Memorie di zona Sciorella

Cari Topi,

vi ho condotti spesso al Passo della Mezzaluna, luogo ben noto della Valle Argentina, ma oggi vi ci porto nuovamente perché voglio farvi conoscere una zona nei pressi di questo posto che per me è davvero particolare.

Andiamo in zona Sciorella.

Si tratta di un’antica e piccola frazione, appartenente al paese di Andagna, che si divideva un tempo in Sciorella Soprana e Sciorella Sottana.

Col dire “un tempo” intendo, grosso modo, fino agli anni ’70 del secolo scorso, dove, nei dintorni di questa borgata, venivano coltivati patate, grano e cavoli. E quindi risultava, in qualche modo, ancora vissuta.

Non solo, anche il bestiame abbondava e poteva far man bassa dell’erba buona del Praetto e della Mezzaluna stessa.

Oggi, di questa località rimangono solo alcuni ruderi in pietra ma credetemi sulla parola se vi dico che questo luogo parla…

Parla e racconta di sé e di chi lo abitava…

Gli orti e le coltivazioni nascevano accanto alle case. Ancora oggi si possono notare rimasugli di terrazzamenti completamente ricoperti dal bosco adesso.

Forse ancora più affascinanti.

Quando gli alberi sono spogli si possono intravvedere bene, altrimenti, il ricco fogliame li nasconde un po’.

Ci sono casette dall’area di pochi metri e altre più grandi, più capienti.

Alcune erano vere e proprie dimore, altre erano Selle e cioè dei ripari nei quali stoccare rifornimenti, soprattutto alimentari, per superare il periodo invernale.

Sopra all’abitato di Andagna, un altro paese, oggi fantasma, è da sempre meta prediletta di parecchi amanti della Valle vista la sua bellezza. Si tratta di Drego.

Sopra a Drego, continuando per raggiungere il Passo della Mezzaluna, si arriva ai Confurzi (un giorno vi parlerò anche di questa località qui) e più su ancora, sotto al Monte Bussana e Cima Donzella, ecco lo svilupparsi di Sciorella.

Il termine “Confurzi”, con cui si conosce l’altra zona, indica la confluenza di diverse acque e questo sta a significare come quei terreni potevano essere ben nutriti e generosi.

Nei pressi di Sciorella troviamo diverse Conifere ma soprattutto, a regnare, sono i Carpini, i Noccioli e i Castagni che un tempo permettevano alle persone di sfamarsi e di avere un commercio. Anche la Rosa Canina, con i suoi arbusti spinosi, è molto presente.

La Fauna selvatica, invece, è formata prevalentemente da Caprioli, Lepri, Cinghiali e Lupi ma, se si alzano gli occhi al cielo, si possono anche ammirare straordinari esemplari di Albanella Reale, Aquila Reale e Corvo Imperiale.

Per non parlare dei tanti uccellini che accompagnano il mio cammino all’interno della macchia come i Picchi, i Cuculi e i Fringuelli. E molte altre specie.

Vi confiderò un segreto… pare che qui, in passato, siano anche stati avvistati dei Cervi di passaggio.

Il Cervo non vive nella mia Valle ma vive nei dintorni di essa e, probabilmente, nello spostarsi e nell’andare a conoscere la vasta Foresta dei Labari, è passato anche da qui.

Da questa zona dei miei monti la vista è splendida, sono a circa 1400 mt di altitudine… mi chiedo come facessero un tempo, gli abitanti, ad attraversare quei boschi e quei sentieri per scendere giù in paese. Tutto sembra lontanissimo, poichè pare di essere in cima al mondo.

Posso vedere tutta l’altra parte della mia Valle che è fatta a ferro di cavallo ma posso vedere anche i paesi principali come Triora.

E’ divertente riconoscerli da qui e spostarmi per vedere quale dei tanti sbuca: Andagna, Molini, Corte….

Guardate come sono lontani però! Ritorno col pensiero alla tanta strada che si doveva percorrere.

Negli ultimi anni, infatti, questa è diventata una località prettamente estiva, usata per portare le greggi di Capre, Pecore e Mucche; ciononostante, indica davvero la tempra di chi ci ha preceduto.

E’ un sentiero ben delineato quello che mi permette di attraverso questo luogo silenzioso.

A volte sono all’interno di un intricato bosco, a volte mi trovo in radure ampie, più spoglie. Ma tutto è magico.

Ci sono punti in cui la vegetazione la fa davvero da padrona. In primavera è un verde intenso a regnare e sembra non esserci nemmeno un centimetro di spazio per passare (a parte per me che sgattaiolo ovunque).

Girandomi da dove sono arrivata rivedo il Passo e ammiro il mio amato Carmo di Brocchi che si innalza sopra ogni cosa.

E’ solenne, sovrano e splendido.

Continuando potrei arrivare fino ai Prati di Corte e ai Casai ma oggi voglio godermi questa bellezza antica e restare ancora ad ascoltare cos’hanno da dirmi tutte queste pietre che, ad una prima vista, appaiono silenziose.

Delineano confini, parlano di guerre, di povertà e ricchezza.

Trasudano del duro lavoro. Inventano leggende e fiabe.

Affermano un passato severo ma ricco di valori.

La loro voce è lieve, mai prorompente.

Appaiono fragili ma non lo sono. Sono lì da tempo.

Chissà quante ne hanno visto! Chissà da chi sono state posizionate in modo tanto ordinato e con maestria. Chissà perchè è stata scelta questa zona per vivere… beh… la risposta è facile… perchè c’è tutto: l’acqua, il bosco con i suoi frutti, il pascolo per il bestiame, la neve in inverno come riserva idrica, i fiori d’estate che nutrono le Api, l’aria salubre, tanto sole, il buon terreno, la selvaggina, le vette incontaminate…

Un paradiso insomma!

I nostri avi pensavano a tutto.

E questo – tutto – è oggi narrato dall’atmosfera di Sciorella. Serve solo restare in ascolto.

Rizzate le orecchie Topi! Ma preparatevi anche per il prossimo post, nel quale, come sempre, vi porterò con me alla scoperta di qualcosa che riguarda la mia amatissima Valle!

