Vignago – il borgo antico

Oggi, Topi, concedetevi un po’ di tempo per seguirmi perché si va a visitare una piccola perla della Valle Argentina.

Il tempo non vi servirà solo per arrivare in questo luogo che si trova sopra al paese di Corte ma anche per immergervi in un altro tipo di tempo che oggi non esiste più ma, in qualche modo, ha saputo lasciare qualcosa di sé, persino il suo profumo e la sua voce.

Attraverso gli oggetti, gli angoli caratteristici, i carrugi, le finestre e l’atmosfera, il – passato è ancora presente – anche se sembra una frase assurda da recitare ma vedrete che dico bene se verrete con me.

Andiamo a Vignago, il borgo piccolo e antico. Il borgo sotto la Rocca.

Il nucleo centrale di questo paesino, infatti, è chiamato – Rocchetta -. Questa protagonista si trova esattamente sopra ai tetti delle vecchie abitazioni.

Per arrivare a Vignago si passa nel bosco e il paese stesso è circondato da Castagni e un’infinità di Roverelle. Un tappeto di ghiande viene calpestato dalle nostre zampe mentre giungiamo ad una delle prime costruzioni importanti.

La macchia diventa meno fitta, alcune rocce si sporgono sulla vallata mostrando Triora che domina di fronte e un’edicola ci aspetta presentando la meraviglia che stiamo per vedere.

Le giro intorno; è piccina, un tempo conteneva la statuetta di una Madonna.

Attraverso una delle sue aperture si nota Monte Pellegrino (1.521 mt) che, in questo periodo mostra anche un foliage spettacolare oltre le radure che lo contraddistinguono.

Davanti a lei, un grande albero di Alloro, ritto e austero, sembra consentire l’accesso al sentiero che scende e porta alle vecchie abitazioni.

Una manciata di case completamente in pietra. Una pietra oggi abbandonata. Nessuno vive più qui ma un tempo c’era persino la scuola. Pare che i bambini fossero una decina e gli adulti più numerosi ma, durante il dopoguerra, questa gente decise di trasferirsi in altre zone.

In effetti, salendo per il sentiero che parte dalla località Molini di Pio, dopo Molini di Triora, e quindi dalla parte bassa che conduceva ai paesi più forniti, non è per niente semplice arrivare qui eppure, un tempo, si percorreva questa strada ogni giorno per poi tornare su, superare i primi capanni e raggiungere una delle case più grandi.

Se invece arrivate da Corte e dal bosco di sopra, introdursi in questo borgo è un’esperienza fiabesca e par quasi di sentire una vocina cantare “A mille ce n’è…”…

Si nota subito come in certi tratti la natura, una meravigliosa natura, abbia preso il sopravvento ma non sembra presuntuosa anzi, sembra voler proteggere quel luogo immerso nel silenzio.

Solo qualche lieve fruscio si percepisce, ogni tanto, provenire da dentro i ruderi. Sono i miei cugini Pipistrelli, si saranno sentiti disturbati dalla mia visita, sono dei dormiglioni!

Dopo quel che rimane di qualche casa raggiungiamo una fontana sulla quale una minuscola targa recita queste parole: “Con la unione di tutta la popolazione di Vignago sorge la fontana dell’acqua potabile 12 – 5 – 1951”.

E’ situata in una piccola piazzetta ora ricoperta da erba alta e si trova nel mezzo della striscia di case.

Vignago è infatti un insieme di dimore che costeggiano l’unico carrugio accessibile.

Alcune di loro non hanno più nemmeno il tetto, altre invece riportano una copertura ancora in ciappe di ardesia, altre sono pericolanti, mentre qualcuna è piena di ragnatele al suo interno.

Se le travi e le solette fossero più resistenti penso che un regista, una volta giunto qui, pensi d’essere arrivato nel suo set cinematografico preferito!

