Messaggio in bottiglia

Si, così, semplicemente. Tutto è nato da un messaggio nella bottiglia.

Per quei militari, era probabilmente uno dei pochi svaghi che potevano concedersi” pensò lei.

Lui era alto, magro, biondo, sembrava un attore dei film in bianco e nero. Porgeva servizio in Marina, era un soldato con il ruolo di fotoreporter. Immortalava combattimenti, truppe, momenti atroci, attimi di pace della vita di chi combatteva ogni giorno, a volte, anche sorrisi.

Lei, mora, con gli occhi color del cielo e un enorme sorriso. Lavorava presso il Banco di Sicilia a Genova. In famiglia ricordiamo ancora le bottiglie di amaro “Averna” che portava nelle vacanze di Natale.

Non si sa bene come andò ma dapprima, fu solo uno scherzo. Facendole credere di aver trovato un messaggio in una bottiglia, una sua cara amica, la obbligò ad andare al posto suo, ad un appuntamento; una favola. E lei così fece, in fondo, poteva anche essere divertente.

L’appuntamento era con mio zio, fratello di mio nonno e lei… divenne mia zia.

S’innamorarono a prima vista e si sposarono poco dopo. Giovani. Giovanissimi. Nelle foto del loro matrimonio, ridono come matti.

Bello come il sole, mio zio era arruolato sulla Corazzata “Littorio”, marinaio, foto-giornalista.

Era in quel periodo che, sbarcando spesso a La Spezia, all’Arsenale o nel Porto di Genova, per lavori di manutenzione alla nave, poteva godere dei momenti felici con la sua giovane sposa che andava ad incontrarlo.

Quando la guerra fosse finita, avrebbero potuto passare insieme ogni giorno.

Il 6 settembre del 1943 lo trasferirono sulla Nave da Battaglia “Roma”.

L’8 settembre del 1943, giorno dell’armistizio, alle ore 15:40, la sua nave venne colpita dalla prima Ruhrstahl SD 1400, una bomba razzo. Alle 15:52, una seconda bomba l’incendiò. Nella foto, trovata su internet, potete vedere l’imbarcazione colpita. Dopo pochi minuti affondò del tutto. Si salvarono 622 marinai. Ne morirono 1352, ustionati o annegati, tra i quali, mio zio. Essi, furono le prime vittime, per mano dei tedeschi, dopo la dichiarazione dell’armistizio.

Guardare le foto che oggi possiamo trovare grazie alla tecnologia, mi lascia un senso di malinconia addosso.

Mia zia era incinta. Mia cugina, non conobbe mai suo padre. Un addetto, davanti alla porta della chiesa, nominò tutti i deceduti e i dispersi e lei, si sedette sui gradini di quel Duomo. In due, dopo qualche giorno, in divisa, bussarono alla porta di quella giovane sposa per le dovute condoglianze e, il suo pancione, era già in evidenza. Pieno di vita.

Con la morte nel cuore, fu proprio il respiro che portava nel ventre a farla andare avanti.

La Nave da Battaglia “Roma” è ancora là, sotto le acque del Mediterraneo, sotto le bocche di Bonifacio e, qualcuno, che dal Cacciamine “Vieste”, grazie a un sommergibile ha visto cos’ha tenuto dentro di sè, ha dichiarato – Andiamocene e lasciamo riposare in pace i nostri morti -.

Di mio zio rimangono tanti ricordi e il nome sul monumento dei caduti del mio paese, nella mia valle.

A Ibiza, un altro monumento, riporta tutti i nomi dei marinai della nave. Non si sa perchè proprio lì, forse perchè i naufraghi, ai tempi, i sopravvissuti, furono portati in Spagna.

Una nave massiccia, possente, con corazze laterali in acciaio di ben 60 cm l’una e, a differenza di tutte le altre costruzioni, era protetta ulteriormente da piastre verticali. Una nave con un equipaggio tra i più numerosi all’epoca, che finì il suo tragitto dopo aver navigato per 2.500 miglia. Una nave che trasportava grandi uomini.

Di lui rimangono le foto in bianco e nero in cui sembra un personaggio da film, con la sua faccia pulita, quella di un ragazzino. Foto che mia zia rimirava e rimirava assieme a sua cognata, sorella del nostro eroe, ogni volta che veniva a trovarci. Di lui rimane una stirpe che sempre lo ricorda.

Mia zia, non si è mai più risposata ma ha continuato a considerarci la sua famiglia e, durante i Natali, passati insieme con l’amaro Averna sul tavolo, sentivo che mio zio, in quel momento era lì con lei, era lì con noi.

M.