Squit!

La Madonnina di Nonna Amalia

Cari Topi,

sapete bene che della mia Valle amo raccontare qualsiasi cosa persino le vicissitudini e le avventure di chi ci ha preceduto.

Alcuni fatti mi intrigano parecchio e mi incanto sempre ascoltando certe testimonianze. Per questo mi fa piacere condividerle con voi.

Oggi andremo sopra l’abitato di Corte e, più precisamente, in una zona chiamata “Loggia”.

E’ un luogo bellissimo che permette l’accesso al cuore della Valle Argentina e ci si trova velocemente alle pendici di tutti i monti principali della Catena Montuosa del Saccarello.

Sarà una strada ben tenuta, ampia e sterrata, a portarmi qui.

Una strada che percorro sempre, circondata da piccoli uccellini, Corvi e Cuculi.

Da qui si raggiunge anche Rocca delle Penne, uno sperone roccioso assai noto nella mia zona. Vissuto da Lupi, Cinghiali e Caprioli.

E’ una zona selvaggia. Non aspettatevi sentieri facili da percorrere, molto spesso si avanza grazie agli “sbreghi”, cioè i tagli, che creano gli animali al loro passaggio. Tagli che non sono adatti a tutti.

Nella conca, in cui ci si trova alla fine dello sterrato principale, prima di inerpicarsi su per le montagne, si nota un bel casone il quale è stato costruito anticamente proprio sulle rive del torrente.

Ricordate tutti cosa è accaduto la notte tra il 2 e il 3 Ottobre del 2020 vero? Esatto, una tremenda alluvione, creata dalla tempesta Alex, ha distrutto tantissime case, strade e boschi della Liguria di Ponente, senza risparmiare la Valle Argentina.

La Foresta dei Labari, che si trova esattamente sotto “Loggia” non sembrava neanche più lei. I grandi massi bianchi si erano spostati rotolando via, gli alberi caduti, i sentieri perduti. Tutto era franato.

In quel luogo si poteva ben vedere il devasto di una Natura che spaventa chiunque.

Persino il pastore perse la stalla, molti animali subirono le conseguenze di quella violenza; io stessa, al sicuro nella mia tana, ero spaventatissima ma, quel casone, che come ripeto è esattamente sul torrente, non subì alcun danno.

Com’è stato possibile?

Quando ho parlato con il proprietario di quello che era accaduto, guardando la devastazione che regnava attorno a noi in un silenzio disarmante, tra un sorriso e uno sguardo d’intesa mi ha indicato una piccola cavità proprio di fronte a quella dimora, dall’altra parte del grande rio.

Nemmeno lui sa se sia possibile o no ma gli piace affettuosamente credere che, forse, il merito è anche di quella statuetta che brilla nell’oscurità della grotta.

Una splendida Madonnina bianca e azzurra se ne sta lì dentro, protetta dalle pareti rocciose a sorvegliare quella casa a lei cara.

Cara perché, questa Madonnina, apparteneva alla nonna del proprietario: Nonna Amalia.

Una donna molto buona, la quale era affezionatissima a quella statua e la teneva in camera da letto.

Vi svelerò anche un piccolo segreto su questa straordinaria Nonnina… è persino stata ospite del – Maurizio Costanzo Show -! Si! Da non credere!

Il nipote e io abbiamo molto di cui parlare mi sa…

Quando Nonna Amalia morì, i nipoti non se la sentirono di buttare quella rappresentazione di Maria e quindi decisero di posizionarla in quel pertugio con lo sguardo rivolto verso il casone.

Beh… pare proprio che il loro gesto li abbia premiati e soprattutto salvati. La Madonna, o forse proprio Nonna Amalia, hanno protetto quel luogo caro.

Un luogo che è come una tappa obbligatoria. Non si può passare di lì senza rivolgere uno sguardo a quella piccola grotta tra i massi.

Questi racconti mi emozionano sempre, non c’è niente di più bello che riportare alla luce ciò che è stato nel cuore di chi ancora vive con noi.

Ora però devo lasciarvi, ho ancora molto da sapere su Nonna Amalia e su tante altre storie della mia Valle che voglio condividere con voi.

Vi mando quindi uno squitbacio e vi aspetto per il prossimo racconto!

Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.

Rocca della Mela – un “frutto” antico in Valle Argentina

Un po’ come se, in Valle Argentina, fosse sempre Natale! Ebbene sì Topi cari… abbiamo un panettone sempre fisso, nel bel mezzo della Valle, tondo come un cuscino e naturalmente meraviglioso. Ma non è un panettone in realtà. E’ qualcosa di ancora più bello e porta un nome assai curioso. Vi sto parlando di Rocca della Mela un ammasso roccioso, probabilmente in arenaria, davvero simbolico.

Le rocce che la compongono sono bianche e parecchio strane. Ruvide, porose e attaccate assieme dalla terra scura o appoggiate una sull’altra ma sembra quasi impossibile possano stare così appiccicate senza staccarsi. Non è infatti un masso unico, frastagliato, come può sembrare da lontano.

Rocca della Mela si trova isolata in mezzo a tanti prati che durante la primavera e l’estate sono di un bellissimo verde vivace e quindi lei, così chiara, spicca ancora di più. Prati che però non sono solo di erba ma composti anche da tantissimi fiori stupendi, colorati e profumati e che rendono tutto quell’ambiente completamente fiabesco. Ci sono i bianchi Gigli di Monte, i Fiordalisi selvatici, i Botton d’Oro, i Non ti scordar di me e tanti tanti altri…

Sono gli alti pascoli della Valle presso i Prati di Corte dove, durante la bella stagione, soprattutto un tempo, i pastori portavano a pascolare i loro animali.

Oggi, sono prevalentemente i Caprioli a far da padroni in mezzo a quel ben di Dio della Natura e a cibarsi di germogli, funghetti e foglie fresche. Sono prati ricchi, molto generosi.

