Il Dio Marte abbraccia la Valle Argentina

Col tempo, cercando di conoscere sempre di più la mia bella Valle e i suoi segreti, ho scoperto qualcosa di molto interessante riguardo (secondo me) un Dio della tradizione romana noto a chiunque: il Dio Marte.

Come tutti saprete, si tratta del Dio della guerra, della battaglia, ma anche della tempesta.

Detta così sembra di parlare di un Dio violento e bellicoso, beh… sì, Marte non era certo serafico, ma Priapo insegnò lui l’arte della guerra rendendolo un vero guerriero e rendendolo in grado di rappresentare la lotta per la vittoria, la gloria e la forza della natura tutta, della vita, del movimento. Di quel potere perpetuo che crea e si manifesta.

Molte volte vi ho raccontato di come sia significativo, nelle zone che vivo, questo movimento vitale e, sempre di più, mi sono imbattuta proprio in questo Dio.

Ci tengo a sottolineare che sono soltanto mie supposizioni, non sono uno storico lo sapete, ma quello che ho scoperto serba in sé qualcosa di davvero interessante e penso di non essere poi così lontana dalla realtà…

Realtà… che poi, il termine “realtà”, come sinonimo di “verità”, lascia sempre un po’ di punti interrogativi. Bellissimi punti interrogativi che portano alla scoperta e alla voglia di conoscere, non trovate?

Ma veniamo a noi.

Ad Ovest della Valle Argentina, quindi siamo sui confini che abbracciano il mio mondo, una splendida zona dalla storia assai antica si chiama – zona di Marta – (Marta/Marte).

Perché si chiama così? Alcuni affermano che sia per via dello spettro di una pastorella di nome Marta, caduta in un precipizio, che ancora si aggira di notte per gli infiniti pascoli.

Altri dicono, senza dilungarsi troppo, che sia proprio per onorare il Dio Marte, tenendo conto che quella zona è stata da sempre palcoscenico di guerre e battaglie anche in tempi molto antichi, altri ancora sono sicuri che il nome Marta derivi dal termine scientifico con il quale vengono chiamati due animali molto presenti in questi luoghi; si tratta di due mustelidi molto astuti, veloci e avidi: la Martora e la Faina, rispettivamente “Martes martes” e “Martes foina”.

Io li trovo simpatici entrambi ma non hanno una bella nomina. Vengono ritenuti subdoli, bellicosi, scaltri, violenti e, nell’antica arte degli animali di potere, vengono proprio correlati al Dio Marte come suggerisce il loro nome.

Come ho detto sono molto presenti nella mia Valle e nei dintorni. Sono anche molto simili tra di loro. Serve una vista molto acuta per identificarli. La Martora presenta una macchia chiara dal colore giallognolo nel sottogola, mentre la Faina, la stessa macchia, ce l’ha più bianca e più estesa. E poi hanno una lieve differenza nella forma delle orecchie e nella tonalità del naso ma sembrano davvero lo stesso animale.

Andiamo avanti.

Oltre alla Fauna, serve osservare anche la Flora.

Durante il periodo estivo, infatti, proprio in queste zone, nasce un fiore particolare e bellissimo. Si tratta del Giglio Martagone (Lilium Martagon) uno dei Gigli selvatici più belli.

Si innalza sopra la vegetazione nel suo splendido color viola maculato e i suoi petali, girati all’insù, lo rendono elegante e virtuoso.

La nascita di un fiore rappresenta sempre il risveglio della vita, il rinnovo, il movimento della natura, l’energia vitale, proprio come il Dio protagonista di questo articolo ma, in tali termini, l’argomento può apparire senz’altro abbastanza generico. Ebbene, lasciatemi allora scendere in profondità. Sono una Topina e sapete che amo i cunicoli, anche metaforici.

Non avete notato nulla nel nome Martagone? Marta – gone. Esatto! Di nuovo Marte! E dovete sapere che, questo fiore, che vi ricordo essere una specie protetta, era davvero sacro a Marte perché simboleggiava la fatica di una battaglia e di un eroe. Per gli antichi soldati era considerato un vero e proprio amuleto di protezione e gloria e ne portavano sempre una piccola parte con sé o lo disegnavano come stemma. Pare che anche in Francia e altre parti d’Europa, il Giglio, assunse un valore militare.

