Il bacio argentato della Luna

Molto spesso, di notte, la Luna passa sorvolando le mie splendide montagne e ad ognuna di loro regala il suo bacio d’argento.

In una Valle chiamata “Argentina” è naturale pensare ad un bacio argentato e brillante dato da questo importante satellite. L’unico satellite naturale della Terra.

E’ un bacio lungo che, a volte, dura anche fino al mattino ed è una meraviglia restare ad ammirarlo. E’ un fenomeno che, quando accade, affascina sempre non trovate? Tutto appare più… magico.

Le foglie degli alberi diventano come luminescenti e l’erba appare rilucente.

Si possono persino sentire le voci dei monti che sussurrano parole d’amore a questa Luna, la quale li accarezza al suo passaggio. Offrono a lei dediche affettuose e sembra quasi vogliano elevarsi ancora di più, verso il cielo, per raggiungerla.

Come se lei capisse i loro sforzi, si abbassa fino a sfiorarli, ed è proprio in quel momento che si rimane estasiati dall’immagine che assieme regalano.

Sono i miei monti e sono ancora più belli del solito visti in quella situazione e innamorati.

Incorniciati da un cielo che mostra le sue tinte più belle.

I loro stessi colori cangianti. In base alle stagioni. E poi lei, la Luna, la Regina del momento. La bellezza fatta a sfera, o a falce, sempre colma di fascino.

Talvolta enorme.

Leggera e imponente allo stesso tempo.

Pallida ma ben visibile.

Che momenti unici e meravigliosi.

E’ grazie a lei se alcune sere posso inoltrarmi nel bosco. Un faro naturale che rende tutto surreale quando si avvicina alla macchia scura. Ma posso vedere bene i miei sentieri.

La Luna… che da sempre governa maree, mutazioni, eventi, cicli…

Un tempo venerata dai popoli più antichi e poi studiata da chi, grazie a lei, poteva comprendere l’evolversi perpetuo di Madre Terra.

Mi sento ricca e fortunata quando posso partecipare, anche solo con lo sguardo, a questi eventi.

La mia Valle preziosa diventa ancora più suggestiva e infinitamente bellissima.

E’ giorno… ma è come se la Luna non se ne volesse andare. E’ come se volesse restare lì, vicina a quelle vette che io cerco di conquistare.

E’ giorno ma è come se la Luna volesse accompagnare il Sole per scaldare e illuminare maggiormente.

Evidentemente anche lei ama quelle montagne quanto me.

Non è più notte, potrebbe andar via, invece resta. Insiste. E io ne sono ben lieta.

Il Gerbonte, il Carmo dei Brocchi, il Frontè… tutti che si apprestano a ricevere quel tocco lieve di labbra candide e sacre. Le luminose labbra della Luna. E tutta la Valle risplende!

Che bei momenti. Momenti che ho voluto condividere con voi amici Topi.

E vi assicuro che, ogni volta, seppur già vista, è come se fosse la prima volta.

Ora, mentre mi lascio baciare anch’io dalla Luna, inizio subito a scrivere un altro articolo per voi. Mi sento ovviamente molto ispirata davanti a questo spettacolo.

Continuate a seguirmi quindi… un bacio argentato a voi!

Dal Sentiero dei Piumisti alla Leca

Topi conoscete il promontorio pianeggiante chiamato La Leca? Probabilmente sì, di nome, ma magari non ci siete mai stati e allora ho deciso di portarvi con me.

Per arrivarci prenderemo il Sentiero dei Piumisti, del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/12/11/accanto-al-zimun-per-il-sentiero-dei-piumisti/ e, anche questa volta quindi, lasceremo la topomobile dai Cubi dopo aver passato le zone di Gorda e di Grimperto sopra Triora.

Ora questo sentiero non è più ricoperto di neve e mostra un’erba dai colori pallidi. L’unica tinta più accesa è quella del rame che ha superato l’inverno ma anche il verde sta arrivando trionfante.

E’ il verde di foglie tenere che circondano i primi fiori dai petali ancora stropicciati.

Anche il colore del cielo oggi è sgargiante. Un azzurro vivido e intenso. Gli aerei sembrano dividerlo con le loro scie.

E’ un bel sentiero questo, abbastanza pianeggiante, per nulla faticoso e in terra battuta. Offre anche la possibilità di camminare su una moquette naturale. Occorre solo fare attenzione a qualche breve tratto nel quale la strada sembra scavata e può risultare scivolosa. Anche i passaggi sull’ardesia friabile, sporgenti verso l’abisso, sono da percorrere con cautela ma non fatevi ingannare dalle parole che uso per una precisa descrizione. Come vi ho detto, lo possono fare in molti.

Le conifere sono le piante più presenti, soprattutto fino ad arrivare a U Zimun (il Cimone), una montagnola che è considerata un punto di riferimento sia per questo sentiero che per quello sopra, più grande, percorribile anche in auto e che porta al Tunnel del Garezzo. Quella carrareccia passa proprio sopra le nostre teste.

C’è una bella vista da qui su gran parte della Valle e soprattutto sul Poggio di Goina con la sua croce simbolica.

Se si alza lo sguardo si può vedere anche U Cian du Russu (il Piano del Rosso) così chiamato a causa di una pietra che lo forma, simil ardesia, dal colore bordeaux.

Dell’acqua fresca sgorga da quelle rocce formando piccole cascatelle. E’ l’unico punto, vicino a me, nel quale il ghiaccio ancora resiste.

Se mi giro indietro posso invece vedere parte ampia della Catena Montuosa del Saccarello. Il Monte Frontè, del quale ne riconosco la Madonna bianca sulla vetta e U Ciotto de e Giaie (il Piano dei Torrenti).

Grossi spunzoni di roccia si affacciano sul vuoto pronti ad accogliere animali selvatici che si sporgono come ad essere in terrazza.

Tra le Conifere spunta, di tanto in tanto, qualche altro albero e diventa subito parco giochi per Cinciarelle e Cince More. Sono vivaci e allegre mentre svolazzano e cinguettano in mezzo a quella natura. Sono molto più gaie rispetto ai giorni precedenti. La Primavera sta arrivando e loro lo sentono.

Costruiscono persino i loro nidi, nei tronchi cavi, pronti ad accogliere le piccole uova che a breve deporranno.

La Leca la si vede già da lontano, il suo promontorio si distingue e non vedo l’ora di arrivare.

E’ un luogo bellissimo, sembra una prateria come quelle che si vedono nei film sugli Indiani d’America ma qui, anziché avere Bisonti, abbiamo le nostre simpatiche e bianche Mucche che vengono a nutrirsi di questa erba incontaminata. Ci sono infatti delle vasche che servono da abbeveratoi.

