Il Sentiero della Castagna e il Passo dei Fascisti

Prendendo la strada che, dopo Molini di Triora, sale a Colle Melosa si arriva ad un certo punto dove un piccolo prato ti obbliga a fermarti.

Da qui si gode infatti di una bellissima vista che regala i profili dei nostri monti da una parte e fasce pianeggianti dall’altra.

O meglio, unisce la Valle Nervia alla Valle Argentina in un solo sguardo.

Le montagne a Est si riconoscono bene: i Balconi di Cima Marta, il Monte Saccarello, Rocca Barbone più in basso, il Colle del Garezzo con il suo tunnel… i sentieri, conosciuti come “i Sentieri degli Alpini”, si srotolano davanti ai nostri occhi mostrando una bellezza mozzafiato e il cielo esalta, nel contrasto, le vette di queste montagne sulle quali si è sviluppata la storia del nostro passato.

Al di là del prato, invece, il territorio appare come più morbido offrendo, prima dei lontani monti francesi, terrazze erbose e curve dolci.

Da qui, inoltre, passa il sentiero che arriva a Cetta, il protagonista di questo post, un tempo molto usato da chi, a piedi, raccoglieva legna o frutti selvatici da portare a vendere e il nome, “Sentiero della Castagna”, che lo contraddistingue, indica proprio la raccolta di questi doni, dei quali la Valle Argentina è ricca, che hanno sfamato per molti anni le generazioni che furono.

Si tratta di un sentiero che, proprio attraverso la frazione di Cetta, unisce le due Valli da Castelvittorio (Val Nervia) a Molini di Triora (Valle Argentina). Un cammino usato già dal 1200. Come vi ho detto, siamo un punto toccato da questo percorso ma, proprio da qui, volendo, si possono iniziare passeggiate più brevi e meravigliose in mezzo alla natura arrivando appunto a Cetta o a Palazzo del Maggiore.

Il fatto è che, durante la guerra, e mi riferisco alla Seconda Guerra Mondiale, non si poteva passare da questo punto strategico liberi e inosservati.

Il prato, nel quale oggi sorge un’edicola dedicata alla Madonna, era zona di controllo presidiata dai fascisti, per questo, ancora oggi, lo si conosce come il “Passo dei Fascisti”.

La testimonianza che ne è rimasta è una costruzione, semi distrutta, all’interno della quale i nazisti controllavano cosa si trasportava e facevano pagare un dazio. Una specie di cabina di Dogana, costruita in cemento e a forma di cubo con tanto di feritoia per sparare o osservare senza essere visti.

Siamo su un punto della Valle che ha visto il passaggio di molti partigiani e molti tedeschi. L’apertura permetteva gran visibilità ma il bosco adiacente, di castagni in basso e conifere in alto, dava la possibilità a tutti di nascondersi. Alla sua destra e alla sua sinistra, le due conche furono teatri di molti atti sanguinari, di fughe, di nascondigli ed era una cosa normale, seppur spaventosa, sentir riecheggiare nei due valloni parecchi spari ogni giorno.

Il cielo, oggi terso e sfondo di una natura splendida e di catene alpine assai suggestive, era a quel tempo disturbato e trafficato da aerei che sganciavano bombe senza pietà.

Chi passava di qui, quindi, come vi stavo raccontando, doveva pagare e se non aveva soldi poteva lasciare la merce recuperata nel sottobosco.

Il vero nome di questo Passo non lo conosco ma, come vi ho detto, è sempre stato chiamato così per ciò che è servito.

La piccola cappelletta è alla base di un breve sentiero in salita, che porta sulla cima di una montagnetta dalla quale la vista si apre ulteriormente e lo sguardo si spalanca sull’infinito.

Avete visto topi come, ogni giorno, se ne scopre una su questa splendida Valle sia dal punto di vista della natura che da quello storico? Oggi vi ho portato qui, in questo luogo che metteva timore, pericoloso anche per i fuggiaschi. Un luogo che, per un lungo periodo, non fu nostro.

Un bacio a voi e ai vostri ricordi.

Da Verezzo ai prati di San Giovanni

Lo so che la mia Valle sarà gelosa del post che sto scrivendo, ma oggi vi porto a conoscere un posto che non si trova nella Valle Argentina, bensì nelle zone immediatamente limitrofe.

Se c’è una cosa che di solito ci invidiano tutti della Liguria, è la sua caratteristica di essere a metà tra i monti e il mare, e spesso percorrendo sentieri dell’entroterra si può osservare la distesa d’acqua che lambisce la costa, mentre si danno le spalle alle Alpi.

Ebbene, un giorno d’autunno prendiamo la topo-mobile e allontaniamoci dai miei luoghi, ma non tanto, eh!