Nel linguaggio dei fiori, il Giglio (a parte il Giglio bianco che simboleggia la purezza, l’innocenza, l’alba e l’amore) è emblema di fierezza, visto il suo lungo e ritto stelo a rappresentare la posizione di un soldato sull'”attenti”. Ma è emblema anche di nobiltà, fedeltà e procreazione. Tutte virtù degne di un vero guerriero e parecchio associate con le espressioni della Sorgente creatrice di tutta la natura.

La zona di Marta è una zona che supera i 2000 mt di altitudine.

Qui l’aria è salubre e il paesaggio incontaminato.

E’ un angolo di mondo meraviglioso che presenta, a tratti, balsamici boschi di conifere, pascoli infiniti e dolci pendii ma è anche una delle zone più impervie e più difficili da vivere soprattutto durante il periodo invernale.

Le falesie che la circondano sono severe, le temperature rigide, il territorio diventa aspro e pungente pur mantenendo il suo fascino.

Sarò ripetitiva ma anche tutto questo mi ricorda un po’ Marte.

Le piante e gli animali che vivono qui sono esseri coraggiosi, forti, resistenti e queste loro virtù non posso che associarle proprio a Marte e a quelle di Madre Natura che, molto spesso, ci insegna come anche attraverso le difficoltà si possa vivere e trovare la forza di andare avanti…

…in un fiore che sboccia nel cemento o nell’aridità di una pietra.

In una pianta che trionfa nonostante il gelo, in una creatura che corre dove pare impossibile muoversi.

Tante sono le indicazioni che riportano a vari Dei e a vari culti nella mia Valle.

Pizzo Penna, Rocca delle Penne… pare derivino dal Dio Penn, divinità venerata proprio dagli antichi liguri. Colle Belenda e, più in là, il Monte Abelio, ricordano il Dio Belenos (luminoso) come vi avevo spiegato qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/05/04/belenda-belenos-belin/ e allora, forse, anche il Dio Marte è stato in qualche modo considerato.

Gli indizi combaciano tutti e, che le mie teorie siano vere o false, devo ammettere che ho trovato davvero affascinante e divertente fantasticare su questi toponimi….… TOPO-nimi… eh…! Lo vedete che tutto è collegato?

Io vi mando un bacio mitologico e vi aspetto per il prossimo viaggio assieme. Chissà se il prossimo sarà reale o di nuovo fantastico…

Monte Corma – la Natura che avvolge

Oggi Topi sconfiniamo un pochino…

Andiamo su un monte che si trova sul confine della Valle Argentina ma è in realtà già in Val Nervia.

Andiamo sul Monte Corma.

Non è considerato altissimo ma raggiunge i 1.556 mt. con la sua vetta boschiva e frastagliata ed è davvero particolare.

Avete voglia di un contatto “ravvicinato” con la Natura senza faticare troppo? Volete vedere da vicino Funghi, Insetti, Piante, panorami e quant’altro? Questo è il posto che fa per voi.

Per raggiungerlo serve arrivare a Colla Melosa. Il Monte Corma è il rilievo che vedete proprio dietro il noto Rifugio Franco Allavena.

Attorno a lui si sviluppano altri rilievi, come Colle della Sella, sui quali Gracchi e Camosci conducono la loro vita in totale libertà tra rocce nude, boschi di Larici e antichi sentieri militari.

In Base alle annate potete trovare molta neve, d’inverno, da queste parti.

Da Molini di Triora basta seguire le indicazioni per Carmo Langan e una volta raggiunto il bivio “Pigna – Colla Melosa” occorre salire appunto verso Melosa, a destra.

Siamo vicini alla Diga di Tenarda e, di fronte a noi, si stagliano il Monte Toraggio, con le sue guglie aguzze (1.973 mt) il Monte Pietravecchia, un monte assai antico (2.038 mt) e il Monte Grai che lo si riconosce bene con il suo Rifugio del C.A.I. incastonato quasi in cima alla vetta (2.012 mt).

E’ un sentiero che costeggia il Rifugio Allavena a condurre sul Monte Corma.

Un sentiero pianeggiante e adatto a chiunque, persino ai Topini.

L’erba soffice posso percepirla bene sotto le zampe e la terra mi accoglie ricca di ciuffi che delineano il sottobosco.

Le conifere mi circondano e, alla fine dell’estate, qui, si può persino trovare qualche Amanita Muscaria conosciuta anche con il nome di Ovolo Malefico. E’ appariscente ma velenosissima, fate attenzione.

