Dalla Crocetta del Monte Grai

Ci siete mai saliti sulla vetta del Monte Grai Topi?

Noooo?! Come no?! Non ci credo… ma comunque vi ci porto lo stesso e vi ci porto attraverso un magico viaggio che tocca tutte le stagioni dell’anno perché, anche questo luogo, è sempre splendido.

Per arrivare in cima a questo monte alto 2.012 mt e godere di un panorama fantastico ammirando gran parte della Val Nervia, della Francia, il mare e tutta la Valle Argentina, si può passare da diverse strade sia a piedi che con la Topomobile… ma dev’essere una Topomobile adatta. Lo sterrato è molto sterrato!

Andiamo su questa enorme cupola, ricca di natura, che sorge sulla cresta del confine italo-francese.

In questa immagine invernale potete vederlo bene. E’ quello più a destra. Gli altri due sono i suoi vecchi amici con i quali forma un famosissimo trio: Il Monte Toraggio (1973 mt) quello più a sinistra e il Monte Pietravecchia (2038 mt) quello al centro.

Si può passare dal Passo di Collardente, arrivando a lui dalla zona di Marta, oppure da Colle Melosa e, da qui, sono due i cammini da poter intraprendere.

Il più grande e forse anche più comodo è la ex strada militare, carrozzabile, che si può percorrere anche in auto, mentre l’altro è un sentiero che sale un po’ più ripido (ma è molto panoramico) il quale si può vivere solo zampettando poiché molto stretto e in salita.

Entrambi i percorsi vi porteranno al noto Rifugio del CAI situato sotto la vetta del monte, a circa 1920 mt d’altitudine.

Si tratta di un Rifugio incustodito. Sembra un grande casermone. E’ un edificio grigio e rettangolare con tante finestre.

Una parte è totalmente abbandonata, l’altra parte invece, dovrebbe essere attrezzata per ospitare gli escursionisti.

La larga mulattiera non asfaltata ci passa proprio davanti zigzagando come un sinuoso serpente tra i monti più affascinanti della Liguria.

Qui vive un’allegra famigliola di Gracchi Corallini e ho detto Corallini non Alpini!

C’è differenza? Certo!

Gli Alpini sono molto più soliti e, infatti anch’essi abitano queste zone… ma i Corallini, invece, sono un po’ più rari… e più presuntuosi! Oh si! Hanno un caratterino con il quale potrebbero tranquillamente andare d’accordo con la mia nemica-amica Serpilla la Ghiandaia.

Ma la vera differenza tra i due è che i Gracchi Alpini hanno il becco giallo, come quello che vedete in foto, mentre i Corallini lo hanno di un bell’arancio vivace.

Ma torniamo alla nostra meta.

Oltre ai Gracchi sono davvero tantissimi gli esemplari di Fauna e Avifauna che possiamo incontrare in questa zona: Camosci che si arrampicano ovunque, simpaticissime Donnole, Grifoni durante l’estate e i Corvi Imperiali che, anche loro, come i cugini Gracchi, sorvolano questi cieli ogni giorno.

Questo territorio è splendido. Il panorama si mostra entusiasmante già dopo aver percorso i primi metri e, una volta arrivati in cima, è davvero tutto indescrivibile.

E’ come essere sopra al mondo intero.

Sarà una piccola e anche un po’ instabile crocetta in legno ad accogliervi.

Una crocetta trattenuta da un ammasso di pietre.

Su di lei sono state incise le seguenti lettere “M. GRAI – 2012”, nome e altezza di questa montagna che è una delle più alte di tutta la Valle Argentina.

Sono entusiasta, ho conquistato un’altra preziosa meta.

Ma qui non c’è solo la vista che può sconfinare fino all’infinito, come caratteristica spettacolare.

Anche la Flora regala il meglio di sé nonostante un terreno severo.

L’Astro Alpino, lo Sparviere Lanoso, il Semprevivo, il Timo… sono tanti e presenti con i loro colori sgargianti: lilla, fucsia, giallo, viola!
E quante Farfalle attirano!

Sembra davvero di essere in una fiaba! Le Farfalle sono tantissime e anche i Grilli e le Cicale, le quali iniziano a cantare in tarda mattinata.

I boschi di Conifere appaiono qua e là regalando un po’ di ombre e un profumo salubre e balsamico.

Si tratta prevalentemente di Larici. Ma qui sappiamo esserci anche l’Abete Bianco, il Rosso e il Pino Nero.

Nonostante tutta questa bellezza di vita, non si può però non dare uno sguardo più significativo al suggestivo panorama che si apre generoso davanti ai nostri occhi.

La prima cosa che colpisce è sicuramente la Diga di Tenarda.

Questo lago artificiale degli anni ’60, in questo periodo afoso, appare in secca a causa della siccità. Lo avevate mai visto così asciutto?

Tutta la Catena Montuosa del Saccarello si staglia di fronte a me limitando la parte opposta della Valle Argentina rispetto a quella nella quale mi trovo io. Vedere i miei monti tutti assieme mi apre il cuore.

L’antico e caro Gerbonte con le sue foreste che lo ricoprono e, in autunno, lo colorano di un foliage pazzesco…

Colle Ciaberta che presenta Carmo Gerbontina più avanti.

Sembra una cresta tagliente.

E naturalmente non posso non ammirare la bellezza di Triora che, vista da qui, sembra una pietra preziosa incastonata nei monti.

Adagiata come in una culla.

Tutto è meraviglioso e, come vi ho detto a inizio articolo, lo è sempre, durante tutto l’anno. Per questo ci tengo a sottolineare una cosa molto importante: siamo in uno dei punti più belli della Valle sì… ma è anche uno dei più pericolosi.

In questa zona, a causa di un matrimonio tra le correnti e il gelo, in inverno si forma uno strato di ghiaccio molto spesso e ingannevole.

E’ un ghiaccio che, talvolta, perdura persino fino a giugno e questo avviene prevalentemente nel curvone dietro al Monte Grai, nel Vallone del Negré.

Il fatto che questo strato ghiacciato perduri così tanto, viste le belle giornate primaverili, fa credere di non essere poi così pericoloso dato il tepore del sole; ma, in questo punto, il sole non riesce a scaldare.

Spesso l’ultima neve sembra soffice e percorribile ma non fatevi ingannare poichè sotto di essa resiste una patina ghiacciata da non sottovalutare assolutamente. E… se si cade da lì… si hanno davvero poche speranze.

Bene, penso di avervi detto tutto riguardo questo paradiso.

Non mi resta che andare a preparare il prossimo articolo.

Vi mando uno squit-bacio e vi aspetto per il prossimo tour.

La spettacolare fioritura dei Rododendri sul Saccarello

Allora Topi,

intanto, per cominciare bene questo magnifico tour, dovrete tener presente una cosa: ogni immagine che vedrete di questo post, contenente delle macchie scure di vegetazione sul verde brillante dei monti, immaginatela completamente… rosa!

Rosa! Sì! Perché oggi vi porto sulla cima più alta della Liguria, sul Monte Saccarello, a 2.202 mt di altitudine per mostrarvi le straordinarie fioriture dei Rododendri selvatici che ricoprono gran parte dei pascoli di queste montagne.

Uno spettacolo unico e dalla bellezza indescrivibile del quale si può godere durante i mesi di Maggio e Giugno.

Infatti, come vi anticipavo, molti Rododendri non erano ancora sbocciati quando ho fatto le foto e non è che posso salire sul Saccarello tutte le settimane (!) quindi… con un po’ di fantasia, come vi ho suggerito, colorate di rosa quei cespugli non ancora in fiore. Oppure, zampe in spalla, recatevi di persona nel – paese delle meraviglie -!

In realtà non troverete distese infinite di questi fiori sulla cima di questo monte ma, naturalmente, tutto intorno e sulle sue pendici.

Sono su un confine. Da una parte posso ammirare la bellissima Val Tanarello, i paesi di Monesi e Piaggia e le dolci sfumature che li circondano, dall’altra parte posso provare vertiginose sensazioni osservando la Valle Argentina, più severa ma altrettanto splendida e i paesi di Verdeggia, Realdo e Carmeli.

