La filastrocca della strega-Topina

Prunocciola streghetta

Tremano foglie e trema la pelle,

in questa notte senza le stelle:

si chiama Halloween per i bambini,

Samhain la chiamano i Celti vicini,

qui nella Valle precede Ognissanti:

è una festa con nomi per tutti quanti.

E’ notte di streghe, alla Cabotina,

che fanno baldoria da sera a mattina.

Ci sono mostri da Arma a Verdeggia

e restano in vita finché non albeggia.

Di zucche e scope, cappelli e decori

si addobbano i borghi dai mille colori.

Triora e Molini, da sempre stregate,

si vestono a festa, le esagerate!

E gli altri centri, più piccoli e quieti,

nascondono scheletri sotto i tappeti.

Ma in lungo e in largo, in Valle Argentina,

fate attenzione alla brava Topina:

veste di viola o di nero? Chissà,

magari qualcuno avvistarla potrà.

Indossa il cappuccio o forse un cappello?

Avrà la scopa oppure l’ombrello?

Svuotata di polpa e intagliata è la zucca:

dolcetto, scherzetto o toma di mucca?

Quel che è certo per questa serata

è che è una festa davvero stregata.

E voi, amici cari, siate leggeri:

gli spettri leggono i vostri pensieri!

Abbandonatevi ai divertimenti,

e per una volta siate contenti.

La Topina della Valle Argentina

Il Bunker di Sospel

MettetevSONY DSCi la giacca a vento topini. Si lo so che fa caldo ma, dove vi porto oggi, tanto caldo non fa. Andiamo in un posto ricco di storia, di testimonianze e umidità. SONY DSCUn luogo che fa venire i brividi in tutti i sensi. Andiamo nel bellissimo paesino di Sospel, che si chiamava Sospello, situato nel dipartimento delle Alpi Marittime.

Un tempo italiano, Sospel, si trova proprio sul confine francese, sopra Olivetta San Michele che a sua volta è dietro la città di Ventimiglia. Anche lui merita un post tutto suo prima o poi.

Qui si parla il “montenasco”, il dialetto di Mentone, un misto tra ligure e occitano e, sempre SONY DSCqui, si trova una delle costruzioni più incredibili della nostra storia passata. Un bunker preservato in ottimo stato appartenente alla Linea Maginot che si estendeva dal Mar del Nord al Mar Mediterraneo.

Le prime fortezze furono costruite nelle Alpi Marittime e Fort Saint-Roch, così si chiama dove entriamo oggi, fu costruito tra il 1930 e il 1934 per proteggere Sospel. Pensate topi, solo quattro anni per creare ciò che vi mostrerò in questo post.

Sin da quel tempo, Sospel si trova al centro del dispositivo di difesa dello Stato Maggiore Francese. E tutto ciò che vedrete è originale. Tutte le stanze, le attrezzature, le armi, la ruggine, l’usoSONY DSC, sono le reali condizioni in cui, durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno vissuto i soldati francesi prima e quelli tedeschi poi. Beh… forse la ruggine è aumentata…

Tutto è rimasto come un tempo. Noterete solo, al posto di vere persone, dei manichini che sono stati messi a dimostrazione di come un tempo si viveva e si lavorava all’interno di questa fortezza, vestiti con le divise originali dell’epoca e con tanto di gradi. C’era infatti il militare medico, il comandanteSONY DSC, il militare cuoco, il militare addetto alle caldaie e agli impianti elettrici, il centralinista, il cecchino, il generale. Il tutto a 12-15 gradi di temperatura e con un tasso di umidità costante del 75%. E allora preparateviSONY DSC, stiamo per entrare.

La grossa porta davanti a noi, un vero e proprio ponte levatoio, si apre, e a causa del calore esterno, ci sembra di entrare in un frigorifero. Per chi soffre di claustrofobia non è il luogo più adatto ma per chi invece è affascinato dal passato, da qui, non vorrà più venir via.

L’odore che ci punge il naso è quello di umido, di muffa. E’ stagnante, ma il fresco ci permette di farci presto l’abitudine. Tutto è di cemento e ferro; ogni cosa che si tocca produce un forte “dleng!“. Devo essere sincera. Rimango incredulaSONY DSC, allibita. E’ affascinante davvero.

Nelle cucine, le prime stanze in cui si entra, ci sono ancora addirittura le pentole e la lavagna sulla quale si scrivevano le pietanze della mensa. Un lavandino in pietra. Dai vecchi rubinetti. Cola del liquido arancione arrugginito. Di fronte alle cucine ecco la stanza dei macchinari, sarà una sensazione ma la ventola produce un rumore così forte che sembra di essereSONY DSC ancora in guerra. Ciò che attrae, e spaventa anche un po’, però è il lunghissimo e buio corridoio che si prospetta davanti a noi e del quale non se ne vede la fine. Buio, che poi buio non è, ma le fioche luci si notano solo dopo una leggera curva poi, tutto dritto, fino… boh, non lo so fin dove. Il flash della mia macchina fotografica non arriva a tanto. Lo vedete? Per terra dei freddi binari. Erano i binari dei carri. Carri che sembravano i carri delle miniere. Servivano per trasportare le attrezzature pesanti, i grandi proiettili delle grandi mitragliatrici fisse o dei cannoni. A condurre alcuni di questi carri un soldato. Sì, potevano trasportare anche le persone, soprattutto in su, dalla ripida scalinata. Ebbene sì topi, perchèSONY DSC poi scenderemo, scenderemo fin giù, sotto terra, non so nemmeno io di quanto.