Il rosso delle bacche di Sorbo selvatico è l’unico colore che ravviva in questo corridoio.

Questa zona è spesso umida a causa della nebbia e della foschia che possono sorgere anche durante i periodi più caldi, salendo dall’abisso che circonda il Monte.

Gli alberi sembrano enormi spade conficcate nel terreno. Spade dalle else ben adornate, spade di antichi giganti e grandi Re.

I Licheni, assai presenti sulle cortecce di queste alte piante, che hanno il compito di mantenere l’idratazione della pianta, non fanno molta fatica a svolgere il loro lavoro.  

Una volta raggiunta la cima del monte si ha una visione spettacolare sul Toraggio e sul Pietravecchia ma è molto pericoloso affacciarsi da qui anche se il panorama chiama.

Il dirupo è formato da rocce, arbusti e rovi che possono tradire.

Si può vedere anche il Vallone dei Camosci, così chiamato proprio per via della presenza di queste splendide creature che vi ho nominato prima ma, come ho già detto, è bene essere molto prudenti.

Meglio starsene al di qua della staccionata, nella radura, o seduti su questa particolare panchina in legno che permette di godere della pace e dell’atmosfera tranquilla che avvolge questo luogo.

Un’atmosfera resa davvero particolare soprattutto dalla presenza di numerosi formicai che assomigliano molto a quelli che si possono trovare sul Monte Gerbonte.

Si tratta di formicai veramente grandi. Incredibilmente grandi. Spesso a forma di cupola.

Le Formiche, se non erro, appartengono alla specie Carpentiere (Camponotus ligniperda). Sono enormi anche loro. Con il torace rosso e la testa e il ventre neri.

Gli aghi dei Pini e la terra diventano i materiali principali per costruire queste grandi tane… decisamente più grosse della mia!

Su di loro c’è un viavai impressionante. Lo sapete che pare ci siano all’incirca 1.000.000 di Formiche per ogni essere umano sul Pianeta Terra? Sì! E pare anche che il peso di tutte le Formiche del mondo equivale al peso della popolazione umana mondiale. Questi dati sono stupefacenti ma qui, sul Monte Corma, posso iniziare a capire cosa significhino questi calcoli.

Ho davanti ai miei occhi delle quantità eccezionali di questi insetti.

Non abbiate comunque fastidio o timore. Se ne stanno pacifiche accanto ai loro formicai. Saranno altri gli insetti che verranno a curiosare per vedere chi siete… ma sono innocui – Parola di Topina -.

D’altronde, sul Monte Corma, il sottobosco è veramente molto ricco.

Il Monte Corma offre passeggiate in tranquillità adatte a tutta la famiglia e offre anche soste all’interno del bosco per ristorarsi della bellezza che circonda.

Alcuni tronchi sembrano troni adatti a Topine Regine e quando si sta seduti lì, nel silenzio, non è difficile scorgere qualche Poiana appollaiata sui rami più alti di quei Larici che fanno ombra.

Infatti, ora… io mi riposerò un po’ ma voi no! Preparatevi immediatamente per il prossimo tour perché sarà magnifico e in Valle Argentina!

Io vi mando un topobacio e vi aspetto…

Dal Tanarello al Saccarello – tra Pecore, Fiori e Montagne

Dopo un po’ di pausa, che mi è servita per andare in perlustrazione, l’escursione che vi porto a fare oggi è meravigliosa e non solo dal punto di vista panoramico.

Ecco, già vi sento che mi state accusando di essere ripetitiva ma cosa ne posso io se la mia Valle e i suoi dintorni sono di una bellezza unica? Giudicate voi stessi dalle immagini di questo articolo, noterete immediatamente che sto dicendo il vero!

Attraversando Passo Tanarello si giunge al Monte Saccarello, il monte più alto della Liguria (2.202 mt) e vetta imponente della Valle Argentina divisa con Piemonte e Francia. Ma prima dobbiamo arrivarci al Tanarello. Mi sembra ovvio.

Giungiamo in questo splendido luogo passando per l’Alta Valle dal piccolo paese di Realdo per poi proseguire verso Passo di Collardente e alla Bassa di Sanson.

Qui incontriamo un bivio. Siamo in un punto che ci permette di andare a Marta e quindi poi a Colle Melosa oppure al Passo della Guardia e al Garezzo ma noi, si va appunto, verso il Tanarello.