Nonostante il mio anticipo, posso comunque mostrarvi questa tinta sgargiante che ha già iniziato a manifestarsi rendendo questo ambiente fantastico.

Permettetemi di descrivervela.

I miei occhi e il mio cuore non vedono l’ora di condividere con voi questo spettacolo!

Nel momento in cui i Larici si rivestono di tenerissimi aghi impalpabili, colorati di un verde molto chiaro e parecchi animali fanno capolino dopo il lungo letargo invernale, ecco che assieme alla Genzianella, ai Botton d’Oro, al Camedrio Alpino e al Non Ti Scordar Di Me, i Rododendri (Rhododendron ferrugineum) iniziano pian piano a sbocciare.

Il nome scientifico di questo splendido fiore riporta al rosso del Ferro e, infatti, le loro foglie, in alcuni periodi dell’anno, appaiono di color ruggine.

Il Rododendro è la pianta preferita dai Galli Forcelli o Fagiani di Monte, i quali si nascondono dentro a questi cespugli per poi uscire all’improvviso facendo spaventare chiunque stia camminando sereno per i sentieri montani.

Questo fiore ha un significato davvero importante: simboleggia il riuscire a intravedere le insidie e gli inganni della vita e, eventualmente, di chi ci circonda e crediamo erroneamente totalmente onesto.

Questo messaggio deriva da alcune specie di Rododendro che sono tossiche ma nessuno lo direbbe mai vista la loro bellezza che abbaglia.

Questo è il momento in cui i Grifoni fanno ritorno da paesi lontani e sorvolano l’intera Catena Montuosa del Saccarello ora vestita di rosa.

Passeranno qui tutta l’estate e la loro presenza contribuisce a rendere queste vette davvero speciali.

La statua del Redentore è immersa tra pascoli colorati e panorami che lasciano senza fiato. In estate, questi pascoli sono vissuti dai greggi che i pastori portano in alta quota e il cibo, a quel bestiame, non manca di certo.

Il rosa non è l’unico protagonista di questa bellezza.

I profili di queste montagne sono spettacolari.

Le rocce bianche, le conifere ritte come soldatini, gli uccellini festosi.

Questo angolo di mondo è ovviamente stupefacente anche in inverno ma in primavera, con tutte quelle tinte vivaci, si mostra come una fiaba.

Percorrendo i crinali dal Saccarello a Cima Garlenda si cammina su un morbido tappeto di velluto. Questa tenera erbetta è una leccornia per i Camosci che vivono qui e non aspettavano altro.

Ma questa è terra anche di predatori che non giungono solo dal cielo come le Aquile Reali che, in primavera, mirano ai piccoli Capretti… bensì anche da terra. Sono i Lupi.

Terra bella e selvaggia.

Qui la natura pullula di vita… di nuova vita e questa rinascita è palpabile sotto ogni suo aspetto.

Questi monti parlano e raccontano di quanta bellezza c’è a questo mondo e non si può rimanere indifferenti davanti a tanto splendore.

Ogni volta che vengo qui mi sento fortunata. E’ come essere in un luogo terapeutico che fa del bene al fisico e allo spirito.

Perciò… no… sicuramente non posso venire quassù tutte le settimane, perchè la Valle Argentina voglio farvela conoscere tutta quanta… ma di certo, questa è una zona che mi vede spessissimo sgattaiolare tra i suoi prati infiniti.

E spero tanto che vi sia piaciuto sgattaiolare con me.

Vi aspetto per il prossimo magico luogo nel quale vi porterò. Nel frattempo, se potete, seguite il mio consiglio: non perdetevi queste fioriture! Andate a godervele dal vivo.

Un bacio, la vostra Topina.

Particolari emozioni tra i ruderi di Drondo Inferiore

Che meraviglia! Che meraviglia! Oggi Topi vi porto in un luogo che considero fantastico!

Molte volte vi chiedo di seguirmi in zone della Valle che raccontano di una vita passata che non esiste più. Spesso si tratta di avvenimenti militari, leggende legate alla stregoneria, il significativo operato di personaggi religiosi ma, oggi, tutto questo non c’entra.

Non c’entra perché questa volta andiamo a vivere “semplicemente” quella che era la vita in Valle Argentina fino agli anni del dopoguerra. Una vita fatta di contadini, terrazzamenti, la quotidianità di un tempo, il sole, le case di pietra…

E che sensazioni indescrivibili ci aspettano!

Credetemi… non posso non immaginare una donna, con la sua pitocca scura e u fudà (il grembiule) infornare del buon pane nel forno comune, non posso non immaginare un uomo uscire al mattino per dirigersi nei suoi campi; piedi che affondano in questo tappeto di foglie secche e ricciolute, sacchi di patate riposti nelle caselle, grida di richiamo da una fascia all’altra che echeggiano per tutto il fondovalle.

E’ impossibile non fantasticar su tutto questo e sapete perché? Perché andiamo a Drondo Inferiore cari amici! E questo significa fare un salto in un passato che poche volte si mostra così evidente.

Drondo Inferiore, oggi completamente disabitato e riconoscibile solo grazie ai ruderi rimanenti, è una piccola frazione di Creppo che sorge nei pressi delle pendici del Monte Gerbonte.

Siamo in Alta Valle Argentina e il termine – Inferiore – ci fa capire che sicuramente c’è anche una parte più sopra chiamata – Superiore – e infatti è proprio così. Di quest’ultima zona resta però davvero pochissimo, per questo vi porto prima qui, in zona Sottana. L’altro Drondo ve lo farò conoscere un’altra volta.

Per arrivare in questo nucleo fantasma serve prendere il sentiero che scende dalla strada principale subito dopo Creppo oppure, proprio da Creppo, prendere la mulattiera che và verso il torrente e si congiunge poi con questa stradina in mezzo al bosco nella quale camminiamo oggi.

Si tratta di un bosco meraviglioso. Faggi, Noccioli e Abeti mi circondano ma sono, senza ombra di dubbio, i maestosi Castagni secolari ad attirare maggiormente la mia attenzione. Non bastano cinque uomini per abbracciarli sapete?

Sì, alcuni sono davvero enormi e rinfrescati da Muschio e Felci.

Altri invece sono molto vecchi, secchi e sono stati attaccati da funghi e parassiti. Sulla loro corteccia generosa zampettano insetti di ogni tipo e parecchi uccelli e roditori hanno costruito la loro tana.

E’ un bosco magico. La Primavera esulta attraverso Violette, Anemoni e Primule e il sentiero è pulito e pianeggiante. Adatto a chiunque.

Tutti quegli alberi sembrano schiere di soldatini messi in fila e, grazie a diverse indicazioni, capisco che da qui posso dirigermi in diversi luoghi.

Potrei andare sulla vetta del Gerbonte o a Borniga, potrei tornare verso Creppo e ammirare il suo ponte antico oppure, come ho detto, proseguire per Drondo attraversando il Rio Infernetto che mi accompagna strada facendo.

Il suono delle sue acque che scorrono sembra a volte silenziato dal canto degli uccelli vivaci che vivono in questa fitta macchia e non stanno zitti un secondo!

Santa Topa, non riesco neanche a scrivere con il baccano che fanno… Vabbè, tanto lo sanno che li adoro e se ne approfittano…

Picchi, Cince, Ghiandaie e Fringuelli se la cantano allegri che è un piacere ma, più avanti, risalendo verso i confini a Nord della Valle, lasceranno il posto a Gheppi, Poiane, Falchi e persino ai Bianconi nella giusta stagione.

Anche Drondo ha un suo ponte e devo attraversarlo per arrivare alle case ma, qui, una sosta è d’obbligo.

L’acqua che scorre sotto di lui è quieta e passa tra grandi massi brillando sotto il sole.

E’ un ponte in pietra così come le fasce che posso iniziare a intravedere.

L’edicola di una Madonnina avvisa che si sta giungendo a un centro abitato dove, un tempo, poteva ricevere preghiere da chi, ogni dì, le passava davanti.

Anche in muretti che racchiudono queste coltivazioni sono in pietra e, immediatamente, mi faccio domande sulla fatica che è stata consumata per poter avere da mangiare.