Le tubature, in alcuni punti, sono rifasciate da un materiale che sembra carta stagnola e, intorno, altre entrate annunciano i vari locali. I bagni, deprimenti. Delle vecchie turche. Non so in quanti soldati vivessero qui ma di urinatoi/turche ne ho contate cinque. Solo cinque.

Le altre due porte iSONY DSCn lamiera portano invece a delle docce e un gocciolio perpetuo fa impressione.

Oltre i bagni ecco le camerate: i soldati semplici dormSONY DSCivano tutti

 

 

insieme nei dormitori che contenevano parecchi letti e, alcuni, erano – a castello -. Il comandante aveva invece una stanza tutta sua, con il comodino per giunta.

Attaccata ad ogni lettino, dalla testiera anch’essa in ferro come la maggior parte delle cose lì dentro, una borraccia in pelle, un cappello di riconoscimento e una sacca come porta-oggetti e anche porta-armi presumo. Si era costantemente pronti alla battaglia.

E’ vicino ai dormitorSONY DSCi che c’è una camera nella quale si può notare come si decidevano le operazioni di attacco o di difesa e, attraverso le radio e i telefoni, alcuni a circuito esterno altri interno, si facevano conoscere a tutta la truppa. Si era una grande squadra, un’unica grande squadra, questo è quello che trapela ancora da questo luogo ormai da anni disabitato.

Non posso fare a meno di immaginarmi al posto di quegli uomini SONY DSCdavanti a questo lavatoio, a lavarmi i denti, seduta a questa scrivania a scrivere una lettera alle persone care, e mi vengono i brividi… poi, un locale particolare, mi incuriosisce molto. E’ l’infermeria e non è solo uSONY DSCn’infermeria: è una vera e propria sala operatoria che funzionava anche da semplice ambulatorio. Mette i brividi. Sugli scaffali, ordinati, tutti gli attrezzi del mestiere, così, senza pietà, in bella vista. In fondo, la realtà era quella. Bisturi, ganci, aghi, coltelli, pinze, garze, lacci, tutto mi dipinge un’espressione seria sul viso. Guardo quella branda lurida ormai. Eppure qualcuno c’è stato lì sopra. Immagino il vero medico al posto del pupazzo in lattice, è incredibile, mi sembra di

sentSONY DSCire l’affanno del militare ferito che non può e non vuole urlare, mentre l’etere, o il cloroformio, s’impossessa di lui. Ci sarà stato almeno un modo per anestetizzare? Mah, non ci voglio pensare.

La cabina di comando è invece piena di roba. Ognuno aveva una scrivania personale, un telefono, un notes e una marea di bottoni da cliccare. Non ci siSONY DSC capisce nulla. Solo su alcuni altoparlanti ci sono dei pulsanti che riportano la scritta “ecoutè” e “start“.

Delle agende permettono di vedere dei conteggi. SfidoSONY DSC chiunque a comprenderne il significato ma sembrano le quantità delle munizioni e del cibo. Può essere.

Dentro a delle bacheche in vetro, dei cimeli preziosissimi: passaporti, documenti, tesserini che riportano i dati anagrafici di chi ha vissuto lì e posso vedere anche qualche viso in vecchie foto color seppia.

Il verSONY DSCde militare è ovunque e poi bandiere, cappelli, svastiche, medaglie, proiettili da qualsiasi parte io mi giri.

A prendere tutta una parete, oltre alle solite armi da portata come pistole e fucilSONY DSCi, l’ala intera di un particolare aeroplano, completamente devastata dai proiettili e staccata dalla matrice.

E qui si scende, si va giù grazie ad una scala che porta a un cinema dove dei filmini dimostrano, in bianco e nero, come si viveva in quel tempo.SONY DSC

Dai lati di questo posto si può andare sia a destra sia a sinistra, nel centro ci sono accatastate delle grosse munizioni ben stipate dentro a delle gabbie.

Delle piccole e strette scalette, da ambedue le parti, mandano alle torretteSONY DSC di appostamento dove, comodamente seduti, si poteva sparare al nemico vedendolo arrivare attraverso delle feritoie.

Fa ancora più freddo. Sopra le nostre teste, non potevamo vederlo, ma c’è un prato, il prato della Provenza, quella magnifica distesa di lavanda e origanoSONY DSC che incontriamo spesso nella mia entroterra. Lo si vedrebbe se si potesse sorvolare con un aereo. Si sarebbe visto solo una gran meraviglia ma, sotto, tutto era ben diverso. Questa montagna dentro è un Gruviera. Dal cinema intanto continuano a provenire i rumori soffocati e lontani dei bombardamenti aerei e degli spari di fucile.