Il nome “Mela” è un nome interessante nella mia Valle da tanto tempo. Non riguarda solo il frutto in sé come si potrebbe pensare. E’ un nome che ricorda anche il Miele, considerato il “Nettare degli Dei”, alimento fantastico, in tutte le qualità, fin dai tempi più antichi. E la malva. Dalla radice mal significa infatti un qualcosa di morbido, dolce e succoso. Non solo, persino il nome Colle Melosa ricorda questi alimenti considerati da sempre portentosi soprattutto quando il cibo scarseggiava più di oggi e, al posto dei medicinali, si usavano i prodotti della Terra.

La Mela è da sempre considerata, per eccellenza, il frutto in grado di guarire. Lo diciamo anche oggi – Una Mela al giorno toglie il medico di torno – e, alcuni nostri Topononni, quando erano più giovani, tenevano una Mela sul comodino di chi stava poco bene perché, quella Mela, la si riteneva in grado di assorbire il malessere del malato portando via i dolori alla persona.

Alcune Streghe usavano bacchette magiche in legno di Melo per realizzare incantesimi sulla longevità e, inoltre, la Mela, era considerata il frutto simbolo dell’Amore. Non solo della discordia come si pensa in base a diverse filosofie. Per questo, le nostre Bazue, la usavano nel creare alcune pozioni d’Amore.

Probabilmente è a causa della forma particolare di questa Rocca che le è stato conferito questo nome ma è carino pensare anche a tutto quello che ci sta dietro.

Come può anche essere che, una volta, ci siano stati diversi Meli a circondarla. Non lo so, so solo che ora, a circondarla, ci sono tutti i miei monti in un teatro unico.

Dalla mia posizione posso ben vedere dietro di lei il Toraggio, il Pietravecchia e il Grai ma anche il borgo di Triora, mentre, dietro alla mia coda ci sono il Monega, il Bussana e il Donzella. Che spettacolo!

Su di lei Sassifraghe, Timo e Lavanda si muovono mossi da lievi sbuffi di vento. Queste rocce, piene nei loro anfratti da piante così tenaci, sono incredibili. Si tratta di piante spontanee che hanno bisogno di poco terreno e poche cure così, adattandosi anche ai luoghi più impervi, addobbano persino scogli rudi.

Che luogo di pace assoluta, quasi quasi vengo a costruirmi la tana estiva in qualche cunicolo sotto di lei. Tutto qui è particolare. Mi guardo attorno e vedo un infinito fatto di bellezza inimitabile.

Ogni volta la mia Valle mi stupisce regalandomi ambientazioni che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe potuto immaginare. E’ tutto così bello.

Mi sento ancora più piccola in tutto questo spazio ma, allo stesso tempo mi sento protetta dalla bontà che mi abbraccia e da questa Rocca che emana un’energia amorevole.

Vorrei stare qui ancora molto tempo, vorrei persino dormire ai suoi piedi ma devo tornare in tana perché ho da scrivere altri articoli per voi e portarvi con me in altri luoghi da favola.

Salutiamo assieme Rocca della Mela promettendole di venirla a trovare presto.

Vado! E a voi mando un bacio… mieloso…

Il sentiero oltre le mura

Triora è un borgo meraviglioso da visitare. I suoi carruggi raccontano di storie antiche, di streghe, di battaglie e signorotti.

È suggestivo camminare per quei vicoli, toccare le pietre che reggono quelle case imponenti, ammirare i contrafforti che parlano di unione.

Appare assurdo notare come, in alcuni punti, i potenti raggi del sole non riescono ad entrare nonostante stiano picchiando su ogni tetto con forza e calore. Si possono ben vedere e ben sentire, fuori le mura del paese.

Ai confini di quell’abitato che da qui, senza più case attorno, mostra la mia splendida vallata. Fuori le mura che, un tempo, chiudevano il villaggio in un mondo a sé, totalmente autonomo. Fuori da mura che proteggevano chi viveva all’interno.

Ed è da qui, verso Sud, che nasce un sentiero panoramico assolutamente da percorrere, costeggiando così Triora dall’esterno. È un sentiero a salire che ci porterà verso la parte più alta del paese ma, soprattutto, ci farà giungere in uno dei luoghi più noti di tutta la Valle Argentina.

Si tratta della “Cabotina”, un piccolo spazio dove molti molti anni fa, secondo la voce del popolo, le streghe si ritrovavano di notte per ballare col diavolo.

La natura è assai presente lungo questo percorso ben delineato in terra battuta e ciottoli.

Oltre ad alberi spogli e arbusti verdi posso già notare fiori di Calendula e Borragini destinati ai più golosi. Preziosi doni di Madre Terra già sbocciati nonostante il freddo mese di gennaio.

È entusiasmante vedere da qui Molini di Triora laggiù in fondo. Lo si vede in tutta la sua grandezza, disteso lungo il torrente. Di lui si notano i tetti rossi delle case, il campanile della chiesa e i monti che lo circondano. Si vede bene anche la Strada Provinciale che si percorre per salire su in Valle, partendo dal mare.

Al di sopra sonnecchia Andagna appoggiata sul monte. E’ riconoscibile anche la sua piccola chiesetta di San Bernardo alla sua destra.

Anche il paese di Corte è una meraviglia visto da qui incorniciato da foglie vive e turgide.

Ebbene sì, da come potete vedere, la vista è ampia e splendida.

All’inizio di questo percorso, ciò che resta di quelle mura in pietra, si vede ancora bene e, in principio, si passa sotto ad una volta, anch’essa in pietra, che un tempo doveva essere una delle varie entrate nel villaggio. E’ stretta e ricoperta di rovi. Immagino guardie davanti a lei a controllare il territorio. Chi si avvicinava e chi usciva dal borgo.

Tratti di quelle rovine accompagnano lungo tutto il cammino, anche se di loro è rimasto ben poco e, quel poco, oggi, è ricoperto da una natura selvaggia e ingorda.

Ci sono delle costruzioni. Sembrano vecchie case. Sono dei ruderi. Si individuano delle finestre e delle porte nelle pareti restanti. Forse erano le case delle sentinelle o abitacoli nei quali accordarsi per decidere come muoversi contro il nemico.

Continuando si arriva in un punto in cui degli scalini e un po’ di salita ci portano sempre più vicino alle zone abitate dalle streghe. Dei paletti di legno servono da ringhiera e muretti in pietra, più recenti, formano quel tratto di strada.

