Il Preboggiòn ligure, fa bene ed è goloso!

Oggi cari topi, vi parlo di una ricetta tipicamente ligure. Così tipica da non avere nemmeno una precisa traduzione nella linguaSONY DSC italiana. Una ricetta raccontata dalle nostre nonne o dai conoscitori di erbe (come anche Libereso Guglielmi il giardiniere di Italo Calvino). Si perchè “il Preboggiòn” o “u Prebuggiun” come di consueto si sente dalle nostre parti, è una mescolanza, un insieme di erbe selvatiche tipiche della nostra zona, che servono poi, miscelate insieme, per la realizzazione di tante ricette tra le quali: i ripieni, le torte, le frittelle o gustosissimi passati. La cosa principale è che questo miscuglio SONY DSCsubisca una leggera e breve bollitura. Ed è proprio quest’azione che gli conferisce questo nome. Sembrerebbe infatti che il termine preboggiòn indichi una pre-bollitura. Quanto basta ad ammorbidire queste piante senza “deteriorarle” troppo. Prebuggì, ossia prebollire. E’ ovvio poi che non ci si ferma qui.

La mente è fantasiosa e le leggende hanno presto inizio come anche un po’ di verità. Si pensa anche infatti che il nome derivi addirittura dall’assedio di GeruSONY DSCsalemme da parte di alcuni vassalli di Goffredo di Buglione che vollero raccogliere erbe e piante per il loro condottiero Capo e per i soldati (i pre-buglionis appunto) che erano senza acqua ne’ cibo. Ma c’è chi dice anche che “buglione” voglia dire, in ligure, brodo o miscuglio, cioè minestra.

Preparare questa ricetta non è difficile. Bisogna semplicemente raccogliere e pulire queste erbe che poi vi elencherò, farle scottare appena e miscelarle usandole poiSONY DSC come base per altri cibi. Non esiste una vera e propria descrizione di questo piatto, anche perchè ognuno lo prepara come vuole e con le erbette che trova a seconda anche della stagione e della zona della Liguria in cui vive. Noi di Ponente siamo davvero molto fortunati perchè, come vi ho già detto spesso, possiamo vantare nel nostro aspro territorio, ben più di 200 specie di piante commestibili, con tantissimi proprietà officinali, che nascono spontanee. Dato il tipo di consumo è importante lo stadio di sviluppo della pianta al momento della raccolta; infatti, quasi tutte queste piante, non sono più cucinabili allo stato adulto (rimarrebbero troppo dure per la poca cottura) e sono raccolte per il consumo, quindi, quando la pianta è giovane, spesso quando ha appena formato con le foglie la “rosetta basale”, cioè quando non è ancora costituito lo steloSONY DSC floreale o quando questo è ancora tenero.

Non solo, bisogna anche, durante la raccolta, tenere da conto del sapore di questi vegetali per non rischiare di rendere il nostro Preboggiòn troppo amaro, o troppo forte, o troppo selvatico. Facciamo attenzione quindi a non eccedere con gusti particolari come quello delle (bietole) dal gusto pungente, Boraxe (borragini) dal gusto sapido e neutro, Denti de Cuniggiu (radicchio) molto amaro.

Chi vuole però, può anche procedere in questo modo, creando un Preboggiòn un pò più sofisticato: pestate dell’aglio e salatelo, sbucciate delle patate e tagliatele a pezzi. Lessate le erbe e poi le patate. A parte, in una padella, fate scaldare un po’ d’olio, aggiungete un goccio di aceto, il battuto d’aglio, il rosmarino e la salvia, soffriggete fino a ottenere un bel colorito dorato. Fate scolare le erbe e, ancora calde, versatele in questoSONY DSC soffritto, aggiungete le patate, fate raffreddare. Cospargete il pan grattato (o meglio ancora del formaggio). Servite freddo. Questa è una ricetta a sè.

Ma veniamo ora alla simpatica lista di piante adatte alla preparazione di questo piatto e ai loro vari nomi. Questa bellissima lista l’ho creata per voi facendomi aiutare da nomi (molto utili) che ho trovato in rete, su Wikipedia, e potete leggere come la stessa erba, nella zona della mia regione, la si può nominare in modi completamente diversi a seconda del paese.

