La Chiesa di Santa Caterina e i suoi antichi e misteriosi significati

Cari Topi,

oggi, per venire con me, dovrete aver voglia di fare un salto nel passato, in un mondo per un certo senso sconosciuto e sentire la brama di voler comprendere significati che, per molto tempo, sono restati occulti.

Vi porterò alle rovine dell’antica e misteriosa Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, appena fuori l’abitato di Triora, e finalmente, grazie a vari studiosi e ricercatori, possiamo leggere e capire quel che resta di questo importante santuario.

Purtroppo non rimane molto di lei ma la storia si è tramandata consentendo, oggi, a noi curiosi, di conoscere cosa si cela dietro la realizzazione di questo edificio che risale al XIV secolo e riedificato nel 1390. E sì, avete letto bene, XIV secolo e 1390… quanti secoli! Siamo in pieno periodo medievale e, la sua riedificazione è stata voluta dalla Famiglia Capponi.

La struttura appare dopo aver intrapreso un sentiero che ci consente di ammirare molti monti della mia Valle e i paesi di Corte e di Andagna adagiati sui crinali di montagne vestite con tinte più spente in questo periodo.

Il panorama è meraviglioso, andando ancora oltre con lo sguardo consente di vedere persino il Monte Faudo abbracciato da spesse nubi.

Accanto a me, una natura semi addormentata vuole comunque mostrare tutta la sua bellezza attraverso qualche ciuffo fiorito che sembra bambagia, qualche ramo che forma strani disegni contorti contro il cielo e qualche pizzico di colore rimasto dall’autunno appena terminato.

Per arrivare si qui, si può passare da centro paese, per Via Dietro La Colla, oppure da inizio borgo, salendo verso il Cimitero, osservando il sentiero Beato Giovanni Paolo II a diversi metri dall’incrocio per Goina.

Dopo una dolce curva eccola spuntare in tutta la sua arcaica bellezza. Il suo pallore, dato dalle pietre con le quali è costruita, quasi si mimetizza con il resto del luogo in questa stagione e sembra aspettare che qualcuno vada a farle visita in quel accentuato silenzio che l’avvolge.

A causa della direzione della strada, sembra stagliata nel bel centro della via. In realtà, scendendo, rimane sulla sponda destra, affacciandosi sulla gola della Valle.

La prima cosa che si nota sulla sua facciata principale, che è la parte più integra dell’edificio, è un grosso cerchio forato; all’esterno incorniciato dentro a pietre messe a rombo, mentre, all’interno, altre pietre rettangolari, sono sostenute tra loro a incastro formando anch’esse un cerchio.

La stessa lavorazione vale per le volte di quelle che un tempo erano delle grandi finestre e i massi che le formano si trattengono tra loro in un unico arco.

Per mostrarvi questa lavorazione sono entrata all’interno delle mura.

Ho abbandonato il piccolo cortile esterno che accoglie, circondato da un muretto anch’esso in pietra e dotato di sedute e ho abbandonato un terreno a praticello e ghiaino per poggiare le zampe su larghi e rettangolari lastroni di ardesia che un tempo erano l’umile pavimento della costruzione.

Ho voglia di alzare lo sguardo e osservare cosa mi circonda ma la mia attenzione viene rapita da un’ara quella che doveva essere l’altare.

Un grande rettangolo, sovrastato da un piatto e spesso lastrone, si trova al centro di quella che sicuramente era la navata principale ma che oggi non esiste più. Con un dito lo accarezzo e immagino funzioni predicate accanto a lui e ritrovi di fedeli.

Lo squadro per bene da ogni suo lato e, finalmente, dopo aver appagato la mia curiosità dedicata a lui, posso alzare la testa.

Pareti non altissime ma comunque austere mi guardano dall’alto. Sono diroccate e i loro profili si stagliato contro il cielo celeste e terso. Le parti in cui si percepisce la loro mancanza permettono agli occhi di osservare i miei amati monti, la Catena Montuosa del Saccarello e gli alberi più prominenti che circondano la Chiesa.

Alcuni perimetri raccontano a loro modo di crolli e le loro silenziose parole pervadono di un senso di malinconia che permette di immaginare come potevano essere in passato. Sono come spezzate ma mantengono un senso sinuoso nonostante le schegge aguzze che restano sospese.

Osservo alcuni ciuffi d’erba nati tra quelle piccole rocce e scavalco una ringhiera arrugginita che probabilmente ora serve come balaustra protettiva.

Da qui, verso Valle, ho un’altra prospettiva ancora. Scendo di poco i gradini del bosco adiacente e ora l’edificio sembra più alto.

Come a svettare verso il cielo. Lo aggiro e mi ritrovo di nuovo di fronte alla facciata principale. E’ tutta da osservare con molta attenzione perché ha tanto da dire.

Inizio dalla grande porta, che adesso è solo un vuoto con un gradino alla base da scavalcare, ma sopra di lei c’è il portale che regge il resto della parete.

Al centro del grande architrave, un’effige in rilievo, scolpita nell’ardesia a caratteri onciali, riporta una lunga scritta per me totalmente incomprensibile. In mezzo uno stemma, quello della Famiglia Capponi, che par mostrare due figure uguali, assai consumate, le quali si guardano una di fronte all’altra.