Tutto è da guardare, da osservare, da contemplare. Tutto ha tanto da dire. Se ci si ferma con lo sguardo sopra ai vari particolari si notano cose mai viste prime, si può sentire un’antica narrazione e si può immaginare ciò che non si è mai vissuto.

Ho così tanta voglia di portarmi tutto in tana che faccio foto a non finire.

Questa piccola frazione di Corte, e quindi di Molini di Triora che fa Comune, fino al 1903 appartenne al territorio di Triora distaccandosi poi assieme ad altre frazioni vicine ancora oggi abitate.

Alcuni punti ombrosi sono umidi e bui. Capisco perché i Chinotteri qui si trovano bene tra le braccia di Morfeo ma, attraverso alcuni pertugi, la luce del sole entra e i suoi raggi rendono tutto ancora più affascinante donando un bagliore quasi argentato a quei resti circondati da una natura florida.

Travi di legno massicce, lastre incise, porte pesanti e sedie tarlate. Tra le pietre dei muri escono chiodi enormi, arrugginiti, in grado di sostenere il peso eccessivo.

Ci sono finestre chiuse da persiane di legno mentre altre sono oggi solo buchi dalla forma quadrata che permettono di vedere il mondo.

Siamo a circa 700 mt s.l.m. ma potendo vedere, attorno a noi, nei pressi di questo borgo, alcuni degli alti monti della mia Valle, pare di essere ancora più vicini al cielo. Siamo in un punto alto, aperto, che gode di aria buona e tanto sole.

Il panorama è stupendo e obbliga a spalancare gli occhi ma anche le piccole creature accanto a noi non sono niente male.

Insetti, fiori, funghetti, frutti… c’è davvero di tutto qui. Tantissima vita in un luogo che, a prima vista, sembra parlare soltanto di staticità.

E’ vero, il tempo in effetti sembra essersi fermato ma, nonostante il passare di molti anni, un’energia movimentata continua a imperlare tra queste mura.

Non vorrei più andarmene. Mi piacerebbe vivere quest’atmosfera durante le varie ore del tempo ma i miei lavori in tana chiamano e se non torno indietro voi rimanete qui a Vignago senza altri articoli.

E’ bene ch’io rientri quindi ma prima vi mando un bacio antico e vi aspetto per la prossima avventura.

Buon proseguimento Topi!

Pizzo d’Evigno – in mezzo alla pace e al verde antico

Deglio Faraldi è un piccolo borgo sopra San Bartolomeo al Mare (Im) e sarà proprio da qui che partiremo per questa particolare passeggiata, nella quale vi racconterò anche di atmosfere e piante spontanee di questa zona.

Partiremo da qui per raggiungere Pizzo d’Evigno, conosciuto anche con il nome di Monte Torre, 988 mt s.l.m. e avrete capito quindi che, oggi, non siamo in Valle Argentina, ma poco lontano.

Si cammina sui crinali, talvolta aspri, talvolta verdi, sui quali cavalli selvatici pascolano in tutta tranquillità.

Strada facendo si possono incontrare anche antiche costruzioni tipiche della Liguria, chiamate Caselle, e che già vi avevo presentato. Si tratta di piccoli e resistenti ripari che permettono un salto nel passato. Nelle Caselle si trovava protezione dagli eventuali temporali che non davano possibilità di ritorno al paese e si potevano custodire in loro le riserve per tutto l’anno. Sono strutture simili ai Nuraghi sardi, o ai Trulli pugliesi, o ancora alle Casite dell’Istria. Il blocco principale, in tempi ancora più antichi, era denominato Tholos e la più celebre costruzione in questa architettura particolare si dica sia la tomba di Agamennone edificata nel XIII secolo a.C. presso Micene, in Grecia. Il loro diametro può variare e se ne possono trovare modelli con stanze seminterrate. Rare sono invece quelle a due piani. Se la Casella doveva accogliere e proteggere gli animali, era opportuno costruirla con larghe aperture, le stesse che però, impedivano il riscaldamento. Per questo motivo, quando si poteva, la si costruiva con un’unica apertura d’entrata e nient’altro.