Il piazzale nel quale si giunge è lastricato di pietre piatte e lisce. Ci si può ballare sopra sicuramente ma le bazue, di certo, avranno danzato su un terreno più rude.

Anche da qui un altro splendido panorama arricchisce gli occhi. Si può vedere una parte della Catena Montuosa del Saccarello ed è una meraviglia.

Alcune piccole porte in legno sono dipinte. Sono diverse le porte disegnate in questo paese conosciuto come la “Salem d’Italia”.

L’atmosfera è diversa adesso rispetto a prima. Si entra nell’arcano.

La rappresentazione di una bella strega dai capelli rossi lo conferma. Accanto a lei uno scaffale pieno di erbe essiccate per ricordare gli elisir e le pozioni che queste donne creavano.

Donne vissute nel XV secolo e perseguitate dall’Inquisizione che qui, a Triora, è stata davvero protagonista per molti anni.

Una passeggiata breve, tranquilla, da fare se ci si vuole rilassare e per vedere questo paese, conosciuto in tutto il mondo, e la mia Valle anche da un altro punto di vista.

Ora mi guardo i vecchi casoni che si trovano proprio qui, alla fine di questo sentiero.

Un bacio stregato a voi! Alla prossima!

A Rocca delle Penne sopra la Foresta dei Labari

E’ l’alba di una spettacolare mattina di gennaio quando giungo a Case Loggia, sopra il paese di Corte.

Le sfumature rosa e arancio di questa aurora, preludio di una giornata che sembra primaverile, mi permettono di vedere la Corsica che si staglia sopra al mare, avvolta dalle nuvole, laggiù in fondo, oltre il Monte Faudo. “Come inizio non c’è male” mi vien da pensare.

Mi trovo dove un tempo, un gruppetto di case formava una piccola borgata. Ora ne sono rimaste pochissime sotto strada, mentre una frana ha devastato questo territorio che però non ha perso la sua bellezza.

Se mi guardo attorno, infatti, posso vedere la magnificenza dei miei monti, crinali incredibili e spettacolari e distese di pascoli infiniti sui quali non è difficile scorgere Caprioli, Camosci o Mucche a brucare quell’erba che riveste, come velluto, quei monti che sembrano finti. Sono i Prati di Corte.

La strada che mi ha portato sin qui è uno sterrato che si prende dopo aver sorpassato la sbarra per la via che porta anche a Vignago. Occorre infatti conoscere qualcuno che abbia le chiavi, non a tutti è concesso di passare in questa zona se non a piedi. Sono andata in auto per evitare troppi chilometri, dal momento che molti me ne aspettano, per raggiungere un dente roccioso della Valle che mi consente una visuale splendida.

La mia meta è Rocca delle Penne e, da dove sono, posso già vederla in lontananza sporgere dal monte in modo pronunciato e sovrastare l’ampia Foresta dei Labari che vedrò dall’alto.

Da qui, prima di partire, posso vedere anche un’altra tappa che raggiungerò per poter poi arrivare alla Rocca. Si tratta di un altro spunzone roccioso, molto caratteristico ma del quale non si conosce il nome.

Dapprima si staglia contro il cielo terso che si sta schiarendo solo ora ma, con il passare delle ore, si mostra in tutta la sua bellezza con quei colori appisolati che gli donano un aspetto rude e particolarmente selvaggio allo stesso tempo.

M’incammino a salire scavalcando diversi rii d’acqua e sorgenti.

E’ faticoso questo percorso non delineato. Si sfruttano i gradini formati dalla montagna stessa poggiando le zampe su ciuffi d’erba o piccoli spazi pietrosi.

Non c’è un sentiero ma quello che, dalle nostre parti, viene definito “sbrego” cioè un passaggio che, più di una volta, lo si inventa sul momento provando a capire dove è possibile passare.

Occorre far attenzione a non scivolare data la pendenza e un suolo, a tratti, formato da schegge di simil ardesia rossiccia, assai frantumabile.

Spesso bisogna aiutarsi con le mani, aggrappandosi a grandi massi o ad arbusti. Bisogna essere accorti però a cosa si utilizza come aiuto, in quanto la maggior parte dei cespugli che si incontrano sono spinosi, mentre i rami, in questa stagione, sono secchi e fragili pertanto non è bene fidarsi di loro.

Il Maggiociondolo ha abbandonato già in autunno i suoi splendidi grappoli gialli e fioriti e si è trasformato in un grande mucchio di dita aguzze che pendono verso il basso. Lo scenario è proprio invernale anche se il sole ora scalda molto e sembra di essere nel mese di maggio.

La fatica continua. L’ascesa è ripida e difficoltosa ma il mio sguardo viene appagato dal panorama che mi circonda e che diventa sempre più ampio.

Di quell’infinita bellezza mi colpisce subito il trio più famoso della Valle Argentina in fatto di vette. Ecco infatti, presenti e austeri come sempre: il Monte Toraggio, il Monte Pietravecchia e il Monte Grai affacciarsi da dietro i monti più bassi e mostrandosi in tutto il loro splendore.

Effettuo una breve sosta per riposarmi. Sotto i crinali di una zona chiamata “i Confurzi” (ad indicare acqua che confluisce) vedo Camosci correre a perdifiato verso fondo Valle. Sono troppo lontani, non li posso fotografare e quindi mi accontento di ammirarli attraverso il binocolo chiedendomi cosa li abbia spaventati così tanto. Mentre cerco risposte, i miei occhi si fissano su una sagoma in cima al crinale, sopra agli ungulati, e ha proprio le sembianze di un grosso rapace. E’ sicuramente un’Aquila della quale vi metto un immagine che ho dovuto tagliare e ingrandire parecchio per mostrarvela. Perdonate quindi la qualità della foto ma era lontanissima.

I Camosci scampano il pericolo lanciandosi in basso in un modo che mi chiedo come sia possibile vista la pericolosa discesa. Come possono non ruzzolare giù nel dirupo… sono davvero fantastici ed è affascinante osservare quelle loro movenze agili e veloci.