In lontananza si scorgono dei Caprioli, mangiano e trotterellano a quest’ora del mattino. La natura sembra in festa e io mi godo la pace assoluta che La Leca regala.

Una traccia, al centro dei suoi prati, appare come un sentiero che porta fino alla fine del promontorio e permette di ammirare un bellissimo panorama. La Valle si distende ed è meraviglioso osservarne i monti.

Si può anche vedere bene il sentiero che abbiamo percorso per arrivare sin qui. Taglia la montagna in mezzo a quell’erba in discesa.

Il Carmo dei Brocchi, da questo punto, mostra una bellezza che non ha eguali. E’ meraviglioso.

Qui, i Narcisi selvatici incontrati prima lasciano il posto ai Crocus bianchi e violetti.

Una volta giunti su questo piano e aver goduto della sua bellezza si può tornare indietro ammirando il tutto da una nuova prospettiva. Ancora meraviglia.

Che altro dirvi Topi miei?

Vi è piaciuto questo giro? A breve, questa zona, sarà ancora più ricca di fiori e di insetti di ogni tipo, come le farfalle ad esempio. Ci sarà ancora più vita. Vi consiglio quindi di venire a vederlo.

Io vi mando un bacio enorme e vi aspetto per il prossimo tour.

Nel Ciotto di San Lorenzo tra storia, natura e misteri

Sarà un lungo articolo questo che descrive uno dei luoghi da me più amati in Valle Argentina. Voglio parlarvi del Ciotto di San Lorenzo e, per elencarvi tutto quello che propone agli occhi e al cuore, ho bisogno di molte parole.

Il Ciotto, chiamato anche “Sotto”, lo si raggiunge dal Passo della Mezzaluna oppure da Passo Teglia camminando in mezzo ad una splendida faggeta, la Foresta di Rezzo, per poi giungere in questa radura fatta a conca, definita persino dolina, sormontata dal Carmo dei Brocchi.

La Foresta è così bella da essere soprannominata “Bosco delle Fate”.

Qui, dove d’estate regnano indisturbate le Marmotte, la storia racconta che un tempo, intorno al 245 d. C., ha vissuto il giovane eremita Lorenzo ucciso poi a Roma, per volere dell’Imperatore Valeriano, e venerato in seguito come Santo dalla Chiesa Cattolica.

Si fermò qui per circa due anni vivendo da solo con l’unico contatto della natura e, di lui e del suo passaggio, oggi resta solo un rudere nel quale alloggiava e pregava. Le rovine di chi dice essere stata una piccola chiesa e chi invece afferma essere stata una semplice dimora.

San Lorenzo si affacciava su questo prato bellissimo circondato da Abeti, Larici ma anche da grossi massi e osservando attentamente queste bianche pietre ci si accorge che alcune sono disposte a cerchio. Si parla di cerchio sacrificale, punto in cui venivano bruciate le streghe durante il periodo dell’Inquisizione.

Non si sa se siano leggende o realtà ma questo luogo ha da raccontare molto anche riguardo un tempo precedente alla caccia alle Streghe.

Si parla di popoli antichi e di costruzioni che restano lì, immobili, da tantissimi anni.

Al Ciotto, e nei suoi paraggi, infatti, si possono scoprire in un grande complesso megalitico: dolmen, menhir, pietre sacrificali e molto altro. Ogni cosa meriterebbe un post a sé.

L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno. Mentre il Dolmen poteva essere una tomba e la pietra sacrificale è dotata di coppa di scolo ben visibile.

Qui tutto è ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

Siamo a circa 1.400 mt s.l.m. e il verde vivo è incontaminato e splendente. Una coppia di Corvi Imperiali vola in cerchio sopra alla radura e sembrano essere i guardiani di questo luogo mistico. Mi piace pensare che siano gli amici delle donne che qui hanno trovato la morte per volere dell’Inquisitore.

Salendo sulle selle attorno al prato si può godere di una vista magnifica e si vede anche il mare.

So che però, oltre ai Corvi, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi.

Lorenzo, dalle origini spagnole, poteva godere di una stellata magnifica passando le notti in questo Ciotto. Qui, dove i monti si aprono permettendo di godere di un firmamento unico; non c’è inquinamento luminoso e tutto pare come avvolto dalla magia.

Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda.

Il suo aspetto cambia ad ogni stagione ma resta sempre magnifico.

L’Agrifoglio e l’Aquilegia si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia e il Cardo Selvatico ne descrive la resistenza al tempo. Tutto è perfetto.

 In questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante.

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che accade a me ogni volta che ci vado. Sarà la mia sensibilità da animaletto.

Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

E’ un luogo, questo, colmo di ricordi ed emozioni.

Qui l’amore di Madre Terra ti abbraccia e ti fa suo. Qui, anni or sono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità.

Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

E’ un luogo splendido vero Topi? Un luogo che esige rispetto come ogni zona in fondo.

Spero tanto che sia piaciuto anche a voi come a me. Se è così, vi lascio sognare ancora un po’, io corro a prepararvi un’altra fantastica escursione.

Vi mando un bacio spirituale! Smuck!

Dai Cubi al Garezzo sul manto nevoso

Con il termine “I Cubi”, in Valle Argentina, si intende la zona dal Passo della Guardia fornita di panche e tavoli atti a ricevere persone che hanno voglia di fare un bel pic nic godendo di un’atmosfera meravigliosa, immerse totalmente nella natura.

In questo periodo però è difficile poter godere di queste comodità, essendo ch’esse sono completamente ricoperte dalla neve.

Si prosegue pertanto, sopra a quel manto bianco, soffice e luccicante.

Si prosegue fino al Colle del Garezzo arrivando al Ciottu de e Giaie (Ciotto dei Torrenti).

Sembra di essere dentro ad una di quelle palle di vetro piene d’acqua, omini e puntini di polistirolo che si muovono dolci, se si scrolla quella sfera trasparente.

I rumori sono ovattati e sopra ogni cosa regna lei: la candida Signora.

Tutto ha un altro aspetto. Nuovo. Dalle sfumature cangianti.

I fruscii dei pezzi di neve ghiacciata che cadono dai rami diventano tonfi sordi al suolo.

Alcuni fili d’erba sono completamente immersi nel ghiaccio e, assieme all’acqua divenuta solida, formano strane figure bizzarre. Anche le gocce che cascano dai profili rocciosi sono adesso stalattiti fredde.

Rocca Barbone sembra il teatro di una fiaba. Il suo cappello è bianco e la severa falesia che la distingue appare ora ancora più aspra, colorata da quel grigio scura che risalta maggiormente.