Il tetto in terra, in argilla o in ciappe, tipiche lastre di ardesia della mia zona, era realizzato in modo che l’acqua piovana potesse scorrere via e nominato così a semicupola, ma se all’interno della Casella si riteneva opportuno accendere fuochi, bisognava creare una finestrella anche nel soffitto per farne fuoriuscire i fumi. Finestrelle alle quali i Celti, anch’essi abitatori di queste dimore, appendevano i teschi dei nemici uccisi, un po’ per avvertimento, un po’ per scaramanzia: un messaggio per gli ospiti, un’abitudine apotropaica, un simbolo di potere. La Casella è quindi oggi considerata parte integrante del valore architettonico del “paesaggio a fascia” e caratterizzante la geografia anche umana del Ponente Ligure.

Talvolta semi nascosta dalla selva appartenente al luogo, la Casella spunta solitamente tra Brughi resistenti e Pruni selvatici che, in questa stagione, con le loro tonde bacche blu, colorano un paesaggio ruvido costituito da roccia e da una vegetazione brusca di rovi e piante aromatiche.

Il Brugo, saggio e impavido, limita le zone silvestri, avvisando il bosco di non spingersi oltre – potrebbe essere pericoloso -. Il Pruno invece, simbolo di speranza e resistenza alle difficoltà della vita, non si fa problemi, e cresce quasi spocchioso senza darsi un freno.

Salendo attraverso un sentiero abbastanza erto a gradini, si lascia infatti il verde argenteo degli Ulivi che popolano le terrazze e s’incontra quello più spento, quasi grigio, del Timo e della Lavanda che profumano in modo persistente l’aria circostante. Un ottimo disinfettante e un grande digestivo. Queste le caratteristiche principali di tali piante, ma posseggono anche molte altre virtù.

Gli occhi però saranno appagati ugualmente dal verde intenso del Prato dei Coppetti e la macchia che lo circonda. Un verde che, a salire, si staglierà contro l’azzurro intenso del mare e del cielo.

Da qui infatti si possono vedere, in un magnifico panorama di 180°, il golfo di Imperia e quello di Savona con, al centro, la splendida Isola Gallinara che si propone mostrando un lato diverso rispetto a quello che si può notare percorrendo abitualmente la via Aurelia, la principale Strada Statale della Liguria a picco sul mare.

Abituandosi al pungente profumo delle spezie nominate prima, ci si accorge abbastanza difficilmente della presenza della Mentuccia selvatica, dalle foglioline molto più piccole rispetto a quella coltivata o che nasce più vicino alla costa ma, una volta giunti quasi in cima al crinale, un naso ben allenato non potrà non rendersi conto di questo aroma ricco di proprietà benefiche. Sto parlando di una pianta dalle grandi caratteristiche terapeutiche oltre che le sue intonazioni perfette in cucina.

Rinfresca, disinfiamma, rilassa i tessuti degli organi interni, purifica, tonifica la pelle, restringe i pori in caso di seborrea oleosa e aiuta in molti altri modi. Ora, è proprio il suo profumo a riempire le narici di fresco e ci fa dimenticare quello del Finocchietto selvatico incontrato più in basso che cresce voluminoso su tutto il bordo strada adatto ai neonati, in caso di coliche, e alle donne in caso di amenorrea.

More, Fichi e Asparagi selvatici sono altri gustosi prodotti offerti da questa particolare natura che occorre saper apprezzare. Una volta giunti sul crinale e potendo così godere di una vista mozzafiato, ci si ritrova circondati da erbetta fresca e massi bianchi. I monti sembrano pettinati e il sentiero si fa ancora più ripido ma dobbiamo raggiungere la vetta, quindi, con passo deciso e la meraviglia negli occhi, si prosegue.

Ai piedi avremo ovviamente scarponi adatti, altrimenti sarà davvero impossibile partecipare ad un trekking come questo, degno di veri topi avventurosi, senza la giusta attrezzatura. Si consiglia infatti di essere un po’ preparati e abituati a camminare prima di avventurarsi in questo cammino.

