Nel Ciotto di San Lorenzo tra storia, natura e misteri

Sarà un lungo articolo questo che descrive uno dei luoghi da me più amati in Valle Argentina. Voglio parlarvi del Ciotto di San Lorenzo e, per elencarvi tutto quello che propone agli occhi e al cuore, ho bisogno di molte parole.

Il Ciotto, chiamato anche “Sotto”, lo si raggiunge dal Passo della Mezzaluna oppure da Passo Teglia camminando in mezzo ad una splendida faggeta, la Foresta di Rezzo, per poi giungere in questa radura fatta a conca, definita persino dolina, sormontata dal Carmo dei Brocchi.

La Foresta è così bella da essere soprannominata “Bosco delle Fate”.

Qui, dove d’estate regnano indisturbate le Marmotte, la storia racconta che un tempo, intorno al 245 d. C., ha vissuto il giovane eremita Lorenzo ucciso poi a Roma, per volere dell’Imperatore Valeriano, e venerato in seguito come Santo dalla Chiesa Cattolica.

Si fermò qui per circa due anni vivendo da solo con l’unico contatto della natura e, di lui e del suo passaggio, oggi resta solo un rudere nel quale alloggiava e pregava. Le rovine di chi dice essere stata una piccola chiesa e chi invece afferma essere stata una semplice dimora.

San Lorenzo si affacciava su questo prato bellissimo circondato da Abeti, Larici ma anche da grossi massi e osservando attentamente queste bianche pietre ci si accorge che alcune sono disposte a cerchio. Si parla di cerchio sacrificale, punto in cui venivano bruciate le streghe durante il periodo dell’Inquisizione.

Non si sa se siano leggende o realtà ma questo luogo ha da raccontare molto anche riguardo un tempo precedente alla caccia alle Streghe.

Si parla di popoli antichi e di costruzioni che restano lì, immobili, da tantissimi anni.

Al Ciotto, e nei suoi paraggi, infatti, si possono scoprire in un grande complesso megalitico: dolmen, menhir, pietre sacrificali e molto altro. Ogni cosa meriterebbe un post a sé.

L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno. Mentre il Dolmen poteva essere una tomba e la pietra sacrificale è dotata di coppa di scolo ben visibile.

Qui tutto è ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

Siamo a circa 1.400 mt s.l.m. e il verde vivo è incontaminato e splendente. Una coppia di Corvi Imperiali vola in cerchio sopra alla radura e sembrano essere i guardiani di questo luogo mistico. Mi piace pensare che siano gli amici delle donne che qui hanno trovato la morte per volere dell’Inquisitore.

Salendo sulle selle attorno al prato si può godere di una vista magnifica e si vede anche il mare.

So che però, oltre ai Corvi, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi.

Lorenzo, dalle origini spagnole, poteva godere di una stellata magnifica passando le notti in questo Ciotto. Qui, dove i monti si aprono permettendo di godere di un firmamento unico; non c’è inquinamento luminoso e tutto pare come avvolto dalla magia.

Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda.

Il suo aspetto cambia ad ogni stagione ma resta sempre magnifico.

L’Agrifoglio e l’Aquilegia si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia e il Cardo Selvatico ne descrive la resistenza al tempo. Tutto è perfetto.

 In questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante.

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che accade a me ogni volta che ci vado. Sarà la mia sensibilità da animaletto.

Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

E’ un luogo, questo, colmo di ricordi ed emozioni.

Qui l’amore di Madre Terra ti abbraccia e ti fa suo. Qui, anni or sono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità.

Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

E’ un luogo splendido vero Topi? Un luogo che esige rispetto come ogni zona in fondo.

Spero tanto che sia piaciuto anche a voi come a me. Se è così, vi lascio sognare ancora un po’, io corro a prepararvi un’altra fantastica escursione.

Vi mando un bacio spirituale! Smuck!

Il Cerchio delle Streghe: Mistero in Valle Argentina

Ecco. Lo vedete nell’immagine quel cerchio sul prato? No, non si tratta dei classici “cerchi nel grano” che tanto hanno fatto discutere la popolazione a livello mondiale.

In questo cerchio, se riuscite a notare bene, la circonferenza non è designata dalla mancanza d’erba, bensì è come se la stessa erba fosse nata sfoggiando un altro lato di sé, oppure ancora, proprio formando un perfetto circolo, sia nata un’altra erba, di un’altra specie, che ha creato questo disegno geometrico.