Ancora pochi passi, percorro gli stessi metri fatti dai Camosci prima di me e posso godere di un panorama mozzafiato.

In primo piano vedo il Monte Pellegrino, meno imbiancato rispetto alle montagne alle quali do la schiena e, dietro di lui, si staglia davanti ad un mare color oro e azzurro Monte Bignone, solo e snello.

Zampetto per quella strada innevata senza sentire alcuna fatica, è tutto così bello che mi sento leggera come un piccolo insetto.

Il sole, prima dell’arrivo della foschia, scalda e brucia la mia coda ma è gradevole lasciarsi baciare da lui a quelle temperature.

Tutto è assolutamente bianco attorno a me. Alcuni riflessi azzurri delineano strane forme a terra.

Cumuli formati da neve, erba e vento sembrano il suolo di un altro pianeta e si immaginano extra-terrestri avanzare. Invece no, è sempre la mia splendida Valle Argentina che sa regalare scenari incantevoli e ogni volta diversi.

Sopra la mia testa volano indaffarati tantissimi Corvi Imperiali e Gracchi Alpini.

Sono così numerosi che mi par strano, tra loro, distinguere anche una coppia di aquile che subito si allontana.

Sono vivaci, forse affamati. Totalmente neri eppure riflettono così tanto la luce della Grande Stella da sembrar color argento.

Mi rendo conto di essere circondata anche da diversi Camosci.

Le mamme con i loro piccoli hanno formato un gruppetto che, tranquillo, si gode il sole su un prato bianco.

Alcuni invece passeggiano alla ricerca di cibo.

Altri ancora sbucano curiosi e un po’ impauriti dalle rocce e dai cespugli spogli mostrando a malapena il muso. 

E poi c’è chi sceglie comode postazioni per un riposino in totale relax, senza voler essere disturbato da nessuno. Davanti a me, intanto, si apre un nuovo scenario.

Il Poggio di Goina sovrastato da U Zimun (il Cimone) candido e tondo.

Dietro di loro, alla mia sinistra, lo splendore è dato da Alpi Liguri alle quali sono molto affezionata. Il noto Passo della Mezzaluna, completamente avvolto dal mantello immacolato, racchiuso tra Cima Donzella e Cima Arborea e, poco oltre quest’ultimo monte, l’adorato Carmo dei Brocchi. Alto, possente, austero e bianco anch’esso.

In mezzo al Passo svetta con un piglio di simpatica superbia persino Pizzo Penna.

Di fronte a me, dopo il Monte Faudo, una distesa azzurra e brillante indica il mare ed è impressionante vederlo da qui, stando con le zampe in mezzo alla neve, su questi alti monti.

Ora sono sotto al Monte Frontè.

Posso vedere la Madonna ricoperta dai fiocchi gelidi. Un forte contrasto con tutti quei pennuti neri, come il carbone, che le volano attorno.

Alcuni punti di questo tragitto possono risultare pericolosi in questo periodo dell’anno. Piccole o grandi slavine possono cogliere di sorpresa e alcuni pezzi di roccia possono spaccarsi e cadere nel vuoto. Occorre quindi evitare di stare sotto agli speroni di roccia e portarsi dove gli ambienti si aprono mostrando un territorio che gli occhi faticano a credere vero da tanto che è bello.

Le zampe scendono in quell’ovatta di 20 o 30 centimetri ed è bene avere un’attrezzatura adatta come scarponi e pantaloni impermeabili e ghette.

Si potrebbe anche ciaspolare ma non è così alta, ci si cammina dentro tranquillamente.

Le zampe fanno nuovi movimenti. È ovviamente diverso avanzare su questo terreno, meno stabile rispetto a quello estivo, ma è comunque piacevole.

Noto che anche il Gallo Forcello, del quale vedo le orme, la pensa come me. Dev’essersi divertito qua.

Era da parecchio che non vedevo il Colle del Garezzo con questo abito.

La neve, la vera protagonista, è bellissima, e riesce a far risplendere ulteriormente un mondo che già trovo affascinante di per sé.

Spero sia piaciuto anche a voi in questa sua nuova veste, così vi saluto sapendo di lasciarvi una graziosa visione.

Ma le mie avventure con la bianca Signora non sono finite qui. Aspettatemi perché ve ne racconterò e mostrerò delle altre.

Per adesso vi mando un bacio candido e vi aspetto per sgattaiolare ancora, assieme a voi, in diversi palcoscenici gelidi ma affascinanti della mia Valle.

La frazione abbandonata di Merli

Tutto ha inizio da qui, dalla minuscola chiesetta di San Giovanni Battista che si trova sopra a Molini di Triora andando verso Langan.

Ha inizio una scoperta, un fascino antico, un luogo disabitato senza più vita che fermo, immobile si lascia baciare dal sole.

Siamo due curve dopo Perallo e ci inoltriamo dentro al bosco che inizia formato da Castagni per poi trasformarsi in una specie di cunicolo che curiosa in mezzo alla fitta macchia.

Qui, in un tempo che oggi non esiste più, abitavano persone, tante persone.

Stiamo infatti andando in un’antica frazione della Valle Argentina chiamata Merli, che assieme ai piccoli borghi di Perallo e Moneghetti contava ben 600 abitanti circa fino alla prima metà nel ‘900. Un importante e noto “triangolo” appartenente al Comune di Molini.

Merli fu la prima località, seguita poi dalle altre, a spopolarsi.

Da qui partivano i muli carichi di raccolto da portare nei paesi più grandi e vendere. Legna, castagne, olive. Alcuni muli conoscevano la strada a memoria e, nella loro risalita, incrociavano spesso la corriera che effettuava il suo ultimo tragitto.

I bimbi di Merli andavano a scuola a Perallo e i contadini coltivavano su fasce piane delle quali oggi se ne nota solo l’ombra. Prima della guerra, il nucleo abitativo era di circa un centinaio di persone.

Si dice anche però che in questa frazione, anticamente, vivevano le persone malate di lebbra per restare isolate dal resto della comunità.

Oggi a regnare assoluti sono i rovi; mi auguro vi siate vestiti adeguatamente per seguirmi perché se vogliamo inoltrarci tra questi casoni, da noi chiamati “bareghi”, dobbiamo considerare il fatto di rimanere appesi a queste grosse spine… “ma chi me l’ha fatto fare…!”… Ovviamente sto scherzando. Sono molto felice di essere qui e scoprire questo luogo che appartiene alla mia Valle.

Un luogo abbandonato, quasi dimenticato.

Non tutti conoscono Merli. Ma di sicuro vive ancora nel cuore di chi è cresciuto da queste parti o aveva i nonni provenienti proprio da questa località.

