Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.

Da Verezzo ai prati di San Giovanni

Lo so che la mia Valle sarà gelosa del post che sto scrivendo, ma oggi vi porto a conoscere un posto che non si trova nella Valle Argentina, bensì nelle zone immediatamente limitrofe.

Se c’è una cosa che di solito ci invidiano tutti della Liguria, è la sua caratteristica di essere a metà tra i monti e il mare, e spesso percorrendo sentieri dell’entroterra si può osservare la distesa d’acqua che lambisce la costa, mentre si danno le spalle alle Alpi.

Ebbene, un giorno d’autunno prendiamo la topo-mobile e allontaniamoci dai miei luoghi, ma non tanto, eh!

Arriviamo fino a Verezzo, frazione di Sanremo, e lasciamo la macchina proprio davanti alla chiesetta di Sant’Antonio.

Mi perdonerete se non farò tante foto, questa volta, ma ho le zampe ghiacciate. Tira un’aria così fredda che si fatica a tirarle fuori dalle tasche, figurarsi a scattare fotografie!

Comunque, dicevo, dalla chiesa imbocchiamo la mulattiera visibile sulla strada e, inerpicandoci, arriviamo su una strada asfaltata che sale ancora tra bellissime villette. Presto l’asfalto si trasforma in cemento, e il cemento in pietra. Si raggiunge così un’altra mulattiera, contornata dalla vegetazione di tipo mediterraneo, dalle campagne curate da mani sapienti e da case di agricoltori.

Il percorso prosegue tutto al sole, non ci sono alberi ad adombrare il sentiero. Lungo il cammino ci imbattiamo nella Ginestra, nel Cisto, nel Timo, in cespugli rigogliosi di Ginepro. E poi, di tanto in tanto, ecco spuntare Querce, Mandorli, Pini e Ulivi.

Si sale sempre, senza fermarsi mai, e la presenza delle mucche è evidente, bisogna fare attenzione a dove si mettono le zampe, se non si vuole finire dritti dritti nella… busa!

Più si va in alto, più la vista diventa mozzafiato. Se volgiamo lo sguardo verso l’interno, possiamo vedere le antenne di Monte Bignone, ma guardando verso sud veniamo invasi dal colore del mare, che oggi è blu intenso, specchio perfetto del cielo terso. E poi si scorgono Sanremo, la Valle Armea, Bussana, Castellaro, da una postazione più elevata possiamo vedere anche Arma di Taggia.

Verezzo

Tornando con lo sguardo verso l’entroterra, riconosciamo il Monte Faudo.

Salendo, la vegetazione si fa più brulla e i Grilli saltano allegri in mezzo all’erba, ormai quasi del tutto secca.

Poi, a un tratto, il sentiero si fa più pianeggiante, la pendenza diminuisce drasticamente. Si procede in mezzo alle Ginestre, i cui rami spogli si impigliano allo zaino, alla giacca e ai capelli. Anche il Rovo si fa spazio in questo ambiente, bisogna fare attenzione a non lasciare che prenda confidenza con noi, perché potrebbe graffiarci le guance, le zampe e lacerare i nostri vestiti. Si sale ancora un po’, ma questa volta la salita è più dolce che in precedenza. Ed eccoci arrivati ai prati, bellissimi, quasi sconfinati, in mezzo ai quali si stagliano ruderi di costruzioni antiche come il tempo e alberi solitari di maestosa bellezza.

Verezzo1

Continuando a camminare in mezzo alle distese erbose, dove pascolano le Mucche, grufolano i Cinghiali e dove passano anche i Cavalli, ci dirigiamo verso la pineta che si vede sulla cresta, poco più in alto rispetto a dove ci troviamo.

E, una volta arrivati, le meraviglie da assaporare non sono poche.

prati Verezzo

Tappeti di pigne ricoprono il terreno e un Pino Silvestre trasuda resina dalla corteccia, si vede anche a distanza. Guardate la meraviglia di questa colata d’ambra!

Sebbene la perdita della resina dalla corteccia non sia un buon segno per la pianta, non possiamo che rimanerne affascinati.