Si va quindi verso un valico delle Alpi Liguri che supera di poco i 2.000 mt s.l.m. un’ex strada militare totalmente sterrata.

Si può già vedere la nostra meta stagliarsi contro il cielo e, facendo attenzione, si nota persino la Statua del Redentore, verso destra, che sembra piccolissima da qui. Ebbene sì, dobbiamo arrivare fin lassù.

Sono le prime ore di una calda mattina e la rugiada non è ancora stata asciugata del tutto dai raggi del sole che la fanno brillare. Sembra di essere contornati da diamanti… queste sono le “ricchezze” della Natura.

Sono gli alberi a riparare queste goccioline dal tepore del sole e contribuiscono all’incanto.

Si tratta prettamente di Conifere attraversate dal sentiero che percorriamo, il quale poi diventerà uno sterrato dove è possibile anche passare con un’auto adatta.

Durante la primavera e l’estate il colore dominante è assolutamente il verde, non tanto degli alberi che si diradano sempre di più, ma soprattutto è il verde di una vegetazione florida e dei pascoli infiniti che si tuffano in discesa verso la Francia.

Il verde e il giallo dei fiori di campo. Un’immensità di giallo.

Nel periodo di giugno, questo verde è meravigliosamente contrastato dal rosa acceso dei Rododendri che formano come grandi laghi colorati e romantici su quei versanti incontaminati. I Rododendri non sono gli unici fiori presenti ma sono sicuramente quelli che più stupiscono vista la loro enorme quantità.

Anche le Orchidee selvatiche e i Non Ti Scordar Di Me sono numerosi e propongono varie totalità che non si incontrano sovente, senza tralasciare il viola vivo del Timo e le sfumature di tanti Funghi che, come pietre preziose, abbelliscono ulteriormente questo territorio.

Il colore dello smeraldo, dato da un’erba appena nata, mette in risalto il panna scuro delle pecore che brucano felici su quei prati.

Ce ne sono tantissime e ci sono anche Mucche e Cavalli per non parlare dei Camosci che si possono scorgere sulle creste più alte e più rocciose. Liberi e curiosi.

La Brigue si nota a fondo Valle e i monti che a sinistra vediamo, salendo, sono tutti francesi. Noi viaggiamo sul confine mentre, un tempo, questo era tutto territorio italiano che è stato poi diviso attraverso il Trattato di Parigi.

A perdita d’occhio si possono vedere profili montuosi dalla bellezza selvaggia e indescrivibile. Una meraviglia dalle punte azzurre e spesso baciate da nuvole dense.

La meta è vicina e continuiamo a salire fino ad arrivare in cresta. Una cresta dalla quale ora si può ammirare anche il versante ad Est e i paesi di Monesi e Piaggia. La divisione tra la Liguria e il Piemonte.

Tra le montagne meno aspre della Valle del Tanarello si distingue bene, bianca e serpeggiante, la strada che conduce ad una delle carrarecce più belle e conosciute d’Italia. Si tratta della Via del Sale, che congiunge le due regioni prima nominate e che su di sé ha visto passare soldati e mercanti.

Oggi sono i ciclisti, i centauri e gli escursionisti ad attraversarla e il panorama che offre è splendido.

Ma anche la vista che godiamo da qui non è niente male e, davanti a noi possiamo nuovamente notare la vetta del Saccarello simboleggiata da un obelisco in cemento. Siamo decisamente più vicini ora.

Un emblema però meno “sentito” rispetto alla vicina statua del Redentore conosciuta ovunque.

Chi lo desidera può ristorarsi al Rifugio “La Terza”, qui presente, e aperto durante la calda stagione.

Può rifocillarsi con tante squisitezze proposte oppure… per chi invece preferisce fare un pranzo al sacco… beh… lo spazio non manca di certo.

Si è contornati da monti e valli, ci si sente come in cima al mondo e gli occhi si affrettano a guardare tutto come se quel tutto dovesse finire da un momento all’altro.

Stando sulle creste adiacenti al Saccarello occorre fare attenzione a non sporgersi più di tanto. I dirupi sono davvero esagerati. Quel mondo va in discesa per presentare, laggiù in fondo, piccoli piccoli, i paesi di Verdeggia, Realdo e Borniga.

