Da Sella d’Agnaira fin in cima al Pietravecchia

Oggi Topi vi porto in un altro posto speciale, preparatevi di tutto punto e seguitemi.

Dopo aver intrapreso lo sterrato di Colle Melosa, possiamo ammirare lo splendore che questo panorama mostra ed essendo le prime ore dell’alba si vede persino la Corsica con i suoi colori tenui, il mare che la circonda e un contorno da favola.

Le sfumature rosa e azzurre colorano le nuvole ed è come essere trasportati in un’altra dimensione. Da qui si vede bene anche la Diga di Tenarda e parecchi monti della mia Valle.

Prima del Monte Grai ci fermiamo proprio dove un sentiero porta ad un altopiano. Si tratta di un valico a forma di sella chiamato Sella d’Agnaira (1.869 mt) confinante con Sella della Valletta.

Qui, una distesa d’erba verde rende tutto assai particolare. Tra i Larici, situati attorno alla radura, si immaginano animali di ogni tipo e non mancano vari cinguettii.

Non mancano neanche i funghi e i fiori nonostante l’autunno sia iniziato già da un po’.

L’aria è frizzantina, il sole sta ancora sbadigliando e, a terra, non è difficile incontrare la brina che inizia a spruzzare di bianco quel suolo ancora vivo e brulicante di insetti.

Ci sono tanti Grilli, ancora tante farfalle e piccoli ragni che si sono appena messi al lavoro per costruire nuove tane-trappola.

Prendiamo un sentiero che porta verso la Francia e infatti di Francia ne vedremo un bel pezzetto.

Si inizia a salire ma senza alcuna difficoltà. Più si sale e più si apre davanti a noi un magnifico scenario. Tutto sembra avere le sfumature dell’oro. Non solo il sole è dorato ma anche le spighe lo sono, alcune foglie, qualche arbusto e persino qualche pietra. Che meraviglia passeggiare in questo luogo dove l’ocra e il verde si alternano in continuazione.

Ad un tratto ci si potrebbe tuffare anche tra i lamponi se non fossero pianticelle spinose, ma che buoni questi frutti! Sembra strano poter mangiare i lamponi a ottobre ma questa è la Valle Argentina e ben presto la lingua profuma di un sapore dolce e asprigno allo stesso tempo.

Dopo aver fatto una bella scorpacciata di questi doni si prosegue. Lo avrete capito ormai, il Monte Pietravecchia ci sta aspettando.

Si tratta di una montagna molto alta appartenente alle Alpi del Marguareis. E’ alta 2.038 metri e il suo nome è azzeccatissimo. Sembra proprio un monte vecchio e saggio. La sua vetta è confortevole. Ha meno guglie affilate rispetto al Monte Toraggio proprio di fronte a lui.

Da qui, quest’ultimo monte, posso ammirarlo bene. Lo adoro, è bellissimo, uno dei miei preferiti e non lo avevo mai visto da questo lato.

La cosa sicuramente più divertente che gli appartiene è una grossa pietra a forma di cubo, praticamente in bilico sull’abisso e chiamata il “Dado degli Dei”.

Siamo nel pulito e possiamo tranquillamente ammirare tutto attorno a noi, passeggiando comodamente.

Ecco il versante francese, si vede il suo paesaggio e si vede persino il grande complesso “Le Vele” della Marina Baie des Anges tra Nizza e Antibes. Davanti a noi si vedono Baiardo, Perinaldo e la costa più a ponente della Liguria ma, se si guarda in giù, ecco comparire la Gola dell’Incisa e il bivio per raggiungere il Toraggio percorrendo il Sentiero degli Alpini.

Guardando verso il Piemonte invece si notano distintamente l’altissimo Monte Mongioie (2.630 mt) e il Monte Saccarello (2.202 mt). Piccolina, alla sua sinistra, la Statua del Redentore.

Restando girati verso la Provincia Granda si nota che quella parete del Pietravecchia anziché essere arsa e pulita è boscosa e, in mezzo a quegli alberi, scendendo un poco in un sottobosco abbastanza fitto, si trovano antiche costruzioni (sicuramente militari). Sono costruzioni davvero particolari. Hanno feritoie contrapposte ed è come se fossero doppie o gemelle.

Si torna però presto con il naso all’insù, è inevitabile. Ovunque, attorno a noi, profili montuosi meravigliosi si lasciano ammirare.

Tornando indietro camminiamo su un tappeto erboso davvero stupendo. Sembra finto e invece è tutto vero.