Più avanti ci fermiamo a mangiare un boccone con lo sguardo rivolto al mare, ma facciamo in fretta, perché il vento è forte quassù, non si riesce a rimanere fermi a lungo. Dopo mangiato, proseguiamo il sentiero per pochi istanti e ci ritroviamo alla chiesetta rurale di San Zane, San Giovanni. Subito sotto c’è il paese di Ceriana, un cartello indica che è possibile arrivarci, ma oggi non vogliamo proseguire. Da qui si potrebbe arrivare anche a Monte Bignone, ma neppure questo sarà la nostra meta. In lontananza scorgiamo il Toraggio e, sullo sfondo, le cime innevate delle alture cuneesi.

prati di san giovanni ceriana

C’è pace, il profumo della neve arriva quasi alle nostre narici. Il freddo sferza il viso, ci copriamo di più per sentire di meno il suo schiaffo, ma il vento è potente. E allora decidiamo di tornare indietro, contenti per la bella e rigenerante passeggiata, mentre godiamo dell’oro del sole che ci pervade e illumina ogni cosa intorno a noi.

Pigmy

Un semino duro dal cuore tenero: la Nocciola

Buone eh? Le conoscete tutti lo so. Alcuni di voi ne vanno matti, altri invece magari ne sono allergici. Con loro o si va d’accordo o no. Non ci sono mezze misure. SONY DSCSono semini duri. Quello che noi mangiamo, che sta dentro al guscio, o meglio pericarpo, è proprio il seme. Gustoso, croccante. Ma è anche tenero perchè ha delle dolci proprietà. La Nocciola infatti è sebonormalizzante, idratante, addolcente e ideale per le pelli giovani. Dona energia e salute al nostro organismo essendo un grasso vegetale e, come lo fa con lui, lo fa anche con la nostra pelle rendendola turgida e morbida. Molto ricercato anche il suo olio, che viene utilizzato appunto dall’industria cosmetica, perchè è un insieme di grassi buoni e utili, proteine e acqua. Mangiando Nocciole, infatti, si assumono molte calorie. SONY DSCAl tempo dei Romani, la Nocciola, veniva usata anche per il suo aspetto simpatico, come augurio di felicità, in ricche e divertenti composizioni e si leggono tracce di lei, addirittura su manoscritti cinesi risalenti a 5.000 anni fa. Ancora oggi, in terre come la Francia, si continua con queste antiche usanze soprattutto durante la celebrazione dei matrimoni. Avete mai pensato di sposarvi con in mano un mazzolino di Nocciole? Carino e sicuramente originale! Vi sembrerà ridicolo ma in realtà state semplicemente sprigionando tanta energia positiva per festeggiare il lieto evento.

Il vero nome di questa pianta è Corylus Avellana e appartiene alla famiglia delle Betullacee, quasi tutte addolcenti per il nostro fisico e lenitive. La mia Valle ne è piena, sono fortunata. Molto spesso mi avrete sentito nominarle. Le uso tanto e non solo le mangio sgranocchiandole davanti a un film, ma le trovo ottime in insalata oppure nei dolci. Per non parlare del gelato a questo gusto! Lo adoro! SONY DSCNella lingua anglosassone è chiamata Hazel con diverse sfaccettature che ne indicano la grandezza e la qualità ma, in questa lingua, pensate, Hazel è anche il nome di una città del Kentucky, negli Stati Uniti d’America. Devo andare nel Kentucky uno di questi giorni…. se sparisco di nuovo sappiate che sono lì. Scherzo! Nel mio dialetto invece si chiama Ninsoa con la O molto stretta. Eh… ma noi topini… non siamo gli unici ad amarle sapete? Devo dividerle sempre con: Scoiattoli, Ghiri e persino Cinghiali! Sarà per via della sua enorme quantità di Vitamina E. Quei maiali selvatici vogliono sempre avere il pelo il più liscio possibile. E’ per questo che mi sto preparando in anticipo.SONY DSC Ebbene sì, vedete, anche se oggi in commercio questi frutti sono reperibili tutto l’anno, in realtà la loro maturazione avviene verso fine estate, giusto, giusto in tempo per prepararci meglio al letargo. Quindi è tutto un gira gira e magna magna. Dovreste sentire che bailamme nel bosco in quei giorni! Per fortuna però i nostri alberi sono molto generosi. Incredibilmente generosi. Spesso si formano veri e propri grappoli di Nocciole che, con il loro peso, piegano persino i rami più fragili. Uno spettacolo. Per cui topini, preparatevi. Ancora qualche mese di pazienza ma poi potrete farvi la giusta scorpacciata.