Sembrano finti visti da qui. Tutti quei tetti di grigio antico e quelle case incastonate tra gli spazi delle montagne. Come siamo alti…

Continuando più avanti, verso Passo di Garlenda, una cima che colpisce è quella del Monte Frontè con la sua Madonna Bianca a vegliare su quell’angolo di paradiso. Sembra vicino visto da qui, in realtà, per raggiungerlo, occorrerebbe fare una passeggiata per niente breve.

Noi abbiamo raggiunto questo luogo a piedi ma, ovviamente, si può salire anche in auto (con un’auto adatta) e quindi volendo si può poi decidere di proseguire per altre mete zampettando.

Un tour che consiglio a tutti, il quale può offrire una spensierata giornata familiare o una ricerca più tecnica del territorio o, per chi semplicemente ama la natura, un momento di relax e stupore. Le possibilità che regala sono diverse, quindi affrettatevi che l’estate sta per finire!

Io vi mando un bacio dalle più alte cime liguri e vi aspetto al prossimo articolo!

Continuate a seguirmi! Squit!

Ad Abenin, nel tempo dei lupi

Ah, topi… che terra, la mia! Una terra di artisti, di anime sensibili che hanno prodotto capolavori più o meno conosciuti. La Valle Argentina che da tempo mi impegno a farvi conoscere è stata prediletta come sfondo perfetto per varie ambientazioni, sono diversi gli scrittori che l’hanno immortalata nelle pagine uscite dalla loro penna. Calvino, Biamonti, Montale… ormai li conoscete. Ma ce n’è uno ben più vicino, nostro contemporaneo, che ha saputo descrivere certe zone della Valle e certe vicende in un modo così particolare e vivido da farmi venire un fremito dal cuore alla punta della coda!

Sto parlando di Giacomo Revelli, autore taggese del libro “Nel tempo dei lupi. Una storia al confine”. Be’, credetemi se vi dico che vale la pena di leggerlo.

Nel tempo dei lupi - Giacomo Revelli

Ambientato nei dintorni di Realdo, a fare da sfondo alle vicende che vedono Guido Valperga come protagonista c’è lei, la natura in tutta la sua potente bellezza, la stessa che elogio sempre nei miei articoli. Ma oggi non voglio essere io a parlare, vorrei che vedeste Borniga, Abenìn, il Gerbonte con gli occhi di Giacomo Revelli, che ha saputo intrappolare tanta bellezza in un libro.

Ma non si è limitato a questo, nossignori! Ha anche trattato tematiche molto belle, attuali e importanti che invitano a riflettere, soprattutto gli esseri umani che – lo so benissimo – frequentano il mio blog. E allora eccomi qui a darvi qualche assaggio delle sue parole. Sono andata sui luoghi del romanzo per voi a scattare qualche foto e mostrarvi la bellezza selvaggia dei luoghi descritti dall’autore.

Valle Argetina - Realdo - Abenin

Il romanzo inizia con Guido Valperga, il protagonista, che viene incaricato di piazzare un’antenna per il wifi in alta Valle Argentina e più precisamente nei pressi di Abenin, dopo l’agglomerato abitativo di Borniga. Il capo dell’azienda per cui lavora gli ha ordinato di piazzare l’antenna a Barëghë d’r bola, una zona impervia e pericolosa, lontana da occhi indiscreti e segnata da crepacci e strapiombi.

E’ un posto brutto – ripeté il vecchio – c’è una scarpata, uno strapiombo. Già una volta, anni fa, sono andati a prendere uno che era caduto giù. C’è un sentiero, ci portavamo le bestie malate. Ma è pericoloso, da solo con ci può andare. E nessuno la può accompagnare”.

“Beh, pài… cheicün ër li sëria…” (Be’… qualcuno ci sarebbe)

“E chi?”

“Cul… ën l’Abenìn.” (Quello… ad Abenìn)

“Chi? ‘R ni i a ciù nësciüni lasciù!” (Chi? Non c’è più nessuno lassù!)

“Ma sì! Cur mesagée… com ‘r së ciama…” (Ma sì, quello zoticone… come si chiama…)

“Chi? Chi ti diju? Giusé Burasca? (Chi? Chi dici? Giusé Burasca?)

“Certu! Ee” (Certo!)

“Ma va! Sëra mort!” (Ma va, sarà morto!)