Dall’altra parte dei monti si prospettano vallate immense, ricche di piccoli borghi che le colorano.

Se ne vedono tantissimi ma lo sguardo viene presto distolto dalla presenza dei cavalli selvatici, esemplari stupendi, i quali, in tutta la loro bellezza, brucano e si riposano all’ombra dei pochi arbusti presenti.

Da qui si inizia a vedere l’arrivo. La meta finale. Pizzo d’Evigno che, essendo alto come ho detto 988 mt., è stato segnalato con la costruzione di una croce di 12 mt di altezza per raggiungere così i 1000 mt.

Un po’ di fatica ma tanta soddisfazione. A regnare è la pace assoluta. Lo sguardo si perde lontano. La brezza a volte è fredda e colpisce con impeto. Gli insetti, in prevalenza grilli, accompagnano senza disturbare e qui si possono incontrare molti altri topi che hanno deciso di passeggiare come noi o di scalare la cima in mountain bike o con moto da trial. Il divertimento è comunque assicurato e dentro rimane una ricchezza decisamente rasserenante che riempie l’animo.

La discesa, come la salita, risulta leggermente faticosa in alcuni tratti ma ci si annoia di meno cercando di mettere le zampe nei punti giusti aiutandosi con il bastone o i bastoncini da trekking, molto utili per un percorso così.

Stanchi e soddisfatti si ritorna in tana. Abbiamo fatto circa 17 km e, un po’ di riposo adesso, è più che meritato.

Pant! Pant! E un bacio a voi!

Da a Cà Russa

Il vero nome di questo posto è Cà Russa, cioè Casa Rossa, ma l’insegna reca la scritta Case Rosse.

In realtà, a dare il nome a questa borgata è una sola casa definita rossa perché è stata una delle prime di questa frazione ad avere il tetto di tegole rosse anziché di ciappe grigie di ardesia.

Siamo sulla strada che va a Vignai, appena dopo Argallo e subito sotto Zerni. Io qui mi rilasso e mi diverto sempre un mondo. Mi diverto a far niente, ad esplorare la natura, a raccogliere quello che essa mi offre, a fare lunghe pennichelle, a guardare il panorama e a passeggiare nel bosco. Si mangia tutti insieme, sotto il porticato, e poi si passeggia. Io  faccio così.

In realtà, come vi dicevo, non c’è solo una casa. Sono molte di più! Ben 4. Tante, vero? Non ci sono residenti, negozi né macchine. Solo trattori e motocarri. Ah, che pacchia! Ci fanno compagnia solo il canto degli uccellini, il ronzio delle api, il coccodè di qualche gallina, lo scorrere dell’acqua nel torrente. Qualche volta eccheggia una motosega in lontananza, i taglialegna iniziano a organizzarsi per l’inverno. E poi ci sono fiori stupendi e frutta e verdura ordinatamente seminata da chi qui coltiva ancora e mantiene curata la propria terra.

Starmene seduta qui al fresco e ammirare gran parte della mia vallata è stupendo. Ma non si può oziare tutto il giorno.

Come prima cosa ci sarebbero da raccogliere le Nocciole che stanno maturando, i Fagioli bianchi, che vengono su buonissimi qui, e tutte le varietà di Pomodori.  Questi ultimi sono ancora parecchio verdi, quassù fa un po’ freddino, qui i doni della natura arrivano sempre in ritardo e bisogna sperare che gli amici cinghiali ci lascino qualcosa, visto che già fanno razzia di patate!

Questo luogo appartiene al Comune di Badalucco dal quale dista circa 7 km ed è a 730 metri sul livello del mare.

E’ una strada asfaltata tutta curve che ci porta fin qua e, per arrivare alle case, la via diventa sterrata e privata ed è chiusa da una sbarra che solo i proprietari possono aprire. Sono contadini, padroni di terre e boschi.