Per la traduzione della scritta devo per forza ricorrere all’utilissimo cartello posto davanti al santuario dal Comune di Triora:

Lo sguardo sale ancora vedendo un semicerchio formato come le volte dei finestroni e poi continua più in su dovendosi però poi dividersi.

Due colonne, permettetemi di chiamarle così anche se colonne non sono, le due colonne principali ai lati della facciata mostrano qualcosa di davvero singolare. Quella a destra della Chiesa permette di vedere una specie di leone alato… forse… non si capisce bene, è corroso dal tempo e dalle intemperie. Ma su quella di sinistra si può ammirare facilmente un simbolo meraviglioso e dai vari significati. Si tratta della Stella a sette punte con al centro un fiore.

Innanzi tutto bisogna sapere che il numero Sette era considerato un numero molto importante in alcune filosofie, arti, pensieri e religioni del passato come ad esempio il Paganesimo o l’Alchimia ma anche per il Cristianesimo, che ha voluto la realizzazione di questo santuario, aveva un’importanza fondamentale perché, avendo esso raccolto le usanze più antiche, considerava questo numero come il numero che rappresentava la totalità dell’Essere Umano data dai Sette Doni dello Spirito Santo: l’Intelletto, la Forza, la Saggezza, il Consiglio, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio.

La Stella a Sette punte, chiamata anche Ettagramma (simbolo sacro a Venere, Dea della bellezza e dell’Amore) rappresentava anche la totalità dell’Universo, riflessa nella completezza dell’Uomo, poiché le punte corrispondevano ai pianeti del sistema solare e ai giorni della settimana che tornavano ciclicamente ma rappresentavano soprattutto i Sette Elementi: Acqua, Aria, Terra, Luce, Magia, Fuoco e Vita.

Mi incanto davanti a quell’emblema e inizio a comprendere quanta storia c’è in alcuni segni della mia Valle che non è solo natura ma è stata anche sede, un tempo, di significati ben precisi esposti laddove venivano realizzati templi di ritrovo per specifici scopi. Segni che possono passare inosservati mentre, un tempo, dichiaravano rappresentazioni ben specifiche. Chissà cosa, la mia terra, ha visto e vissuto!

Rientro dentro alle tre pareti rimaste e mi guardo ancora attorno, per un’ultima volta. E’ bellissimo stare qui. L’atmosfera è surreale. Niente osa rompere quel silenzio ovattato, neanche un uccellino.

Man mano che il crepuscolo si avvicina al suo giungere, quei perimetri sembrano divenire più scuri mentre i monti dietro si incendiano di un color rosa pastello.

E’ arrivato il momento di rintanare e quindi me ne vado ma non riesco a togliermi dalla testa immagini di persone dentro a questa Chiesa. Vedo mani giunte, calici alzati, sguardi fissi su quelle rocce. Riti, messe e voci nel bel mezzo di quella natura, fuori paese, dove il sole fa poca sosta.

Fortunatamente mi viene in mente di riportarvi tutte queste sensazioni e, di conseguenza, ricordo che ho molti altri articoli da scrivere. Perciò me ne vado, dedico un’ultima occhiata alla Chiesa di Santa Caterina, giovane egiziana di Alessandria d’Egitto martirizzata e poi decapitata per volere dell’Imperatore Massimino Daia, e vado a preparare altri post.

Un bacio arcano a voi.

Sopra Corte verso i Casai e poi ai Prati

La giornata si è presentata cupa e uggiosa ma questo non mi ha impedito di uscire dalla tana per andare a conoscere un luogo fantastico che mi ha lasciata senza fiato e, ora che ve lo mostro, sono sicura che farà rimanere anche voi allibiti.

È subito dopo il paese di Corte che si apre ai miei occhi un mondo così bello da non credere. Monti pettinati, colorati da un verde cupo, pascoli altissimi che scendono dalle loro cime, ammassi rocciosi che spezzano la morbidezza di quel territorio e lo macchiano di grigio e bordeaux. Che meraviglia!

La bruma rende tutto più fantasy, quasi mistico, e questo mi permette anche di sognare.

Sono a Case Loggia e inizio a zampettare in salita su pietre a volte aguzze a volte arrotondate. Un percorso faticoso che sale parecchio grazie ai gradini di massi, ma so che arriverò poi al sentiero pianeggiante. Non ho preso la stradina che porta alla Rocca della Mela, ho proseguito e sono arrivata ai Casai; ora salgo ancora per raggiungere i Prati.

Qui, dove adesso appoggio le zampe, la natura è aspra anche se la Valle si apre ai miei occhi in uno spettacolo florido e lussureggiante. Si può vedere anche un antico altare di pietra.

Qualche Orchidea selvatica e qualche Primula colorano l’ambiente ma non posso fermarmi ad osservarle a lungo altrimenti non arrivo più a destinazione. Posso vedere Carmo dei Brocchi da una prospettiva nuova. Anche da qui è artistico. La sua cima è per metà prato e per metà bosco.

Un Cuculo mi insegue assieme a molte Prunelle e mi piace ammirarli, attirano la mia curiosità.

Se a destra ho la possibilità di vedere la mia Valle che sembra distesa con le braccia aperte, a sinistra monti più severi mi mostrano, circondandomi, falesie e corsi d’acqua che scendono a cascata. Purtroppo posso anche notare la disgregazione di una parte di montagna che ha formato una pericolosa frana qualche anno fa ma questo non rovina la bellezza del territorio.