E per conoscerle, bisogna esser davvero bravi come me! Vi auguro una buona lettura e vi aspetto per il prossimo post! Bacioni! p.s.= un ultima cosa, riguardo alla poesia di ieri, grazie alle ricerche del mio amico Bruno ho scoperto alla fine che “chintagna” è lo spazio compreso tra la casa e la montagna, mentre “maciota” è senza dubbio la cicala.

M.

  • Amarago, grugno, lattugaccio di Daléchamps; chiamata bunommi o beliommi a Chiavari, bell’omu a Recco, belommu a Levanto, brichetti ad Albisola, grasciaporchi a Dolceacqua, cardelle a Camporosso, cardella o cardellirla a Bordighera. Si fa anche in insalata nella Valle Argentina e in Val Nervia. Sapore: molto amaro.
  • Bietola di prato in Valle Argentina
    Borragine, boraxe in Valle Argentina
    CicerbitaSONY DSC, scixèrbua a Genova e Recco, lacciussa e lacciussola in Valle Arroscia, acciussola a Porto Maurizio, scurzoere o quarlatti a Nava, strugion a Mortola, laiciusso o sèrbixe a Diano Marina, lacciansòn a Savona, laciansùn a san Bernardo, seserbde a Sarzana, laciusa a Chiavari, dèvure a Finalborgo, cardella dumestega a Dolceacqua, lacette a Bardinetto, acciciora a Montalto, lattussa a Levanto e mascherpin a Ovada. Sapore: leggermente amaro, descritto come tipo nocciola.
  • Cicoriaradicion in Valle Argentina
    Dente di leone, chiamata tageinetti a Levanto. Si può anche fare in insalata. La radice tostata è un surrogato del caffè. Sapore: amaro.
  • Grattalingua[rat]talêgua in Valle Argentina chiamata anche gattalevre, lattalepre a Savona, lattalaegua, gattalaegua, rattalaegua, attalaegua a Genova, grattalaegua in Val Polcevera, rattaleve a Voltri, laitilaegue, laegue a Chiavari, taleaegua a Recco, talaegue a Lavagna, lataléve a Stella, italiaòa a Cogorno, tadèlua a Noli, teracrèpoli a Santa Margherita, acciussola, acciussora a Porto Maurizio, scapperoni, scapiroi, scapirui a Bordighera e in Val nervia, screppue a Levanto.
  • Lattuga leituga nella mia valle
  • Maggiorana persa in Valle Argentina
  • Ortica ortiga nella mia valle
    Origano cornabuggia nella mia valle
  • Papaveropapavao chiamato papavau a Genova e Recco, papavaru a Pigna, baxadonna a Ronco Scrivia, Savona e Porto Maurizio, rosanella a Bordighera, fantineti a Sanremo, rusuele a Levanto. Il papavero è usato anche come blando sedativo in infuso nelle Valle Argentina e Valle dell’ Orba. Sapore: insipido o leggermente amaro.
  • Radicchio selvatico, denti de coniggio qui da noi. Garatun a Celle Ligure, tagiainettu a Genova, serretta a Voltri, taggianuìn a Lavagna, dente de can in Val Polcevera, denti de cuniggiu a Recco, spinassu sarvaegu a Cogorno, erba gaina a Porto Maurizio, peirin a Sanremo e Bordighera, sciappasassi a Sarzana. Si fa anche in insalata, come depurativo del sangue, in Valle Argentina. Sapore: lievemente amaro.
  • Raperonzolo, ranpunçu in Valle Argentina, rampunzi a Genova e a Recco, rampusci, rampunsci a Savona e Vado Ligure, ramponsu a Sella, rampunci a Bardineto, gramposci a Oneglia, ramponseli a Sarzana, rampoixo a Porto Maurizio. Sapore: cruda è dolce, bollita è amara.
  • Sanguisorba, chiamata pampinella a Nava, pimpignèla a Pigna, erba noce a Bordighera, pimpinella a Recco, Val Nervia e Valle Argentina. La sanguisorba è molto usata anche in insalata nella Valle Argentina, a Genova e a Recco. La radice è usata per scottature ed ustioni. Sapore: amaro, descritto come vagamente di anguria.
  • Silene, chiamata erba s-cioppettina a Genova, sci-puelli a Recco, ciucchetti in Val Polcevera, grissari a Bordighera, grussari a Dolceacqua, frisceti a Sarzana, battilingua a Ceriana, grassuelli a Campegli. Sapore dolce e delicato.
  • Tarassaco, dente de can o piscialetto nella mia valle; insalatta da porchi, sciuscòn, testa da frate, lampionetti e radicion a Genova, piscianletto a Recco, barba du Signùu, ti-me-voe-ben, ti-me-voe-ma a Savona, dente de can a Mele, suscium, muccalume a Porto Maurizio, muso d’porch a Briga, lattusse a Levanto, rosorella da bosco, capirui a Camporosso. Sapore: amaro, descritto tipo radicchio.