Par di essere nella fiaba di “Pollicino”, non ci resta che lasciar cadere a terra qualche briciola di pane. Che meraviglia. Sopra ai nostri musi Larici e Abeti incrociano i loro rami formando tendine e arabeschi. Un incredibile passaggio.

Eccoci però di ritorno su Sella d’Agnaira e da qui si fa ritorno in tana.

Di nuovo tante emozioni. Ancora una volta ho riempito il mio piccolo corpicino e il mio spirito di tanta bellezza e tanta pace. Ora non resta che prepararmi per la prossima avventura ma prima fatemi pulire gli scarponi.

Un “vecchio” bacio a voi da parte mia e da parte di un vecchio monte.

Un Festival alternativo: da San Romolo a Monte Bignone

L’autunno è una delle stagioni più colorate che ci sia, a differenza di quanto si possa pensare, e io, di colori, ne ho visti davvero molti nella passeggiata che sto per raccontarvi.

Partiamo una domenica mattina presto, molto presto.

Saliamo sulla topo-mobile, ma questa volta non andiamo in Valle Argentina, passeggeremo piuttosto sopra Sanremo, la città dei fiori tanto famosa per il suo Festival. Quello che voglio mostrarvi oggi, però, è un Festival diverso, un tripudio di colori e profumi che si trova lontano dal centro abitato.

Con qualche curva, iniziamo la salita verso San Romolo, e veniamo subito colti di sorpresa dall’alba, col suo sole rosso fuoco a illuminare il porto di Sanremo. È una palla gigante color del sangue, la foto è solo un pallido riflesso della sua bellezza.

alba San Remo

Dopo la pausa obbligata per qualche scatto, riprendiamo a salire.

Visto che il tempo a nostra disposizione non è molto, per questa volta decidiamo di non lasciare la macchina a San Romolo, ma di proseguire ancora un po’ sulla strada per Perinaldo. Una volta parcheggiata la macchina a bordo strada, imbocchiamo il sentiero dalla tagliafuoco, sulla sinistra, e iniziamo a salire.

Se in un primo momento la strada si presenta in falso piano, ben presto la pendenza si fa più evidente. Preparatevi, perché dovremo salire un po’.

Entriamo nel bosco. Intorno a noi ci sono Castagno, Pino silvestre, Leccio, Quercia, Acero, Nocciolo e Agrifoglio. La vegetazione di latifoglie è intervallata da spazi di cielo aperto e in quei punti è la macchia mediterranea ad avere la meglio.

Intorno a noi è tutto un ronzare di mosche, sembra quasi inizio estate, e la giornata è molto calda per essere autunno inoltrato.

Continuando a camminare, ci troviamo di fronte a un incrocio: da una parte c’è il sentiero per Baiardo, che scende alla nostra sinistra, a destra c’è un sentiero segnalato ma che non si sa dove conduca e dritto davanti a noi c’è quello che dobbiamo imboccare e che ci porterà su, a Monte Bignone.

La vegetazione si fa fitta, sembra quasi voler escludere la presenza dell’uomo e forse, in effetti, è proprio così. I rami degli arbusti ci vengono addosso, impigliandosi nel pelo folto della nostra pelliccia e trattenendoci i pantaloni. Eppure, attraversato quel breve tratto di naturale ostilità, il sentiero diventa più bello, si apre e continua a inoltrarsi nel bosco. La Natura è cresciuta così per un motivo, mi viene da pensare, per effettuare una sorta di selezione naturale già da principio e permettere solo ad alcuni di godere delle bellezze che ci saranno più avanti.

E le bellezze arriveranno eccome, parola di Pigmy!

Il sentiero continua in salita, a tratti anche ripida e scivolosa, bisogna prestare attenzione. Il terreno è coperto da uno spesso strato di foglie e, dove non sono presenti in grande quantità, è sabbioso. Le scarpe faticano a trovare la giusta presa su quel pavimento naturale, ma con un po’ di pazienza e perseveranza si sale.

Rimaniamo estasiati dai massi di dimensioni enormi che circondano il sentiero, hanno forme tutte da scoprire, ma di questo parleremo un’altra volta.