Io vado, inizio a fare posto nel Mulino. Un bacio!

M.

 

Il mio grosso grasso incontro montano

A voi è mai capitato di gironzolare nei verdi prati dei monti e fare un incontro come questo? Sì, voglio dire, un incontro un po’ particolare e soprattutto… ravvicinato!  Come potete vedere, amici topini, ho passato un pomeriggio con dei simpatici Maiali. I Maiali sono aggressivi spesso, ma sanno essere anche docili, socievoli e anche, tra di loro, molto affettuosi.

Venite con me, ve li presento.SONY DSCSono chiamati comunemente Maiali o Porci ma il loro nome scientifico è Sus Scrofa Domesticus. Se vogliamo essere ancora più precisi però, solo la femmina è chiamata Scrofa, mentre, il maschio è chiamato Verro.

E’ un mammifero ed è, possiamo dire, onnivoro. Il colore della pelle e delle setole, e qui potete vederne di due tipi, è dato dalla pigmentazione. Quello che vedete rosa, e che è il maiale più comune, è semplicemente depigmentato.SONY DSC Ne esistono però di altri colori come quelli neri o quelli pezzati e possono avere il pelo più lungo o quasi assente. E’ un pelo duro il loro chiamato appunto setola.

E’ un animale tenuto da conto e presente, pensate, anche nell’oroscopo cinese; le persone nate in alcuni anni, e quindi appartenente al segno del Maiale, come quelli del 1947, 1959, 1971, 1983, 1995 o 2007 sono quindi SONY DSCGalanti, e nobili. Avranno veri amici sempre al loro fianco“.

E un po’ di nobiltà, nella sua goffaggine, il Maiale ce l’ha davvero. Beh, insomma, non vi sembra un po’ il Re in una fattoria? Non capisco perchè, in parecchie zone del mondo, il suo nome viene usato più per offendere che non per elogiare.

Gli piace gironzolare, lavarsi nel fango e sonnecchiare al sole.SONY DSCE’ così che si tiene pulito mentre, la maggior parte della gente, associa il suo nome allo sporco e alla schifezza. Prima si rotola nel fango e poi lo fa asciugare. Quando secco, il fango si scrosta dalla sua spessa pelle e porta via anche lo sporco. Un imbrattamento salutare. Si fa uno scrub! Non storcete ‘sto naso… pensate che gli esseri umani, per far la stessa cosa, pagano fior di quattrini nelle SPA e dall’estetista!SONY DSC Il Maiale è un animale che pur non dandolo a vedere è molto curioso. Pensate che, questi esemplari, appena ci hanno visto, si sono avvicinati subito alla macchina. Il timore non gli ha permesso di venirci proprio sotto al muso ma li ho visti vogliosi di fare la nostra conoscenza e, con un po’ di calma e pazienza, ciò è accaduto. SONY DSCChe buffi che sono! Con quel naso umido, moscio e tozzo che usano, grugnendo, quasi come un aspirapolvere e quel codino che vorrebbe scodinzolare ma proprio non riesce. Sono cugini primi con il Cinghiale che, nella mia Valle, è molto presente. SONY DSCBestie possenti, pesanti, dalla forte stazza. Pensate che il Maiale più grosso del mondo è arrivato a pesare ben 900 kg e ad essere lungo 2,5 mt. Queste sono cifre da record ma posso assicurarvi che non sono per niente piccoli. Grandi e anche molto intelligenti.SONY DSC I Maiali non sono assolutamente stupidi e, come la maggior parte degli animali, sanno riconoscere presto chi gli vuol bene e chi no. Potrà sembrarvi strano ma sono tanto sensibili. Adesso però è bene lasciarli un po’ stare, non vorrei disturbarli troppo e approfittare della loro tolleranza. In fondo, siamo in casa loro.SONY DSC Perciò vi saluto cari topini e saluto anche loro con una carezza sul muso.

M.

Il Fregone che non è un imbroglione

Vi chiederete cosa c’entrano queste immagini con il termine “fregone”.