I ruderi che ci attendono sono circondati da Roveti, qualche Tasso, Roverelle, Ulivi e Ginestra sfiorita. Presumo che qui, in tarda primavera, sia tutto giallo.

In questo momento dell’autunno si possono vedere dei colori sul Poggio dell’Agrifoglio di fronte a noi, un Poggio silenzioso che osserva, ciò che resta di questo borgo, giorno e notte.

In mezzo a queste mura invece riecheggia il crocidare delle Ghiandaie e ti obbligano a voltare lo sguardo al cielo.

Il panorama è spettacolare sia da una parte che dall’altra. Da dietro un Ciliegio si scorge Andagna sui monti di fronte.

Sopra di lei svetta il Carmo dei Brocchi e si vede il Passo della Mezzaluna. In questo momento un po’ coperti da nuvole bianche.

Vicino a noi invece svetta il campanile della Chiesa dedicata alla Madonna di Laghet di Perallo.

Provo a immaginare la vita di chi tra queste pietre ha vissuto. Guardo il sentiero sul quale poggiano le mie zampe. E’ semidistrutto, in certi punti anche pericoloso perché stretto e buchi posti a tranello sono ricoperti dall’erba.

Immagino uomini e donne aggirarsi per quelle case, salutarsi, darsi il – Buon appetito –, alla sera, prima di rincasare dove ora non si può nemmeno passare.

Alcune rocce sulle quali bisogna passare sono grandi, scivolose, taglienti, un tempo ricoperte sicuramente da terra battuta.

La pioggia dei giorni scorsi ha reso tutto ancora più umido ma anche più luccicante come i fiori e i funghi.

Altri ruderi si mostrano poco più avanti. Sono sparsi e alcuni si fa fatica a individuarli. Ad accoglierci non ci sono più le persone ma un albero di mele.

Tocco quelle che un tempo erano dimore di vita, di famiglie, di focolari domestici. Sono fredde, piccole. Alcune erano solo stalle e ripostigli.

E’ bello camminare qui, scoprire un nuovo rudere dietro qualche pianta. E’ scoprire il passato.

Sono soddisfatta anche se graffiata e con le braghe bagnate dalla rugiada. Sono contenta di essere venuta a visitare questo posto.

Contenta di aver scovato qualcosa che la natura ha giustamente ricoperto.

Ora vi saluto perché i luoghi della mia Valle non sono finiti e vi porterò con me a scoprirne altri ma prima lasciatemi riposare un po’.

Al Ciotto: osservando tinte e arabeschi

Da più di tre anni, di tanto in tanto, mi dirigo al Ciotto di San Lorenzo.

Si tratta di un luogo a me molto caro, situato alle pendici del Carmo dei Brocchi e oltre ad essere un posto bellissimo se lo si sa ascoltare, parla con un’energia davvero profonda e unica.

Per arrivarci passo solitamente da Drego e da Passo Teglia, anch’esse zone della mia Valle senza eguali per il loro fascino remoto.

Una volta giunta all’arrivo mi piace soffermarmi a guardare ogni cosa, lentamente. Lo sguardo si appoggia piano, su tutto quello che addobba questo angolo della mia Valle per me dal sapore mistico e affascinante.

Mi piace contemplare, pensare, riflettere e guardare intorno a me tutta quella bellezza che mi circonda sentendomi davvero una Topina fortunata. Si tratta di una dolina tutta fiorita in estate e circondata da austere rocce, una faggeta fatata e abeti antichi che proteggono. Una radura a forma di conca nella quale talvolta si forma un piccolo lago o è prato in base al periodo dell’anno.

E’ proprio durante queste attente osservazioni che ho potuto notare come questo luogo si modifica di stagione in stagione.

I suoi cambiamenti sono in realtà molto evidenti e dati principalmente dai colori che lo abbelliscono ma se quando parliamo di colori pensiamo soprattutto all’autunno… beh… al Ciotto di San Lorenzo (chiamato anche il “Sotto”) le tinte regalano emozioni ogni mese.

E’ vero che, prima di aprire le porte all’inverno, i Carpini si vestono d’oro e i Larici delle nuances del tramonto. Com’è anche vero che i Faggi diventano color della terra bruciata e le capsule di semi delle Graminacee creano puntini neri sparsi qua e là ma quando la fredda stagione giunge del tutto è la Bianca Signora, la neve, a regnare rendendo tutto candido e brillante.

Il foliage, in questo luogo, è davvero attraente.

D’estate, invece, è il viola della Lavanda e del Cardo Selvatico a prevaricare su tutto. Il colore della magia, ed è quasi più presente addirittura del verde vivace, il vero padrone.

Lo stesso Cardo, terminato il periodo estivo, appare di un avorio lattiginoso e sfavillante.

Tra il profumo del Timo anche gli insetti contribuiscono a colorare il tutto ma ovviamente, il gradino più alto del podio spetta alle farfalle e le loro ali dipinte.

Per non parlare delle bacche. Tante tantissime e tutte diverse tra loro. Quelle color rosso fuoco si notano già da lontano.

Molte tonalità di grigio e di marrone vengono date anche dalla corteccia degli alberi che circondano l’antico Ciotto ricco di storia e leggende.

Osservando certi tronchi, dal basso verso l’alto non si possono non notare le diverse sfumature di queste alte piante e, una volta che ci si trova con il naso all’insù, un ulteriore spettacolo si apre davanti agli occhi agitati.

Un intreccio infinito di rami, sia spogli che ricchi di fogliame, si annodano, si avvicinano e si incrociano fino a formare strane forme di linee, degli arabeschi stupendi che sembrano disegnare il cielo.

Come dei centrini, posizionati all’incontrario, abbelliscono anche l’aria sicuri nel risultato di una meraviglia totale.

Via via che i giorni passano, andando verso il periodo del gelo, dopo il trionfo di vita e tinte forti, tutto si spegne divenendo sempre più pallido e mostrando il riposo.

Nonostante questo sonno color pastello, pare d’esser in un incanto, nella tela di un pittore malinconico e che ama i colori tenui. L’inverso della vivacità verde incontrata in passato.

Insomma, il Ciotto di San Lorenzo regala sorprese sempre. Non può non lasciar stupiti e grazie alla natura variegata che lo forma resta un punto assolutamente unico della Valle Argentina.

Io, sognante, vi mando un bacio colorato e vi lascio immaginare questa tavolozza. Vado a prepararvi un altro articolo!

Tante bellezze dalla Mezzaluna al Praetto

Oggi parto da un luogo meraviglioso.