Arriviamo fino a Verezzo, frazione di Sanremo, e lasciamo la macchina proprio davanti alla chiesetta di Sant’Antonio.

Mi perdonerete se non farò tante foto, questa volta, ma ho le zampe ghiacciate. Tira un’aria così fredda che si fatica a tirarle fuori dalle tasche, figurarsi a scattare fotografie!

Comunque, dicevo, dalla chiesa imbocchiamo la mulattiera visibile sulla strada e, inerpicandoci, arriviamo su una strada asfaltata che sale ancora tra bellissime villette. Presto l’asfalto si trasforma in cemento, e il cemento in pietra. Si raggiunge così un’altra mulattiera, contornata dalla vegetazione di tipo mediterraneo, dalle campagne curate da mani sapienti e da case di agricoltori.

Il percorso prosegue tutto al sole, non ci sono alberi ad adombrare il sentiero. Lungo il cammino ci imbattiamo nella Ginestra, nel Cisto, nel Timo, in cespugli rigogliosi di Ginepro. E poi, di tanto in tanto, ecco spuntare Querce, Mandorli, Pini e Ulivi.

Si sale sempre, senza fermarsi mai, e la presenza delle mucche è evidente, bisogna fare attenzione a dove si mettono le zampe, se non si vuole finire dritti dritti nella… busa!

Più si va in alto, più la vista diventa mozzafiato. Se volgiamo lo sguardo verso l’interno, possiamo vedere le antenne di Monte Bignone, ma guardando verso sud veniamo invasi dal colore del mare, che oggi è blu intenso, specchio perfetto del cielo terso. E poi si scorgono Sanremo, la Valle Armea, Bussana, Castellaro, da una postazione più elevata possiamo vedere anche Arma di Taggia.

Verezzo

Tornando con lo sguardo verso l’entroterra, riconosciamo il Monte Faudo.

Salendo, la vegetazione si fa più brulla e i Grilli saltano allegri in mezzo all’erba, ormai quasi del tutto secca.

Poi, a un tratto, il sentiero si fa più pianeggiante, la pendenza diminuisce drasticamente. Si procede in mezzo alle Ginestre, i cui rami spogli si impigliano allo zaino, alla giacca e ai capelli. Anche il Rovo si fa spazio in questo ambiente, bisogna fare attenzione a non lasciare che prenda confidenza con noi, perché potrebbe graffiarci le guance, le zampe e lacerare i nostri vestiti. Si sale ancora un po’, ma questa volta la salita è più dolce che in precedenza. Ed eccoci arrivati ai prati, bellissimi, quasi sconfinati, in mezzo ai quali si stagliano ruderi di costruzioni antiche come il tempo e alberi solitari di maestosa bellezza.

Verezzo1

Continuando a camminare in mezzo alle distese erbose, dove pascolano le Mucche, grufolano i Cinghiali e dove passano anche i Cavalli, ci dirigiamo verso la pineta che si vede sulla cresta, poco più in alto rispetto a dove ci troviamo.

E, una volta arrivati, le meraviglie da assaporare non sono poche.

prati Verezzo

Tappeti di pigne ricoprono il terreno e un Pino Silvestre trasuda resina dalla corteccia, si vede anche a distanza. Guardate la meraviglia di questa colata d’ambra!

Sebbene la perdita della resina dalla corteccia non sia un buon segno per la pianta, non possiamo che rimanerne affascinati.

Più avanti ci fermiamo a mangiare un boccone con lo sguardo rivolto al mare, ma facciamo in fretta, perché il vento è forte quassù, non si riesce a rimanere fermi a lungo. Dopo mangiato, proseguiamo il sentiero per pochi istanti e ci ritroviamo alla chiesetta rurale di San Zane, San Giovanni. Subito sotto c’è il paese di Ceriana, un cartello indica che è possibile arrivarci, ma oggi non vogliamo proseguire. Da qui si potrebbe arrivare anche a Monte Bignone, ma neppure questo sarà la nostra meta. In lontananza scorgiamo il Toraggio e, sullo sfondo, le cime innevate delle alture cuneesi.

prati di san giovanni ceriana

C’è pace, il profumo della neve arriva quasi alle nostre narici. Il freddo sferza il viso, ci copriamo di più per sentire di meno il suo schiaffo, ma il vento è potente. E allora decidiamo di tornare indietro, contenti per la bella e rigenerante passeggiata, mentre godiamo dell’oro del sole che ci pervade e illumina ogni cosa intorno a noi.