Questi ultimi sono ricchi di sentieri. E’ facile percorrerli, sono puliti.  E, verso la fine dell’estate, si arricchiscono di castagne. Sono boschi in discesa, nei quali spesso s’incontrano le teleferiche, strani aggeggi che servono per trainare o sollevare grandi pesi come ad esempio la scorta di legna. Questa specie di gru con il cavo può essere lunghissima, attraversare l’intera montagna e qui, come in tutta la mia valle, ce ne sono ancora tantissime. Sono vecchie, arrugginite, ma sempre molto utili.

Continuo a camminare e… quanti odori! Eccole qui, tutte insieme le mie piantine officinali: Timo, Origano, Maggiorana, Ginepro, Lavanda… C’è di tutto. Anche la fauna non manca, a partire da rospi e ramarri e poiane e cinghiali e lepri. A regnare sovrane, però, sono le volpi. D’estate sembrano più piccoline. Sono spelacchiate, il vaporoso mantello non gli serve, visto il caldo, e sembrano più piccole, quasi dei cuccioli. Ce n’è un’invasione e sono simpaticissime con quel nasino all’insù e gli occhietti vispi, sempre a caccia di ciliegie e susine. In auto bisogna andare molto piano perché rimangono abbagliate dai fari e rischiano di essere investite. Ma in fondo… che bisogno c’è di correre?! Come faremo a vedere ciò che ci circonda?

Anche di notte questa natura è mozzafiato. Ti circondano le lucciole, facendoti strada, e gli alti alberi ti ricoprono il cammino lasciandoti intravedere un cielo che è sempre completamente stellato, non essendoci inquinamento luminoso.

A disturbare, invece, ci pensa signora faina, attirata dai polli nei pollai e, ahimè, spesso fa delle vere stragi. Quei polli, che fanno uova buonissime…. La natura è natura, ma i poveri allevatori, al mattino, sono davvero disperati.

Ora, però, basta cianciare! Venite, vi porto a vedere la regina di questo posto, colei che ha dato il nome all’intero borgo. Scendiamo giù da “u cugnu” e andiamo quasi nel vallone attraverso un sentiero facilmente percorribile ed eccola: la Casa Rossa. La vecchia Casa Rossa. Ormai diroccata, è usata come magazzino per gli attrezzi e se ne sta qui, sola soletta, all’inizio del bosco e a farsi baciare dal sole. La prima casa con il tetto di tegole rosse, pensate! E che bella era un tempo! Una villa a due piani e,  davanti al suo spazio, possiamo goderci il resto della giornata. Potremmo sgranare i Fagioli, intrecciare l’Aglio, fare i mazzetti di Erbette… insomma, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta.

Buona giornata anche a voi topi. Vostra Pigmy.

M.

Bregalla, il paese delle fiabe

Guardatele bene le foto che vi posto oggi: non vi sembra di essere in un racconto dei fratelli Grimm?

La legna accatastata, le casette in pietra, i mandorli in fiore, i balconi di travi di castagno, il sentiero in mezzo al prato… Nemmeno il più grande scenografo di Walt Disney potrebbe arrivare a tanto. Sembra un luogo fantastico, invece è tutto vero ed è qui, nella mia valle, sotto un grande spicchio di cielo.

Siamo a Bregalla e le casette in questa frazione sono tante quante le lettere che ne compongono il nome, non una di più.

Bregalla è considerato un punto panoramico fantastico. Da qui si vede tutta la gola della Valle Argentina, quella delle falesie, delle rocce sporgenti, austere, del suo lato aspro, rude, maestoso. Siamo oltre il ponte di Loreto, passato colle Ventusu. Ci troviamo prima di Realdo e, salendo sulla destra, due curve ci portano in questo angolo di paradiso.