Sono nel bel mezzo della mazzaluna, conca disegnata dal Monte Arborea e Cima Donzella, conosciuto appunto come Passo della Mezzaluna o anche Colle della Mezzaluna e mi dirigo verso i Prati di Corte.

Sono arrivata qui passando per la bellissima e mistica foresta di Rezzo, una faggeta che lascia senza fiato e sa di misterioso e fiabesco, chiamata anche “Bosco delle Fate”.

Giunta sul posto è soprattutto Carmo dei Brocchi a darmi il benvenuto in tutta la sua bellezza. Da una parte mostra il bosco e dall’altra il prato, apparendo così come mezzo capelluto e mezzo calvo. Forma un tutt’uno con Monte Arborea e appartiene anch’esso al disegno del Passo protagonista. So che sotto di lui c’è il Ciotto di San Lorenzo, luogo al quale sono affezionata e che ho vissuto molto, e quindi sorrido.

Intraprendo un sentiero stretto e pulito con attorno prati, pascoli e pietraie sulle quali non è difficile notare Camosci, come non è difficile poter osservare un panorama fantastico che mi permette di vedere tantissimi altri monti.

Il Toraggio, il Pietravecchia, il Grai, il Gerbonte, Carmo Gerbontina e anche il Bego, verso la Francia, con ancora la neve a coprirlo.

Non ho neanche iniziato la mia escursione che due Camosci decidono di salutarmi in un modo alquanto insolito. Venendomi quasi addosso in pratica. Li vedo scendere veloci dalla cresta di un montagna e dirigersi verso fondo valle. Mi passano a pochi metri di distanza, piccola come sono, per fortuna non mi hanno investita, altrimenti mi avrebbero fatta arrivare ad Arma nel giro di un baleno. Dovrebbero calmare la loro enfasi ma li capisco… sono sempre molto felici di vedermi. Io, comunque, mi sono emozionata tantissimo ma tanto proprio. Muovevano l’erba come un vento impetuoso e il fruscio era forte, impossibile non sentirlo.

Questa passeggiata, al di sotto di Località Sciorella, è adatta a tutti e porta verso una piccola radura chiamata “Praetto” circondata da un verde vivace che lascia abbagliati.

In questo periodo dell’anno sono tantissimi i fiori spontanei che rendono ancora più suggestivo questo luogo e tanti i canti degli uccelli: Passeriformi, Galli Forcelli, Cuculi… è difficile ma divertente provare a riconoscerli dal canto.

Dopo essere passata sotto a Noccioli, Faggi e Carpini il panorama si apre ancora e mi mostra i paesi di Andagna, Triora, Molini, Cetta e Corte incastonati sui colli con i loro cimiteri e i loro santuari.

Ora, alla mia destra, una catena montuosa che si snoda verso Nord-Ovest, mi consente di osservare Monte Monega e la sua croce simbolica ma anche il Colle del Garezzo.

Tutto qui è florido e lussureggiante. Si vedono i Casoni nei Prati di Corte, antichi rifugi ancora oggi utilizzati, e la Località più bassa chiamata Case Loggia.

Il sentiero sul quale zampetto è comodo e accessibile a tutti basta avere scarpe idrorepellenti, in quanto, può capitare di dover attraversare rii o sorgenti in base al periodo.

Incontro sulla mia strada una bellissima Mucca tutta bianca. È un po’ spaventata dalla mia presenza e quindi, anche se incuriosita, decide di andarsene per poi fermarsi e guardarmi da lontano. Un Topino che fa scappare una Mucca! Questa devo proprio raccontarla.

Non si possono non ammirare i fiori che vi nominavo prima. Ogni colore si palesa davanti ai miei occhi con tutte le sue sfumature e anche ogni tipo di petalo è pomposo e felice di lasciarsi ammirare.

Sono impressionanti il Trifoglio e l’Ortica. Il primo ha fiori alti e enormi rispetto al normale. Sembrano grossi pon pon dai colori decisi. L’erba urticante, invece, ha foglie grandi quanto una mia zampa! E attorno a lei altri minuscoli fiorellini piccoli come puntini.

E poi ancora: Non Ti Scordar Di Me, Veronica, Scarpetta della Madonna, Botton d’Oro, Camenerio, Pigamo, Acetosella, Valeriana Rossa… grandi, piccoli, alti, bassi… un trionfo di tinte stupende. Anche loro emozionano, sembra di essere in una cartolina. Persino il verde è cangiante.

Qui, gli insetti, stanno davvero alla grande. Possono cibarsi di ogni ben di Dio!

Nel bel mezzo del Passo della Mezzaluna sono diversi i sentieri che prendono il via ma potete fidarvi che, qualsiasi decidete di scegliere non vi lascerà scontenti.

In questo periodo i pastori sono saliti con i loro greggi e non è difficile incontrare Pecore, Capre e Mucche, quest’ultime sempre molto protette dai Tori, muscolosi e attenti, ai quali è bene non rompere le scatole.

Io vado a riposare ora, voi aspettatemi per la prossima escursione.

Un bacio verdeggiante a voi.

Incredibili avventure sopra Cima dell’Ortica

Oggi ho pensato di portarvi in un luogo che apre gli occhi su distese infinite e verdi pascoli.

Oggi ho pensato anche che, se non avessi avuto la macchina topografica con me, non avreste potuto credere al mio entusiasmo ma posso dimostrarvi il mio Eden attraverso le immagini. Vi dico solo che ero talmente emozionata da dimenticarmi persino di fare la mia pausa caffè a metà mattinata… e ho detto tutto.

Cammineremo sulle creste dei monti e saremo circondati dalle cime più belle della Valle Argentina ma non è finita qui. Amate gli animali selvatici? E… gli spaventi? Ehm… E le avventure? Bene, ho capito che vi piace il programma e allora forza! Partiamo! Si va sopra a Cima dell’Ortica!

Dopo Triora si prosegue verso Passo della Guardia e poi ancora verso Colle del Garezzo. Parcheggiata la topo-mobile si inizia a zampettare verso il Tunnel del Garezzo di cui spesso vi ho parlato.

Dobbiamo andare dall’altra parte di questo breve traforo.

Sono assieme a Topo Fotografo e Topo Condottiero e proprio mentre osservo, con aria serena, la cima del Monte Frontè (2.152 mt) sopra il mio muso, simboleggiata dalla sua Madonnina, qualche Camoscio spunta dal di sotto dirigendosi correndo verso il punto che stavo ammirando.

Anche Topo Fotografo inizia a correre per poterli immortalare nella loro arrampicata. Lo lascio andare da solo per non rovinargli il momento con qualche mio <<Uh!>>, <<Oh!>>, <<Belli!>>, <<Guarda!>> e quindi lui, dopo diversi passi, si ritrova a parecchi metri davanti a me.