 

 

Nonostante il freddo…

SonIMAG4604 più ferrata in nomi di piante mediterranee piuttosto che in nome di piante grasse, ma queste meraviglie, non potevo non farle vedere anche a voi.

Eh già! Guardate, nonostante il freddo, c’è già chi decide di combattere le intemperie e quasi con presunzione sta lì a godere del sole invernale che comunque, fortunatamente, non manca. E, ad essere sincera, scalda anche parecchio.

Ebbene, originarie di altri mondi, sono però ormai mie convallesi anche loro. Queste topini sono alcune delle meravigliose piante della mia socia Niky alle quali ha dedicato un angolino personale e grazie alle quali si è anch’essa stupita.IMAG4607 Questo messaggio floreale da parte loro è arrivato davvero piacevolmente in anticipo quest’anno. A me piacciono particolarmente.

Quei loro fiori sgargianti, grossi, che riempiono la vista. Sono davvero dei protagonisti. E non sono gli unici! Ce ne sono davvero molti, aspettiamo solo che fioriscano così Nikon (come chiamo la mia topoamica) ci manda delle altre splendide foto.

Alcune di queste piante sono meravigliose e turgide, altre invece, sono davvero buffe ma, messe insieme, in un unico mucchio, o sparse qua e là per la zona, possono diventare uno splendido arredamento da giardino. Mi fanno sorridere i pelucchi sottili e bianchi dei quali sono ricoperte le foglie. E’ una peluria così delicata che ricorda quella di un bimbo appena nato. Queste che vi mostro oggi, infatti, non hanno spine. Non sono pericolose!IMAG4609 Per noi topini è facile pungersi con quelle spine grosse e dure, sigh!

Ma quante tonalità differenti di verde hanno?! Sono magnifiche, quello chiaro, quello scuro, quello che sembra un pallido grigio… Nella mia Valle non c’è persona che non abbia almeno una di queste piantine e sono sicura che anche da voi tutti hanno almeno una pianta grassa sul terrazzo o nel giardino.

Come vi dicevo, IMAG4613non ne conosco tutti i nomi e mi dispiace (anche se la seconda, con il fiore bianco, dovrebbe essere una Crassula Ovata), per cui invito chiunque le conosca a dirmelo, so che da qualche parte c’è il pollice verde pronto ad aiutarmi. La mia socia, si è limitata a dirmi –Baci!-, eh già, mi direte, lei ci mette già il soggetto! Non posso pretendere troppo ecco…

Come darle torto, mi ha già regalato davvero queste spettacolari immagini di una natura che abbiamo di fronte a casa, convive con noi, ma spesso snobbiamo e nemmeno consideriamo. Ma come si fa a rimanere indifferenti a questo bianco screziato di rosa, o al rosso vermiglio che vi ho postato poco sopra?