Passo sopra a quell’arco sospeso nel vuoto. Ora il sentiero si modifica leggermente.

Dei grossi gradini di pietre e radici mi conducono un po’ più su e la vista di alcuni vecchi ripari mi fa procedere con sempre più entusiasmo. Ci sono quasi.

Attorno a me il verde nuovo gareggia con il marrone dell’autunno scorso che l’inverno non è riuscito a spegnere.

Salgo ancora una rampa, sorpasso qualche tronco sceso che forma portali e…. eccomi!

Le prime case di Drondo si mostrano davanti a me sul ciglio di un corridoio calpestato chissà quante volte, in passato, da chi qui viveva.

Alcune porte sono aperte e io sono elettrizzata.

Ci sono delle inferriate alle finestre, alle poche rimaste, e molti oggetti dentro e fuori queste costruzioni.

Pare che qui la gente abbia vissuto fino alla Seconda Guerra Mondiale ma la presenza di pali della luce e cassette delle lettere indicano anni decisamente più recenti.

Anche la fantasia dei rivestimenti sembra la classica degli anni ’70.

<< E’ permesso?! >> domando a quello che sembra essere il nulla ad un primo sguardo. Non posso entrare perché quelle dimore sono parecchio distrutte e malconce ma posso affacciarmi ai loro usci e non vorrei dar fastidio a Pipistrelli o Merli che si sono appropriati di queste costruzioni.

Letti in legno, a una piazza e mezza come si usava una volta… damigiane, piastrelle, scarpe, armadietti dei medicinali… c’è di tutto e c’è anche tanta tanta natura che adesso ha preso il sopravvento.

L’edera si aggrappa a quei muri con tenacia mostrando tinte vivide e venuzze quasi fosforescenti.

Ma da chi sono state toccate quelle pietre prima del suo nascere? Da un anziano che si appoggiava per riposare prima di riprendere il suo cammino? Da un bimbo che giocava a nascondino con i suoi compagni? Da una signora che ci sbatteva contro la sua ramazza per pulirla?

Grandi alberi sono nati all’interno di questi bareghi (ruderi) e hanno distrutto intere pareti.

I Rovi si sono presi la briga di riattivare il DNA di quel terreno indebolendo così le strutture dell’uomo e la maggior parte dei tetti sono crollati mostrando grosse travi di legno che sembrano in bilico.

Mi faccio largo in mezzo a quella vegetazione e salgo scalini tra le case.

Dove una volta c’erano finestre ora ci sono semplici aperture dalle quali i raggi del sole non faticano ad entrare.

Avrete notato che vi ho nominato il sole già diverse volte e adesso vi spiego il perchè.

Una delle cose che più mi ha rapita, pur conoscendo bene l’intelligenza dei miei predecessori, è proprio osservare come i borghi venivano costruiti in base alla presenza della Grande Stella.

Prima e dopo l’abitato di Drondo il bosco è fitto e la strada curva verso fondovalle costeggiando il rio.

Tutto è ombroso, umido… alte rocce delineano il passaggio di piccole cascatelle, il ghiaccio in certi punti persiste… ma non qui a Drondo, non qui dove sorgono le case che vengono baciate dai raggi del sole per lungo tempo durante la giornata.

Eh… mica stupidi i nostri avi!

Continuo a salire tra quelle rovine e giungo a quella che era la costruzione più importante di un’intera borgata: il Forno.

E’ piccolo ma splendido. Realizzato con mattoni pieni e cemento.

Oggi alcune piante lo stanno ricoprendo ma lui continua ad esistere perfetto e intatto.

Salendo per la stradina che passa dietro a questo forno si possono raggiungere Drondo Superiore e Borniga mentre continuando per il sentiero si arriva sulle rive del Rio Infernetto.

Diversi terrazzamenti pianeggianti, un tempo coltivati, mi accolgono. Ci sono parecchi alberi anche qui. Le punte più tenere dei loro piccoli rami appaiono rosicchiate, probabilmente sono tanti i Caprioli che frequentano questo paradiso.

Oltrepassando quelli che erano gli orti di Drondo giungo al rio e alzando gli occhi al cielo posso ammirare le alte falesie della mia Valle. Sono spettacolari e abitate da numerosi Camosci.

Avanzo ancora e, dopo essere scesa, adesso risalgo. Mi guardo intorno, sono nel bel mezzo di un territorio incredibilmente selvaggio. Il Gerbonte si staglia davanti a me, ci sono delle grotte tra le rocce nude e poi ginestre, foglie dorate, sassi bianchi.

Starei qui per ore ma, per oggi, il mio topotour è giunto al termine. Devo far ritorno in tana.

Girandomi per tornare posso vedere Creppo. Da qui non l’avevo mai visto. E’ bellissimo. Una manciata di case sul crinale di una montagna.

Non è lontano. Posso raggiungerlo in poco tempo.

E allora, con un goccio di dispiacere, lascio questo luogo antico e disabitato ma ancora pieno di vita. Una vita sottile da percepire.

Grazie Drondo per le belle emozioni che mi hai regalato nonostante il silenzio (assai apprezzato) che ti avvolge.

Però voi adesso non restate fermi a fare i patetici, dovete prepararvi per la prossima passeggiata che percorreremo a breve.

Su su! Forza… andate a sistemarvi che arrivo e partiamo!

Squit!

Monte Corma – la Natura che avvolge

Oggi Topi sconfiniamo un pochino…

Andiamo su un monte che si trova sul confine della Valle Argentina ma è in realtà già in Val Nervia.

Andiamo sul Monte Corma.

Non è considerato altissimo ma raggiunge i 1.556 mt. con la sua vetta boschiva e frastagliata ed è davvero particolare.

Avete voglia di un contatto “ravvicinato” con la Natura senza faticare troppo? Volete vedere da vicino Funghi, Insetti, Piante, panorami e quant’altro? Questo è il posto che fa per voi.

Per raggiungerlo serve arrivare a Colla Melosa. Il Monte Corma è il rilievo che vedete proprio dietro il noto Rifugio Franco Allavena.

Attorno a lui si sviluppano altri rilievi, come Colle della Sella, sui quali Gracchi e Camosci conducono la loro vita in totale libertà tra rocce nude, boschi di Larici e antichi sentieri militari.

In Base alle annate potete trovare molta neve, d’inverno, da queste parti.

Da Molini di Triora basta seguire le indicazioni per Carmo Langan e una volta raggiunto il bivio “Pigna – Colla Melosa” occorre salire appunto verso Melosa, a destra.

Siamo vicini alla Diga di Tenarda e, di fronte a noi, si stagliano il Monte Toraggio, con le sue guglie aguzze (1.973 mt) il Monte Pietravecchia, un monte assai antico (2.038 mt) e il Monte Grai che lo si riconosce bene con il suo Rifugio del C.A.I. incastonato quasi in cima alla vetta (2.012 mt).

E’ un sentiero che costeggia il Rifugio Allavena a condurre sul Monte Corma.

Un sentiero pianeggiante e adatto a chiunque, persino ai Topini.

L’erba soffice posso percepirla bene sotto le zampe e la terra mi accoglie ricca di ciuffi che delineano il sottobosco.

Le conifere mi circondano e, alla fine dell’estate, qui, si può persino trovare qualche Amanita Muscaria conosciuta anche con il nome di Ovolo Malefico. E’ appariscente ma velenosissima, fate attenzione.

Il rosso delle bacche di Sorbo selvatico è l’unico colore che ravviva in questo corridoio.

Questa zona è spesso umida a causa della nebbia e della foschia che possono sorgere anche durante i periodi più caldi, salendo dall’abisso che circonda il Monte.

Gli alberi sembrano enormi spade conficcate nel terreno. Spade dalle else ben adornate, spade di antichi giganti e grandi Re.

I Licheni, assai presenti sulle cortecce di queste alte piante, che hanno il compito di mantenere l’idratazione della pianta, non fanno molta fatica a svolgere il loro lavoro.  

Una volta raggiunta la cima del monte si ha una visione spettacolare sul Toraggio e sul Pietravecchia ma è molto pericoloso affacciarsi da qui anche se il panorama chiama.

Il dirupo è formato da rocce, arbusti e rovi che possono tradire.