Non si tratta di un ladro, né di un imbroglione, nulla di tutto ciò.

Oggi, topi, vi faccio conoscere lo sfregamento dei Caprioli e dei Cinghiali contro gli alberi. Ecco perchè questo segno, che intacca le piante, è chiamato così. Sono i segni lasciati dalle corna e dalle zanne di questi animali che popolano i miei boschi. Attenzione, però, a lasciare tracce così evidenti, amici! Chi vi brama è sempre in agguato!

Ma loro non possono farne a meno. Utilizzano questo metodo non solo per pulirsi, ma anche per lasciare il loro odore e marcare il territorio. A farlo più di tutti, infatti, sono i maschi e i capobranco.

Parliamo delle corna. La loro crescita è regolata dagli ormoni sessuali maschili. Esse si sviluppano dalle ossa frontali e vengono alimentate da una cute altamente vascolarizzata, coperta da un pelo molto fine e chiamata velluto.

I Caprioli, così come i Montoni, ma anche altri simili, necessitano di un elevato apporto alimentare di calcio affinché le corna possano completare la loro crescita, che ha luogo nell’arco di pochi mesi. Esse infatti sono appendici ossee ricche di cheratina, un pò come le nostre unghie. Alla maturità dell’animale, le sue corna, continuano a crescere e a produrre cellule morte dallo strato corneo. Precisamente dallo strato corneo disgiunto. Questa “pelle” morta, viene eliminata dagli animali strofinando le corna appunto contro gli alberi. Stessa cosa vale per le zanne. Esse sono i denti più pericolosi per certi mammiferi. Alcuni ce l’hanno tra i denti superiori mentre altri tra quelli inferiori. Non c’è differenza quando si tratta di sfregarli contro un tronco d’albero.

Questo metodo è chiamato anche “raschiatoio” e comprende inoltre lo strofinarsi, da parte del Cinghiale, i due lati del corpo magari solo per grattarsi semplicemente, cercando una bella corteccia resistente e ruvida. E questo può significare anche impiastricciarsi di resina!

Nei boschi che circondano le nostre campagne ne troviamo davvero tanti di questi segnali perchè, di notte, gli abitanti delle foreste, vengono a cercare il cibo negli orti o scendono a valle per andarsi a dissetare nel torrente. E non si preoccupano di non lasciare tracce! Coltivazioni rovinate, erba schiacciata dal loro andirivieni, foglie rosicchiate al loro passaggio e poi loro, i fregoni! Ognuno usa il suo metodo e il loro a volte è un pò, come dire, significativo! Ma le piante comprenderanno!

A me non resta altro che augurarvi buone passeggiate, cari animaletti, finchè possiamo notare che ci siete è per noi una gioia!

M.

Da a Cà Russa

Il vero nome di questo posto è Cà Russa, cioè Casa Rossa, ma l’insegna reca la scritta Case Rosse.

In realtà, a dare il nome a questa borgata è una sola casa definita rossa perché è stata una delle prime di questa frazione ad avere il tetto di tegole rosse anziché di ciappe grigie di ardesia.

Siamo sulla strada che va a Vignai, appena dopo Argallo e subito sotto Zerni. Io qui mi rilasso e mi diverto sempre un mondo. Mi diverto a far niente, ad esplorare la natura, a raccogliere quello che essa mi offre, a fare lunghe pennichelle, a guardare il panorama e a passeggiare nel bosco. Si mangia tutti insieme, sotto il porticato, e poi si passeggia. Io  faccio così.

In realtà, come vi dicevo, non c’è solo una casa. Sono molte di più! Ben 4. Tante, vero? Non ci sono residenti, negozi né macchine. Solo trattori e motocarri. Ah, che pacchia! Ci fanno compagnia solo il canto degli uccellini, il ronzio delle api, il coccodè di qualche gallina, lo scorrere dell’acqua nel torrente. Qualche volta eccheggia una motosega in lontananza, i taglialegna iniziano a organizzarsi per l’inverno. E poi ci sono fiori stupendi e frutta e verdura ordinatamente seminata da chi qui coltiva ancora e mantiene curata la propria terra.

Starmene seduta qui al fresco e ammirare gran parte della mia vallata è stupendo. Ma non si può oziare tutto il giorno.