Metri che mi regalano una prospettiva terrificante quando uno dei Camosci, arrancando agilmente, fa cadere un masso grande quanto un cocomero che a me sembra diretto proprio sulla testa del Topo amico. Da quell’altezza, e a quella velocità, sembrava un enorme proiettile e ho immaginato il peggio. Mi blocco. Avevo Topo Fotografo in posizione, masso a mezz’aria e Camosci volteggianti sopra. Un’immagine per il concorso “Big Picture Natural World Photography Competition” ma ero così atterrita che l’ultimo pensiero fu quello di fare – click! -.

Bene, finito il tutto, si prosegue, mentre il mio piccolo cuore sensibile cerca di riprendersi. Topo Fotografo aveva ben visto che quella pietra era distante da lui pertanto sgambettava con giubilo verso il tunnel mentre io, invece, avevo ancora le ginocchia molli.

Un Orbettino, lucertola senza zampe (sì, è una lucertola) innocua di montagna, giace defunta in mezzo alla strada ma non sono ofidiofobica e quindi non svengo. La lasciamo lì, qualche rapace se ne nutrirà.

La bellezza del panorama mi distrae ma la pioggia e il vento forte, che nella galleria sembra un vortice, quasi ci obbligano a stare bassi, camminando curvi, e passato il tunnel si sceglie il sentiero a destra protetto dagli alberi.

È in quel momento che Topo Fotografo sente il verso di un Gallo Forcello e decide di andarlo a catturare con il suo obiettivo. Mentre cerchiamo di capire in quale Rododendro il pennuto si nasconde, un’Aquila Reale spunta dal colle e ci viene incontro. Non ho avuto neanche il tempo di stupirmi per il chiacchiericcio del Fagiano di Monte (altro nome del Gallo) che, un’altra grande emozione, stava già sorvolando verso di me avvicinandosi sempre di più.

Una splendida e austera Aquila Reale ci oltrepassa guardandoci con il suo occhio acuto. La mia professionalità incredibile da birdwhatcher la scambia per l’impavido Galletto e invece no, è proprio lei, la Regina della Montagna.

Passa lenta, elegante, potente. Si lascia fotografare da una parte e dall’altra, il mio cuore batte forte ma, dopo qualche scatto, non c’è tempo da perdere, non dimentichiamoci del Gallo!

Decidiamo di salire in cresta a Cima dell’Ortica per scorgerlo da sopra ma lui prevede la nostra mossa e s’innalza in volo assieme ad un compare con il quale stava discutendo animatamente.

I due Galli li ho invece scambiati per due Gazze ma, fortunatamente, con me c’è sempre Topo Fotografo altrimenti avreste nozioni di avifauna che Linnaeus si ribalterebbe nella tomba.

Ora siamo nei pressi di Monte Monega (1.882 mt)

Il vento è così impetuoso che Topo Condottiero si rifiuta categoricamente di salire sulla sua vetta che ha un’umile croce di ferro piantata a terra.

Il mio sguardo può comunque aprirsi su un paradiso terrestre. Vedo da qui Carmo dei Brocchi al quale sorrido.

Vedo i paesi di Andagna e Triora, uno di fronte all’altro, in mezzo alle nuvole e in mezzo a un verde cupo e vivido. Vedo anche più giù, fin sulla costa, fino al mare e le città, anche se c’è foschia.

Ci accovacciamo quindi dietro a dei massi per ripararci e nuovi spettacoli si aprono davanti a noi. Per prima cosa… quel Tutto.

Meraviglioso… pascoli verdi, distese infinite, cornici di monti solenni ci abbracciano dove la natura mostra tutto il suo splendore trionfando.

Un Camoscio bruca vicino a uno dei Casoni di Corte, proprio sopra a Case Loggia e, qualche attimo dopo, altri Camosci, scendono in fila da una scarpata.

Sono in alto. Vedo tutto da qui. Vedo le due parti del traforo e tutta la mia Valle.

Allodole e Prunelle svolazzano allegre spuntando all’improvviso.

Un rapace (che non chiedetemi cos’era) color nocciola, ci offre il suo particolare volo a spirito santo.

Con tutti quegli uccellini intorno, ricordo la canzone che intonava Cenerentola alla sera quando, anni fa, lavorai per la Walt Disney Production e mi infilarono in quella fiaba con altri topi – I sogni son desideri… di felicitaaaaa’!… -. Ah! L’animo romantico mi esce raramente ma quando arriva… arriva!

Estasiati e arricchiti da quello splendore possiamo decidere di far ritorno ma, dopo pochi passi, Topo Condottiero mi suggerisce di rallentare e sgattaiolare accucciata come un topo in trincea. Aveva ben ragione.

Appena scavalcata la colla, un gruppo di Camosci, a pochi passi da me, stava beatamente intento a prendersi il sole.

I bovidi mi vedono, mi guardano come a dire << De chi ti sei a fia??? >> (classica espressione della zona) e poi iniziano a scendere. Che meraviglia! Così vicini non li avevo mai visti. Corrono leggeri come piume trasportate dal vento. Alcuni hanno grandi pance, femmine incinte probabilmente, e questo mi fa sperare di poter presto vedere qualche tenero cucciolo. Sono incantata.

Topo Condottiero segnala a Topo Fotografo quella bellezza e gli scatti si sprecano alla grande ma non facciamo a tempo a rimirar quello splendore che i Camosci si moltiplicano proprio come a volerci fare un regalo.

Colmi di gioia ci porteremo in tana tante immagini e quindi tanti ricordi.

Il cuore pieno della nostra terra. Un’escursione bellissima. Facile da percorrere per chiunque ma ricca di piacevoli sorprese.

Ora, però, devo riprendermi un attimo. Non è stato facile superare tutte queste emozioni. Fatemi riposare che tra poco si riparte per una nuova avventura… no stop.

Un bacio emozionatissimo a voi.

Un sentiero speciale

Topi, oggi vi faccio fare un tour breve, ma molto carino. Vi porto a passeggiare sul sentiero che – udite, udite! – ha visto crescere la vostra topina e ha fatto nascere in lei la passione e l’amore per la meravigliosa Valle Argentina.

Andagna sentiero

Partiamo, allora, venite con me. Andiamo ad Andagna. Qui, dalla parte dell’abitato che si affaccia direttamente sui monti che fanno da cornice al Passo della Mezzaluna, inizia un percorso che da piccina mi piaceva chiamare “sentiero delle farfalle”. Non so se questo tratto di bosco abbia un nome particolare, io l’ho sempre soprannominato così con tenerezza. Ed è un sentiero molto conosciuto da tutti gli andagnìn (gli abitanti di Andagna, nel mio dialetto), pulito e sempre ben tenuto.