Non c’è nessuno. Come mi aveva consigliato la signora Vilma, cerco Bruno, colui che degli orti fa delle vere opere d’arte. Tuttavia il signor Bruno non c’è e di lui e delle sue capacità, purtroppo, non posterò nulla. Voglio farmi raccontare le sue storie, i suoi consigli e voglio fotografare il suo lavoro in sua presenza.

Gli abitanti di Bregalla sono solo 18. Io ne ho visti solo 3, prendono il sole beati nel loro giardino di margherite. In tutto il resto del paesino regna il silenzio più assoluto. Siamo a circa 840 metri sopra il livello del mare. É una borgata che appartiene al comune di Triora e il suo nome deriva probabilmente dal termine “bregallare” che voleva dire belare, in onore delle pecore e delle capre che un tempo vivevano su questi monti. Sono luoghi di pastori, di contadini. Nella nostra zona, però, c’è un termine che usiamo spesso per indicare il “fare tante cose” che è proprio Bregare, per indicare qualcuno che non sta mai fermo: “È sempre che fa, disfa e brega…” diciamo. Mi chiedo se questo modo di dire abbia qualcosa in comune con il nome di questa località.

A meritare un sopralluogo a Bregalla è anche il lavatoio, ancora funzionante, pulito e ben tenuto, se non erro è stato costruito con la pietra Arenaria. E poi c’è la chiesa, anch’essa molto carina e con la particolarità di avere “tre tetti”.

Esattamente! In un solo Santuario, guardate, ritroviamo due tetti di tegole rettangolari e un tetto di ciappe semi-rotondo disposti tutti a scala rimanendo uno più basso e gli altri più alti.

Sopra al campanile poi, un simbolo che non manca mai, c’è infatti una piccola croce di ferro.

La flora che circonda questo villaggio lascia senza fiato. Si nota addirittura la presenza di altissimi bamboo! Sembrano formare una piccola foresta orientale incastonata nella macchia mediterranea e, tutt’intorno, i nostri occhi possono vedere il verde cupo degli abeti e dei pini che colorano le alte montagne. E guardate dove nasce la salvia! È lì in quel tronco, la vedete?

Tante sono le spezie: salvia, timo, basilico, origano e intere cornici di rosmarino profumato che, fiorito proprio in questo periodo, colora il paesaggio di azzurro e violetto. E che profumi! Tra le pietre dei terrazzamenti troviamo altri colori, altre tinte offerte dai fiorellini di campo: iIl bianco, il giallo, il fucsia, il rosa, il turchese. Io sono convinta che se un pittore venisse a visitare Bregalla, non se ne andrebbe più.

E voi, ditemi, avete mai visto un posto più bello di questo? Guardatele bene queste foto, topi, e sognate: oggi siete in una fiaba. Siete in un luogo fuori dal mondo, dove anche i pochi ruderi rimasti (perchè qui le casette sono state tutte rifatte come gioiellini) hanno un contorno tanto bello da sembrare irreale. Affascinante e suggestivo, il borgo permette di essere visitato tramite piccoli sentieri a scalini, ponticelli e prati in fiore. Non dimenticate di passare di qua se venite nella mia valle, vi perdereste qualcosa che potrebbe davvero appagare i vostri occhi.

Un abbraccio,

la vostra Pigmy.

M.

Pigmy e la pietra filosofale – l’Ardesia

Si, per noi è proprio come la pietra filosofale e, una pietra lo è davvero. La rispettiamo. Ne andiamo fieri e la sua maestosità ce la rende magica. Oggi vi parlo di questa ricchezza che abbiamo qui, abbondante, nella Valle Argentina. Sua Maestà Ardesia.

Senza di essa, i miei luoghi sarebbero vuoti. Come recita una delle tante tavole che si possono incontrare perlustrando la mia valle, vi racconterò che l’Ardesia è forse la roccia più caratteristica nell’area ligure e soprattutto, nella provincia d’Imperia, costituisce uno dei litotipi storicamente più diffusi. Si trova all’interno dei flisch, strati geologici presenti nell’estremo Ponente da Alassio alla Francia, sotto forma di intercalazioni ardesiche in calcari di diverso tipo.

