del suo nascere? Da un anziano che si appoggiava per riposare prima di riprendere il suo cammino? Da un bimbo che giocava a nascondino con i suoi compagni? Da una signora che ci sbatteva contro la sua ramazza per pulirla?

Grandi alberi sono nati all’interno di questi bareghi (ruderi) e hanno distrutto intere pareti.

I Rovi si sono presi la briga di riattivare il DNA di quel terreno indebolendo così le strutture dell’uomo e la maggior parte dei tetti sono crollati mostrando grosse travi di legno che sembrano in bilico.

Mi faccio largo in mezzo a quella vegetazione e salgo scalini tra le case.

Dove una volta c’erano finestre ora ci sono semplici aperture dalle quali i raggi del sole non faticano ad entrare.

Avrete notato che vi ho nominato il sole già diverse volte e adesso vi spiego il perchè.

Una delle cose che più mi ha rapita, pur conoscendo bene l’intelligenza dei miei predecessori, è proprio osservare come i borghi venivano costruiti in base alla presenza della Grande Stella.

Prima e dopo l’abitato di Drondo il bosco è fitto e la strada curva verso fondovalle costeggiando il rio.

Tutto è ombroso, umido… alte rocce delineano il passaggio di piccole cascatelle, il ghiaccio in certi punti persiste… ma non qui a Drondo, non qui dove sorgono le case che vengono baciate dai raggi del sole per lungo tempo durante la giornata.

Eh… mica stupidi i nostri avi!

Continuo a salire tra quelle rovine e giungo a quella che era la costruzione più importante di un’intera borgata: il Forno.

E’ piccolo ma splendido. Realizzato con mattoni pieni e cemento.

Oggi alcune piante lo stanno ricoprendo ma lui continua ad esistere perfetto e intatto.

Salendo per la stradina che passa dietro a questo forno si possono raggiungere Drondo Superiore e Borniga mentre continuando per il sentiero si arriva sulle rive del Rio Infernetto.

Diversi terrazzamenti pianeggianti, un tempo coltivati, mi accolgono. Ci sono parecchi alberi anche qui. Le punte più tenere dei loro piccoli rami appaiono rosicchiate, probabilmente sono tanti i Caprioli che frequentano questo paradiso.

Oltrepassando quelli che erano gli orti di Drondo giungo al rio e alzando gli occhi al cielo posso ammirare le alte falesie della mia Valle. Sono spettacolari e abitate da numerosi Camosci.

Avanzo ancora e, dopo essere scesa, adesso risalgo. Mi guardo intorno, sono nel bel mezzo di un territorio incredibilmente selvaggio. Il Gerbonte si staglia davanti a me, ci sono delle grotte tra le rocce nude e poi ginestre, foglie dorate, sassi bianchi.

Starei qui per ore ma, per oggi, il mio topotour è giunto al termine. Devo far ritorno in tana.

Girandomi per tornare posso vedere Creppo. Da qui non l’avevo mai visto. E’ bellissimo. Una manciata di case sul crinale di una montagna.

Non è lontano. Posso raggiungerlo in poco tempo.

E allora, con un goccio di dispiacere, lascio questo luogo antico e disabitato ma ancora pieno di vita. Una vita sottile da percepire.

Grazie Drondo per le belle emozioni che mi hai regalato nonostante il silenzio (assai apprezzato) che ti avvolge.

Però voi adesso non restate fermi a fare i patetici, dovete prepararvi per la prossima passeggiata che percorreremo a breve.

Su su! Forza… andate a sistemarvi che arrivo e partiamo!

Squit!

Zona Sella – la Primavera sboccia su un passato antico

Dopo l’inverno si ha sempre voglia di un po’ di primavera vero Topi?

Anche se quest’anno il periodo invernale è stato particolarmente mite so che lo sbocciare di Veroniche, Borragini e Primule mi aprirà il cuore e quindi, essendo a Triora, storico borgo conosciuto come “Il Paese delle Streghe”, mi reco in Zona Sella che mi mostrerà tante piccole nuove fioriture.