Si può vedere anche il Vallone dei Camosci, così chiamato proprio per via della presenza di queste splendide creature che vi ho nominato prima ma, come ho già detto, è bene essere molto prudenti.

Meglio starsene al di qua della staccionata, nella radura, o seduti su questa particolare panchina in legno che permette di godere della pace e dell’atmosfera tranquilla che avvolge questo luogo.

Un’atmosfera resa davvero particolare soprattutto dalla presenza di numerosi formicai che assomigliano molto a quelli che si possono trovare sul Monte Gerbonte.

Si tratta di formicai veramente grandi. Incredibilmente grandi. Spesso a forma di cupola.

Le Formiche, se non erro, appartengono alla specie Carpentiere (Camponotus ligniperda). Sono enormi anche loro. Con il torace rosso e la testa e il ventre neri.

Gli aghi dei Pini e la terra diventano i materiali principali per costruire queste grandi tane… decisamente più grosse della mia!

Su di loro c’è un viavai impressionante. Lo sapete che pare ci siano all’incirca 1.000.000 di Formiche per ogni essere umano sul Pianeta Terra? Sì! E pare anche che il peso di tutte le Formiche del mondo equivale al peso della popolazione umana mondiale. Questi dati sono stupefacenti ma qui, sul Monte Corma, posso iniziare a capire cosa significhino questi calcoli.

Ho davanti ai miei occhi delle quantità eccezionali di questi insetti.

Non abbiate comunque fastidio o timore. Se ne stanno pacifiche accanto ai loro formicai. Saranno altri gli insetti che verranno a curiosare per vedere chi siete… ma sono innocui – Parola di Topina -.

D’altronde, sul Monte Corma, il sottobosco è veramente molto ricco.

Il Monte Corma offre passeggiate in tranquillità adatte a tutta la famiglia e offre anche soste all’interno del bosco per ristorarsi della bellezza che circonda.

Alcuni tronchi sembrano troni adatti a Topine Regine e quando si sta seduti lì, nel silenzio, non è difficile scorgere qualche Poiana appollaiata sui rami più alti di quei Larici che fanno ombra.

Infatti, ora… io mi riposerò un po’ ma voi no! Preparatevi immediatamente per il prossimo tour perché sarà magnifico e in Valle Argentina!

Io vi mando un topobacio e vi aspetto…

Il Camoscio – superare i propri limiti proteggendo l’amore

Cari Topi, oggi ho intenzione di presentarvi un altro dei tanti miei amici e, per farlo, andrò alla ricerca del mio solito mentore che conosce ogni più piccolo segreto sugli animali; il mio caro Lupo Odoben Malcisento.

Ve lo ricorderete, immagino, il Generale di Corpo d’Armata del branco ehm… del I° Scaglione della Valle Argentina? Come no? Beh, allora potete andarlo a conoscere in questi due articoli che avevo scritto tempo fa sul Biancone https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/12/09/il-biancone-la-forza-del-guerriero/ e sul Capriolo https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/27/il-capriolo-la-sua-vita-e-quella-di-tutta-la-natura/ se vi interessa sapere tutto, ma proprio tutto, su alcuni animali della mia bella Valle.

Io, intanto che voi leggete, mi appropinquo a cercarlo, starà sicuramente facendo qualche esercitazione sul Garlenda… anzi… starà facendo – FARE – qualche esercitazione sul Garlenda.

A chi? Ovvio, al branco che con infinita pazienza lo ascolta per assecondarlo! E’ ancora convinto di essere in guerra quello! Santa Ratta! Che pazienza ci vuole a volte! E tu guarda se deve farmi fare ‘sta salita ogni volta che lo cerco!

Puff! Pant! Oh, meno male che lo sento! E’ proprio laggiù, avevo pensato bene, tornare indietro sarebbe una faticaccia… Lo sentite anche voi vero?

<< Forza! Branco di spelacchiati! Avaaaaaantiiiiii! March!!!! >>

Non cambierà mai… << Generale Odoben! >> finalmente mi sono ricordata di chiamarlo con il suo titolo, ci tiene molto, guai se lo scordo. << Generaleeee!!!! >>. Sempre sordo come una campana!

Niente, devo andargli sotto il muso.

<< Generale! >>

<< Piccola Ratta rammollita! Cosa ci fai qui?! >>

A volte gli azzannerei la coda per come mi chiama poi si che se ne accorgerebbe di quanto io sia rammollita << Generale! Buongiorno Generale! Signorsì Generale! Po- potrei disturbarla un secondo esimio? >>

<< Mhmm… Sai che non amo essere interrotto durante un’esercitazione roditore, ma è un po’ che non ti vedo in effetti… attendi sull’- Attenti -, metto la mia squadra a riposo >> brontola << Battaglion! At – tenti! Ri – poso! Eccomi denti lunghi, sono tutto tuo >>

Sgrunt! Più invecchiava e più diventava insopportabile.

<< Avrei tanta voglia di raccontare, ai miei amici umani, di un nuovo animale! >>

<< Un canale? Che canale?! Televisivo? >>

La sua sordità era proverbiale in Valle Argentina ma riusciva sempre a stupirmi! << A-ni-ma-le! Animale Odoben! >> urlai.

<< Ah! Animale! E di quale animale vorresti parlare? >>

<< Del Camoscio! >>

<< Puah! Quel quadrupede smidollato! >>

<< Mi scusi se mi permetto di contraddirla Signore ma non definirei uno smidollato un animale che si butta giù a rotta di collo per crinali impervi e impraticabili dalla maggior parte di noi! >> pronunciai con un tono quasi imperativo

<< Bof! Se ti bruciasse la punta della coda dalla paura lo faresti anche tu Topo storto! >> boffocchiò.

Era inutile discutere con lui…

Provai a insistere però << Sarà anche timoroso ma, nel linguaggio della Natura, egli indica che ci sono diversi ambiti della propria vita nei quali ci si sente al sicuro vero? Esso stesso è un gran protettore verso chi ama, verso i luoghi a lui cari ed è disposto a fare di tutto pur di aiutare nel momento del bisogno >>

<< Sì, è vero. Tanto pauroso fisicamente, quanto impavido nei sentimenti… una contraddizione, ne convieni? >>

Lo lasciai dire.

Per osservare il Camoscio da un punto di vista spirituale occorre indirizzarsi alla Capra che, in ambito totemico, ha molto da dire su di sé. La Capra, infatti, è l’emblema del “riuscire”, del raggiungere (metaforicamente parlando) altezze del nostro essere che non si credevano possibili. Racconta delle potenti energie della Natura e indica anche un essere un po’ capriccioso ma, su tutto questo, Odoben, era poco istruito.

Compensava però con tutto il resto del suo sapere. Conosceva i movimenti del Camoscio come fosse esso stesso un Camoscio.

So che a molti umani in ascolto, ciò che sto per svelare farà rabbrividire, ma chissà quanti ne ha cacciati in gioventù per sfamarsi!

Eeeeh… lo so, dispiace anche a me, ma sono le leggi del bosco e della Natura tutta… cosa devo dire io, allora, quando i Gufi non mi riconoscono e mi rincorrono finché non sentono la mia voce? Non voglio neanche pensarci, fatemi cambiar discorso per favore…

<< Qual’è la qualità più grande di questo animale, secondo te, Odoben? >>

<< Beh…  quella di cui parlavamo prima. ‘Sto capretto tremolante non lo ammiro granché ma devo ammettere che come riesce a correre e a saltare sulle rocce lui, nessun altro è in grado! Una saetta anche nei luoghi più impervi! Pensa che, per la sua agilità, lo associano all’Antilope >>

<< È vero! È incredibile vederlo muoversi velocemente tra i massi, come faccia non lo so… incanta! >>

<< Beh, più che cantare, il Camoscio, soffia o fischia… >>

<< In – canta! >>

<< Ah! Sì, incanta, ma non bisogna rimanere incantati a guardarlo! Spesso, quando galoppa prorompente sui crinali, fa cadere pietre molto grosse in basso e chi è sotto rischia di prendere un grosso sasso in testa. Pericolosissimo! >>

Il Generale aveva ragione. Ho visto anch’io, sovente, pezzi di roccia staccarsi e rotolare violentemente in giù, sotto gli zoccoli dei Camosci durante le loro veloci corse. Ma le loro pazze discese restano affascinanti, soprattutto in inverno, quando il ghiaccio e la neve rendono ancora più ostici certi percorsi.

