Da Colle Melosa al Rifugio Grai

Esiste un sentiero che da Colle Melosa porta al Rifugio Grai posizionato sul monte omonimo.

E’ un sentiero che taglia una montagna dall’altezza ridotta, un po’ in salita e anche un po’ faticoso a scendere, visti i tratti con abbondanti pietre al suolo ma assolutamente fattibile.

Da fare se si vuole poi godere di un panorama davvero mozzafiato, spesso reso ancora più incredibile dai giochi che le nuvole si prestano a mostrare. E sono giochi stupendi, mai banali.

Subito dopo la Locanda di Colle Melosa, si sorpassa il rudere di una vecchia postazione militare, un piccolo edificio e una baita continuando a rimanere sulla strada principale.

Dopo pochi metri, oltre questa casa solitaria, anziché continuare per lo stradone che diventa sterrato, ci si inoltra in un percorso ben visibile che inizia sotto l’ombra di diverse Conifere. Si tratta di una stradina che rimane sulla destra ed è unica, senza deviazioni, basta salire.

Salire, sì, certo. Ma, attenzione, occorre tener presente che gli occhi servono ben aperti e serve guardarsi attorno.

Il motivo è la presenza di molta fauna e avifauna che popola quella zona. Non sarà difficile infatti notare sulle montagne di fronte Caprioli e Camosci o Aquile e Corvi Imperiali sorvolare quei cieli.

Tenete anche conto che stiamo per raggiungere un luogo abitato dai Gracchi Alpini. Ebbene sì, questi uccelli, simili a dei Corvi ma più piccoli, hanno preso residenza da parecchi anni proprio sul Rifugio.

Ma andiamo con calma, abbiamo un po’ di strada da fare anche se siamo su un cammino abbastanza breve. E’ interessante anche la natura che ci circonda più da vicino e che quasi calpestiamo.

In questo periodo stanno nascendo i primi Crocus che, ancora chiusi e timidi, si rizzano tenaci in mezzo ai fili d’erba inariditi dal gelo. Sono molto teneri ma danno un tocco di colore in mezzo a tutte quelle tinte ancora assonnate e, a bassa voce, parlano già di primavera.

Tra il Semprevivo che ha patito l’umidità invernale e aspetta il caldo, si può notare anche la Stregona Candida con le sue foglie spesse e lanose che spuntano tra gli steli di quello che sembra essere fieno.

Questi doni di Madre Terra si iniziano a intravedere dopo aver abbandonato le Conifere a inizio percorso, le quali, sono splendide da osservare quando, ricoperte di nebbia, si bagnano fino a gocciolare dai loro aghi stille d’acqua come se piovesse.

Il resto del sentiero è all’aperto e sotto il sole, soprattutto durante la prima parte della giornata. La bruma però scende sovente nel pomeriggio e al calar della sera se non si è in piena estate.

Già salendo lo sguardo viene appagato da un bel vedere unico. I monti intorno sono bellissimi e le nuvole, sempre più basse rispetto a noi, sembrano giocare a rincorrersi muovendosi veloci nel cielo. Sembrano enormi coperte di cotone. La loro presenza però non ci ha proibito di godere di un’alba bellissima come sempre accade qui a Colle Melosa.

Il Rifugio, nostra meta, lo si può già vedere. E’ incastonato nel Monte Grai come una pietra preziosa e mostra tutta la sua facciata principale. Lunga e grigia.

Le sue finestre oggi sono delle aperture senza protezione ma un’unica grande finestra è la vista che offre su tutta la mia Valle.

Giunti alla sua base non si può non ammirare il Monte Gerbonte, il più vicino a noi da qui che, meno alto degli altri, riposa in tutta tranquillità in mezzo alla Valle.

Ma la sua immagine ci mostra una montagna davvero caratteristica e spettacolare con le sue rocce che salgono verso il cielo e le distese di Larici che lo ricoprono. Appare ruvido, severo, ma se lo si guarda in autunno, grazie al generoso foliage dei suoi alberi, regala palcoscenici molto colorati e dona calore.

Da qui ci si incanta anche a vedere la famosissima Diga di Tenarda. Un lago artificiale creato all’inizio degli anni ’60 e che, in questa stagione, sembra un lago selvaggio del Québec. Una piccola parte delle sue acque è ancora ghiacciata, se ne denota il brillio, ma lo spettacolo più intenso lo regalano gli alberi attorno che riflettono la loro figura in quello specchio immobile.

E’ meraviglioso poter vedere la Catena Montuosa del Saccarello. La si vede perfettamente stagliarsi contro l’infinito. Si riconoscono tutti i miei monti, uno per uno, e fra loro è ben visibile anche il Passo della Mezzaluna.

Ci si può sedere su quelle pietre e su quel bordo che mostra il dirupo. Ci si può sedere e ammirare tutto con serenità. Quello che si vede riempie il cuore nella sua zona più profonda e un senso di gioia pervade tutto il corpo. E’ bellissimo, è come essere in cima al mondo.

A scendere, come vi dicevo, si può faticare un poco a causa delle pietre, alcune dissestate, che si incontrano lungo il cammino ma vi assicuro che non c’è nulla di difficoltoso in questo.

Si fa quindi ritorno alla Locanda dove ci aspetta la Topomobile e, piena di ricchezza dentro me, posso rintanare.

Non mi resta che lasciarvi un bacio grande quanto grande è ciò che ho visto e andarvi a preparare il prossimo articolo che sarà davvero suggestivo.

A presto quindi! Squit!