A dire il vero non ho solo voglia di Natura… intendo sentire attorno a me anche la forza di un passato che non morirà mai, radicato bene nelle memorie dei trioresi, inciso su pietre e pagine antiche.

Un passato che appartiene alla mia terra e che voglio condividere con tutti voi.

Prendete con voi elmi e blasoni… si parte per vivere un topo-tour strabiliante!

Dalla Strada Provinciale una piccola mulattiera scende verso il basso tra varie costruzioni. E’ Via Sella, a Sud del Paese, adiacente all’ex Albergo “La Colomba d’Oro” (storico locale chiuso da diversi anni ma il suo nome echeggia ancora in questi luoghi) mi dirigo in giù ammirando i miei monti che, come sempre, mi circondano.

Farò un anello e sbucherò di nuovo sulla Provinciale 52 per poi risalire in paese. Seguitemi quindi.

Via Sella si apre davanti a me con il sole che la illumina. So già che vedrò cose meravigliose percorrendola ma, prima di proseguire oltre, alzo subito gli occhi al cielo voltandomi all’indietro.

Da qui posso vedere il retro dell’Albergo e, immediatamente, vengo catapultata alla fine dell’800. Ebbene sì! “La Colomba d’Oro” era in realtà un Convento, chiamato Convento di San Francesco, e gli amati frati del paese alloggiavano in questa struttura posta in una delle zone migliori del territorio. Appena fuori dal centro abitato ma vicina al popolo e in grado di prendere sole tutto il giorno vista l’ampia apertura della Valle sulla quale si affacciava.

Di quel tempo è rimasto l’umile e squadrato campanile. Un campanile che sembra insignificante e invece tratta di avvenimenti molto importanti di questo paese.

I padri francescani dovettero presto lasciare la loro dimora perché quella struttura venne adibita a Caserma così come venne spazzata via la Chiesa dei Santi Pietro e Marziano, poco più su, per realizzare una piazza d’armi.

Continuo a scendere e, quel passato, è come se si facesse sempre più ricco e significativo. Consistente, quasi tangibile.

E’ come se mi toccasse nonostante la presenza di case più moderne.

Dopo aver attraversato campi e orti, dai quali mi saluta persino la Calendula che qui nasce in gran quantità, mi rendo conto di avere accanto a me numerosi muretti in pietra e pezzi di ruderi. Sono infatti nei pressi dell’antico Fortino Sella o meglio… di quel che rimane di lui.

I Rovi si sono di nuovo impossessati del loro ambiente in certi tratti.

Questo Fortino, uno dei più grandi di Triora, è conosciuto anche con il nome di San Bernardino e presto capirete il perché.

E’ stato distrutto, assieme agli altri Forti, dagli stessi trioresi quando si ribellarono alla Repubblica di Genova e continuando per la mulattiera che lo attraversa abbraccio magnifici campi che in questo periodo dell’anno iniziano a mostrare di nuovo un bel verde vivido.

Da qui posso vedere Triora da una nuova angolazione. Si erge lassù in tutta la sua bellezza e la vedo come uno scrigno prezioso che racchiude segreti.

Vedo anche il cimitero e le mura che lo circondano. Anche loro appartenevano ad un Fortino ma di questo ve ne parlerò in un altro articolo.

Continuando il percorso ecco lo spuntar di un tetto ben noto tra quelle fasce e l’infinito. E’ il tetto in ciappe di ardesia di una Chiesetta famosissima in Valle Argentina. E’ anche una delle più antiche.

Una Chiesetta del XV secolo dedicata a San Bernardino da Siena, francescano e teologo del ‘400.

San Bernardino è circondata da ampie radure pianeggianti.

A presentare la struttura religiosa c’è una croce e girando attorno a questo Santuario si passa sotto ad archi e contrafforti in pietra.

Sì, è proprio la pietra la vera protagonista, lo si nota anche guardando delle creazioni che sfidano l’equilibrio e abbelliscono il luogo.

Tanti sono al suo interno gli affreschi di valore e un giorno ve li farò vedere.

Ora dobbiamo continuare inoltrandoci per la via che ci riporterà sulla Provinciale e che anch’essa si chiama come il Santo.