Sul manto bianco, inoltre, quelle bestiole si vedono meglio. Si mimetizzano di più, con il territorio circostante, durante la bella stagione.

Vero? Chiesi per sicurezza

<< Assolutamente. Il colore del loro pelo cambia. In inverno è di colore bruno, parecchio scuro, e composto da due tipi di pelo, un tipo più ruvido e uno, sottostante, più lanoso. In estate invece, resta maggiormente quello più ruvido e più esterno, il quale si schiarisce divenendo grigiastro, arancionato >>

Ero contenta di non aver detto stupidaggini.

Il Camoscio, chiamato scientificamente Rupicapra rupicapra proprio perché ungulato appartenente alla famiglia dei Bovidi e molto simile alla Capra, deve molto al suo mantello che lo protegge dal clima, dai rovi e persino dagli attacchi di alcuni predatori. E se vi parlo del suo mantello non posso non nominarvi anche le sue corna.

Le corna del Camoscio, seppur piccole e ricurve, sono perenni, mentre i palchi dei Caprioli e dei Cervi invece cadono con la muta. Questi uncini d’osso, sulla testa, presentano degli anelli sulla loro superficie e questi possono servire a comprendere l’età dell’animale. Difficilmente, però, superano la lunghezza di 30 cm circa.

Si parlava con Odoben di quanto male possa fare un colpo preso da quei cornini che sembrano piccoli e sottili. Sarei stata ad ascoltarlo per ore ma non potevo più trattenermi, dovevo rintanare, scendere giù dal Garlenda, di notte, non è mica così semplice sapete? Decisi quindi di salutarlo.

<< La ringrazio Generale! Come sempre è stato bellissimo parlare con lei! >>

<< Devo dire che, nonostante tu mi abbia disturbato, inutile roditore, sono stato anch’io volentieri a parlare con te >>

(Sempre gentilissimo).

Bene Topi, ora corro in tana a scrivere tutto quello che ho scoperto oggi così potete leggerlo con calma e, nel mentre, potete guardare anche due immagini di questo animale splendido che vive le nostre Alpi!

Vi mando un bacio leggero… leggero come il salto di un Camoscio ma anche sincero quanto lui.

Alcune foto sono state gentilmente concesse da Andrea Biondo

Il Melo Selvatico e un Panorama Mozzafiato

E continuiamo con i panorami mozzafiato che regala la mia Valle cari Topi.

Questa volta andremo in un luogo meraviglioso. Una piccolissima radura che spunta dal bosco e diventa un punto panoramico fantastico.

Andiamo nei pressi del Monte Gerbonte, introducendoci attraverso uno dei suoi più romantici e sontuosi accessi.

Dove, in questo periodo, la vegetazione è talmente florida che sembra quasi di essere in una giungla.

Abbiamo sorpassato il paese di Realdo e abbiamo proseguito oltre Borniga dirigendoci verso Collardente. In un tornante però, una piccola insegna di legno recita: – Monte Gerbonte – e sarà qui che lasciamo la topo-mobile per proseguire a piedi appropinquandoci all’interno della macchia.

La radura nella quale vi porterò a breve, la si apprezzerà ancora di più dopo aver scavalcato per molto tempo Felci esagerate, rami che sembrano chiome e grandi fiori in mezzo al nostro cammino.

Uno splendore assoluto ma dopo aver percorso questo tempo racchiusi nel verde come ad essere dentro un uovo, si apprezza anche la vastità dello sguardo che, a breve, potrà spaziare per tutta la Valle Argentina.

Sì, avete letto bene. Vedremo la splendida Valle in tutta la sua bellezza. Continuate a seguirmi.

Siamo all’inizio del “Sentiero degli Alberi Monumentali” o, detto anche, “Sentiero dei Parvaglioni” (da Parvaiui e cioè Fiocchi/Farfalle).

Siamo in mezzo ai Larici vecchi ed enormi che vi avevo descritto qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/10/sul-sentiero-parvaglione-attraversando-ruscelli/ e, tra noi, svolazzano appunto Farfalle dipinte di ogni colore posandosi di fiore in fiore.

Non hanno che l’imbarazzo della scelta.

Anche nella radura ce ne saranno molte e alcune si adageranno su di noi per annusarci.

Una radura magica. Qui volano intorno al Melo che si trova in questo spazio verde e, come un Re nel suo Regno, questo Melo governa tutto quel mondo guardandolo dall’alto. Se ne sta lì, solitario, unico nella sua specie. E quando è fiorito è meraviglioso.

Se ne sta lì nella pace di quel promontorio guardato da altre piante che lo circondano da distante.

Un sorbo e altri Larici.

Accanto al suo tronco, a terra, alti ciuffi d’erba nascondono l’arrivo delle grandi Formiche che lo vivono. Sono le padrone del Gerbonte e tutto, in quella foresta, appartiene a loro.

Sul bordo del dirupo, che mostra una meraviglia assoluta, una grande pietra piatta permette di sedersi e ammirare quel territorio infinito. Davanti a noi si staglia la Catena Montuosa del Saccarello. Tutti i miei monti sono lì, davanti a me.

Si vede bene la statua del Redentore che spicca contro l’azzurro e le altre montagne che sembrano di velluto in questa stagione.

Si vede bene il paese di Borniga, un piccolo borgo di pietra che dorme appisolato nella pace più assoluta dell’Alta Valle.

Di fianco posso vedere il Gerbonte e gli alti fusti degli alberi che lo ricoprono.

Stare seduti vicino a questo Melo è qualcosa di meraviglioso. I pensieri ci abbandonano e solo la meraviglia prende posto negli occhi e nel cuore.

Lui è sempre lì. Di giorno, di notte, in inverno, in estate. E osservarlo ogni volta significa comprendere tutte le stagioni che passano liete.

Per arrivare sin qui siamo passati attraverso Conifere particolari. Non ci sono solo i Larici ma anche gli Abeti: il Rosso e il Bianco.

Si possono notare diversi Licheni sulle cortecce di queste piante. Sono utili organismi che assicurano all’albero una continua idratazione. Alcuni, i più bisognosi, ne sono totalmente ricoperti.

Per chi non è abituato a camminare, questo percorso che non è lungo ma neanche brevissimo può richiedere qualche minuto di sosta, di tanto in tanto, ma posso assicurarvi che è fattibilissimo da chiunque, anche dai piccoli Topini e merita veramente se poi si arriva in questo spicchio aperto che regala cotanta meraviglia.

Volendo proseguire oltre la radura si arriva, da come avrete capito, fin sul Gerbonte ma per chi vuole passare una semplice domenica a contatto con la Natura, senza affaticarsi troppo, qui ha già trovato ciò che cercava.

Mentre camminate cercate di non far rumore. In diversi luoghi di questo bosco speciale vivono Caprioli e Camosci e vi potrebbe capitare di assistere a qualche lieto incontro.

Mentre, quando il cielo si apre dinnanzi a voi, sarà possibile ammirare i voli acrobatici di Poiane e Bianconi che lì vivono.

Cosa ne dite Topi?

Vi ho portato anche questa volta in un bel posto? Io dico di sì e allora vi auguro una buona permanenza in questo praticello che ha tanto da offrire.

Un saluto a tutti, alla prossima! Squit!

Alla Goletta dal Cristo Nero

Attraversiamo il noto ponte di Loreto, incredibile struttura architettonica sospesa della Valle Argentina, e ci dirigiamo verso la piccola borgata di Cetta. Qui, per questa strada, la natura è rigogliosa e tende a fare capolino per la via.

Prima di giungere alla frazione che vi ho nominato possiamo vedere, sulla nostra destra, salendo, un piccolo spazio erboso e l’inizio di un sentiero segnalato.

Le classiche indicazioni di legno che arricchiscono la Valle si trovano anche qui, mostrando, ben evidenti diversi nomi di luoghi.