“Ma nu! Miliu, ‘r figl’ de Lanteri, ër l’à vist a faa de fascine ën lë bosch damùnt de cave.” (Ma no! Emilio, il figlio di Lanteri, l’ha visto fare delle fascine nel bosco sopra la ceva)

Guido, torinese abituato alla vita e ai ritmi cittadini e dipendente dalla tecnologia, si ritrova così ad affrontare un viaggio alla ricerca di qualcuno che possa guidarlo tra i monti e i sentieri della Valle Argentina. I suoi passi lo condurranno ad Abenìn, dove dovrà affidarsi ad altri per portare a compimento il proprio lavoro, senza poter utilizzare apparecchi elettronici, i quali nelle zone impervie dell’alta Valle non captano i segnali della rete.

Abenin

“Ad Abenìn non c’era nessuno, nemmeno il vento. La conca era immersa nel silenzio profondo, di quelli in cui, camminando, si sentono le pietre parlare coi sassi. Le poiane volteggiavano nell’aria immobile. Una cornacchia tagliò radente le cime e scomparve. C’era qualcosa di fragile. Trovare l’unica casa abitata di Abenìn non fu difficile. Ce n’erano un gruppetto, fatte di sassi grigi messi uno sopra l’altro, incastrati e impastati di terra, invasi dai muschi. Erano basse e anguste, con poche o nessuna finestra, un buio così pesto all’interno da impedire il respiro. Gli usci, bassi e stretti, avrebbero costretto all’umiltà qualsiasi visitatore che non fosse stato un bambino.”

Abenin

Ed è qui che avviene l’incontro tra Guido e Giusé soprannominato da tutti Burasca per via del suo carattere tempestoso. Guido deve restare ad Abenìn per poco tempo, ma… be’, non sta a me rivelarvi la trama del romanzo e i suoi colpi di scena, topi, ma chissà se alla fine riuscirà a montare la sua antenna e se Giusé Burasca lo aiuterà nell’impresa!

Guido finirà per trovare amici (e nemici) inaspettati e metterà in discussione ciò che ha sempre creduto di se stesso. “Nel tempo dei lupi” è un romanzo che ha una grande profondità, nonostante l’apparente semplicità della trama. Ma continuiamo a camminare sulle parole dell’autore…

edicola Abenin - Realdo

“Ad Abenin, in cima alla collina, c’è un’edicoletta con una croce e vicino un abete. Lì la strada spiana dopo la brusca rampa che sale dal Pin. Dentro c’è una Madonna e una bottiglia di coca con dei fiori appassiti. E’ un buon posto se si ha da pregare. Quando Guido ci arrivò, era un monumento di ghiaccio e di silenzio.”

Abenin - Realdo

“La neve si posava sulle fasce d’erba e lentamente le coricava, come un mantello. I dirupi, i burroni, le cicatrici della montagna apparivano ora più serie e profonde. File di muretti ordinavano i gradoni della conca e delimitavano la strada e le case. Alcuni erano gonfi, ingravidati dal tempo. Altri avevano già ceduto e vomitato nel terreno il loro magma di sassi. Altri resistevano fieri, chiusi, perfetti… ma per quanto ancora?”

Abenin - Realdo2

Che poesia, che parole! Non sono la sola a elogiare questa valle antica e fiera.

E nel romanzo è l’anziano Giusé Burasca, allevatore dai modi burberi e schietti, a insegnare indirettamente a Guido un modo di comunicare nuovo per lui, un linguaggio semplice e più diretto rispetto a quello portato dalla modernità e dalle antenne nell’era degli smartphone. E alla fine anche Guido, forse, riuscirà a far parte di quella natura che dapprima gli era apparsa ostile e distante…

lichene

“Riconosceva i larici, li distingueva uno dall’altro dalla forma del tronco o dai muschi che ne ricoprivano la corteccia. La montagna cominciava a parlargli. La piramide del Gerbonte, le colline di Abenìn non erano più il muto scenario in cui misurare un campo elettromagnetico; capiva finalmente la loro indole. Un lato dolce, con i fianchi della montagna che abbracciano le quattro case, il pontetto per il paese, come in un piccolo presepe, e poi poggi stretti, ma comodi, scalati dai muretti ordinati di sassi. Un lato severo, selvatico, con il dirupo e la valletta spezzata nel baratro: un ciuffo d’erba e poi più nulla, la valle giù, aperta, con qualche pino che si aggrappava alle rocce.”