Inizio a vedere molti Narcisi ma non posso immaginare che, da lì a poco, ne potrò ammirare prati infiniti. Una bellezza senza eguali e che non mi permette neanche uno 《Squit!》d’ammirazione da tanto che sono stupita.

Sono piacevolmente meravigliata, osservo quella natura che è riuscita a rapirmi ancora una volta ed è in quel momento che un’elegante coppia di Caprioli fa capolino uscendo dal boschetto di Conifere e avanzando sulle pietre. Non vi dico il mio entusiasmo!

Sono giunta al primo casone realizzato come una casella. Un tempo, queste costruzioni, servivano da rifugio o magazzino o luogo di pace e riposo per la gente di Corte. Ma che fatica arrivare fin qui portando con sé il necessario!

Ora, però, la parte più ostica è terminata e si prosegue su prati per nulla stancanti dove i Narcisi regnano. Sono sui “Prati”. Questo luogo di pascolo è conosciuto così e il verde è infinito.

Sono sopra alla Foresta dei Labari ma il mio tour non è finito e mi dirigo verso un bosco di faggi e abeti nuovo ai miei occhi. Ogni tanto gli alberi lasciano spazio a radure ricche di fiori e non è difficile sentire l’odore dell’ambiente selvatico che tanto mi piace. Questo luogo pullula di tanta vita, la flora è vasta anche se ad una prima occhiata non si direbbe.

Sulla strada del ritorno sono affiancata da piante di Ginepro piene di bacche (che hanno un nome bellissimo, si chiamano “coccole”) e Genziane e Viole che rallegrano con il loro bluette.

La striscia sottile di terra sulla quale cammino, mettendo una zampa dopo l’altra, è a tratti intersecata da massi che diventano sempre più umidi man mano che si scende. Alla fine del percorso, infatti, si arriva in un boschetto dal fitto sottobosco nel quale, sotto a grandi rocce nascono e sgorgano fonti d’acqua. È emozionante vedere dove l’acqua nasce. Vedere quella terra che, in quel punto, partorisce una fonte. Il latte nutriente del Creato che, lì, ha deciso di venire alla luce.

Sono arrivata di nuovo da dove ero partita compiendo questa specie di anello e direi di essere molto appagata e felice.

Un percorso adatto a tutti e che, sicuramente, nella sua prima parte, permette persino di tonificare i quadricipiti!

Che dite topi? Vi ho portato di nuovo in un bel posto vero? E allora aspettatemi per la prossima escursione.

Un bacio brumoso a voi.

Al Santuario della Madonna della Montà tra dragoni e pipistrelli

Vi ho già parlato dei numerosi santuari sparsi nella mia Valle, ma ancora non vi ho fatto vedere lei, la Madonna della Montà, di una bellezza antica e austera, con le sue pietre poste l’una sull’altra ancora a vista. Al suo interno nasconde veri e propri tesori, entriamoci insieme, vi va?

 

Ci troviamo a Molini di Triora e con noi c’è Gianluca Ozenda a svelarci tutte – o quasi – le bellezze di questa chiesa.

La Madonna della Montà ha due entrate, rispettivamente l’una a destra, l’altra a sinistra, e ha tre navate. Le due porte di accesso rappresentano le due comunità religiose di Molini e Triora. Questo edificio religioso, infatti, rappresentava un tempo un punto di incontro per i fedeli dei due paesi, le feste si celebravano insieme, e la Madonna della Montà era la chiesa più importante del territorio molinese. Le due porte, ci spiega Gianluca, sono diverse tra loro. In effetti non è difficile notarne le differenze, a uno sguardo più attento. La porta rappresentante la comunità di Molini di Triora è spoglia di decorazioni, più semplice e dimessa, mentre quella dedicata a Triora è ornata, ha curve più armoniche e sinuose… questo perché si doveva sottolineare l’importanza che la città rivestiva in tutto il territorio e fino a Genova.

 

Le due comunità, a ogni modo, si riunivano alla Madonna della Montà per diverse celebrazioni religiose, tra le quali Gianluca cita quella delle Vergini, fissata intorno al 2 di novembre. In questa occasione, le giovani giravano intorno al santuario recitando preghiere.

Dicevamo che questa rappresentò la prima parrocchia di Molini, era un centro spirituale molto importante, ed è risalente al XIII secolo. Anche riguardo le sue navate laterali esiste una curiosità. Infatti, tra le due, esiste uno scarto di qualche centimetro: la navata di sinistra appare così leggermente più piccola di quella di destra. E’ un fatto strano, se si pensa a quanto ci tenessero, un tempo, alle proporzioni armoniche delle costruzioni religiose.

Veniamo, ora, alla vera perla di questo Santuario: il ciclo di affreschi rappresentato nel presbiterio.