Si tratta di un sentiero che si inoltra nell’ombra e viene immediatamente voglia di vedere dove può portare.

Vi avevo già parlato di questo percorso in mezzo al bosco qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/04/25/da-loreto-al-colle-belenda-tra-castagni-e-betulle/ ma, quella volta, vi portai fin su a Colle Belenda mentre oggi andremo alla Goletta. Cioè ci fermeremo prima, andando a curiosare cosa propone la balconata di rocce che troveremo e che si affaccia sull’Alta Valle.

Una piccola Lucertola sonnecchiante ci osserva da una catasta di legna. Un riparo per lei, comodo e caldo, ma noi si va avanti verso quella che sembra essere una bellissima casa in mezzo al verde con un bel prato davanti.

Da qui, non sarà difficile essere anche seguiti da un piccolo gregge di Capre (quando sono presenti) le quali, curiose e instancabili, decidono di passeggiare assieme a noi.

Il bosco si fa sempre più fitto e, tra le chiome dei primi alberi, è possibile scorgere immagini di Triora che sembrano delle cartoline.

Gli alberi di cui vi sto parlando sono soprattutto dei Castagni ma non sono Castagni normali. Sono enormi, secolari, antichi, saggi. Meravigliosi.

Quella via continua in salita passando tra di loro come un serpente che si muove a zig zag. Non è faticosa ma la si può definire già una “bella passeggiata” per chi vuole farsi un’escursione degna di essere nominata tale. Una passeggiata che porta anche a Case Goeta (Case Goletta) che potete sempre vedere nell’altro articolo.

Si tratta di un pugno di ruderi, un tempo abitati, che oggi, bui e vetusti, sono diventati nidi ideali di Chirotteri, Serpi e Topolini. Insomma, sono assieme a tanti amici.

Continuiamo a salire dove la macchia diventa ancora più buia e, con il verde cupo del muschio, ricopre ogni cosa. Questi angoli si trovano dentro a delle piccole gole profonde del bosco, luoghi che offrono anche rii freschi dalle acque smeraldine.

Il loro gocciolio è l’unico rumore che tiene compagnia.

Proprio vicino ad una di queste piccole cascatelle d’acqua possiamo notare una diramazione indicata da un altro cartello di legno sul quale c’è scritto “Il Grande Castagno” del quale invece vi raccontai in questo post https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/10/12/gli-insegnamenti-del-grande-castagno/

Essendoci già stati proseguiamo dritti dove ora quella natura maestosa si dirada lasciandosi maggiormente baciare dal sole e mutando. Dalle piante grandi e alte passiamo agli arbusti profumati e più adatti a rocce aspre come il Timo e la Lavanda sui quali Api e Farfalle svolazzano libere e leggere.

Siamo passati dall’oscurità alla luce, una sensazione bellissima.

Alcune rocce fanno da ringhiera ma attenzione a sporgersi, potrebbe essere pericoloso anche se bellissimo. La vista che infatti offrono è meravigliosa. Un panorama che lascia senza parole.

Possiamo vedere bene il Monte Grai con il suo rifugio incastonato quasi sulla sua vetta e, sotto di lui, il Monte Gerbonte che manifesta le tinte più forti dei suoi Larici monumentali.

Possiamo vedere anche il paese di Creppo, più in basso, sulla strada, e anche quello di Bregalla, più in alto, sui monti, con le sue belle e ordinate coltivazioni tutto intorno.

Sembrano delle righe disegnate su quella alta collina.

Davanti a noi, la parte più alta della mia splendida Valle si lascia ammirare in tutta la sua bellezza.

Queste rocce si trovano su un abisso vertiginoso che scende tantissimo mostrando pietraie amate dai Camosci e tanta flora, esagerata, giù in basso la quale offre habitat a parecchi animali selvatici.

Per questo, a sorvolare su quegli alberi laggiù in fondo, è spesso possibile notare rapaci come Poiane e Bianconi pronti a individuare una preda da poter mangiare.

I perimetri delle falesie attorno a noi sono frastagliati. Sopra a quella verde morbidezza ci sono le rocche più pungenti e questo connubio fa di quel tutto uno splendore.

Al centro di questa specie di terrazzo naturale, chiamato appunto la Goletta, in quanto si affaccia su una grande gola, l’uomo ha posizionato la piccola statua di un Cristo color dell’ebano come a proteggere qualsiasi viandante che passa di lì.

Questo Gesù da’ la schiena al vasto panorama, essendo girato con il viso verso il sentiero che abbiamo percorso, proprio come ad accogliere colui che giunge. Il suo colore scuro spicca in mezzo al giallo dell’Iperico che qui cresce generosamente brillando sotto al sole.

Siamo in alto e il silenzio è tutto da godere. La pace, la vista… che luogo incredibile!

Da come avrete capito dagli altri articoli, da qui, volendo proseguire, si può arrivare a Colle Belenda ma anche a Colle Melosa e si cammina sempre in mezzo alla meraviglia.

Io però adesso me ne sto un po’ qua a godere di tanta estasi e, nel mentre, penserò al prossimo articolo da scrivere per voi.

Vi mando un bacio panoramico… sarà il centesimo bacio panoramico che vi mando. Ulteriore dimostrazione che, da tanti punti, la Valle Argentina, offre viste mozzafiato.

Alla prossima!

Dal Tanarello al Saccarello – tra Pecore, Fiori e Montagne

Dopo un po’ di pausa, che mi è servita per andare in perlustrazione, l’escursione che vi porto a fare oggi è meravigliosa e non solo dal punto di vista panoramico.

Ecco, già vi sento che mi state accusando di essere ripetitiva ma cosa ne posso io se la mia Valle e i suoi dintorni sono di una bellezza unica? Giudicate voi stessi dalle immagini di questo articolo, noterete immediatamente che sto dicendo il vero!

Attraversando Passo Tanarello si giunge al Monte Saccarello, il monte più alto della Liguria (2.202 mt) e vetta imponente della Valle Argentina divisa con Piemonte e Francia. Ma prima dobbiamo arrivarci al Tanarello. Mi sembra ovvio.

Giungiamo in questo splendido luogo passando per l’Alta Valle dal piccolo paese di Realdo per poi proseguire verso Passo di Collardente e alla Bassa di Sanson.

Qui incontriamo un bivio. Siamo in un punto che ci permette di andare a Marta e quindi poi a Colle Melosa oppure al Passo della Guardia e al Garezzo ma noi, si va appunto, verso il Tanarello.

Si va quindi verso un valico delle Alpi Liguri che supera di poco i 2.000 mt s.l.m. un’ex strada militare totalmente sterrata.

Si può già vedere la nostra meta stagliarsi contro il cielo e, facendo attenzione, si nota persino la Statua del Redentore, verso destra, che sembra piccolissima da qui. Ebbene sì, dobbiamo arrivare fin lassù.

Sono le prime ore di una calda mattina e la rugiada non è ancora stata asciugata del tutto dai raggi del sole che la fanno brillare. Sembra di essere contornati da diamanti… queste sono le “ricchezze” della Natura.

Sono gli alberi a riparare queste goccioline dal tepore del sole e contribuiscono all’incanto.

Si tratta prettamente di Conifere attraversate dal sentiero che percorriamo, il quale poi diventerà uno sterrato dove è possibile anche passare con un’auto adatta.

Durante la primavera e l’estate il colore dominante è assolutamente il verde, non tanto degli alberi che si diradano sempre di più, ma soprattutto è il verde di una vegetazione florida e dei pascoli infiniti che si tuffano in discesa verso la Francia.

Il verde e il giallo dei fiori di campo. Un’immensità di giallo.

Nel periodo di giugno, questo verde è meravigliosamente contrastato dal rosa acceso dei Rododendri che formano come grandi laghi colorati e romantici su quei versanti incontaminati. I Rododendri non sono gli unici fiori presenti ma sono sicuramente quelli che più stupiscono vista la loro enorme quantità.

Anche le Orchidee selvatiche e i Non Ti Scordar Di Me sono numerosi e propongono varie totalità che non si incontrano sovente, senza tralasciare il viola vivo del Timo e le sfumature di tanti Funghi che, come pietre preziose, abbelliscono ulteriormente questo territorio.