abenin gerbonte

Ma c’è un altro personaggio in questo libro di cui non vi ho ancora parlato: una lupa, muta spettatrice degli eventi. Silenziosa, selvaggia e misteriosa, con la sua presenza sconvolgerà ogni certezza di Guido e Giusé. (Per la foto seguente ringrazio il fotografo Paolo Rossi, al quale avevo dedicato il seguente articolo qui sul blog: “Paolo Rossi racconta il lupo e i suoi segreti“).

lupo

“La lupa non sembrava avere problemi: proseguiva decisa qualche metro avanti a lui. Guido non vedeva altro che la bestia davanti a sé che ogni tanto si voltava a guardarlo. Ma cosa voleva dirgli? Dove voleva portarlo? La seguì fino ad abbandonare la radura dei larici. Si trovò così immerso completamente nel bianco. Non era cieco, ma la vista gli era assolutamente inutile in tutto quel bianco. La lupa era un’ombra grigia davanti a lui. […] Era qualcosa di profondamente diverso rispetto all’uomo. Tra lui e lei, là fuori, non c’erano solo alberi, erba e colline, ma anche tutto ciò che fa tuonare le nuvole, il vento che le muove, il buio, la notte, il gelo. Cose che oggi, quotidianamente ignoriamo, persi nel rumore di fondo. Quella lupa era arrivata come dal passato, percorreva sentieri che altri lupi prima di lei avevano percorso e si trovava davanti i nemici di sempre, come se anche il tempo ad Abenìn fosse tornato indietro. Ma ora, dove si trovava? Nel tempo dei lupi o in quello degli uomini?”

Il lupo, quello straordinario mammifero ormai sulla bocca di tutti, è tornato a popolare le zone selvagge della mia Valle, ormai lo sapete. E’ un essere schivo, che si fa beffe dell’uomo, e nel libro Revelli usa un motto semplice e schietto per definire questo animale libero fiero: l’è ‘r louv l’animàa ciù furb! (E’ il lupo l’animale più furbo).

Abenin - Realdo - Gerbonte

Il sottotitolo di questo libro è “Una storia al confine”. Revelli parla molto di confini nella sua opera: il confine tra l’Italia e la Francia, dove le vicende sono ambientate; il confine tra antichità e modernità, tra umanità e bestialità, tra civiltà e zone selvagge e incontaminate. Si sente il confronto tra i confini, quelli reali e immaginari che l’uomo ha creato, quelli ai quali la natura non obbedisce perché le leggi umane non hanno validità assoluta su tutto e sfuggono al suo controllo, a differenza di quanto egli stesso tenda a pensare.

Valle Argentina Realdo

Siamo in terra brigasca, dove in passato si consumarono battaglie sanguinose e di cui ho già avuto modo di raccontarvi molte volte, qui sul blog. Sono luoghi che hanno visto scontrarsi italiani e francesi in numerose occasioni, proprio perché questa sembra ancora oggi terra di nessuno, dove ogni cosa è possibile e dove le leggi umane faticano ad arrivare.

E ancora oggi qui, sulle montagne che vi mostro in queste mie immagini e tramite le parole di Giacomo Revelli, gli sms, il web e i social network non arrivano. Qui tutto è autentico, non ci sono schermi a fare da tramite. E quello che l’autore vuole farci vedere è che le sofisticate tecnologie odierne arrivano ovunque, ma l’unico ripetitore che non riescono a toccare è il più importante: quello del cuore.

Sentiero Colle Sanson Valle Argentina

Una terra, questa, che sta pian piano riconquistando il suo lato selvatico e selvaggio, là dove la presenza antropica si limita ormai a sporadiche e occasionali occupazioni, limitate al periodo estivo. Ci si sente ospiti, qui, non di certo padroni, e Revelli lo ha descritto molto bene.

Abenin - Realdo - Valle Argentina

Con delicatezza e semplicità, riporta in vita gli antichi conflitti tra uomini e lupi, riapre vecchie ferite non ancora rimarginate e fa riflettere su due mondi distanti e vicini al contempo – quello umano da una parte e quello animale dall’altra – che viaggiano paralleli senza (quasi) mai incontrarsi. Una storia che invita al rispetto, a sentirsi padroni soltanto di se stessi e ad aprire gli occhi per incrociare lo sguardo con quello del lupo.

Adesso vi saluto, topi. Torno a zampettare in zone selvagge per voi. Un ululato a tutti!