Solitamente la pianta grassa, o succulente, è originaria dell’Africa (possiamo infatti immaginare quali bellezze può riservarci questo continente) ma oggi, è coltivata ovunque e, vicino a me, verso Bordighera, il giardino esoticoIMAG4614 “Pallanca” http://www.pallanca.it/it/html/giardinoesotico.html ve ne può far ammirare una bella sfilza.

Vi consiglio vivamente di venirlo a visitare e magari, attraverso il sito o chiedendo telefonicamente, potreste capitare nel momento più opportuno per quanto riguarda la fioritura di queste meraviglie e godere così di uno spettacolo davvero senza limiti.

Un abbraccio a tutti voi, buon fine settimana e buoni fiori, dalla vostra Pigmy.

M.

– Daighe l’aiga ae corde! –

– Papà, papà! Mi racconti ancora una volta la storia di Benedetto e dell’obelisco? -, – Va bene Pigmy, ma tu promettimi che continui a lavarti da brava e anche dentro alle orecchie! -, – Promesso papà! -.

– Allora, vediamo “Tanti, tanti anni fa, un Papa che viveva nella città di Roma, decise di voler abbellire la piazza di casa sua, con un bellissimo e alto obelisco. Tutta la gente allora si radunò per servire ed accontentare il Papa che però, vietò assolutamente al popolo, di muovere anche solo un dito. Essendo l’obelisco, pesantissimo e quindi pericoloso, potevano toccarlo solo gli operai e, di operai, il Papa ne aveva fatto arrivare più di 100! ” -, – Quanti sono più di 100 papà? -, – Sono tantissimi Pigmy, più ancora di tutti i topini che ci sono nella tua scuola… frega bene dietro al padiglione “e insomma che gli operai del Papa erano davvero tantissimi. Lo spostamento di questgrande opera era così faticoso che i lavoratori avevano bisogno di grande concentrazione e così, la guardia del Papa, ordinò alla gente che stava a guardare con il fiato sospeso: – Al primo che aprirà bocca… zack!… verrà immediatamente tagliata la testa! – e indicò, lì vicino, il boia con il pauroso arnese… “. Pigmy, non t’incantare che prendi freddo dai! Lo sai che anche la parte dietro alle orecchie è tua? “E quindi tutti stavano con la bocca ben ben chiusa. E allora: – Issaaa… e issaaa… o-issa! – quanta fatica, l’obelisco sì, stava salendo per essere piantato ma… le corde con il quale lo stavano tirando su, si stavano rompendo! Troppo peso! Quelle grosse corde di canapa, erano troppo secche, si sarebbero spezzate in due. Cadendo, l’obelisco avrebbe fatto un vero disastro su quelle povere genti! Ma, ad un certo punto, incurante della mortale pena promessa, una voce forte e ben scandita, si levò sopra le teste del popolo – Daighe l’aiga ae corde! – (Dategli l’acqua alle corde!-Bagnate le corde!)…”…

Ricordo cari topi che, a quel punto della fiaba, un brivido mi percorreva tutto il corpo. Dal collo, scendeva giù fino alla coda. Cosarope-5336_640 sarebbe successo al mio simpaticissimo amico Benedetto Bresca, lupo di mare, nonchè Capitano?

Benedetto Bresca, marinaio ligure, originario della Liguria di Ponente. E io mi sentivo importante che un mio “vicino di tana” fosse andato fino a Roma a salvare un obelisco! Ebbene topini, questa non è solo una fiaba ma una storia vera, accaduta il 10 settembre del 1586.

A Papa Sisto venne regalato uno splendido obelisco egiziano. Era l’obelisco che Caligola, fece importare san_giovanni_obelisco_1dall’Egitto. Papa Sisto V, lo volle in Piazza San Pietro. Secondo i dati che si hanno, queste erano le misure dell’opera d’arte: 25 metri per 350 tonnellate. Si dice anche che il Papa assoldò quasi 1000 uomini e 150 cavalli per trascinarlo e per issarlo.