La vista che si gode da qui è unica. Riesce persino a raccontare un territorio e una vita che non esiste più.

Un Fringuello mi accompagna di ramo in ramo. A volte si nasconde tra i fiori di Pesco, a volte invece si posa su alberi ancora spogli.

Il suo canto è paragonato alla voce dell’Anima. E’ così melodioso che vari popoli pensavano arrivasse direttamente dal cuore di quell’esserino, il quale diventava un mezzo per far udire una delle voci più belle e che raramente ascoltiamo all’interno di noi.

Sono diverse le cappelle votive e le edicole che si possono ammirare strada facendo.

Sono dedicate alla Madonna e immagino i contadini di un tempo che dopo aver lavorato per ore in questi campi, sotto al sole cocente, tornavano a casa al rintocco delle campane soffermandosi davanti a questi capitelli per pregare o ringraziare chi, dall’alto, proteggeva quei raccolti.

Questo è l’ultimo tratto della mulattiera e poi rieccomi sulla strada asfaltata.

Adesso c’è un intero borgo che mi aspetta. Un borgo pieno di misteri. Un borgo che conosco bene ma ha sempre qualcosa di nuovo da raccontarmi.

Non mi resta che inoltrarmi tra questi carrugi e stare ad ascoltare.

E voi muovetevi, su! Non posso aspettarvi! Devo scrivere un altro articolo!

Ecco… lo sapevo che vi sareste incantati…

Storia e Natura a Bric Castellaccio

La mia Valle è ricca di rocche…. di spunzoni rocciosi, enormi, che si ergono verso il cielo.

Rendono il territorio che vivo più ricco, meno banale, e sono spesso luoghi che permettono di godere di panorami mozzafiato. Non solo… è molto interessante considerare anche il nome che li identifica perché questo, di solito, è dato da avvenimenti o leggende appartenenti al passato che raccontano molto dei fatti accaduti in Valle.

Quello che voglio farvi conoscere oggi si chiama Bric Castellaccio.

Si tratta di un dente roccioso che si innalza tra le montagne che circondano il paese di Realdo, nella parte alta della Valle Argentina. Il nome “Bric Castellaccio” mi porta automaticamente indietro nel tempo e conoscendo le mie zone e il loro passato non faccio fatica a immaginare, a causa di questo termine, la presenza di un Castellaro in epoche lontane.

Muoviamoci allora! Andiamo insieme a vedere cosa mostra e proviamo ad ascoltare cosa può raccontare. Seguitemi attentamente!

Partirò da Borniga (1.300 mt s.l.m.) un bellissimo e minuscolo centro abitato soprannominato da me “il Presepe della Valle Argentina”. Siamo quindi ben sopra Realdo e raggiungeremo il Bric andando in discesa.

Le sue dimore, tutte in pietra, rendono questo borgo davvero fiabesco e la pace regna sovrana. Non sono molti i residenti ma, anche Borniga, come diverse frazioni di questa parte di Liguria, si sta ripopolando e soprattutto è abitata e frequentata durante i week end e la bella stagione.

Dalla piazzetta della Chiesa, dove ad accogliermi è l’edicola di un Santo che non riconosco (sembra San Francesco) mi godo un po’ di quel salutare silenzio e poi mi dirigo a destra prendendo un sentiero che si palesa immediatamente davanti a me, tagliando terrazzamenti antichi.

E’ un sentiero aperto e, in questo periodo, si accende di un caldo colore dorato. Mi permette di camminare sull’erba soffice nonostante ci siano, qua e là, spolverate di brina che ghiacciano la vegetazione.

Mi conduce all’interno di una pineta dove trovo un’altra edicola, molto simile alla prima, dedicata a quello che sembra essere lo stesso Santo.

Appena uscita dal paese però immediatamente si è stagliato davanti a me il Monte Gerbonte (1.727 mt) in tutta la sua bellezza. E’ uno dei monti più vecchi e più selvaggi della Valle e, in autunno, offre un foliage impressionante.

Da qui posso già vedere il Bric che voglio raggiungere ma devo continuare.