Finito quello spettacolo (per loro sicuramente poco piacevole) continuo la mia escursione grazie alla quale posso anche vedere Triora adagiata su un profilo montuoso che le fa da poltrona.

Giungo alla prima Rocca anonima di cui vi parlavo. Anche qui si apre ai miei occhi uno scenario bellissimo. Vedo la strada che ho percorso con la topo-mobile per arrivare fino al luogo di partenza e tutti i monti che mi circondano.

Mi siedo un attimo per riprendere fiato, guardarmi attorno e vivere quella quiete. Sono seduta su diverse pietre nascoste da ciuffi inariditi di Timo e Lavanda. Anche il Ginepro è molto presente e non mi ci vuole molto a capire che, in estate, questo dev’essere un luogo meraviglioso pieno di colori vivi, profumi e animaletti che svolazzano su quell’altura.

Sicuramente ci sono anche parecchi rettili, lo comprendo dalla conformazione del territorio e, durante la calda stagione, bisognerà di certo essere prudenti.

Ora invece tutto dorme. Anche i piccoli uccelletti, da sempre compagni delle mie avventure, sono rari.

Dirigendomi verso Rocca delle Penne passo attraverso una natura riarsa dal gelo. L’erba sembra paglia e il verde che addobba alcune Conifere è tenue. Solo le bacche di Rosa Canina si distinguono in quel sonno con il loro rosso acceso che spicca.

Per terra noto molto Quarzo. Siamo in una zona prettamente rocciosa e quel Quarzo brilla sotto ai raggi del sole.

Rocca delle Penne mi è vicino e, per raggiungerla, devo scendere facendo sempre attenzione a non scivolare. La zona è sempre impervia ma ho finito di salire.

Voglio passarle sotto raggiungendo quello che è un sentiero (finalmente) e mi consentirà di tornare a Case Loggia ma prima mi fermo sulla sua cima.

Una distesa, a perdita d’occhio, di alberi spogli, riempie lo spazio sotto di me. E’ la Foresta dei Labari, ora grigia, fitta e selvaggia. Una meraviglia. Sembra un enorme tappeto.

Scendo, aggiro la Rocca che si mostra in tutta la sua bellezza mostrando una roccia viva dai toni salmone e mi ritrovo su Costa dei Labari. Da qui posso vedere Rocca della Mela di fronte a me e sono all’interno di un boschetto, periferia della nota Foresta.

L’atmosfera è cupa, è come essere nel cuore pulsante di un organo propulsore di vita nonostante la quiete che avvolge.

Questo percorso, roccioso anch’esso ma pianeggiante e facile, mi porta al punto di partenza. Eccomi infatti dopo qualche metro e qualche nuovo ruscello scavalcato a Case del Passo e di nuovo a Case Loggia.

Ho potuto vivere un territorio aspro ma che mi ha dato tanto, dove la vita non si mostra facilmente ma è da scovare. Ancora più intima, ancora più segreta.

Spero che questo giro sia piaciuto molto anche a voi. Ora vado a riposare le stanche zampette e a scrivere un altro articolo.

Un bacio selvaggio a voi.

La Chiesa di Santa Caterina e i suoi antichi e misteriosi significati

Cari Topi,

oggi, per venire con me, dovrete aver voglia di fare un salto nel passato, in un mondo per un certo senso sconosciuto e sentire la brama di voler comprendere significati che, per molto tempo, sono restati occulti.

Vi porterò alle rovine dell’antica e misteriosa Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, appena fuori l’abitato di Triora, e finalmente, grazie a vari studiosi e ricercatori, possiamo leggere e capire quel che resta di questo importante santuario.

Purtroppo non rimane molto di lei ma la storia si è tramandata consentendo, oggi, a noi curiosi, di conoscere cosa si cela dietro la realizzazione di questo edificio che risale al XIV secolo e riedificato nel 1390. E sì, avete letto bene, XIV secolo e 1390… quanti secoli! Siamo in pieno periodo medievale e, la sua riedificazione è stata voluta dalla Famiglia Capponi.

La struttura appare dopo aver intrapreso un sentiero che ci consente di ammirare molti monti della mia Valle e i paesi di Corte e di Andagna adagiati sui crinali di montagne vestite con tinte più spente in questo periodo.

Il panorama è meraviglioso, andando ancora oltre con lo sguardo consente di vedere persino il Monte Faudo abbracciato da spesse nubi.

Accanto a me, una natura semi addormentata vuole comunque mostrare tutta la sua bellezza attraverso qualche ciuffo fiorito che sembra bambagia, qualche ramo che forma strani disegni contorti contro il cielo e qualche pizzico di colore rimasto dall’autunno appena terminato.

Per arrivare si qui, si può passare da centro paese, per Via Dietro La Colla, oppure da inizio borgo, salendo verso il Cimitero, osservando il sentiero Beato Giovanni Paolo II a diversi metri dall’incrocio per Goina.

Dopo una dolce curva eccola spuntare in tutta la sua arcaica bellezza. Il suo pallore, dato dalle pietre con le quali è costruita, quasi si mimetizza con il resto del luogo in questa stagione e sembra aspettare che qualcuno vada a farle visita in quel accentuato silenzio che l’avvolge.

A causa della direzione della strada, sembra stagliata nel bel centro della via. In realtà, scendendo, rimane sulla sponda destra, affacciandosi sulla gola della Valle.

La prima cosa che si nota sulla sua facciata principale, che è la parte più integra dell’edificio, è un grosso cerchio forato; all’esterno incorniciato dentro a pietre messe a rombo, mentre, all’interno, altre pietre rettangolari, sono sostenute tra loro a incastro formando anch’esse un cerchio.

La stessa lavorazione vale per le volte di quelle che un tempo erano delle grandi finestre e i massi che le formano si trattengono tra loro in un unico arco.

Per mostrarvi questa lavorazione sono entrata all’interno delle mura.

Ho abbandonato il piccolo cortile esterno che accoglie, circondato da un muretto anch’esso in pietra e dotato di sedute e ho abbandonato un terreno a praticello e ghiaino per poggiare le zampe su larghi e rettangolari lastroni di ardesia che un tempo erano l’umile pavimento della costruzione.