Il monolito era quasi a posto quando si videro le funi cedere e allungarsi pericolosamente. Stava per cadere a terra e frantumarsi. Benedetto Bresca, che aveva osato disobbedire all’ordine, venne immediatamente circondato dalle guardie del Papa ma, quest’ultimo, riconoscendo che era stato grazie a lui se il suo regalo era salvo e nessuno era morto, lo beneficiò di una grande somma di denaro e una pensione a vita. Non solo, Benedetto ebbe l’onore di issare la bandiera del Vaticano. In ultimo, la famiglia Bresca chiese e ottenne di poter rifornire di rami d’ulivo, simbolo di pace, e di foglie di palma, la Chiesaindex di Roma, durante la Pasqua, per il resto dei loro anni.

Ma come fece Benedetto a capire che bastava un po’ d’acqua per risolvere la situazione? Semplice: quell’uomo aveva passato tutta la sua vita nel mare. Il suo Mar Ligure. Ne aveva usato di corde di canapa! La corda di canapa, se secca, tende ad allungarsi, perdere di nervo, fino a sfilacciarsi tutta. Da bagnata, diventa più morbida e quindi più elastica.

A San Remo è stato dato il suo nome ad una delle piazze più intime e più belle della città, dove si mangia buon pesce e dove ci si ritrova con la compagnia. La sua città natale, Bordighera, ancora oggi ricorda quell’uomo coraggioso e, la sua frase, che intitola questo mio articolo, è diventata per noi simbolo di forza e positività nelle situazioni della vita in cui bisogna dare il massimo e dove bisogna assolutamente trovare una soluzione.

Daighe l’aiga ae corde – anche voi topini, sempre, e non mollate mai. Un bacione grande.

M.

Sant’Ampelio e i suoi scogli particolari

Oggi, non siamo nella mia Valle.

Sono passata per di qua e, questo posto, mi ha talmente colpito che volevo farlo conoscere anche a voi.

No topi, in realtà venivo a giocare davanti a questo mare fin da cucciola.

Siamo a Bordighera e, alla sera, in estate, almeno una volta al mese, si veniva in questa cittadina a mangiare l’anguria fresca, all’aperto. Vicino a questo chiosco che vendeva cocomeri a fette, una chiesetta.

Una piccola chiesa che ho sempre ritenuto molto affascinante e non sono la sola se si pensa che è il luogo più ambito per matrimoni e cerimonie.

Ebbene, ecco perchè ho deciso di scrivere un post su: Sant’Ampelio.

Ha fatto parte della mia infanzia e ora, quindi, deve far parte anche del mio blog. Mi sembra giusto.

Mamma mia quanti ricordi! L’odore di salsedine, le luci, le rocce.

Oltre allo spettacolo che offre questo Santuario, romantico, bagnato dagli spruzzi d’acqua salata delle onde e illuminato da luce fioca, cosa mi piaceva tantissimo erano gli scogli sul quale era appoggiato.

Erosi dal mare, formavano delle buffe forme e… parevano pezzi di gruviera. Tutti bucherellati e consumati.

Un piccolo ponticello permette di visitarli tutti e di andare a ridosso del mare.

Il salmastro penetra anche nelle ossa, è quasi come essere a bagno.

In questa chiesa, che contiene le spoglie del religioso eremita Ampelio, ci si può entrare ovviamente solo di giorno. Io, sono sempre venuta di sera e, dentro, non l’ho mai vista ma dicono sia bellissima. Di sera comunque ha un fascino incredibile! La cornice illuminata di Ospedaletti e San Remo, dietro di lei, sulla costa, la rendono una fantastica cartolina.

Qui nei dintorni, da Imperia alla Francia, questo posto lo conoscono tutti.

E’ davvero particolare; la sua atmosfera è particolare e unica.

Questo è proprio il luogo perfetto dove portare la fidanzatina o per giurare amore eterno. Ampelio, non si fa problemi, ne ha già ascoltate di tutti i colori e in tutte le lingue.

E allora, cosa aspettate topini? Se siete sognatori e sentimentali, portate qui le vostre topine e state certi che passerete un momento idilliaco che rimarrà per sempre nel cuore della vostra amata.

Dal wedding planner di Pigmy, un saluto e alla prossima!

M.