E’ un viottolo che attraversa i bellissimi boschi di conifere e latifoglie della zona, all’inizio ampio e pianeggiante, adatto a topi adulti e topi piccini.

ortica

Il sentiero esordisce così, all’ombra delle fronde che sembrano già accogliere i visitatori con un abbraccio fatto di rami. E all’ombra, ben custoditi, ci sono ciuffi di Ortica e altre piante che non amano esporsi ai raggi solari diretti.

Già si nota la presenza massiccia dei Pini, anche il naso ne capta l’odore balsamico, un profumo di resina al quale non si può proprio restare indifferenti.

sentiero Andagna pini

E ora, in questa Primavera ancora agli esordi, i fiori sono piccoli, delicati, stropicciano i petali come le farfalle appena uscite dal bozzolo dispiegano le ali per la prima volta.

fiore primavera

Tra le foglie secche di una stagione ormai morente e i rami vecchi caduti, frantumati al suolo, ecco spuntare questi occhietti colorati di Madre Terra, che sembrano guardarci e chiederci di essere notati.

fiori

Come si fa a non dare loro la giusta attenzione? Dopo tanto Inverno, la Primavera fiorisce e si rimane estasiati dai suoi profumi e dalla freschezza della vita che sboccia di nuovo, in un ciclo ancora bambino.

fioriture primaverili

I rami pullulano di gemme, anch’esse tenere. Tutto parla di rinascita, in questo momento dell’anno.

Il sentiero, vi dicevo, inizia in piano. Da qui si nota anche l’abitato di Corte con il suo Santuario dedicato alla Madonna del Ciastreo e, se si urla verso le montagne, un’eco pulita e vivace ci risponde. Fenomeno che non si trova ovunque. Più avanti, invece, si alternano salite poco impegnative al falso piano, ma di sicuro non è ostico. E’ un giretto che si fa con piacere e in breve tempo, poco più di un’oretta andata e ritorno, se come me amate soffermarvi di tanto in tanto a rimirare il creato.

andagna sentier2

Ed è anche un sentiero che sa offrire scenari diversi, topi, altroché!

A tratti ci ritroviamo all’ombra, il cielo sembra lontano sotto la cupola arborea. In altri tratti, invece, l’azzurro della volta celeste, con i suoi affreschi cangianti di nuvole, lascia senza fiato.

macchia mediterranea

E poi ci sono i monti del Passo della Mezzaluna, onnipresenti con la loro imponenza. I suoi morbidi prati sembrano davvero a due passi da noi. In alcuni punti soleggiati ci si imbatte senza difficoltà alcuna nella macchia mediterranea tipicamente arbustiva e aromatica. Qui Timo e Ginepro la fan da padroni, abbarbicati sulla nuda roccia come sovrani timorosi di assedio.

E in questo bosco, ora fitto ora rado, c’è una gran varietà di piante. I Castagni impressionano per la loro stazza, spiccano letteralmente nella vegetazione costituita in prevalenza di esili Noccioli. Qualche grosso Faggio ricorda per la mole i cugini del vicino Bosco di Rezzo. Persino le Querce trovano spazio in questo variegato groviglio arboreo.

E poi c’è lui, il Pino Silvestre, la cui personalità apre letteralmente i polmoni. La sua presenza qui è massiccia.

andagna pini silvestri

Tutto il sentiero è costellato di panchine e sedili naturali improvvisati. E’ bello, infatti, restarsene qui ad ascoltare il canto degli uccelli, la pace che permea questi luoghi è paragonabile a quella che gli umani attribuiscono a certi santuari. Qui ci si sente in armonia con tutto quello che ci circonda, e allora viene il desiderio di fermarsi per assaporare quel momento, prima di proseguire nella camminata.

sentiero andagna panchina

Intanto Ghiandaie, Cince e Falchi si fanno sentire con i loro versi, e il silenzio del bosco è interrotto dal frusciare delle lucertole e dei ramarri, che scappano via spaventati al nostro passaggio. Se ne stanno al sole, anche se è ancora timido, a riscaldarsi come Natura comanda loro. La Ghiandaia, poi, è sempre così egocentrica (ovviamente parlo della mia amica/nemica Serpilla, non me ne vogliano tutte le altre Ghiandaie della Valle Argentina) da voler sempre lasciare una traccia di sé in bella vista, come a ricordarci che esiste anche lei e che, insomma, bisogna proprio notarla.

piuma ghiandaia

Oggi, per fortuna, sembra avere qualcun altro da tormentare con il suo insistente tciààà tciààà, per cui proseguiamo tranquilli in questo tripudio di fiori dai toni del giallo, del bianco e del rosa.

fiori bianchi

 

Nel bosco si intravedono anche diversi muretti a secco e qualche abbozzo di costruzione in pietra, un tempo queste zone erano frequentate e abitate, anche quelle che appaiono più impervie. C’è anche una vecchia fontana ormai in disuso.

vecchia fontana andagna

Ricordo la paura delle vipere di topo-zia. Qualcuna c’è. In fondo, stiamo parlando di natura incontaminata, ma come saprete fuggono via velocissime appena sentono muovere qualcosa. Passeggiavo sempre battendo un bastone al suolo e cantando canzoni a squarciagola.

Come ho detto, da qui, con un po’ di attenzione, si vede anche Corte, ma spingendo lo sguardo un po’ oltre, potremmo vedere anche il viso pallido di Rocca Barbone e il Saccarello.

Ma ora veniamo al motivo del soprannome che davo a questo luogo incantato quando ero topina e la mia cara topo-zia mi ci portava spesso…

farfalla

In questo momento dell’anno sono riuscita a vederne ben poche, ma a breve questo sentiero si riempirà di farfalle. Grandi, piccole, dai mille colori… tutte pronte a dar spettacolo con il loro sfarfallio! Una grande meraviglia, ve lo assicuro.

roccia sentiero andana

E che belle quelle pareti di roccia che di tanto in tanto strappano la tela del bosco! Alcune aguzze, altre più affilate, ci fanno sentire piccini.