Ho voglia di alzare lo sguardo e osservare cosa mi circonda ma la mia attenzione viene rapita da un’ara quella che doveva essere l’altare.

Un grande rettangolo, sovrastato da un piatto e spesso lastrone, si trova al centro di quella che sicuramente era la navata principale ma che oggi non esiste più. Con un dito lo accarezzo e immagino funzioni predicate accanto a lui e ritrovi di fedeli.

Lo squadro per bene da ogni suo lato e, finalmente, dopo aver appagato la mia curiosità dedicata a lui, posso alzare la testa.

Pareti non altissime ma comunque austere mi guardano dall’alto. Sono diroccate e i loro profili si stagliato contro il cielo celeste e terso. Le parti in cui si percepisce la loro mancanza permettono agli occhi di osservare i miei amati monti, la Catena Montuosa del Saccarello e gli alberi più prominenti che circondano la Chiesa.

Alcuni perimetri raccontano a loro modo di crolli e le loro silenziose parole pervadono di un senso di malinconia che permette di immaginare come potevano essere in passato. Sono come spezzate ma mantengono un senso sinuoso nonostante le schegge aguzze che restano sospese.

Osservo alcuni ciuffi d’erba nati tra quelle piccole rocce e scavalco una ringhiera arrugginita che probabilmente ora serve come balaustra protettiva.

Da qui, verso Valle, ho un’altra prospettiva ancora. Scendo di poco i gradini del bosco adiacente e ora l’edificio sembra più alto.

Come a svettare verso il cielo. Lo aggiro e mi ritrovo di nuovo di fronte alla facciata principale. E’ tutta da osservare con molta attenzione perché ha tanto da dire.

Inizio dalla grande porta, che adesso è solo un vuoto con un gradino alla base da scavalcare, ma sopra di lei c’è il portale che regge il resto della parete.

Al centro del grande architrave, un’effige in rilievo, scolpita nell’ardesia a caratteri onciali, riporta una lunga scritta per me totalmente incomprensibile. In mezzo uno stemma, quello della Famiglia Capponi, che par mostrare due figure uguali, assai consumate, le quali si guardano una di fronte all’altra.

Per la traduzione della scritta devo per forza ricorrere all’utilissimo cartello posto davanti al santuario dal Comune di Triora:

Lo sguardo sale ancora vedendo un semicerchio formato come le volte dei finestroni e poi continua più in su dovendosi però poi dividersi.

Due colonne, permettetemi di chiamarle così anche se colonne non sono, le due colonne principali ai lati della facciata mostrano qualcosa di davvero singolare. Quella a destra della Chiesa permette di vedere una specie di leone alato… forse… non si capisce bene, è corroso dal tempo e dalle intemperie. Ma su quella di sinistra si può ammirare facilmente un simbolo meraviglioso e dai vari significati. Si tratta della Stella a sette punte con al centro un fiore.

Innanzi tutto bisogna sapere che il numero Sette era considerato un numero molto importante in alcune filosofie, arti, pensieri e religioni del passato come ad esempio il Paganesimo o l’Alchimia ma anche per il Cristianesimo, che ha voluto la realizzazione di questo santuario, aveva un’importanza fondamentale perché, avendo esso raccolto le usanze più antiche, considerava questo numero come il numero che rappresentava la totalità dell’Essere Umano data dai Sette Doni dello Spirito Santo: l’Intelletto, la Forza, la Saggezza, il Consiglio, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio.

La Stella a Sette punte, chiamata anche Ettagramma (simbolo sacro a Venere, Dea della bellezza e dell’Amore) rappresentava anche la totalità dell’Universo, riflessa nella completezza dell’Uomo, poiché le punte corrispondevano ai pianeti del sistema solare e ai giorni della settimana che tornavano ciclicamente ma rappresentavano soprattutto i Sette Elementi: Acqua, Aria, Terra, Luce, Magia, Fuoco e Vita.

Mi incanto davanti a quell’emblema e inizio a comprendere quanta storia c’è in alcuni segni della mia Valle che non è solo natura ma è stata anche sede, un tempo, di significati ben precisi esposti laddove venivano realizzati templi di ritrovo per specifici scopi. Segni che possono passare inosservati mentre, un tempo, dichiaravano rappresentazioni ben specifiche. Chissà cosa, la mia terra, ha visto e vissuto!

Rientro dentro alle tre pareti rimaste e mi guardo ancora attorno, per un’ultima volta. E’ bellissimo stare qui. L’atmosfera è surreale. Niente osa rompere quel silenzio ovattato, neanche un uccellino.

Man mano che il crepuscolo si avvicina al suo giungere, quei perimetri sembrano divenire più scuri mentre i monti dietro si incendiano di un color rosa pastello.

E’ arrivato il momento di rintanare e quindi me ne vado ma non riesco a togliermi dalla testa immagini di persone dentro a questa Chiesa. Vedo mani giunte, calici alzati, sguardi fissi su quelle rocce. Riti, messe e voci nel bel mezzo di quella natura, fuori paese, dove il sole fa poca sosta.

Fortunatamente mi viene in mente di riportarvi tutte queste sensazioni e, di conseguenza, ricordo che ho molti altri articoli da scrivere. Perciò me ne vado, dedico un’ultima occhiata alla Chiesa di Santa Caterina, giovane egiziana di Alessandria d’Egitto martirizzata e poi decapitata per volere dell’Imperatore Massimino Daia, e vado a preparare altri post.

Un bacio arcano a voi.

In quel di Vignago “Superiore” tra mele e rape

Le pagine fiabesche che la mia Valle può raccontare sono molte ma oggi il segnalibro è puntato sull’antico borgo di Vignago che vi ho fatto conoscere poco tempo fa perché c’è un punto di lui che ancora non vi ho mostrato.

Si potrebbe definire “Vignago Superiore” ma le case che lo compongono si possono contare sulle dita di una zampa e quindi si sorride pensando a quel “Superiore”.

Fatto sta che siamo sempre nei pressi di Corte ma non siamo nella località sotto la Rocca e chiamata – La Rocchetta -, dove un tempo il nucleo abitativo era maggiore, siamo più in su, dove la vita che scorre lo fa ancora come una volta, dove ad accoglierci ci sono alberi di Mele succose e zuccherine e Margheritine candide.