Pigmy

I ponti della strada “di sotto”

E oggiSONY DSC topi, dopo avervi fatto conoscere la strada “di sotto”, una delle due strade dopo Badalucco, vi chiedo di guardarla più attentamente perchè vorrei farvi vedere i suoi numerosi e caratteristici ponti o… purtruppo si, per alcuni, quel SONY DSCche ne rimane. La pietra è, come vedrete, sempre la grande protagonista, soprattutto in quelli più antichi, in quelli romani o in quella dei miei antichissimi antenati; pietra nuda, visibile, dalle studiate proporzioni ma, in quelli creati dai miei convallesi più recentemente, è rivestita a volte da cemento. Un cemento che spesso occorre a costruire anche il SONY DSCmuretto di protezione. Alcuni si mimetizzano in questa stagione con i colori della natura spoglia, annoiata, svestita, una natura che lascia trasparire tinte spente. Alcuni, ingoiati dall’edera e dalla vegetazione. Alcuni, non servono più a nulla, sono solo ricordi, altri invece, sono la strada che continua, a zig-zagSONY DSC  sopra al torrente. E quanto è bello qui il mio torrente! Come scende sicuro sotto a questi ponti che ci sorreggono. E solo a guardarlo, si sente che è freddo. Lo dicono le sfumature che ha. Sfumature di vario verde e vario azzurro, metallico. Lo dice il suo boato, il suo rombo che assorda. I ponti, i loro piloni che toccano il torrente, sono ricoperti di muschio cupo e in alcuni tratti, i pesci, cercano di pulirli come dei bravi lavavetri. Succhiano quella molle erbetta tutto il giorno. Dev’essere saporita. E ce n’è per tutti. Sono piloni veramente enormi, chi ha costruito questi ponti, voleva assicurarsi che resistessero a qualsiasi peso. Sono ponti ad arco. Non sono lunghissimi, quindi qui nella mia valle solitamente si trovano ad una sola arcata e lo sapete chi, prima dei Romani, capì il metodo giusto per costruireSONY DSC i ponti in questo modo? Gli Etruschi. Ah, ah. E grazie a questa tecnica potevano costruire di tutto, non solo passerelle e cavalcavia. Ma i Romani, furono ottimi allievi e, come loro, i Liguri, seppero fare della pietra una vera celebrità. Qualsiasi cosa, a partire dai mitici ormai muretti in pietra, che dividono le particolari coltivazioni a terrazzaSONY DSC della Liguria. I Liguri, erano davvero abili a seguire i maestri del Grandi Impero, mi spiace solo che alcune tecniche oggi, sono sempre più rare e vanno perdendosi. E pensare che stiamo parlando di un’arte considerata sacra, pensate. Il “sommo maestro” (così era chiamato colui che governava la costruzione di un ponte), doveva infatti oltre che realizzare, saper valutare di avere roccia in abbondanza e calcolare bene dove far appoggiare le spalle del ponte evitando che alluvioni o piogge intense, potessero distruggerlo. Sono tutti ponti infatti che resistono al tempo da secoli e secoli. Ci pensate? E senza l’aiuto di collanti, se non un pò di argilla, come già vi avevo spiegato neiSONY DSC miei post antecedenti sui ponti della mia valle. E’ ovvio però che una manuntenzione dovrebbero farla. Pare però che a pochi importa e purtroppo, questo è il risultato.SONY DSC Consideriamo inoltre che la seconda guerra mondiale non ha certo aiutato la situazione. Quelle che vedete in queste immagini, sono le due parti di un antichissimo ponte ad unica arcata, al quale è crollato la parte centrale. Ok, ho capito, è bene ch’io mi avvicini un pò di più per farvi vedere meglio. Ci riuscite così? Eccolo, spezzato nettamente a metà. E’ impressionante e mi ci gioco qualcosa che in mille passano di qua davanti senza notare questo rudere rimasto. Che è anche significativo a mio parere. Sembra cheSONY DSC un gigante lo abbia preso e tranciato come un panino. E adesso? Come si fa ad andare da una parte all’altra? La casetta che vedete alla destra delle foto è oggi raggiungibile da una viuzza laterale, ma vi ho lasciato di stucco eh? Dite la verità. Quanti ragazzi hanno provato a tuffarsi in estate da questi spuntoni di pietra per scendere giù nel fiume che in questo punto è parecchio profondo? Bhè, qui i “senza paura”, non hanno che l’imbarazzo della scelta e presto vi farò conoscere aSONY DSCnche gli altri ponticelli perchè mostrarveli tutti in una volta era impossibile. In questo punto sono davvero numerosi. Però che fascino, che meraviglia. Guardate che larga la spalla di appoggio. E tanto più doveva essere lungo l’arco, tanto più grande doveva essere il pilone sostenitore. E lui ora non c’è più, lasciando lo spazio ad un panorama magnifico. Guardate che bella l’acqua che scorre veloce e impetuosa, ma fa paura guardarla da qui, sembra che il rimasto, possa non reggermi. Evitiamo, è meglio. E poi, queste rovine sono così affascinantiSONY DSC che è un piacere ammirarle da qui e rimango incantata. E spero che ammirarle sia piaciuto anche a voi amici. Perciò topi cari io ora vi saluto, vado alla scoperta di altri angolini fantastici e segnati dalla storia della mia valle e oltre. Scorci che possano rendervi nota la mia terra. Vado a fotografare altri ponti. Poche cose sono affascinanti e caratteristiche come loro, non trovate anche voi? E allora aspettatemi, tornerò presto. Un bacione! E, a proposito… state tranquilli, se venite nSONY DSCella mia valle, non abbiate paura a salire sopra uno di loro. E’ meraviglioso attraversarli, starci sopra e guardare giù che cosa accade. Datemi retta, potete stare tranquilli! Squit!