Il colore dello smeraldo, dato da un’erba appena nata, mette in risalto il panna scuro delle pecore che brucano felici su quei prati.

Ce ne sono tantissime e ci sono anche Mucche e Cavalli per non parlare dei Camosci che si possono scorgere sulle creste più alte e più rocciose. Liberi e curiosi.

La Brigue si nota a fondo Valle e i monti che a sinistra vediamo, salendo, sono tutti francesi. Noi viaggiamo sul confine mentre, un tempo, questo era tutto territorio italiano che è stato poi diviso attraverso il Trattato di Parigi.

A perdita d’occhio si possono vedere profili montuosi dalla bellezza selvaggia e indescrivibile. Una meraviglia dalle punte azzurre e spesso baciate da nuvole dense.

La meta è vicina e continuiamo a salire fino ad arrivare in cresta. Una cresta dalla quale ora si può ammirare anche il versante ad Est e i paesi di Monesi e Piaggia. La divisione tra la Liguria e il Piemonte.

Tra le montagne meno aspre della Valle del Tanarello si distingue bene, bianca e serpeggiante, la strada che conduce ad una delle carrarecce più belle e conosciute d’Italia. Si tratta della Via del Sale, che congiunge le due regioni prima nominate e che su di sé ha visto passare soldati e mercanti.

Oggi sono i ciclisti, i centauri e gli escursionisti ad attraversarla e il panorama che offre è splendido.

Ma anche la vista che godiamo da qui non è niente male e, davanti a noi possiamo nuovamente notare la vetta del Saccarello simboleggiata da un obelisco in cemento. Siamo decisamente più vicini ora.

Un emblema però meno “sentito” rispetto alla vicina statua del Redentore conosciuta ovunque.

Chi lo desidera può ristorarsi al Rifugio “La Terza”, qui presente, e aperto durante la calda stagione.

Può rifocillarsi con tante squisitezze proposte oppure… per chi invece preferisce fare un pranzo al sacco… beh… lo spazio non manca di certo.

Si è contornati da monti e valli, ci si sente come in cima al mondo e gli occhi si affrettano a guardare tutto come se quel tutto dovesse finire da un momento all’altro.

Stando sulle creste adiacenti al Saccarello occorre fare attenzione a non sporgersi più di tanto. I dirupi sono davvero esagerati. Quel mondo va in discesa per presentare, laggiù in fondo, piccoli piccoli, i paesi di Verdeggia, Realdo e Borniga.

Sembrano finti visti da qui. Tutti quei tetti di grigio antico e quelle case incastonate tra gli spazi delle montagne. Come siamo alti…

Continuando più avanti, verso Passo di Garlenda, una cima che colpisce è quella del Monte Frontè con la sua Madonna Bianca a vegliare su quell’angolo di paradiso. Sembra vicino visto da qui, in realtà, per raggiungerlo, occorrerebbe fare una passeggiata per niente breve.

Noi abbiamo raggiunto questo luogo a piedi ma, ovviamente, si può salire anche in auto (con un’auto adatta) e quindi volendo si può poi decidere di proseguire per altre mete zampettando.

Un tour che consiglio a tutti, il quale può offrire una spensierata giornata familiare o una ricerca più tecnica del territorio o, per chi semplicemente ama la natura, un momento di relax e stupore. Le possibilità che regala sono diverse, quindi affrettatevi che l’estate sta per finire!

Io vi mando un bacio dalle più alte cime liguri e vi aspetto al prossimo articolo!

Continuate a seguirmi! Squit!

Nel Regno di ghiaccio – tra Garlenda e il Saccarello

Oggi, cari Topi, non vi porterò a fare una semplice escursione ma vi condurrò, assieme a me, all’interno di una fiaba. Una fiaba che ci regala la nostra splendida Valle. Una fiaba che ha inizio presso il Passo di Garlenda dove un potente Mago, attraverso un incantesimo, ha ghiacciato un intero Regno.

Tornerà a brillare il sole diradando questa fitta coltre di nebbia?

Il gelo lascerà il posto alla primavera?

Scopriamolo insieme prendendo come spunto un fenomeno meteorologico che crea atmosfere incredibili per realizzare una fiaba che farebbe invidia persino ai fratelli Grimm attraverso la sua scenografia.

Dal Passo della Guardia, sopra l’abitato di Triora e oltre Gorda, intraprendiamo il sentiero in salita, un po’ faticoso da percorrere per chi non è abituato a camminare, e ci dirigiamo verso il Passo di Garlenda salendo verso creste che fan da confine tra la Valle Argentina e la Valle Arroscia.

Abbiamo attraversato anche il Bosco del Pellegrino che, avvolto da una spessa bruma, appare come un luogo incantato della Terra di Mezzo. Alcuni personaggi del Piccolo Popolo sono sicuramente nascosti qui da qualche parte, nel sottobosco di questa macchia.

Ma andiamo avanti, le vette ci aspettano e iniziamo ad arrampicarci per il sentiero che vi ho citato, il quale, permette di raggiungere molti altri luoghi oltre alla zona di Garlenda.

L’umidità la fa da padrona, tutto gocciola attraverso stille trasparenti che bagnano e rinfrescano l’aria. Sono le uniche forme di vita che si permettono di fare rumore.

Qualche piccola pigna giace su quell’erba tagliata dalla stradina. E’ un’erba che ancora non ha mutato il suo colore e appare riarsa dal freddo che padroneggia da diversi mesi.

Il silenzio si fa sempre più pesante, più si sale e più le gocce si zittiscono costrette a immobilizzarsi legate da temperature assai basse. Non possono più lasciarsi andare nel vuoto tuffandosi a terra, bensì restano ghiacciate attaccate ad ogni cosa.

Tutto si è trasformato all’improvviso. Tutto è immerso nel ghiaccio. Tutto è sospeso, come in attesa, in un luogo senza tempo.

La montagna sulla quale mi sto arrampicando mostra ora una barba bianca che prima non aveva.

Ogni stelo d’erba è ricoperto da minuscoli fiocchi gelidi e candidi. Trasparenti coperte, lucide e ghiacciate, abbracciano bacche e rametti.

Sui massi, una fredda corazza lascia muovere dell’acqua tra se stessa e lo scoglio. La si vede oltre quello scudo ed è l’unico movimento percepito in mezzo a quella natura che appare totalmente immobile.

Davvero pochi i segni di vegetazione se non dati da una pianta chiamata con un nome decisamente appropriato in situazioni come questa: Semprevivo.

Su Cima Garlenda, persino le rovine delle vecchie costruzioni militari sono ricoperte dalla neve. Proprio così. Qui c’è anche la neve. Tutto è bianco. Assolutamente bianco.

I resti delle vecchie casermette si vedono appena vista la foschia. Le pietre grigie sembrano più scure del solito in mezzo a tutto questo candore.

So esserci il Monte Frontè dinanzi a me ma non posso vederlo, la nebbia è troppa e io devo dirigermi verso la parte opposta. La mia meta è il Monte Saccarello.

E’ proprio grazie a questa grande quantità di nebbia che si può ammirare la galaverna, precipitazione atmosferica che vi spiegai in questo post https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2020/03/13/lincantesimo-della-galaverna/

I rami spogli degli alberi sono pieni di stalattiti ghiacciate costrette dal freddo ad una posizione orizzontale. Sono le gocce che hanno dovuto seguire obbligatoriamente la forza importante del vento e ora hanno reso quell’ambiente totalmente surreale.

Non è possibile che sia vero. Pare tutto così assurdo.

Quell’aria mi taglia il viso ma sono ben attrezzata e posso andare avanti. C’è l’obbligo di ramponi, al di sotto dei fiocchi farinosi si toccano lastre scivolosissime.

Avanzo, camminando in cresta, fino a raggiungere il Rifugio Sanremo ovviamente blindato in questa stagione. So di essere a 2.054 mt s.l.m. e riesco a vedere la struttura solo avvicinandomi parecchio a lei. Una breve sosta e riparto.