Siamo nelle campane di questa casamatta e mi accorgo che davvero nessuno può vederci. Siamo in una delle prime fortificazioni della Linea Maginot, un complessSONY DSCo integrato di opere militari che il Ministro francese, Andrè Maginot, obbligò a costruire su tutto il confine Est della Francia e, la cosa straordinaria, è che queste mega strutture, distanziano da loro di 5 km circa ma, all’interno, sono tutte collegate. Incredibile.

Non possiamo passare alla prossima. Dei pesanti portoni blindati ce lo vietano anche perchè non tutte sono mantenute bene come questa che, per 5.00 euro, si può visitare perSONY DSC tutto il tempo che si desidera.

Costruzioni da record e vennero fatte in soli 12 anni. In Alsazia, l’opera di Schoenenbourg, pare essere la più grande di tutte. Alcune,SONY DSC sono sotto il Demanio francese, e quindi visitabili come questa, altre invece, appartengono ancora al territorio militare percui è impossibile accedervi.

Scendo dal mortaio 81 mm, mi ci ero arrampicata per vedere fuori: il bosco, gli uccellini, il cielo azzurro, c’era aria di buono là fuori, c’era il sole. A questo punto, posso tornare indietro. Via da quel cemento e quell’acciaio.

Ripercorro all’indietro tutti quei metri. Mi ci è voluto quasi un intero pomeriggio per godere di questa avventura. Sono rimSONY DSCasta meravigliata e ho tante emozioni contrastanti. Qui, in questo bunker che doveva proteggere i francesi, hanno poi preso piede le forze militari tedesche Wehrmacht. Qui, in un luogo che mi fa sentire fredda e appiccicaticcia, ho potuto vedere molte cose e ne sono stata contenta. Ora però ho voglia di sole, di caldo, di aria sana.

Esco e il vecchio custodeSONY DSC mi saluta senza quasi nemmeno alzare lo sguardo. E’ intento nella lettura di un fumetto pare. E allora topi, che ne dite? E’ un luogo comunque interessante, una tana particolare. Basta cunicoli per un po’ però. Vi mando un bacio e vi aspetto per il prossimo tour. La vostra Prunocciola.

M.

Vita vera: Triora-Realdo 1954

Cari topi, siamo nell’anno 1954 e siamo, come sempre, nella mia Valle. Grazie a Zemiafilm (una unità di produzione di video-documenti con particolare attenzione alle realtà locali e ai contesti trascurati dai media -vi posto qui il loro indirizzo del blog zemiafilm.wordpress.com-), che ha postato su YouTube questo particolare video, possiamo vedere come vivevano i nostri nonni in un periodo cruciale della loro vita. Il Dopoguerra. La rinascita.

E il filmato che vi metto qui sotto è proprio una ripresa di quella che era una strada, un sentiero in mezzo ai monti, percorso per andare dal paese di Triora, o di Molini di Triora, in quello di Realdo. Si passava da Loreto, si passava anche “dal Pin”, come diciamo noi, un punto panoramico bellissimo. E credetemi, a piedi, non è per niente breve come tragitto!

Come già vi avevo accennato in questo mio post – Sir-Realdo – erano in tanti a spostarsi, spesso anche a piedi, per andare a lavorare in altri paesi nei dintorni. Donne e uomini, non c’era differenza.

In questo video si capisce chiaramente la vita lavorativa di un tempo. Il pastore, il contadino, le donne che cucivano sedute in una piccola corte e quel camminare che pareva non esser mai una fatica.

E guardate gli abiti, i cappelli, i foulards delle signore tipici di un tempo che noi chiamiamo, i “mandiji pà teista”.

I muli che s’inerpicano, stracarichi di roba, alcune case che esistono ancora, le braccia che lavorano, i furgoni d’altri tempi. I bimbi che giocano (la più piccolina, tra l’altro, fa una tenerezza incredibile) e che avvisano, tutti i lavoratori. Piccole vedette. “Presto! Presto! Sta arrivando qualcuno!”.

A segnalarmi l’esistenza di questo video è stato il signor Silvano, anch’esso amante della Valle Argentina come me, e lo ha fatto per due motivi: uno per far conoscere anche a tutti voi una parte di questi luoghi meravigliosi e i suoi abitanti e l’altro perché, questo video, fa parte di un progetto nato tra Zemiafilm e il Parco delle Alpi Liguri. Un progetto importante nel quale si cercano altri video, o filmati d’epoca come questi, per poter segnalare, esaltare e soprattutto ricordare, quello che non deve andare perduto, come la bellezza di posti spesso sconosciuti o una vita passata che troppe volte tendiamo a scordare.

A me non rimane altro che augurarvi la buona visione di quello che è, a parer mio, un documento eccezionale e reale e anche una meravigliosa passeggiata.

L’unica cosa, se posso dirlo, la colonna sonora, è un’opinione prettamente personale ma esalta poco il contenuto visivo. Ecco, l’ho detto.

Un bacio a tutti quanti. A quelli di adesso e a quelli di ieri.

M.