La natura attorno è di una bellezza disarmante e spalanca a noi le sue porte.

Si scavalca un piccolo rigagnolo d’acqua e se non si fa attenzione si entra nella proprietà privata di qualcuno. Un qualcuno che qui ha case bellissime, dal fascino davvero particolare.

I piccoli pergolati di Vite nascondono Zucche e panchine realizzate con i bancali e sembra quasi di essere in una di quelle riviste che parlano di case singolari.

Ci sono anche Viti che si arrampicano sulla ringhiera al fine sempre di dare quel tocco in più di magia.

Mi guardo attorno, ogni cosa che vedo mi stupisce: l’antica conigliera, i fiori, le corde, i tegami, i secchi usati come vasi per le piante.

Un tempo forse era l’unica soluzione, ora invece sarebbero considerati complementi d’arredo pregiati.

Ad attirare maggiormente la mia attenzione è però, senza dubbio, il grande casone realizzato interamente in paglia con il tetto di lamiera. Un capanno meraviglioso.

Forse un ricovero per attrezzi ma è bellissimo. Sembra proprio una casa delle favole con tanto di porta rigorosamente in legno.

Le pietre che formano le altre abitazioni invece è come se parlassero del loro passato e della loro storia. Devono aver visto molto da queste parti soprattutto per quanto riguarda la coltivazione.

Ancora oggi, anche se sono diventate dei prati, è possibile notare le terrazze nettamente addolcite dallo scorrere del tempo.

Ciò che adesso qui va più “di moda” sono le Rape. Ce ne sono ben tre orticelli dal simpatico aspetto.

I particolari che abbelliscono questo luogo sono tanti e, naturalmente, tutti molto antichi. Alcuni persino originali dell’epoca.

Anche i colori sono parecchi e non hanno nessuna intenzione di spegnersi.

Ci sono addirittura diversi fiori appena sbocciati nonostante le temperature si siano abbassate di molto rispetto a quest’estate. Evidentemente qui si sta davvero bene e lo si percepisce immediatamente.

In effetti la quiete è assoluta e il luogo aperto perciò il sole non ha che da riscaldare tutto il giorno.

Solo le Ghiandaie si permettono di rompere il silenzio con il loro crocidare. Che pettegole!

Qui si gode di un bellissimo panorama che mostra Triora adagiata sul monte di fronte. Dietro di noi invece si innalza il bosco e ci si sente protetti.

Accanto alle case alcuni fasci di legna sono già pronti per aiutare ad affrontare l’inverno.

Questa parte di Vignago è più luminosa rispetto a quella in basso. E’ anche più vuota e gode maggiormente del verde che la circonda.

La natura è variegata e si riconoscono diversi alberi da frutta. Tutto il necessario per evitare di recarsi in paese, ogni giorno, a fare compere.

Ora Topi non vi resta che dirmi se vi piace di più Vignago Inferiore o Vignago Superiore. Due località totalmente differenti ma entrambe splendide.

Immagino non sia facile decidere per cui vi lascio pensare. Io, nel mentre, vado a preparare un altro articolo interessante per voi! Alla prossima!

Squit!

Il Poggio del Foresto e la Rocca Dermasio

Non ci crederete ma oggi vi farò conoscere due rocce. Sì, avete capito bene, due grandi, enormi rocce.

Voi direte << Ma cosa cribbio ce ne può importare a noi di due rocce? >> perché ormai vi conosco, siete i soliti, ma non sapete invece che è molto importante sapere anche i nomi delle rocce, o Rocche, principali per orientarvi e per sapere tutto, ma proprio tutto, sulla splendida Valle Argentina!

E allora adesso vi racconto del Poggio del Foresto e di Rocca Dermasio.

Naturalmente in Valle vengono chiamate in gergo dialettale “U Pozu du Fuestu” e “A Rocca du Moxiu”.

Stanno uno di fronte all’altra e si vedono bene, entrambi, se si sale sopra al paese di Corte.

Dal Ciotto, guardando verso i “Prati”, eccole sporgere davanti a noi.

Poggio del Foresto, decisamente grandissimo, esce dal bosco come uno sperone pulito. Ha una superficie abbastanza piana e liscia seppur in discesa e, sul bordo più prominente, un pezzo di roccia sembra formare il muso di un rapace.

Riuscite a vederlo? Bello vero? Sembra un’aquila con il becco arcuato!

Non si sa il perché di questo nome ma il bosco dietro di lui dovrebbe essere chiamato Foresto come il Poggio, forse ad indicare una – foresta -. Una foresta che, nel 1892, il Comune di Triora dovette cedere alla Ditta Rossat costruttrice della ex Strada Statale 548 della Valle Argentina (SS 548) che congiungeva (e congiunge tuttora anche se da statale è diventata provinciale) Taggia a Triora.

Ma, con il termine “foresto”, dalle nostre parti, si indica anche il “forestiero” ossia una persona che non è della zona. Chissà a cosa si riferiva chi ha dato il nome a questo Poggio.

Così come non si sa nemmeno il perché del nome della Rocca anche se, Dermasio, in base alle ricerche che ho fatto, pare essere un nome di persona.

Questa rocca è più piccola del poggio. Sotto di lei sembra esserci una casa in pietra o una costruzione, mentre sopra di lei si distinguono una parte del Passo della Mezzaluna, Cima Donzella, Cima Bussana e poi ancora Monte Monega… fino a fare tutto il giro sopra al Colle del Garezzo e continuare, con gli occhi, a seguire la Catena del Saccarello. Una meraviglia.

La sua forma è cubica, come un grande dado gettato nella conca della Valle tra il verde vivace e rimasto lì, chissà da quanto tempo.

E’ verde e colorato tutt’intorno e, più in basso, in mezzo a loro, scorre il torrente.

Cosa ne dite? Vi sono piaciuti questi due punti della Valle che passano il giorno a guardarsi?

Mi fa piacere, allora vedo di cercare altre cose che possono piacervi. Per il momento vi saluto con un bacio roccioso, cioè… granitico… cioè… beh, un forte bacio insomma!