Furono dipinti nel 1435 da Antonio da Monregale (Mondovì), conosciuto come “Il Dragone”. Topi, se ne legge anche la firma! Fu proprio tale sigillo apposto sull’opera a svelare agli storici dell’arte il mistero del Dragone. Il pittore, infatti, fu molto attivo nel basso Piemonte, tuttavia non firmava mai con il proprio nome, bensì con la piccola effige di un drago nero, caratteristica che gli valse l’appellativo di Dragone. Qui a Molini, invece, compare per la prima volta il suo vero nome per esteso, seguito dal simbolo con il quale l’artista era stato conosciuto. Questo permise agli studiosi di identificare, finalmente, il pittore.

firma Antonio da Monregale il Dragone

L’affresco fu scoperto nel 1918, pensate un po’! Prima di allora, infatti, restò segretamente celato dall’altare ligneo in stile barocco di cui vi parlerò tra poco, realizzato nel 1707. Per tutti questi anni, dunque, il dipinto è rimasto occultato, riemergendo definitivamente solo tre anni fa.

santuario madonna della montà molini di triora affresco

Ma eccovi svelato come accadde il ritrovamento di questo maestoso affresco. Un giorno l’Abate Allaria si trovava da solo nel santuario, intento a pregare. A un certo punto, un pipistrello entrò in chiesa e andò a infilarsi tra le volute dell’altare di legno che faceva da parete alla zona presbiteriale. L’Abate, allora, incuriosito dal comportamento della bestiolina, prese una scala e si arrampicò per vedere dove fosse andata a cacciarsi, poteva avere bisogno di aiuto… Una volta arrampicatosi fino in cima alla scala, con somma meraviglia, vide che dietro l’altare si trovava un dipinto meraviglioso. Di fatto, dunque, l’affresco del Dragone fu scoperto da un pipistrello! Ve lo dico sempre di non sottovalutare mai i poteri di noi animaletti, e questa ne è una prova. Dentro il campanile e il presbiterio del santuario vive ancora oggi una colonia di pipistrelli che sono diventati caratteristici di questo luogo, discendenti – così si dice – dello scopritore del dipinto e, per questo motivo, nessuno li scaccia. Se ne restano lì, a svolazzare tranquilli sopra il piccolo cimitero e nei dintorni in quello che è diventato il loro artistico regno.

campanile Santuario Madonna della Montà Molini di Triora pipistrelli

Torniamo, ora, agli affreschi. Nella parte alta si riconoscono i momenti della Crocefissione. Gianluca ci fa notare che i personaggi che prendono parte alla scena non sono stati rappresentati con gli abiti tipici dell’epoca in cui visse Gesù, ma con i costumi del tempo in cui fu realizzato il dipinto. Questo fa pensare che i volti fossero ritratti di persone realmente esistenti in quel periodo storico, tra le quali soprattutto nobili e personaggi influenti. I nomi dei mecenati del ciclo di affreschi, inoltre,  sono riportati insieme alla firma del pittore.

La parte bassa dell’affresco riporta i santi più importanti per la Valle Argentina, tra i quali Sant’Antonio Abate e San Giovanni Battista.

affresco Antonio da Monregale il Dragone - Santuario Madonna della Montà

Durante i restauri del tetto, fu abbattuta la volta di mattoni non originaria del santuario e ne è emerso un altro affresco, quello dell’Annunciazione.

E’ una chiesa ricca di tesori, ve lo dicevo!

L’altare di un tempo, che oggi è stato posizionato di fronte al presbiterio e al quale il fedele dà le spalle durante le celebrazioni, è stato intagliato nel legno di castagno, un albero importante per tutti gli abitanti della Valle.

altare ligneo Buscaglia Santuario Madonna della Montà

Fu progettato da Giobatta Borgogno, detto il Buscaglia. Era conosciuto con questo soprannome perché in dialetto ligure fare buscaglia significa “fare trucioli”, nomignolo che lo identificava con il suo mestiere, quindi! Giobatta, tuttavia, non vide mai montata la sua opera, poiché morì poco prima che l’altare venisse assemblato. Al centro, troviamo oggi una tela d’altare che è una copia dell’originale, dipinta da Giobatta il Gastaldi di Triora.

Il nostro tour del Santuario è quasi concluso, topi, ma prima devo farvi vedere altre due curiosità: l’Abelan Catainin (letteralmente, Zia Caterina), che altro non è che l’antica bara che veniva usata per i defunti, e l’accesso alla cripta situato dietro l’altare del Buscaglia.

 

Che dite, ve ne ho raccontate abbastanza, per oggi?

Dipingo un saluto per voi e vi do appuntamento alla prossima pipistrello-avventura!

L’antica chiesetta di San Bernardo

E ora, topi, dopo piante e animaletti, torniamo a girovagare un po’ per la Valle.

Oggi andiamo di nuovo poco sopra il piccolo abitato di Andagna, saliamo dopo “la croce” ed eccoci davanti all’antica chiesetta di San Bernardo.

Davanti a lei, un secolare Ippocastano si erge altissimo, facendo ombra alle due panchine sottostanti.

Questa chiesa è molto antica e vorrei portarvi a visitarne l’interno, perchè merita davvero.

L’essenza di questo edificio religioso racchiude quella di molti abitanti della mia Valle, quelli di un tempo. Il suo aspetto è rude, aspro, solido… ma dentro, tutte le pareti sono ricoperte di affreschi meravigliosi. Anche noi Liguri dell’entroterra siamo un po’ come lei: sembriamo fatti tutti d’un pezzo, diffidenti e schivi, ma a conoscerci… ah! Quante bellezze si celano dentro di noi!