Mi soffermo un attimo ad ammirare frazione Craviti o Cravetti. Una manciata di case appena prima di Borniga. Sembra volermi salutare.

Ora sono gli aghi dei Pini a farmi da tappeto e due insegne in legno mi permettono di scegliere la giusta direzione. Posso andare verso la zona del Pin salendo a destra o verso Creppo scendendo a sinistra.

Scelgo la via di Creppo per raggiungere Bric Castellaccio, una vista incredibile e una zona che ricorda l’Irlanda. Tra poco capirete il perché.

Ora il sentiero si apre di nuovo e posso godere dei tiepidi raggi di sole che mi scaldano. Attorno a me le Ginestre, non ancora fiorite, aprono un corridoio adatto davvero a tutti.

Nell’aria sento le grida di un Falco Pellegrino ma è troppo veloce e si nasconde dietro le tante falesie che mi circondano quindi non posso fotografarlo però posso rendermi conto di quanta natura ci sia qui. Infatti, oltre a lui, sento la presenza di Corvi, di Poiane, di Cince e se mi guardo attorno, posso notare immense distese di Timo e parecchi arbusti di Rosa Canina.

Ecco la vetta del Bric! Mi sto avvicinando. Mi guardo ancora un po’ attorno. Il panorama, sono ripetitiva, è entusiasmante. Laggiù ci sono i monti che conducono alla Val Nervia, confine della Valle Argentina, come il Monte Grai (2.013 mt).

Ciò che però mi incanta maggiormente sono “i Bastioni del Gerbonte”; due alte rocce a forma di parallelepipedo che, seppur lontane, mi attraggono ogni volta, da tempo, con il loro fascino che amo.

C’è anche qualcos’altro che attira il mio sguardo. Una grossa roccia sta per staccarsi, anzi… è del tutto staccata dalla rocca e non capisco quanto ancora possa restare sospesa in quel modo. Se mai dovesse cadere precipiterebbe nel vallone che, osservandolo, blocca il respiro. Sono davvero in alto ma tutto mi attrae.

Posso anche vedere delle cavità e delle grotte. Forse qui ci vivevano gli uomini primitivi.

Guardando quelle montagne attorno riconosco anche il sito dove esiste l’Arma della Gastea o Arma Mamela nella quale, un tempo, venivano seppelliti i defunti e lì, durante i nostri tempi più moderni, sono stati rinvenuti frammenti di oggetti dell’epoca, come pezzi di bronzo e conchiglie.

Mi trovo a Nord del Bric e, infatti, avvicinandomi a lui scopro ora un territorio completamente diverso da quello che ho visto finora.

Quell’ambiente più umido e ombroso si mostra ricoperto da un muschio verde sgargiante. Tanti alberi uniti tra loro, rocce che fuoriescono dal terreno e tutt’attorno c’è un’aria fresca che percorre le narici stuzzicandole.

Ecco perché vi ho detto che sembra di essere in una zona irlandese.

Qui la vegetazione è decisamente più fitta e può servire da ottimo nascondiglio per le creature del bosco.

Mi sembra persino di vedere un Druido camminare… e come si abbracciano certi rami!

Il silenzio protagonista chiede ulteriore silenzio.

Attraverso quelle grigie cortecce intravedo ancora la punta del Bric ma è davvero tutto molto selvatico.

Una zona completamente diversa da quella più a Sud.

Guardate. A Sud è tutto più arido.

Lo stesso Bric appare totalmente diverso. Mostra una facciata dura e spoglia, senza vegetazione. La pietra è chiara, severa, inaridita.

Sotto le mie zampe posso notare un’antica Sella interrata e cioè una struttura denominata Tholos con una conformazione simile a quella dei Nuraghi sardi, dei Trulli pugliesi o delle Casite dell’Istria. Si tratta di ripari di altri tempi.

Ecco un cenno di civiltà antiche e ritorno, con la mente, al nome “Castellaccio” che vi accennavo prima.

Mi giro verso Borniga.

E’ lassù che mi guarda e si affaccia sull’Alta Valle ma la cosa interessante è che posso notare anche un agglomerato di ruderi importanti. Non sono solo muretti a secco ma ci sono costruzioni, ormai divenute bareghi (ruderi), che appaiono proprio come vere abitazioni di moltissimi anni fa.