Vignago – il borgo antico

Oggi, Topi, concedetevi un po’ di tempo per seguirmi perché si va a visitare una piccola perla della Valle Argentina.

Il tempo non vi servirà solo per arrivare in questo luogo che si trova sopra al paese di Corte ma anche per immergervi in un altro tipo di tempo che oggi non esiste più ma, in qualche modo, ha saputo lasciare qualcosa di sé, persino il suo profumo e la sua voce.

Attraverso gli oggetti, gli angoli caratteristici, i carrugi, le finestre e l’atmosfera, il – passato è ancora presente – anche se sembra una frase assurda da recitare ma vedrete che dico bene se verrete con me.

Andiamo a Vignago, il borgo piccolo e antico. Il borgo sotto la Rocca.

Il nucleo centrale di questo paesino, infatti, è chiamato – Rocchetta -. Questa protagonista si trova esattamente sopra ai tetti delle vecchie abitazioni.

Per arrivare a Vignago si passa nel bosco e il paese stesso è circondato da Castagni e un’infinità di Roverelle. Un tappeto di ghiande viene calpestato dalle nostre zampe mentre giungiamo ad una delle prime costruzioni importanti.

La macchia diventa meno fitta, alcune rocce si sporgono sulla vallata mostrando Triora che domina di fronte e un’edicola ci aspetta presentando la meraviglia che stiamo per vedere.

Le giro intorno; è piccina, un tempo conteneva la statuetta di una Madonna.

Attraverso una delle sue aperture si nota Monte Pellegrino (1.521 mt) che, in questo periodo mostra anche un foliage spettacolare oltre le radure che lo contraddistinguono.

Davanti a lei, un grande albero di Alloro, ritto e austero, sembra consentire l’accesso al sentiero che scende e porta alle vecchie abitazioni.

Una manciata di case completamente in pietra. Una pietra oggi abbandonata. Nessuno vive più qui ma un tempo c’era persino la scuola. Pare che i bambini fossero una decina e gli adulti più numerosi ma, durante il dopoguerra, questa gente decise di trasferirsi in altre zone.

In effetti, salendo per il sentiero che parte dalla località Molini di Pio, dopo Molini di Triora, e quindi dalla parte bassa che conduceva ai paesi più forniti, non è per niente semplice arrivare qui eppure, un tempo, si percorreva questa strada ogni giorno per poi tornare su, superare i primi capanni e raggiungere una delle case più grandi.

Se invece arrivate da Corte e dal bosco di sopra, introdursi in questo borgo è un’esperienza fiabesca e par quasi di sentire una vocina cantare “A mille ce n’è…”…

Si nota subito come in certi tratti la natura, una meravigliosa natura, abbia preso il sopravvento ma non sembra presuntuosa anzi, sembra voler proteggere quel luogo immerso nel silenzio.

Solo qualche lieve fruscio si percepisce, ogni tanto, provenire da dentro i ruderi. Sono i miei cugini Pipistrelli, si saranno sentiti disturbati dalla mia visita, sono dei dormiglioni!

Dopo quel che rimane di qualche casa raggiungiamo una fontana sulla quale una minuscola targa recita queste parole: “Con la unione di tutta la popolazione di Vignago sorge la fontana dell’acqua potabile 12 – 5 – 1951”.

E’ situata in una piccola piazzetta ora ricoperta da erba alta e si trova nel mezzo della striscia di case.

Vignago è infatti un insieme di dimore che costeggiano l’unico carrugio accessibile.

Alcune di loro non hanno più nemmeno il tetto, altre invece riportano una copertura ancora in ciappe di ardesia, altre sono pericolanti, mentre qualcuna è piena di ragnatele al suo interno.

Se le travi e le solette fossero più resistenti penso che un regista, una volta giunto qui, pensi d’essere arrivato nel suo set cinematografico preferito!

Tutto è da guardare, da osservare, da contemplare. Tutto ha tanto da dire. Se ci si ferma con lo sguardo sopra ai vari particolari si notano cose mai viste prime, si può sentire un’antica narrazione e si può immaginare ciò che non si è mai vissuto.

Ho così tanta voglia di portarmi tutto in tana che faccio foto a non finire.

Questa piccola frazione di Corte, e quindi di Molini di Triora che fa Comune, fino al 1903 appartenne al territorio di Triora distaccandosi poi assieme ad altre frazioni vicine ancora oggi abitate.

Alcuni punti ombrosi sono umidi e bui. Capisco perché i Chinotteri qui si trovano bene tra le braccia di Morfeo ma, attraverso alcuni pertugi, la luce del sole entra e i suoi raggi rendono tutto ancora più affascinante donando un bagliore quasi argentato a quei resti circondati da una natura florida.

Travi di legno massicce, lastre incise, porte pesanti e sedie tarlate. Tra le pietre dei muri escono chiodi enormi, arrugginiti, in grado di sostenere il peso eccessivo.

Ci sono finestre chiuse da persiane di legno mentre altre sono oggi solo buchi dalla forma quadrata che permettono di vedere il mondo.

Siamo a circa 700 mt s.l.m. ma potendo vedere, attorno a noi, nei pressi di questo borgo, alcuni degli alti monti della mia Valle, pare di essere ancora più vicini al cielo. Siamo in un punto alto, aperto, che gode di aria buona e tanto sole.

Il panorama è stupendo e obbliga a spalancare gli occhi ma anche le piccole creature accanto a noi non sono niente male.

Insetti, fiori, funghetti, frutti… c’è davvero di tutto qui. Tantissima vita in un luogo che, a prima vista, sembra parlare soltanto di staticità.

E’ vero, il tempo in effetti sembra essersi fermato ma, nonostante il passare di molti anni, un’energia movimentata continua a imperlare tra queste mura.

Non vorrei più andarmene. Mi piacerebbe vivere quest’atmosfera durante le varie ore del tempo ma i miei lavori in tana chiamano e se non torno indietro voi rimanete qui a Vignago senza altri articoli.

E’ bene ch’io rientri quindi ma prima vi mando un bacio antico e vi aspetto per la prossima avventura.

Buon proseguimento Topi!