Accanto al Zimun per il Sentiero dei Piumisti

Il sentiero che facciamo oggi, chiamato “Sentiero dei Piumisti” è un anello che tocca la zona oltre il Bosco del Pellegrino, chiamata “I Cubi”, attraversa il Passo della Guardia, arriva al Ciotto de e Giaie per il Colle del Garezzo e poi scende, permettendoci di toccare U Zimun, Cà Botexina, Cà Gianca e tornare ai Cubi.

Naturalmente lo si può percorrere anche all’inverso, essendo appunto un anello, ma ora cerchiamo di vedere bene, tappa per tappa, questi luoghi magnifici che regala la mia Valle e che forse non avete ancora visto.

Oltrepasseremo ruscelli, saremo circondati da monti importanti, passeremo sotto a conifere di varie specie e noteremo come, questo bel percorso, non è assolutamente difficile o impervio e quindi adatto a tutti nel suo dolce saliscendi.

Innanzi tutto serve sapere che, in Valle, si chiama “I Cubi” quel luogo che, poco prima Passo della Guardia, è dotato di tavoli, panchine e barbecue per una sosta rilassante in mezzo alle montagne. Naturalmente quando non sono ricoperti di neve.

Da qui si parte verso il bivio Guardia/Collardente e, dalla Guardia, si prosegue per il Colle del Garezzo non senza prima lasciarci incantare dalla bellezza di Rocca Barbone, vestita di bianca bambagia, e che offre uno spettacolo meraviglioso.

All’incirca al di sotto del Monte Frontè, in un’apertura tra i monti chiamata Ciotto de e Giaie (Conca dei fiumi), si intravede un sentiero che scende lato mare e conduce a una montagnola tonda dal cocuzzolo fatto a fungo.

Si tratta di U Zimun (il Cimone) un piccolo monte che sovrasta il Poggio di Goina sotto di noi.

Prima di intraprendere questo cammino, che si srotola tra pascoli incontaminati, ora ricoperti di neve, è assolutamente doveroso fermarsi e osservare il panorama.

Dal Tunnel del Garezzo, che lo si distingue come un buco nero tra i monti, si possono riconoscere Cima dell’Ortica, Monte Bussana, Cima Donzella, il Passo della Mezzaluna e dietro di lui Pizzo Penna, Monte Arborea e Carmo dei Brocchi fino ad arrivare con lo sguardo al Monte Faudo che resta esattamente davanti al mare.

Spostandoci con gli occhi ancora un poco verso destra possiamo vedere anche Monte Bignone e il Monte Pellegrino del quale abbiamo toccato le pendici salendo.

Del secondo, possiamo distinguere chiaramente i molti alberi che lo ricoprono.

Dopo aver ammirato per bene quel panorama e aver goduto della presenza di Aquile, Camosci, Gracchi Alpini e Corvi Imperiali attorno a noi possiamo inoltrarci per il sentiero protagonista di questo articolo.

Intanto quei volatili e gli ungulati non si spostano.

Continuano a rimanerci attorno. E’ bellissimo.

Iniziamo a scendere quindi e giungiamo subito ad una piccola minuscola baita in pietra e legno, un rifugio privato con tanto di recinto in legno davvero caratteristico.

Lo sorpassiamo e continuiamo a scendere fino ad arrivare al Zimun che sembra un muffin ricoperto di zucchero a velo.

Svoltiamo a destra e proseguiamo per quella stradina ben delineata che, a tratti, taglia prati e radure per poi inserirsi tra rocce e radi boschetti di conifere.

Si toccano due Poggi ben conosciuti, prima Cà Botexina e poi Cà Gianca.

Durante il tragitto si passa nell’acqua fredda dei ruscelli e sotto ai grandi Abeti scuri che, di tanto in tanto, scrollano la neve dai loro rami aiutati dal vento.

Le loro fronde sono come affaticate.

Qui è tutto surreale. Verso i monti siamo protetti dalle pareti di terra e di roccia.

Par di essere dentro a un contenitore trasparente dall’atmosfera inimmaginabile.

La foschia tenta di abbassarsi con forza creando banchi spessi e, appoggiandosi alle creste che stiamo scavalcando, riesce bene nel suo intento.

Attorno, quindi, l’ambiente si fa bigio e affascinante, quasi mistico. Il silenzio è così assoluto da sembrare pesante.

Gli arbusti spogli sembrano scheletri che si stagliano tra le nubi basse, intenti in un’ascesa contemplativa verso il cielo.

In questo periodo dell’anno non ci sono fiori e nemmeno farfalle. Non ci sono colori e neanche rumori ma… quel mondo continua ad essere il mio mondo preferito. È assolutamente perfetto. È come deve essere. Sono in totale connessione con lui e mi sento io stessa natura.

Diverso gocce di neve sciolta si tuffano in picchiata verso il suolo.

Qualche secca spiga, colta di sorpresa da quei fiocchi di ghiaccio, è rimasta immobile come se per lei il tempo si fosse fermato e alcuni ciuffi d’erba sono gli unici a tingere, di un arancione bruciato, tutto quel perlato monotono.

Da qui si può vedere il sentiero del Garezzo sopra di noi.

Continuiamo accompagnati dal battito di quel cuore attutito da nebbia e ovatta. Tante le curve ma poche salite. Un sentiero semplice ma stupendo.

L’unico pezzo più a “rampa” è la fine, quando si giunge nuovamente ai Cubi e l’animo e pieno di gioia colta strada facendo.

Una passeggiata da fare e ricordare e che mi auguro vi sia piaciuta.

Vi mando un bacio tra la bruma ma vi giungerà.

Alla prossima Topi!