Si tratta di Borniga Sottana che è poi divenuta luogo di stalle e rifornimenti quando la Borniga esistente ancora oggi è stata costruita. Questa parte è stata poi abbandonata del tutto durante la prima metà del ‘900.

Tutto inizia a prendere forma. Facendo due più due posso stabilire di trovarmi su un sito archeologico importante e le notizie che cerco di scoprire non mi danno torto. Qui, infatti, sono avvenuti determinanti ritrovamenti e, come spiega anche l’Istituto dei Beni Culturali, mi trovo su un insediamento che ai ricercatori ha donato diversi ritrovamenti: una specie di macina, frammenti di ceramica e bronzo, vari manufatti, reperti di diverso genere, appartenenti probabilmente all’Epoca Romana e alla più antica Età del Bronzo.

Da questo punto così esposto, sul quale mi verrebbe da citare il titolo di un famoso film “Dove osano le Aquile”, riesco anche a vedere Bric dei Corvi ma di lui vi parlerò in un altro articolo.

Ora voglio restare ancora qui. In questa terra brigasca.

Qui dove i miei antenati coltivavano il Grano e raccoglievano Castagne, dove si occupavano di pastorizia (è nota infatti la Pecora Brigasca), dove realizzavano cumuli di fieno, dove nascevano le patate più buone di tutta la Valle.

Cari Topi voglio godermi questo paesaggio immortalandolo nei miei occhi per poterlo portare sempre con me.

E chissà quante cose ha ancora da dire. Per caso qualcuno di voi conosce il passato di questo splendido posto? Se vi và fatemelo sapere.

Io resto ancora qui, voi invece preparatevi per il prossimo tour perché vi porterò in un luogo davvero interessante.

Un affettuoso topobacio a voi!

Case Carmeli: un nido in Valle Argentina

Si ritorna a viaggiare per la mia splendida Valle e a scoprire luoghi magici dal profumo antico che affascina e lascia di stucco. Come ad essere in un’altra dimensione.

Sono incantata e non vedo l’ora di condividere con voi questa gioia. Non accadeva da tanto tempo, visto il mio lungo letargo… abbiate pazienza… però, ora, seguitemi perché un posto fiabesco vi attende per mostrarsi in tutta la sua umile ma attraente bellezza.

Un posto che non vi concederà di venir via tanto facilmente, vi terrà nel suo morbido abbraccio silenzioso e ricco di meraviglia.

Sotto la più nota Realdo, borgo caratteristico e assai suggestivo dell’Alta Valle Argentina, affacciato a strapiombo sulle falesie che incorniciano Rio Sant’Antonio, c’è una piccola frazione che non ha nulla da invidiare alle altre.

E’ circondata dalla pace e da Castagni secolari, da orti ben curati e al di sotto di lei scorrono le limpide acque del Torrente Argentina che ne ravviva l’anima.

Sono a Case Carmeli Topi! E oggi vi porto con me in un tour mozzafiato!

A circa 1.000 mt s.l.m., in un angolo appartato della mia Valle, sboccia un gruppetto di case prevalentemente in pietra, un tempo nido di parecchie persone che si dedicavano soprattutto alla raccolta delle castagne da vendere verso la costa.

Terrazze pianeggianti e pulite, abitate da grandi Castagni, circondano questo minuscolo paesino e accoglievano molti anni fa i mulini dove quei frutti venivano lavorati e trasformati in farina.

C’è persino un campo da bocce sotto l’ombra di questi alberi. Un campo da bocce come se ne vedono molti nei dintorni dei borghi della mia Valle.

Sgattaiolo sopra a quelle foglie che adesso, durante la fredda stagione, dopo essere cadute in autunno, scrocchiano sotto le mie zampe. Un terreno ben diverso da quello che poi troverò tra le dimore, realizzato in ciappe di ardesia come i tetti antichi che qui ancora sorgono.