A tratti la bellezza del bosco lascia lo spazio a panorami mozzafiato. Davanti a noi si staglia il monte Caggio tinto con la tavolozza dei colori autunnali. Si scorgono la Val Nervia e i centri abitati di Perinaldo e Apricale, riusciamo a spingere lo sguardo al monte Toraggio e poi, tornando ad accarezzare con gli occhi la costa, vediamo persino la vicina Francia con la sua prima cittadina, Mentone! Se, poi, ci voltiamo di nuovo verso monte, in lontananza si vede persino la Valle delle Meraviglie, uno spettacolo del quale non si gode certo tutti i giorni! A fare da cornice a questo spettacolo è il mare nostrum, azzurro e infinito. Si rincorre con il cielo, tanto che non si riesce più a distinguere chi sia l’uno e chi l’altro.

Proseguendo nella nostra salita, troviamo bacche di corbezzolo coloratissime e una miriade di castagne, che sembrano cadute apposta per noi. Tiriamo fuori dallo zaino un sacchetto e iniziamo a raccoglierle, assicurandoci che le camole non se ne siano già appropriate. Mentre procediamo, ci imbattiamo in un punto del bosco particolarmente rumoroso… È tutto uno spezzare, un frusciare, un rotolare.

Tac.

Fruuuuuush.

Pata-tum-tum-tum.

«Che cos’è?»

«Non lo so… un cinghiale? Un capriolo?»

Ben presto arriva la risposta: sono i ricci dei castagni che si spezzano dal ramo e  cadono al suolo rumorosissimi, sembrano delle bombe!

Con il sole che splende sopra le chiome degli alberi, non  abbiamo pensato a portare un ombrello, per cui non abbiamo modo di ripararci da quella pioggia di spine. Allora non ci resta altro da fare che chiedere al bosco di porre attenzione a noi poveri visitatori, e lui, padre paziente, ci ascolta. Ci dona castagne succulente, ma i suoi ricci non ci sfiorano neppure per un momento, per cui procediamo senza intoppi.

Quando ci fermiamo per alzare lo sguardo, il soffitto arboreo è d’oro puro, brilla, scintilla, ondeggia al tocco del vento leggero e noi rimaniamo estasiati.

Lungo il cammino si sente l’onnipresente ghiandaia, ne udiamo il canto e ne troviamo persino le piume. Guardate che colori stupendi e preziosi!

piume ghiandaia

Eppure le sorprese non sono ancora terminate.

Un nido abbandonato e caduto a terra è lì, sul sentiero, poggiato su una roccia. È affascinante osservarlo, riflettere sulla tecnica che hanno gli  uccelli per costruire un cerchio perfetto come questo.

E poi, più su, sempre più su, sentiamo profumo di funghi…

Non crediate, però, che siano solo loro a spandere la loro fragranza, perché più avanti, tra spicchi di cielo e carezze di sole, possiamo sentire l’odore balsamico e rigenerante del Pino, così forte da aprire i polmoni.

Arriviamo infine a Monte Bignone con la meraviglia negli occhi, accolti da un tappeto di crochi e da un tetto di foglie di quercia.

Per oggi ci fermiamo qui, ma le sorprese continuano!

A presto, topini.

Vostra Pigmy.

 

 

 

A visitar Castel Vittorio

SONY DSCA un passo dalla mia Valle. E con la mia Valle ha avuto in passato anche un importante collegamento. Proprio vicino. Quasi a vederlo affacciandosi dalla finestra. Beh, più o meno. E’ che bisogna fare tutto un giro lungo, altrimenti sarebbe davvero subito lì. SONY DSCE comunque, giro o non giro, è un piacere arrivare qui, in questo bellissimo paese tra i monti.