Vi assicuro che non si tratta di un fotomontaggio. 
Cerchio_delle_streghe1
Un’alone piacevole di mistero e magia. Siamo nell’Alta Valle Argentina ma, il luogo preciso, mi spiace, non posso rivelarlo come anche suggeriscono vari studiosi di questo particolare fenomeno.

Si rischia di creare una sorta di mito che causerebbe l’arrivo di folle probabilmente poi incriminabili di inquinamento e disturbo della quiete di questo luogo meraviglioso dove flora e fauna vivono in perfetta armonia ogni giorno.

Gli abitanti del luogo, inoltre, preferiscono fare gli indifferenti sul caso e non è certo mio volere usurpare la loro intimità.

Questo perchè, riguardo a questo cerchio sospetto, si sono venute ovviamente a creare delle leggende e delle storie che, come spesso accade, non si sa mai quanto possano essere vere. Ma affascinanti sì, su questo non c’è dubbio.

Innanzi tutto, a codesta figura, già è stato dato un nome arcano e suggestivo. “Il Cerchio delle Streghe” si chiama e, nome migliore, non poteva essere scelto.

Per la mia Valle, che ha come protagonista il paese di Triora, conosciuto come la Salem d’Italia, sembra proprio la ciliegina sulla torta.

Pare che, questo cerchio, abbia il diametro di una dozzina di metri. Mi sembrano tanti per come l’ho visto io ma non sono all’altezza di dare una valida misurazione e, inoltre, ero abbastanza lontana in un sentiero stupendo e panoramico.

Ora, potrete ben capire come sia assolutamente interdetta la zona interna, anche se solo moralmente, in quanto, le Streghe, con le loro persecuzioni, potrebbero compiere nuovi atti malvagi nei confronti della popolazione.

Le credenze continuano a vivere ma, su sanremonews, il ricercatore Vittorio Stoinich, racconta che la tradizione è sempre viva nel cuore della Valle. Perciò, quando si sente dire che un pastore, che ha voluto sfidare il potere delle nostre Bazue (streghe), dopo aver messo il piede all’interno del cerchio per raccogliere il fieno, si è ritrovato con le pecore che producevano il latte rosso come il sangue anziché candido come sempre, tutti si sta zitti e ci si fa cullare da questa sorta di affascinante racconto che rapisce gli animi.

E anche la mia Valle, quindi, come se già non le bastassero tutte le varie storie di Wicca e stregonerie che vivono da anni nel suo cuore, vuole avere il suo primato. E, attenzione, questo cerchio pare non essere l’unico nella Valle Argentina.

Ne scoprirò altri? Lo saprete nelle prossime puntate amici! Sgattaiolo immediatamente sui monti come un piccolo segugio! Baci e…. non fatene parola con nessuno!

photo – la seconda immagine appartiene a sanremonews ed è stata scattata da Vittorio Stoinich

La nostra Divina Commedia

Topi, scommetto che tutti voi avete studiato la Divina Commedia. Ebbene, ve lo ricordate il V canto? Esso si svolge nel Secondo Cerchio, dove sono puniti tutti i lussuriosi. Siamo, si presume secondo gli studi, nella notte tra l’8 e il 9 aprile del 1300. Questa traduzione di Federico Gazzo, riporta, in un antichissimo dialetto ligure, proprio un pezzo della Commedia di Dante Alighieri.

Qui, il titolo della sua opera in questo sito http://www.francobampi.it/zeneise/lengua/proposte/gazzo.htm in cui viene spiegato come si legge, come si scrive e come si pronuncia.

Padre Angelico Federico Gazzo
La «Divina Commedia» tradotta in genovese
Genova, 1909

DANTE ALIGHIERI

Divina Commedia – INFERNO:  Canto V

nella traduzione di Federico Gazzo (1845-1926):

 Dòppo d’avey da o mæ Dottô sentïo

nominâ i cavaggëi cu’e damme antighe

da’ pietæ vinto, sun quæxi smaxío:

e hò prinçipiòw: “Quarcösa voriæ díghe,

cäo Meystro, a quelli duï ch’insemme van,

portæ da o vento lêgii comme spighe

 

E a mi lê: ” Ti î vediæ quando sajan

ciù a noï d’ärente; e ti prêghili, allôa,

pe quello amô chi î porta, e lô vegniàn.”