Tra i terrazzamenti spunta un’edicola bianca dedicata alla Madonna che, negli anni, ha ricevuto diversi restauri. Il culto mariano, nella mia Valle, è sempre presente e mai viene dimenticato.

Man mano che mi avvicino al mucchietto di case sono ora gli orti con la terra arata e soffice ad accogliermi. Orti piccoli ma numerosi e importanti.

Sembrano sistemati da poco e, non so perchè, mi mettono allegria.

Queste piccole distese scure fanno capire che esiste, tutt’oggi, una quotidianità.

Ebbene, che ci crediate o no, da circa tre anni, a Case Carmeli vivono un’arzilla coppietta e un signore che hanno deciso di ripopolare questo luogo anche se, umilmente, raccontano di essere una quantità assai scarsa. Io invece ne sono felicissima e quel numero, considerato “povero” da loro, mi sembra già una ricchezza!

Fino a qualche anno fa, infatti, Carmeli era completamente disabitato. Le persone utilizzavano le loro seconde case solo in estate. E lo fanno ancora ma, oggi, qualcuno ci vive tutto l’anno e ha persino disposto delle – Case Vacanze – per accogliere eventuali ospiti.

Ora, come vi ho preannunciato prima, cammino su questa pavimentazione storica realizzata dalla mano di uomini che costruivano ogni cosa.

Se alzo il muso verso l’alto posso vedere case splendide, ancora ben curate. Verande, balconi e travi riempiono i miei occhi. E non mancano i messaggi di “Benvenuto” vicino alle porte d’ingresso. Qui, sono tutti cordiali.

Arrivati a Case Carmeli ad accogliervi saranno i padroni del paese e cioè gattini dall’espressione furba che lì vivono felici e liberi formando una simpaticissima gang. Sono abbastanza socievoli ma anche guardinghi e io, che sono un Topo, devo dire che apprezzo il loro osservarmi da lontano e avvicinarsi con estrema cautela.

A dire il vero, arrivando dalla stradina principale, comoda e asfaltata, la prima cosa che vedrete sarà una fontana in pietra, con una tettoia in legno.

Si tratta di una fontana dedicata a Edoardo Alberti, un anziano muratore della Valle Argentina, nato a Realdo e considerato una memoria storica.

Poi ecco lo svolgersi del borgo. Il sole lo bacia ovunque.

Illumina anche gli attrezzi per coltivare, le ringhiere che proteggono, le canne e i bastoni che servono nelle campagne.

Gli arnesi sono appoggiati ai muri. Alcuni sono arrugginiti mentre altri sembrano essere stati sempre usati. C’è davvero di tutto: seghe, rastrelli, imbuti, mestoli, vanghe, carriole…

Solo alcuni carruggi restano in ombra. Sono carruggi brevi, fatti di scale e antri.

Diverse porte in legno conducono a delle cantine.

Al posto della ringhiera, una grossa corda è utilizzata come scorrimano. Per non cadere. I gradini sono ripidi in effetti.

Troviamo ancora qualcosa dedicato alla Vergine Maria accompagnato da una frase assai conosciuta nel mio mondo: “Oh passegger che passi in questa via volgi lo sguardo a salutar Maria”.

A volte si legge anche: “Oh pellegrin che passi da ‘sta via, non ti scordar di salutar Maria”… il significato non cambia.

A Carmeli ci sono una piccola piazzetta, aiuole e vasi ovunque, staccionate e… i miei adorati monti tutt’intorno.

Al di sopra di quei tetti, laggiù in fondo, posso ben vedere, stagliati contro il cielo, la statua del Redentore e il Monte Saccarello che svettano sopra Verdeggia, ultimo paese della Valle Argentina.

Così vicina alle mie montagne, questa frazione, regala scorci davvero particolari e penso riesca a farlo in ogni stagione dell’anno essendo già bellissima in inverno, periodo dai colori più spenti e opachi.

Sulle rive del piccolo rio che costeggia Carmeli da un lato, cioè Rio Paves, la Natura è già desta e vispa pur essendo gennaio. Quei raggi luminosi rendono tutto più tiepido e piacevole.