Gli affreschi, dicevo, risalgono al 1436. Si tratta di opere di pittori di cui oggi i non esperti come me non ne conoscono i nomi, ma sono davvero bellissime. I dipinti rappresentano Gesù, pontefici e regnanti, ma anche i vizi e le virtù.

Alcuni volti sono stati cancellati e subito c’è stato chi ha parlato di mistero. Le pareti, in realtà, sono davvero antiche e l’umidità purtroppo regna sovrana qui.

Il pavimento è in lastre di Ardesia, una pietra ampiamente usata in tutta la mia Valle.

Questo santuario del XV secolo, d’estate è la meta di vecchine che amano fare una passeggiata tra le campagne e poi sedersi per riposare. Nel frattempo si fermano a raccogliere la Menta, il Timo e l’Origano a volontà. Un tempo invece, sotto al suo portico, potevano riposare viandanti e pastori e trovavano ristoro persino all’ombra del grandissimo Fico d’India che, di anni, ne ha molti!

Quando si arriva qui, oltre a godere della pace che c’è, si può ammirare anche un bellissimo panorama. Infatti si vede da lontano tutto il paese di Andagna e parte della vallata.

I topini possono divertirsi sugli scivoli e sulle altalene che sono state  posizonate su un praticello proprio di fronte a San Bernardo.

La celebrazione di questo Santo, patrono appunto dei viandanti, si svolge d’estate e parecchia gente deve rimanere all’esterno, perchè la chiesetta ha dimensioni davvero esigue, è intima e raccolta. L’altare è dimesso, spartano: una croce, un muretto di pietra e, dietro, un dipinto di Cristo, nient’altro. Solo per la messa vengono posti dei mazzi di fiori su di esso.

Circondata da prati e da monti, San Bernardo risulta essere un bellissimo luogo religioso campestre. Non si può non fermarsi a rimirarla se si ci passa davanti per andare in cima alle montagne di Drego e di Rezzo.

Quante estati ho passato davanti a lei, con gli amici, seduti su quelle panchine! Di giorno davamo fuoco alle foglie secche dell’Ippocastano, sperimentando i raggi del sole che passavano attraverso una lente d’ingrandimento, e alla sera invece, ci inventavamo storie terrificanti, così traumatiche da aver paura a fare ritorno da soli al paese. All’epoca, non c’erano cellulari e i lampioni scarseggiavano per quelle stradine. Che bellissimi ricordi! E oggi San Bernardo è ancora là, piccola, ma sempre imponente.

Domina dall’alto della sua collina e il giorno della sua festa la processione parte proprio da lì e scende fino in paese. E’ un punto di riferimento, un’antichissima bellezza.

 

Spero tanto sia piaciuta anche a voi e, se vi capiterà di passare da queste parti, visitatela con attenzione. Fermatevi a rimirare il paesaggio e, in poco tempo, sarete circondati dalle  farfalline bianche che vivono sui fiori intorno al santuario, mettono molta allegria.

Un abbraccio, la vostra Pigmy.

M.

 

Santa Brigida

Che ridere, topi, quando guardo queste foto che ho fatto o quando vado in questo posto! Ci vado spesso perchè c’è un bellissimo sentiero che ci porta in un bosco che sembra incantato e pieno di farfalle, c’è un bellissimo panorama di monti verdi e una quiete indescrivibile.

Rido perchè quando ero piccolina dicevo sempre che mi sarei sposata qui e con tanto di Topo Azzurro! Non l’ho fatto, ma c’è sempre tempo, chissà!

Siamo davanti alla piccola chiesetta di Santa Brigida, sopra Andagna, per la strada che porta a Drego. Un tempo qui finiva l’asfalto e iniziava una strada bianca, ora invece il cemento ha ricoperto tutto, permettendo a qualsiasi macchina di proseguire verso un territorio magnifico. Siamo a 900 metri d’altezza.

La piccola chiesetta di Santa Brigida è situata vicino a quei lavatoi che vi avevo fatto conoscere qualche post fa e, vicino a essa, tante rocce e muretti di pietra sono comode sdraio per lucertoline che prendono il sole. E’ una chiesa circondata da Pungitopo (ahi! Ma tu pensa…), Timo, Piantaggine, Roverella, Biancospino e Nocciolo. Solo questo elenco di nomi fa sembrare di vivere una favola. Ma guardiamo più da vicino questo intimo santuario.

Innanzi tutto, davanti al suo ingresso troviamo una frase incorniciata ormai famosa: O passegger che passi in questa via, non ti scordar di salutar Maria. E’ scolpita sulla pietra e con un mini chiostro sul davanti chiuso da un cancelletto di ferro. Le due finestrelle ai lati della facciata principale hanno un davanzale in ardesia con una fessura, con incisa la parola “grazie” nella quale si possono mettere le offerte. Un’idea originale.