Come prima cosa ci sarebbero da raccogliere le Nocciole che stanno maturando, i Fagioli bianchi, che vengono su buonissimi qui, e tutte le varietà di Pomodori.  Questi ultimi sono ancora parecchio verdi, quassù fa un po’ freddino, qui i doni della natura arrivano sempre in ritardo e bisogna sperare che gli amici cinghiali ci lascino qualcosa, visto che già fanno razzia di patate!

Questo luogo appartiene al Comune di Badalucco dal quale dista circa 7 km ed è a 730 metri sul livello del mare.

E’ una strada asfaltata tutta curve che ci porta fin qua e, per arrivare alle case, la via diventa sterrata e privata ed è chiusa da una sbarra che solo i proprietari possono aprire. Sono contadini, padroni di terre e boschi.

Questi ultimi sono ricchi di sentieri. E’ facile percorrerli, sono puliti.  E, verso la fine dell’estate, si arricchiscono di castagne. Sono boschi in discesa, nei quali spesso s’incontrano le teleferiche, strani aggeggi che servono per trainare o sollevare grandi pesi come ad esempio la scorta di legna. Questa specie di gru con il cavo può essere lunghissima, attraversare l’intera montagna e qui, come in tutta la mia valle, ce ne sono ancora tantissime. Sono vecchie, arrugginite, ma sempre molto utili.

Continuo a camminare e… quanti odori! Eccole qui, tutte insieme le mie piantine officinali: Timo, Origano, Maggiorana, Ginepro, Lavanda… C’è di tutto. Anche la fauna non manca, a partire da rospi e ramarri e poiane e cinghiali e lepri. A regnare sovrane, però, sono le volpi. D’estate sembrano più piccoline. Sono spelacchiate, il vaporoso mantello non gli serve, visto il caldo, e sembrano più piccole, quasi dei cuccioli. Ce n’è un’invasione e sono simpaticissime con quel nasino all’insù e gli occhietti vispi, sempre a caccia di ciliegie e susine. In auto bisogna andare molto piano perché rimangono abbagliate dai fari e rischiano di essere investite. Ma in fondo… che bisogno c’è di correre?! Come faremo a vedere ciò che ci circonda?

Anche di notte questa natura è mozzafiato. Ti circondano le lucciole, facendoti strada, e gli alti alberi ti ricoprono il cammino lasciandoti intravedere un cielo che è sempre completamente stellato, non essendoci inquinamento luminoso.

A disturbare, invece, ci pensa signora faina, attirata dai polli nei pollai e, ahimè, spesso fa delle vere stragi. Quei polli, che fanno uova buonissime…. La natura è natura, ma i poveri allevatori, al mattino, sono davvero disperati.

Ora, però, basta cianciare! Venite, vi porto a vedere la regina di questo posto, colei che ha dato il nome all’intero borgo. Scendiamo giù da “u cugnu” e andiamo quasi nel vallone attraverso un sentiero facilmente percorribile ed eccola: la Casa Rossa. La vecchia Casa Rossa. Ormai diroccata, è usata come magazzino per gli attrezzi e se ne sta qui, sola soletta, all’inizio del bosco e a farsi baciare dal sole. La prima casa con il tetto di tegole rosse, pensate! E che bella era un tempo! Una villa a due piani e,  davanti al suo spazio, possiamo goderci il resto della giornata. Potremmo sgranare i Fagioli, intrecciare l’Aglio, fare i mazzetti di Erbette… insomma, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta.

Buona giornata anche a voi topi. Vostra Pigmy.

M.

Multe di un tempo

Ecco topi cosa vi sarebbe successo, tanti anni fa, nella Valle Argentina, se vi foste comportati in un certo modo:

– DAGLI STATUTI COMUNALI DI TRIORA DEL SEC. XIV, RIFORMATI NEL XVI. (TRAD. P. FERRAIRONI) –

CAP.39

Se una persona, di qualsiasi condizione avrà raccolto castagne o avrà dato danno nei castagneti (quando vi è il frutto) di un altro, sia condannato a lire dodici se il fatto avvenne di giorno e, a lire trentasei se di notte e ciò per la prima volta… Metà della multa spetta al Comune e metà all’accusatore. Il danno sia emendato al triplo e si presti fede al giuramento e alla denunzia del danneggiato“.