Alcune Lucertoline corrono sulle pietre adesso calde e, con sorpresa, noto persino la presenza di qualche Cincia Bigia abbastanza rara da vedere.

Appare simpaticissima con il ventre bianco e tondo come una pallina e il caschetto nero sulla testa. Il suo “Tciùùùù”, che emette di continuo, mi fa alzare lo sguardo verso il cielo terso e sotto ai balconi degli edifici adiacenti al rio.

Chi alloggia qui ha davvero una splendida vista su un gran pezzo di Valle! Un panorama da invidia! Forse anche la Cincia, dall’alto dei rami spogli, si sta godendo questo spettacolo.

Decido di continuare a guardare meglio e più da vicino quelle case. Le viuzze sono poche ma permettono di raggiungere ogni abitazione.

Non ci vuole molto a girare per tutta la borgata ma sono diversi i punti in cui soffermarsi ad osservare, annusare e immaginare il passato.

Le scale non mancano e sono tutte circondate da erba e fiori che stanno nascendo per festeggiare, in largo anticipo, la primavera.

Intorno a Carmeli, infatti, ci sono già le Violette, la Veronica e tantissime Primule a regnare con il loro giallo che spicca tra quelle tinte marroni.

Queste Primule, nate qua e là, circondano anche il vecchio lavatoio. Oggi di acqua non ce n’è più nelle sue due vasche ma lui è ancora lì, in memoria di mestieri antichi che incuriosiscono.

L’acqua la si può comunque ottenere dalle varie fontanelle che ci sono sparse per il paese. Piccole ma molto caratteristiche.

Anche il lavatoio, raggiungibile grazie ad un breve sentiero, è circondato dai Castagni e da quelle terre silenziose.

Siamo molto vicini alle cave d’Ardesia dell’Alta Valle e la presenza di questa pietra protagonista è assai nota anche qui. I portali, le vie, i gradini, i tetti… tutto la esalta. La si può vedere grezza oppure lavorata.

In Valle è la Regina nera della Natura!

Alcune case hanno più di un piano e parecchie sono state restaurate anche se l’atmosfera è rimasta quella di un tempo.

La maggior parte delle volte sono stati utilizzati materiali naturali per i restauri, come la pietra e il legno. Questo fa sì che il borgo resti affascinante e riporti ai tempi dei nostri nonni.

Notare il fumo di una stufa uscire da un camino e sentire odore di legna nell’aria è stato poi un vero tocco magico che ha completato quella bellezza.

Tra quegli edifici si continua ad affacciarsi sulla Natura che è davvero vicina e sfiora i muretti a secco e le strade. Non solo le rocce severe ma anche i fitti boschi sono proprio a un passo dalle dimore.

Partendo dalla costa, in un’oretta scarsa, si giunge dove il tempo si è fermato.

Ritrovo persino la Lunaria, che qui abbonda. Quando ero ancora una cucciola, la mia Topononna la usava essiccata per abbellire la nostra tana e la chiamava “Le Monete del Papa”.

Non vorrei più andar via da qui ma so che ho ancora tanto da scoprire e tanto da scrivere sulla Valle Argentina quindi mi devo incamminare verso la via del ritorno.

Non perdo l’occasione di guardarmi ancora intorno, come a voler immagazzinare tutto nei miei ricordi e immortalare con lo sguardo quella meraviglia, oltre che con la mia fida macchina topografica.

Quelle case, quelle piccole finestrelle con le persiane in legno chiaro… è come se mi salutassero e mi dessero appuntamento alla prossima…

Persino una Poiana viene a dirmi << Arrivederci! >> volando quieta, sulla mia testa, nel cielo azzurro di questa indimenticabile giornata.

Case Carmeli è un posto che tornerò a frequentare perchè mi è davvero piaciuto molto. E anche salendo a Realdo, o a Verdeggia, o a Borniga non si può non fare una tappa qui.

Ci si passa proprio davanti!

Saluto questo luogo che mi ha accolta splendidamente e a voi prometto che ci vedremo presto per il prossimo tour!

Restate con gli scarponi nelle zampe mi raccomando!

Ciao Carmeli e… a presto Topi!

Squit!

Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.