E dentro? Com’è dentro questo monumento religioso? Bellissimo per me. Davvero molto carino. Innanzi tutto ci colpiscono gli ex voto. Sono tanti e sono tutti fiocchi rosa o azzurri che onorano le nascite protette dalla Santa nata nel 1303 e morta a Roma settant’anni dopo. La leggenda vuole che Brigida volesse conoscere il numero esatto di colpi di frusta ricevuti da Gesù durante la sua Passione. In un’apparizione, egli le rivela di aver ricevuto 5.480 colpi e che, se si voleva onorarli, si dovevano recitare diverse preghiere. Recitando per un anno queste preghiere, si onoravano tutte le sue piaghe. Inoltre, secondo la Santa, Gesù avrebbe fatto diverse promesse per chiunque avesse recitato queste orazioni per un anno. E’ per questo che su quel libriccino, nella foto, potete leggere “Le quindici orazioni per un anno e per dodici anni”.

Sull’altare di gesso bianco c’è anche un bellissimo affresco che la ritrae in compagnia di un angelo che la osserva mentre lei trascrive le preghiere dettate dal Signore. Intorno al dipinto sono posti dei magnifici Gigli bianchi e dei Semprevivi viola e gialli che sono fiorellini che sembrano finti, di cartapesta e non muoiono mai! Non hanno nemmeno bisogno di acqua, pensate.

Questo è uno dei motivi del perchè posto spesso chiese. Sono importanti nella mia Valle. Intorno a loro c’è sempre molta storia, storia di braccia, di popoli, di gente che si è costruita il suo sacro monumento vicino per poter pregare e infatti, di chiesette, ne troviamo sparse qua e là per tutta la Valle. E poi, come avrete visto, sono sempre circondate da tanta natura e abbellite da splendidi fiori. Sono preziose, costruite con quello che offriva il luogo: rocce, ardesia, legno, pietre. E questa è una delle mie preferite. Spero sia piaciuta anche a voi.

Un abbraccio!

M.

San Lorenzo – la chiesa di Villa Faraldi

Topini non potevo farvi conoscere questo borgo e poi andarmene via senza prima presentarvi anche la splendida chiesa parrocchiale di San Lorenzo.

E’ situata nel centro storico e vedendola capirete che entrarci e soffermarci a darle un’occhiata più con calma, ne valeva davvero la pena. In tutto il suo splendore troneggia sulla piazzetta del piccolo paese, un cortile nel quale, al suo centro, s’innalza una croce in ferro battuto. Da fuori è bellissima.

Alta, color cipria.

Il suo campanile svetta sopra ogni cosa. Stiamo parlando di una chiesa che, pensate, hanno iniziato a costruire alla fine del 1200.

Il suo stile è Barocco ma la facciata principale è stata rifatta grazie a dei fondi ottenuti nel 1844.

Prima di entrare, voglio vederla ancora dal di fuori. Ci giro attorno annusando qua e là e scopro davvero tante cose interessanti.

Un altro piccolo cortile, alla sua sinistra, dove è presente una lastra metallica sulla quale sono incisi i nomi dei caduti alla Resistenza, ci permette di vedere cosa appare su questo lato della chiesa, ossia, una splendida meridiana pitturata sulla parete. Questo antico orologio si trova al di sotto della statua di un Santo che, altissimo, quasi non si riesce a vedere.

C’è anche la statuetta di una Madonnina dentro ad una grotta e una lapide in marmo bianco che riporta la scritta “Grazie Vergine Santa che ci salvasti“.

E’ proprio sotto la statua di questa Madonna che ho visto i piccoli Karoline e Mikael Alejandro in bronzo, opere dello scultore Fritz Roed.

Giriamo ancora. E’ bellissimo guardarla con il naso all’insù. Nell’aria regna un’incredibile pace.

Diamo un’ultima occhiata al campanile, visto da qui, che si erge con fare borioso, è davvero bellissimo.

Entriamo. Stiamo per entrare in una chiesa dedicata a un Santo che è stato martire.

Sì, proprio San Lorenzo che, per volere dell’Imperatore romano Valeriano, il quale detestava Vescovi e Diaconi, venne bruciato a 33 anni su una graticola. Era l’anno 258 e, di lui, si ha ancora oggi il ricordo del bene che ha fatto prendendosi cura dei poveri e delle vedove della zona.

Eccolo… San Lorenzo, lo incontriamo subito, alla nostra destra, di fianco all’altare, 
con il suo ramoscello d’Ulivo in mano, in segno di pace, assieme alla Madonna e il Bambino in un contorno di affreschi stupendi.

Tutta la chiesa e le sue volte sono sorprendentemente pitturate di colori vivi e sgargianti. A spiccare tra tutti c’è anche parecchio color oro. Una tinta regale.

L’altare é infatti dorato e tenuto con cura.

Di fronte a lui, tante stufette di aria calda per riscaldare i fedeli durante la messa. E’ una chiesa grande, scura, umida.

All’interno si nota un misto di Barocco e Romanico, come vi dicevo, è stata rifatta la facciata principale ma anche l’interno ha subito modifiche, soprattutto nell’anno 1681, tra interventi architettonici e pittorici.

Si dice che in questa chiesa, sia stata murata una lapide tombale risalente al Romano Impero del I secolo d.C.

Questo reperto venne trovato poco fuori Villa Faraldi, in mezzo agli Uliveti. Si dice fosse la rappresentazione del dolore di Lecinia, una madre che ha perso il figlio a causa di  una morte prematura. Purtroppo non si sa se si tratta di un dipinto o di una statua. Hanno murato il tutto dietro la seconda porta di questa chiesa.