Siamo a Castel Vittorio, dove non si sente nemmeno volare una mosca. Siamo in un paese composto da salite e discese, tra i carrugi, e ricoperte di ciottolato tipico ligure.SONY DSC Siamo in un paese che un tempo, quando ancora si chiamava Castel Dho, apparteneva ai Conti di Ventimiglia che ne furono padroni fino al 1260. Dopo, il nome, gli venne cambiato in Castel Franco, dalla famiglia dei Moro, e rimase così anche passato sotto la possessione della Repubblica di Genova che lo sottopose al controllo giurisdizionale della Podesteria di Triora. Vi ricordate quando, parlando di Triora, vi dissi come questo borgo della mia Valle era il preferito dalla Repubblica padrona?SONY DSC A un passo dalla Francia, offriva importanti vie di comunicazione, di commercio, di difesa e di attacco. Il nome Castel Vittorio lo deve quindi al Piemonte che, divenne nel 1862, nuovo proprietario del borgo e volle rendere omaggio al Re Vittorio Emanuele II di Savoia. Quante vicissitudini in un villaggio così piccolo! Pensate che i suoi abitanti sono solo circa 300 ora.SONY DSC Siamo a 420 metri sul livello del mare e qui la vita scorre lenta e pacifica. Per arrivarci bisogna scendere da Bajardo e, a Bajardo, ci si può arrivare anche dalla Valle Argentina, poi si scende ancora nel bellissimo San Gregorio, ricco di natura, e infine eccoci qui. Dalla piazza principale l’Albergo Italia ci saluta, imponente, appena sopra una salita. E’ la strada che bisogna percorrere per visitare meglio il paese. Ci porta dentro ai piccoli vicoli dove al sole non è permesso entrare.SONY DSCDeve rimanere fuori. Che fresco qui! Bastano pochi passi per arrivare in un altra piazzetta. Un ciottolato per terra forma la figura della Rosa dei Venti. E’ una piazzetta dove una bellissima fontana echeggia con il suo scrosciare di acqua fredda e limpida.SONY DSC Sopra di essa, una lapide in ardesia ricorda, come spesso avviene in questi borghi, l’invasione nazista e ne commemora il 25° anniversario. E’ stata posizionata lì nel 1969. Un’altra lastra recita così: “Il 2 luglio 1944 la popolazione di Castel Vittorio insorgeva a contrastare un attacco di nazi-fascisti con lungo martirio di stragi scontando il suo stoico eroismo.SONY DSC La F.I.V.L. a imperitura memoria per degnamente onorare i castellesi gloriosamente caduti per un’Italia libera da ogni tirranide pose. Il 2 luglio 1950 “. La fontana, sotto alla pietra, dalla forma che ha doveva essere un tempo un lavatoio. SONY DSCOggi, intorno a lei, c’è parecchio muschio che si rinfresca e, di fronte, c’è l’Asilo Infantile Orengo un bell’edificio alto e giallo.SONY DSC Anche i muri delle vie sono ricche di muschio e erbetta e le piccole margheritine campestri e i garofanini selvatici, si arrampicano ovunque assieme ad altri fiori.SONY DSC Siamo in un posto circondato dal bosco, dal verde assoluto, dagli alti monti e sembra di essere in un altra regione. In certi punti sa di “vecchio” cioè di una vita antica che è lì da anni. Alcuni angoli sono bui, mettono quasi a disagio, a me però affascinano moltissimo. Che fatica riuscire a scorgere anche un solo tocco di cielo.SONY DSC Sono tanti gli edifici religiosi ma i più importanti sono due: la Chiesa Parrocchiale di Santo Stefano, di grande interesse artistico, la quale custodisce un bassorilievo sul portale laterale risalente al XVI secolo che mostra, al suo interno, un dipinto di Venusti rappresentante la crocifissione di Gesù, anch’esso molto antico;SONY DSC e l’Oratorio di Santa Caterina, in stile medievale e oggi sconsacrato.

Tra le vie, le protagoniste sono le piccole botteghe. Ben tenute, piene di roba e dalle vetrine simpatiche, caratteristiche e colorate. SONY DSCSono botteghe che vendono ovviamente prodotti tipici del luogo, al di là delle vecchie cartoline che stanno diventando sempre più introvabili, hanno l’olio, i pomodori, le olive. Le principali attività economiche del territorio di Castel Vittorio sono legate all’agricoltura, alla viticoltura, alla floricoltura e alla raccolta di funghi.SONY DSC Ebbene sì golosoni! In questo posto, che rimane leggermente nascosto dai monti, i funghi pullulano che è un piacere. Che dirvi ancora topini? E’ anche questo, da come avrete già capito, un luogo da venir a visitare.SONY DSC E’ un luogo che vi aspetta e vuole farvi conoscere tutte le sue caratteristiche e, anche in ambito culinario, le sue specialità. Qui a Castel Vittorio si mangia divinamente e con pochi euro. Se andate nell’Albergo Italia, che vi indicavo prima, vi sfido ad arrivare anche solo alla fine degli antipasti! Da leccarsi i baffi!SONY DSC Non perdete tempo ora che c’è la bella stagione! Questo paese vi potrà anche far trascorrere intere giornate all’aperto andandovene in giro a fare interessanti passeggiate nel verde.SONY DSC E’ circondato da sentieri che incuriosiscono e da boschi meravigliosi. A questo punto, non mi rimane altro che salutarvi con un bacione e ricordarvi di venire qui, a Castel Vittorio… ma passando dalla Valle Argentina! M.SONY DSC