Infine, ecco la meta di questo sentiero. Lo sterrato si conclude là, in quel varco magico creato apposta dalla vegetazione. E, una volta attraversato… vi assicuro resterete incantati.

sentiero Andagna3

Sì, perché si sbuca un po’ prima di Drego, e lì è facile che tiri una bella e piacevole arietta. Un vento che porta, ancora una volta, il profumo dei Pini che si fanno di nuovo assai presenti, e che a ogni istante ridisegna le nuvole. Col naso all’insù guardiamo i pascoli alti di Drego, Carmo dei Brocchi e Cima Donzella. Sono belli anche in questa stagione, con le gote ingiallite e bruciate dal freddo invernale.

drego andagna

Il sentiero, allora, si ricollega alla strada, la stessa che porta a Rezzo, ma prima ci lascia ancora rimirare un’altra fontana e quella perla di pietra che è la chiesetta di Santa Brigida alla quale gli andagnìn sono molto affezionati e della quale vi ho già parlato in un altro mio articolo.

chiesa santa brigida andagna

Restiamo un po’ qui a goderci la pace tra la Lavanda che deve sbocciare e il Biancospino ancora assonato e poi torniamo indietro, verso nuovi sentieri e altre avventure.

Uno squittio svolazzante per tutti voi, topi! A presto!

“Au Ciottu” di Corte

Ci sono luoghi della mia Valle che non sono accessibili a tutti, ma… io che sono Pigmy  posso andare dove voglio e sono sempre autorizzata, grazie alla miriade di topoamici che ho, sparsi qua e là, e che mi consentono di visitare le loro terre o i sentieri sbarrati ai più.

E oggi è proprio in un posto come questo che vi porto, “vietato”, cosicché possiate ammirarlo tutti voi.

Sì, lo so che in natura non dovrebbero esserci divieti, ma così è e, nel mondo degli umani, ci si deve adattare. Io sono comunque lieta di aver visto una meraviglia che ancora non avevo ammirato e ringrazio di cuore chi mi ha permesso di godere di tanta bellezza e di tanto appagamento.

Andiamo sopra il paese di Corte, precisamente al Ciotto di Corte. Un tempo, in questa depressione erbosa ricca di Noci e Castagni, venivano raccolti i frutti di questi alberi e portati per la vendita fin giù a Taggia o a Corte stessa. I mestieri di una volta si possono ancora vivere attraverso l’immaginazione e l’atmosfera di queste zone.

La strada è sterrata, ma larga e comoda. Sale senza essere ripida e ci porta fino a trovarci di fronte al Carmo dei Brocchi che sovrasta un altro Ciotto, quello di San Lorenzo. La vista è magnifica, una meraviglia si apre agli occhi e permette al cuore di respirare.

Mi accompagnano le farfalle, molto numerose in questa stagione, che si posano sui fiori. Ognuna ha un colore diverso dall’altra e si posano anche su alcune pozzanghere per bere, presumo. Ci sono la Ginestra, il Pisello selvatico, e le rocce attorno sono coperte di Timo e Lavanda.

In certi punti si può ammirare il paese di Corte dall’alto, tutti quei tetti rossi sembrano appiccicati tra di loro e più in giù, sul Torrente, c’è Molini di Triora  “il Paese dell’Acqua”, chiamato così proprio perché costruito sulle sponde dell’Argentina e del Rio Capriolo.

In alto, invece, c’è la stessa Triora e, dall’altra parte, a sinistra di fronte a noi, ecco Andagna con il suo bosco nel quale si intravede il sentiero che porta alla chiesetta di Santa Brigida.

Sono partita dal Camposanto di Corte, piccolo, intimo e ben tenuto e, percorrendo questa strada, ho seguito anche un pezzo di sentiero che, fino a qualche anno fa, veniva utilizzato anche come pista per la Corsa Podistica che si teneva durante la festa in onore alla Madonna dell’8 di settembre.

Una festa importante, per gli abitanti di Corte, molto sentita. Da qui si può anche raggiungere la Palestra Naturale di Arrampicata “Rocca di Corte” per gli amanti scalatori. La Falesia di Corte, che prende il nome proprio dall’omonimo paese, si offre in tutta la sua verticale bellezza per essere scalata da climbers esperti, essendoci punti pericolosi e su strapiombi.

La sbarra che blocca la strada è il preludio della magnificenza. Non avevo mai visto la mia Valle da questo lato. Posso ammirare i pascoli laggiù in fondo, le vette, alcune dolci altre più aspre e, oggi, alcune nuvolette le contornano come un ricamo.

Le More non sono ancora mature. Se lo fossero, ci sarebbe da mangiare per tutto il tragitto. Ce ne sono tantissime e non mancano nemmeno le Ciliegie e le Prugne.

Questa strada porta anche a una piccola frazione di appena una manciata di case, chiamata Vignago e sono davvero pochi a conoscerla. Sarà però una prossima meta perché è davvero distante e oggi non riesco a raggiungerla. Mi chiedo, però, come si potesse vivere così lontani dal paese un tempo, eppure…

Arrivati al Ciotto, l’atmosfera è stupenda. Grossi tronchi aspettano di essere tagliati e bruciati per riscaldare durante l’inverno ed esorcizzare la temperatura rigida della stagione più fredda, rendendo l’ambiente domestico più confortevole.

Il prato è bellissimo, sotto l’ombra di Noci e Castagni secolari ed enormi che sono ancora lì e ancora donano i loro frutti. Tutto attorno c’è il bosco, più fitto in questo punto, ma comunque suggestivo.

Ci imbattiamo in un casone, dove un tempo si stipavano i frutti della terra e gli attrezzi, e una piccola chiesetta conosciuta come “la Chiesetta du Ciottu”, piccola, ma molto carina, con il tetto in ciappe di Ardesia e il portale dello stesso materiale. Come già vi ho detto più volte, santuari, chiese e edicole religiose non mancano mai nella mia Valle.

Da qui si può osservare molto bene la Valle nel suo termine stesso. Nel senso che si vede chiaramente il vallone compreso tra le due catene montuose che la circondano. Si possono notare anche alcuni piccoli affluenti del Torrente Argentina, che adesso sono in secca, nonostante le numerose piogge di quest’anno. Sembrano grandi arterie dei monti con il loro beige che si staglia in tutto quel verde. Un verde onnipresente.

Questa strada, infatti, è percorribile anche in piena estate, a differenza di altre della Valle, perché offre zone d’ombra nelle quali ristorarsi. Ci sono molti alberi, cespugli e arbusti ai suoi lati. Non è aspra e glabra come l’Alta Valle dei pascoli e degli alpeggi.

Sono tanti, infatti, anche gli uccellini che accompagnano la nostra passeggiata con il loro canto. Qui possono costruire i loro nidi. Si sentono cinguettii di vari tipi e, tutti assieme, formano un coro armonioso.

Come vi ho detto, la strada continua, sale molto più su, ma adesso io mi fermo qui. Mi riposo e mi godo questa natura eccezionale che dona le sensazioni migliori. Sedetevi anche voi accanto a me e ascoltate… osservate… in silenzio… il Tutto.

Vi aspetto per il prossimo tour Topi, a presto!