Avete capito? Guai quindi a commettere certe cose!

Il modo in cui è scritto mi fa sorridere e a voi?

In realtà c’è poco da ridere, le castagne, un tempo, sfamavano interi villaggi. Erano una fonte di vita, per gli uomini e non solo per i cinghiali o per le bestie come oggi!

Dodici lire di multa topi, vi rendete conto? Un abbraccio.

M.

Sempre bella

Si topi. E’ vero, la neve non è ancora scesa, non ci sono i fiori primaverili, non ci sono i colori dell’autunno, ne’ gli insetti estivi che svolazzano di qua e di là. C’è un gennaio spoglio. Soleggiato e freddo allo stesso tempo. La terra si mostra nuda e la si potrebbe considerare scialba, ma non qui, non nella mia Valle, dove nonostante il suo essere quasi indifesa, ci propone un panorama mozzafiato.

Guardate il sole. Come spinge e si fa largo tra i rami che non riescono ne’ a fermarlo ne’ a coprirlo, e la luna, che in un inverno così limpido, la si può vedere fin dalle prime ore del pomeriggio, alta nel cielo.

E i miei monti, che si stagliano contro l’infinito azzurro.

Non occorre avere obbligatoriamente quel qualcosa che raffiguri la determinata stagione.

Quel che vedono i miei occhi, ciò che per alcuni può significare il niente, è quello che in nessun altro momento dell’anno, si può rimirare, se non ora.

Il tappeto di ricci e foglie secche per terra. Cadute già da qualche mese. Aspettavano di poter ghiacciare e andare a nutrire il sottosuolo ma dovranno attendere. Per ora, possiamo ancora camminarci sopra, per chilometri e chilometri, per i boschi, giù per le colline, e sentire il loro scricchiolio sotto alle nostre zampe.

Tutto sembra spento a riposare ma, anche in questo grigiore c’è vita, e l’unico tocco di colore, oltre al cielo, lo dà l’Edera che si avvinghia ai tronchi e il muschio che avvolge i muriciattoli di pietra.

Il sole cala presto, lasciando una penombra pesante nella quale vieni bagnato da microscopiche goccioline di fredda umidità. E’ il calar della sera e percepisci di essere in un mondo a sè. Particolare. Un mondo che per rivedere dovrai aspettare che passino di nuovo tutti e dodici i mesi.

I rami spogli disegnano un intreccio che sembra non lasciarti scampo, ne’ via d’uscita ma la terra non ti è nemica e ti sta insegnando ad assaporare ciò che hai intorno, così com’è. Sempre. Ti sta insegnando a non voler di più e ad amarla comunque, in ogni sua trasformazione. Tanta pulizia stona. Non ci si abitua mai a vederla così. Lei, la mia vallata, sempre fiorente e lussureggiante, così colorata e così accogliente. In questo periodo mi ha fatto entrare da un’altra porta e l’ammiro ancora di più.

E se stai in silenzio e sai ascoltare, è ancora oggi, nonostante tutto, ricca di vita. Una vita che non osa far rumore, che quasi, con estrema educazione, per non infastidire, passa le giornate nascosta nel cuore dei boschi.

Il lieve scrosciare dell’acqua, l’incerto grufolare del cinghiale, il breve batter d’ali di un uccellino. Poi di nuovo la quiete totale.

Sempre caro mi fu…” recitava il Leopardi. E queste parole de – L’infinito – le voglio dedicare alla mia Valle. Imponente, che ti fa sospirare. Che ti fa assaporare l’attesa della Primavera e andrà a vestirsi di Lavanda, di Ginestra e Mimosa.

Dove io non mi mimetizzerò più con il sottobosco ma sgattaiolerò tra petali bianchi e rosa di Peschi e Ciliegi scesi dai rami.

E allora continuo il mio giretto. Voglio ancora godermi quest’aria e questa pace. Voglio ancora leggerla questa natura e capirla. Il suo essere più selvaggia.

Vi lascio però altre foto, oltre a queste del post, sul mio album.

Buon proseguimento quindi, chiudete gli occhi e annusate in su, io intanto, organizzo la prossima passeggiata.

Un abbraccio, vostra Pigmy.

M.