Porte e Fontane di Corte

Devo dirvi la verità, topi: le porte e le fontane di Corte mi hanno assai colpito. In questo paese ce ne sono di tante e meravigliose. Forse potete trovarle banali, ma vi assicuro che non è così. Le porte sono di un legno massiccio, stupendo a vedersi, e le fontane rendono giustizia a chi le ha costruite, sono bellissime e spesso anche decorate a mano.

Godetevi questa carellata di foto, dunque!

Iniziamo dalle porte: alcune sono incorniciate dall’ardesia e. già da sole, possono essere considerate opere d’arte. Gli archi che le sovrastano sono elementi importantissimi che, oltre a sostenere, regalano alla porta un carattere particolare. Capitelli scolpiti a mano ne impreziosiscono gli angoli, capita spesso di vederli nelle dimore religiose di un tempo. Si parla, quindi, di porte antiche, alcune restaurate, altre lasciate invecchiare col tempo. Quante mani hanno toccato quelle maniglie! Per realizzare le porte è spesso usato il legno di olmo, un materiale che risponde bene alla lavorazione e si mantiene resistente nel tempo. Anche il frassino e l’abete sono ottimi.

Trovo che la porta sia una cosa importante, poiché identifica lo stile della persona che l’ha scelta o dell’abitazione. Sono essenziali per rimarcare il design dell’ambiente circostante. La porta è quell’apertura che ci permette di passare da un luogo all’altro e chissà dietro queste porte quale vita si nasconde.

A Corte, di porte se ne possono vedere di ogni materiale e degli stili più disparati. Che belli, poi, i particolari! I battacchi, i campanelli, i rosoni, le porticine per le lettere… In ferro, in ottone, in bronzo.Tutto è fonte di meraviglia.

E le fontane? Sono forse meno apprezzabili? Direi di no.

Piccole, grandi, in pietra, in cemento, in gesso… ce n’è per tutti i gusti, sempre pronte a dissetare con quell’acqua limpida che sgorga dai loro rubinetti. A Corte, come nel resto della mia Valle, la maggior parte delle fontanelle è realizzata in pietra. Talvolta quest’ultima viene poi intonacata, ma alla base c’è la nostra sacra pietra con la quale costruiamo davvero di tutto. La fontana in pietra assume una duplice funzione: è artistica e funzionale. I decori e le pitture che la adornano sono eseguiti da artisti creativi e fantasiosi. Tante volte, anch’esse possono definirsi opere d’arte, come tutto ciò che è creato da mani e menti ingegnose.

Le fontane in pietra sono realizzate con questo materiale perché è naturale e nella mia Valle ce n’è tantissimo, e quindi in perfetta sintonia con la natura, non richiede nessuna manutenzione affinché la fontana mantenga il suo originario aspetto, ed è tanto solido da resistere alle intemperie.

Sotto la neve, ghiacciano le tubazioni, mentre sotto il sole cocente diventano quasi roventi, ma le fontane non si rovinano, sono sempre lì come ad aspettare. A seconda del tipo di pietra usata, la fontana ha un colore differente. Spesso è ricavata direttamente dalla roccia, lavorandola e scavando fino a ottenere la forma immaginata.

Quanta storia testimoniano! Nella mia Valle ce ne sono addirittura di origine romana.

Sulla fontana possono essere scolpiti bassorilievi o disegnate immagini rappresentanti fiori, frutti, volti, simboli o, come nel nostro caso, visto il culto Mariano così sentito, icone della Madonna. Alcune di queste fontanelle possono anche essere a muro, quando non c’è roccia che ne permetta la costruzione, e allora si attaccano alle pareti delle case in qualche via o in una piazza.

Sembra difficile da credere, ma ci sono paesi privi di fontanelle o, a dire tanto, ne hanno una sola. Altri invece, sono dotati di queste carinissime invenzioni ogni venti metri. Fortunatamente, nella mia Valle non mancano e soprattutto qui, a Corte, ce n’è quante ne vogliamo!

Tutte bellissime. Buona giornata topi!

M.