Apeña o vento a noï o î arrigôa,

ghe daggo o crïo: “Öh, ànime affanæ,

parlæne, se nisciùn ve sèra a güa”.

 

Comme cumbiñe da l’amô ciammæ,

cu’ e sò äe averte e fèrme, a o düçe nïo

vêgnan per l’äja, da o soe voéy portæ;

da o roeo duv’ëa Didón, in çà d’asbrïo

cùran da noï, pe quell’ære maligno,

scì fòrte stæto o l’é o mæ amôôzo crïo.

 

“Öh ti animä’ graçiozo, e scì benigno,

che ti vegni a atrovâ, in te sto ære sperso

noï ch’hemmo tento o mundo de sanguigno,

se hæscimo amigo o Rè de l’ûnivèrso,

ô preghiêscimo noï per a tò paxe,

che ti hæ pietæ do nòstro mâ’ pervèrso.

 

De quanto a voï sentî e parlâ ve piaxe

stæmo a sentîve, e parliëmo con voï,

shiña che o sferradô, comm’aoa, o taxe.

Sëze a çitæ duve sun nasciûa ai doï

in sce a mariña duve o Pò o descende

pe finî in paxe insemme ai soe minoï.

 

L’Amô che in t’ûn coe fin lèsto o s’aççende,

o l’ha invaghïo ‘sto kì da mæ persoña

che m’han levòw; e ancon o moeo o m’offende.

No amâ chi n’amma, l’Amô o no perdoña!

Do sò piaxey lê o m’ha iñnamoä scì fòrte,

che ancon, ti ô veddi!…kì o no m’abbandoña.

 

L’Amô condûti o n’ha a ûña stessa mòrte:

Caiña a l’aspëta chi n’ha asciascinòw”.

Ecco quanto n’han dïto in sce a soe sòrte.

Sentìo o magon de questi, e o soe peccòw,

o mento kiño in sen, lì, mucco e basso,

shiña che o Poeta o me fa: “Ti ë alluow?”

 

Revëgno e diggo allôa: “Sun in t’ûn giaçço!

Quanti düsci penscëi, quanto dexìo

han portòw questi ao dolorozo passo!”

Pòi vorzéndome a lô cu’o coe abbrençoìo:

“Françesca! – esclammo – e peñe tò e i deliri

me fan cianze d’ûn cento tristo e pio.

 

Ma dimme, ao tempo di düsci suspiri,

cun cöse, e cumme v’ha conçesso Amô

che conoscésci i dûbbiozi dexiri?”

E allôa lê a mi: “No gh’é, no, maggiô dô

ch’arregordâ i feliçi dì, e a freschixe

in ta mizëja; e o ô sa o tò bon Dottô.

 

Ma pòi se de conosce a primma raïxe

do nòstro amô ti mostri tanto affètto,

comme quello fajö chi cianze e dixe.

Pe demôa, ûn dì lezéyvimo o libretto

de Lançilòtto, comm’Amô o l’ha vinto:

soli éymo lì, sença nisciùn suspètto.

 

Ciù e ciù vòtte i nòstri oeggi a n’ha suspinto

quella lettùa, e scolorìo a n’ha o vizo:

ma chi n’ha pòi derruòw o l’é stæto ûn pointo.

Ao lêze comme o suave fattorizo

baxòw o l’é stæto da scì illûstre amante,

questo, chi mai da mi o no sä divizo,

a bucca o m’ha baxòw tûtto tremante.

 

«Galiöto» scì! l’ëa o libbro e chi l’ha scrïto:

no gh’hemmo quello dì lètto ciù avante”.

Mentre ch’ûn spìrito questo o m’ha dïto

l’ätro o cianzéyva scì, che sença ciù

me sun sentìo mancâ da no stâ drïto,

e comme ûn còrpo mòrto hò dæto zù.

Anche in questo caso, si parla di una lingua così antica da essere difficile da tradurre anche per noi, però io la trovo bellissima. Padre Angelico Federico Gazzo, diceva sempre – Cume o zeneise o vegne da o latin -, ossia “come il genovese (il ligure) viene dal latino”. E da lì, ecco questa sua particolare traduzione.

Un abbraccio a tutti topini, alla prossima.

M.