Voltandoci verso la nostra sinistra possiamo notare una scalinata di pietra che porta all’organo e a un pulpito.

Questo angolo mette un pò i brividi, è angusto e vuoto ma se alziamo il viso rimaniamo affascinati dal soffitto che propone opere dalla bellezza mozzafiato. Sono dei meravigliosi affreschi. Guardate che bellezza. Guardate che colori. Tutto il soffitto è dipinto così.

Fa male il collo dopo un po’ ma si è così estasiati che non si vuole cedere al dolore.

Ed ecco gli Angeli, Angeli di ogni tipo. In ogni momento di una vita che fu.

E voltando il nostro sguardo possiamo vedere meglio dove portano quelle scale in Ardesia che prima ci intimorivano.

Una costruzione in legno mi stupisce parecchio. Abbasso lo sguardo che si posa sull’acquasantiera. E’ in marmo bianco, di un bianco brillante e, sopra di lei, alcuni dei quadretti della Via Crucis, sono appena illuminati da un raggio di sole che entra a fatica.

Quella che vedete è l’unica finestrella della chiesa.

Allora, che ne dite? Ho fatto bene a farvi entrare qui vero? E’ davvero un luogo affascinante. A me è piaciuta molto.

Vi abbraccio e vi aspetto per il prossimo tour. Vostra Pigmy.

M.

La piccola chiesa di Gavano

Se entrando in Val Gavano, giriamo a sinistra, trovandoci davanti al primo bivio della strada principale, riusciamo a vedere la chiesa.

Essa se ne sta lì, proprio nel bel mezzo di un tornante, e può ammirare tutto il giorno i monti soleggiati di fronte a lei.

Essendo posizionata al centro della conca, tra due montagne, non gode purtroppo della luce diretta del sole ma la zona è aperta e ampia e, davanti a lei, una piccola piazzetta, permette in estate, funzioni religiose all’aperto.

Sul suo muro laterale, sopra ad una lapide in marmo, dopo l’elenco dei caduti in guerra, una breve preghiera invita a pregare per loro chiunque passi di lì: “Pellegrino o viandante fermati: rivolgi un tuo pensiero ed una prece ai nostri caduti e dispersi”.

Su quasi tutte le chiese della mia Valle ci sono delle scritte o gentili richieste come questa, soprattutto quando si tratta di ringraziare la Madonna o per non passare davanti ad un luogo sacro con indifferenza.

Sotto al tetto, sulla facciata principale, è stata messa in bella mostra la cosiddetta Stella di David che, nella religione cristiana, troviamo molto raramente, dagli inizi del novecento (penso sia l’unica chiesa qui, ad avere questo simbolo) e, se non erro, questa chiesa è stata costruita nel 1904, salvo poi le varie ristrutturazioni.

E’ in pietra. La nostra classica pietra. Ma, la facciata principale, con le recenti ricostruzioni, hanno preferito intonacarla per proteggerla e renderla più solida. Purtroppo non è sempre facile mantenere l’Arenaria o l’Ardesia in bella vista e in perfetta “forma”.

Non posso entrare. Come tutti i santuari semi-sperduti, è chiusa a chiave. Viene aperta solo ogni tanto, la domenica, per la messa, e durante la festa del Patrono che si è celebrata proprio in questi giorni. San Vincenzo.

Attraverso un vetro però riesco a fotografare e guardare l’interno.

Parecchi oggetti sono fasciati e protetti da lenzuola e, alcune cose, addirittura, sono messe dentro agli scatoloni.

Sulle sedie c’è tantissima polvere e giù in fondo, vicino all’altare, una scopa e un bastone per lavare i pavimenti aspettano di essere utilizzati.

Il suo soffitto bianco è altissimo. E’ tutta bianca e piena di luce.

Il prete, dal pulpito, può tranquillamente vedere chiunque.

E, posizionato in primo piano, un quadro del Sacro Cuore di Gesù.

Il suo campanile è piccolo quanto lei ma, attaccato a lei, pare ancora più minuto. Due piccole campanelle ossidate, penzolano affacciandosi dai piccoli davanzali di quell’altezza. E’ sotto di lui che trovo un’altra scritta, questa volta una dedica rivolta ad un certo Gianni Zappia. Non so chi sia ma, sicuramente, doveva essere una persona buona e socievole perchè la lastra recita queste parole – A Gianni Zappia / Gavano. Buono, onesto, sempre disponibile con tutti. In memoria la famiglia e gli amici – e poi, ovviamente, le date di nascita e morte. Nei piccoli paesi si usa così.

Come avrete notato vi ho nuovamente portato in Val Gavano. E’ un posto ricco di storia e cultura inerente alla mia Valle e ho quindi voluto farvela conoscere in tutto il suo splendore.

Oltre questa chiesa, il sentiero si perde nel bosco, su per i monti e inizia a calar la sera. E’ ancora periodo di cinghiali in circolazione, meglio tornare nella mia tana. Un abbraccio. Vostra Pigmy.

M.

La piccola Chiesa di Lampedusa

Cari topi, oggi vi porto a visitare una delle chiese più belle della Valle Argentina, la chiesa di Nostra Signora di Lampedusa o anche, Madonna dei Fanciulli, a Castellaro.

E’ vero che siamo a 370 metri d’altidunine, ma guardate il panorama che ci offre. Meraviglioso.