Alla mia sinistra posso ora captare e a volte vedere il vuoto dell’abisso di fianco a me. Devo fare attenzione a dove metto le zampe mantenendomi a destra. Mi sto dirigendo verso il Saccarello e, laggiù in fondo, quindi, alla fine di questo lungo dirupo, ci sono i paesi di Realdo e Verdeggia.

Lunghi tratti di bianco e silenzio assoluto mi aspettano prima di giungere al secondo Rifugio.

Si tratta del Rifugio La Terza decisamente più grande di quello precedente. Ora sono a 2.060 mt s.l.m. non è cambiato molto rispetto a prima, come altitudine, ma cambierà da adesso. La mia meta è in salita.

Riparto. E’ faticoso. L’aria e il terreno non mi aiutano. Il freddo neanche. Ma devo farcela per sciogliere l’incantesimo e continuo decisa. Non vedo nulla attorno a me. Sono diverse ore che i miei occhi osservano solo bianco… bianco… bianco….

Mi fermo, riprendo fiato, riposo ma senza mai un ripensamento e dopo altri passi… c’è una figura laggiù in fondo. Un’ombra scura si staglia leggermente in quella foschia.

Sono arrivata. La statua del Redentore si innalza in tutta la sua bellezza. La galaverna ha colpito anche lei, in modo significativo, donandole un aspetto incredibilmente affascinante.

Ce l’ho fatta. Non posso raggiungere la vetta del Saccarello, non ho più tempo, devo fare ritorno perché la montagna e la natura hanno i loro tempi e devo rispettarli ma sono comunque giunta dove volevo arrivare.

Mi preparo a tornare indietro e percorro diversi metri quando una potente folata di vento mi obbliga a girarmi verso l’altra sponda della Valle Argentina.

I miei occhi si spalancano dall’entusiasmo. Le nuvole si diradano permettendomi di vedere una bellezza infinita che non ha eguali e non mi consente di proferir parola.

Vedo il Monte Gerbonte, il Grai e tutte le altre montagne alle quali sono molto affezionata. Il cielo si tinge di azzurro e alcuni raggi del sole penetrano prepotentemente tra quelle nubi scaldandomi le guance. Ora vedo. Ora posso vedere. E non ho parole per descrivere tanta meraviglia consentita al mio sguardo.

Mi giro indietro, vedo di nuovo il Redentore che da poco ho salutato. Eccolo. Ecco dov’ero poc’anzi. Mi giro a destra, sono euforica. Riesco ad ammirare persino la Valle Arroscia e il suo distendersi tra quei monti.

Davanti a me, adesso, il Monte Frontè è ben visibile e lo sono anche Realdo e Verdeggia ora.

Alcuni pezzetti di ghiaccio si staccano da quelle piante appesantite e io sono circondata dalla bellezza.

Che splendore, non riesco neanche a descriverlo. Ne è valsa davvero la pena.

Approfitto di quel calore concessomi dalla luce solare e mi dirigo nuovamente verso Garlenda per far ritorno. Penso proprio di aver annullato l’incantesimo che ha trasformato questi luoghi in un Regno di Ghiaccio.

Penso di aver sconfitto il potente Mago. Sorrido.

Sorrido come se davvero vivessi una favola e faccio ritorno verso la tana.

Scendendo per il sentiero che mi riporterà verso Passo della Guardia mi trovo di nuovo in mezzo ad una natura che non è più gelata.

Alcuni Camosci si godono il sole sdraiati sui pascoli sopra Rocca Barbone e nei monti attorno. Qualche Cincia svolazza felice da un albero all’altro e c’è persino qualche insetto a dare segni di vita.

Una vita straordinaria che mi godo soffermandomi un secondo ad ammirarla e respirarla. Ho forse vissuto un sogno?

Ce l’ho fatta, non mi resta che lasciare questo posto trattenendolo nel mio cuore e attendere la prossima magia.

Che ne dite Topi? Vi è piaciuta questa fiaba? Un pizzico di fantasia in un tour che ho intrapreso realmente e che consiglio solo ad esperti perché, altrimenti, si può patire parecchio viste le condizioni avverse che ho incontrato. Non avventuratevi mai se non siete preparati o non avete qualcuno che sappia guidarvi davvero.

Non mi resta che salutarvi. Vado a preparare una nuova storia.

Un bacio gelido a voi!

La dolcezza che inganna di Cima Donzella

Cima Donzella, o della Donzella (su alcune mappe è segnata anche di Donzella) è un monte molto importante della Valle Argentina.

Si tratta infatti del monte che con il suo pendio forma, assieme a quello di Monte Arborea, la conca del famoso Passo della Mezzaluna sullo spartiacque tra la Valle Argentina e la Valle Arroscia.

Un monte che, a vederlo, appare dolce, dalla vetta arrotondata e i crinali morbidi ma è in realtà abbastanza dura riuscire a salire fin sulla sua punta.

Per questo direi che le sue curve armoniose sono un po’ ingannatrici ma, ovviamente, non serbano ostilità anzi… La natura è totalmente impregnata di gioia, amore e bontà, lo sappiamo.

La sua forma è quella di un seno materno ed è bellissimo ammirarne la silhouette per la strada che conduce al Ciotto di San Lorenzo.

Cima Donzella, che è alta 1636 mt si trova affianco a Monte Bussana ed entrambi appartengono alla Catena Montuosa del Saccarello.

Abitata da Camosci e Caprioli, che dalla sua vetta si lanciano giù in picchiata verso la Valle, questa montagna, non altissima, fa proprio venir voglia di conoscerla meglio e i suoi ripidi pendii si decide di percorrerli per poi continuare sui crinali dei monti più belli della Valle Argentina.

Si tratta di un monte che, nella sua lunga esistenza, ha visto muoversi tanta natura e tanta storia su di lui e sotto di lui ma ha anche assistito a eventi di carattere militare e alla vita di molti pastori, ergendosi proprio su pascoli fondamentali.

Abbracciato dalla Strada Marenca e trovandosi nel mezzo di un crocevia, è diventato col tempo persino punto di riferimento tra i Comuni di Molini di Triora e di Rezzo.

Proprio in questo periodo, la sua terra sta permettendo ai Crocus di sbocciare per vestirsi di un abito più primaverile e colorato.

I toni del bronzo dati dall’erba essiccata e quelli del bordeaux di una strana ardesia ci sono ancora e sembra così di guardare un monte che emana calore nonostante il frescolino che si percepisce quassù.

La vista che offre è, come sempre accade sui miei monti, splendida anche da parte sua.

Da qui si vedono bene anche diverse e conosciute montagne francesi, ancora innevate, come il Monte Bego.

Di fronte a me ecco la magnificenza del Monte Toraggio, del Pietravecchia, della Valletta e del Grai. Più sotto, Rocca della Mela e più a destra Sua Maestà Rocca Barbone.

Il Praetto è ben visibile e pulito. Una radura che a breve sarà piena di fiori e farfalle ma che oggi non raggiungerò per godermi questo spazio e questo monte di cui vi sto parlando.

Diversi stormi di uccelli le svolazzano intorno divenendo emblema di libertà assoluta e lo spazio immenso che si percepisce osservando il luogo in cui questo monte sorge è davvero infinito e parla di vastità e bellezza.

Da qui si possono ammirare nuvole lontane che vengono accolte dalle correnti della Valle e iniziano a giocare scontrandosi con gli altri rilievi montuosi che abbiamo di fronte. Sembrano curiose e sorvolano sopra i borghi come a volerli abbracciare.

Poi passano, vanno, lasciando solo il ricordo della loro fresca presenza. Oppure restano, spesse come grandi e soffici coperte, ad avvolgere quel magnifico mondo che vedo sotto di me.

I primi insetti fanno capolino con il loro volo già vivace alla ricerca di un po’ di nettare o di qualche preda. Questa montagna, al momento, può offrire poco. Tutto è appena nato su di lei, ma quel poco basta a far assaporare una vita nuova che sta nascendo.

Tra breve la vedrò tutta verde. Sarà un verde chiaro ma intenso a ricoprirla e sarà ancora più spettacolare. Ovviamente la farò vedere anche a voi.

Adesso però vi devo salutare, molti altri articoli da scrivere mi aspettano e quindi scendo da qui e corro in tana.

 

Vi mando un bacio gentile da vera Donzella.