Rispetto all’Ardesia più famosa e diffusa della Fontanabuona, a Levante, questa dell’Alta Valle Argentina si caratterizza per alcuni tratti peculiari, che ne determinano l’uso: contiene infatti minor carbonato di calcio e presenta scistosità di tipo differente.

La composizione conferisce alla roccia maggior impermeabilità, robustezza e resistenza agli sbalzi di temperatura e ne favorisce l’uso come lastra di copertura per i tetti e di protezione dei muri esposti a Nord.

Tuttavia non è possibile spaccarla in lastre molto sottili, si romperebbe e, la sua stessa composizione chimica, rende la superficie piuttosto scabra e rugosa.

Tutt’ora in uso, l’Ardesia estratta dalle cave della zona di Verdeggia, venne adoperata già nel Medioevo e i centri urbani della Valle Argentina sono costellati di scale, pavimentazioni, portali, stipiti, architravi per finestre, lapidi e perfino di selciati fabbricati con questa roccia.

Con tutte le sue varie tonalità di grigio (ma la troviamo prevalentemente con sfumature azzurre), si accoppia perfettamente con il territorio agricolo e alpino circostante e ne possiamo trovare di due tipi, una chiamata volgarmente Lavagna, più scura, che si sfalda e si scheggia maggiormente, l’altra, che mantiene il suo nome, più chiara, più compatta e più robusta.

Insieme all’Arenaria, più chiara e solitamente tendente al rosso, formano qualsiasi tipo di costruzione.

Essa tende comunque a diventare sempre più chiara a contatto con l’ossigeno, una volta estratta dalle cave. Il carbonio del quale è composta tende appunto a schiarirsi. Non c’è casa qui che non abbia il tetto ricoperto da “ciappe” che, come già vi ho spiegato, sono lastre semplicemente appoggiate sui tetti delle dimore. Non c’è chiesa che non abbia fuori sul proprio portone una lastra disegnata o lavorata. Una lapide sulla quale le lettere, con battiti veloci e leggeri, vengono scolpite. Bellissimi sono anche i dipinti che riporta; si perchè, oltre che per sculture, si presta molto anche per rappresentare magnifiche pitture effettuate con colori appositi lucidi o opachi.

Spesso aspra e rude, questa roccia, caratterizza i luoghi facendoli sembrare aspri e aridi ma in realtà non è così.

La sua particolarità è proprio questa, essere sempre circondata da un verde vivace della flora di questa vallata.

Questa roccia metamorfica non si trova però solo in Liguria, anche alcune zone del Piemonte ne sono ricche e soprattutto la zona francese chiamata Ardennès, dal quale appunto prende il nome mentre, nei dialetti alpini, si sentirà spesso chiamarla Piòda.

Nella mia zona, le cave, possiamo trovarle a Realdo e a Verdeggia come già sapete ma, anche nella località di Drego, vicino ad Andagna, dove esiste anche un insediamento preromano, ve ne è abbondantemente.

Pensate che a Chiavari, proprio vicino alla località più conosciuta come Lavagna appunto, in provincia di Genova, è stata rinvenuta una necropoli formata da tombe “a cassetta” completamente fatta proprio in ardesia. Questo ci fa capire come veniva già largamente usata in epoca romana. Ma non erano i soli.

Spesso, tagliente e frastagliata, va toccata con attenzione. E’ infatti con questo materiale che, uomini primitivi, formavano e costruivano utensili ma soprattutto armi imbattibili, contro il nemico o prede.

Comodo giaciglio per serpi e lucertole in estate, l’Ardesia assorbe i raggi del sole e ne mantiene il calore, viceversa, la si può sentire umida e fredda durante l’inverno. Le case in pietra hanno però la particolarità di essere fresche durante l’estate e mantenere, grazie al riscaldamento, più caldo durante l’inverno. Proprio come il mio mulino.

Un abbraccio pietrificante vostra Pigmy.

M.