Il mare da una parte, giù in fondo alla vallata, e i monti dall’altra.

Questo Santuario, eretto nel 1619, è palcoscenico della maggior parte di matrimoni nella mia zona.

Infatti, è veramente caratteristico e la storia che lo accompagna è davvero curiosa. Si dice infatti che è stato fatto costruire da un certo Andrea Anfossi che, rapito dai saraceni e portato nell’Isola di Lampedusa, aveva giurato che se si fosse salvato e fosse riuscito a fare ritorno a casa, avrebbe fatto erigere una chiesa in onore della Madonna proprio perchè, nella sua fuga, trovò un dipinto della Vergine Maria e la stessa, gli apparve in sogno indicandogli la retta via della liberazione.

Dopo essersi costruito un’imbarcazione di fortuna, riuscì nell’impresa a raggiungere il Mar Ligure e approdare a Taggia (Arma di Taggia in realtà, ma, ai tempi, Arma era ancora solo un gruppo misero di case) e infine, a Castellaro e iniziò a realizzare quello che aveva promesso.

Iniziò a costruire questa casa mariana nel 1602 e la ultimò nel 1619 aiutato da tutti i castellaresi.

Sopra al suo maestoso portone, entrando, si può notare subito un bellissimo affresco che rappresenta appunto il viaggio dell’Anfossi con, sullo sfondo, le navi dei saraceni e, dipinta su un rosone di gesso bianco, la scritta “indulgenza plenaria” invita ad entrare purificati da ogni peccato e accolti così come si è.

Questo Santuario costruito su una collina chiamata Costaventosa, dista dal paese di quasi 1 km ma le sue campane, quando suonano a festa, rimbombano per tutta la valle e viene festeggiato ogni anno l’8 di settembre.

Il suo tetto, che crollò nel 1887, durante il terremoto che devastò Diano Marina, causò la morte di 47 persone. Il campanile fu una delle ultime cose ad essere finita e mantenuta ma, vengono attribuiti a questa Madonna di Lampedusa tanti miracoli inerenti a calamità naturali, o personali, come l’aver salvato vite coinvolte, ad esempio, in incidenti.

Al suo interno, è piccola ma bellissima.

Di forma circolare, è dotata di tre altari, uno più grande centrale e altri due laterali, più piccoli, ognuno dedicato a un Santo ed entrando si può notare subito, dopo il confessionale di legno, la statua di San Giovanni che venera Maria in ginocchio.

Grazie ad una scaletta che passa dietro l’altare principale, formando una specie di ponte, possiamo ammirare tutta l’entrata della chiesa dall’alto e le panche sotto di noi dove pregano i fedeli.

Da qui, l’interno sembra più piccolo ma offre tutta la sua bellezza. E’ proprio cercando di raggiungere la sacrestia qui accanto che possiamo inoltrarci nello stretto corridoio, il quale, alle sue pareti, esibisce i fioretti, le richieste e i doni fatti alla mamma di Gesù in cerca di aiuto e speranza. Ce n’è davvero di tutti i tipi: cuori dorati o di velluto, disegni, poesie, doni, ognuno ha presentato il suo ringraziamento o la sua richiesta. La sua preghiera. Alcuni, non lo nego, fanno tenerezza.

Ognuno, ha messo in bella mostra il suo ex-voto fatto con le proprie mani. Ci sono anche tele dipinte che rappresentano l’eventuale incidente, ricami, scritte su pergamene, nomi e anche fiocchi rosa e azzurri di bimbi nati. Quanta pazienza e quanta devozione si legge in questi che, talvolta, sono veri e propri cimeli risalenti a tantissimi anni fa.

E’ sempre qui inoltre che risiede un vecchio pianoforte di legno e le sedie dei coristi che intonano canti religiosi durante la messa domenicale. Intorno a lui anche lapidi di marmo con incise le vite dei Santi e dei parroci che hanno celebrato in questo Santuario la parola del Signore, guarendo, tramite la mano della Vergine, così vuole la leggenda, malattie in modo miracoloso.

Un bellissimo vetro dipinto, rappresenta Maria nei tradizionali colori del bianco e del blu, i colori della purezza e della meditazione, con intorno le colombe che volano.

La stessa Madonna, quella dei Fanciulli, di cui vi parlavo a inizio post, la possiamo vedere anche fuori la chiesa, in una piccola grotta, protetta da un vetro, mentre abbraccia un Gesù ancora bambino, e dove un’insegna di bronzo elenca tutti i diritti di cui devono usufruire i piccoli che lei protegge come quello di avere una famiglia, di nascere, di vivere una vita decorosa, di avere cibo, rispetto e così via. In questa cavità c’è anche chi getta qualche monetina sperando di avverare i suoi desideri.

Si, sono davvero tante le persone che passano di qua e lasciano il proprio segno, tra l’altro, posso assicurarvi che di sera è un posticino davvero romantico e tranquillo con tutto il panorama illuminato sottostante.

E’ facile infatti trovare coppiette di fidanzatini che passeggiano intorno la chiesa, sotto la grotta, giurandosi amore eterno. Ah…. carini… bhè, io invece, giurandovi che questo non sarà l’ultimo luogo che vi farò conoscere vi saluto e vi abbraccio. A presto Pigmy.

M.