Sul selvaggio Bric dei Corvi

Pronti per il selvaggio Topi?

Ottimo, perché oggi vi porto in un luogo davvero “barbaro” anche se, ovviamente, stupendo!

No, tranquilli, non è difficile da raggiungere. E’ il mondo che mostra ad essere severo, arido, ricco di alte falesie, di grandi rocce nude, di burroni, di arbusti intricati… è un pezzo di Valle che lascia senza fiato per via di quella Natura incredibile, austera e meravigliosa al tempo stesso, abbracciata da panorami mozzafiato.

Andiamo sul Bric dei Corvi… nessun nome fu più azzeccato.

Il Corvo Imperiale è un grande uccello nero molto presente in Valle Argentina e sorvola le più alte vette.

Tra questi faraglioni e pietraie, dove i rapaci più impavidi ricercano cibo e gridano nell’azzurro del cielo, i Corvi accompagnano con il loro gracchiare la mia passeggiata.

Su Bric dei Corvi ci si arriva direttamente da Borniga facendo poca strada oppure, come ho fatto io, da Borniga si scende prima a Bric Castellaccio e si risale a Bric dei Corvi percorrendo un anello.

Ho preferito fare così per allungare il mio cammino, osservare più meraviglia e passare tra gli antichi ruderi di Borniga Sottana, un’antica frazione che oggi non esiste più, ma è bello vedere dove vivevano un tempo i nostri predecessori e osservare dove costruivano i terrazzamenti che gli permettevano di coltivare, di tenere il bestiame e riporre provviste per uomini e animali.

Inoltre, posso a lungo godermi il mio caro Monte Gerbonte che regna sovrano in quello spendore, mostrando la sua imponenza e la sua secolare foresta.

Da Bric Castellaccio, dopo aver osservato una Sella (Tholos) e cioè un riparo d’altri tempi simile ai Nuraghi sardi, ai Trulli pugliesi o alle Casite dell’Istria, inizio a salire percorrendo un sentiero pietroso e aperto che mi dona una vista spettacolare sull’Alta Valle Argentina.

Passo anche sotto a qualche Roverella ma cammino per lo più in spazi aperti dove il sole di questa bellissima giornata mi scalda anche la coda.

Come al solito, qualche Cincia e qualche Fringuello, incuriositi dal mio passare, mi cantano dolci canzoni da sopra i rami.  

I ruderi della vecchia Borniga posso vederli subito affacciandomi da un crinale che fa venire i brividi. La Valle sembra molto profonda da qui ed è come toccare il cielo con un dito.

Le fasce sono pulite si contraddistinguono bene.

Sono delle linee, perfettamente orizzontali, sulla montagna. L’erba è chiara in questa stagione e le pietre dei muretti fuoriescono da quelle tonalità ancora invernali proponendosi agli occhi di chi guarda.

Continuo a salire avvicinandomi a quella parete tratteggiata. Le costruzioni in pietra mostrano una forma cubica e non sono piccole. Alcune sono anche unite tra di loro.

Sopra la mia testa c’è invece la nuova Borniga e io la sto raggiungendo per poi salire sul Bric dei Corvi.

Passo per un sentierino stretto sorpassando rocce nude che sovrastano arbusti.

Tra di loro si nascondono le prime Lucertoline coraggiose che cercano di scaldarsi dopo la stasi invernale. Sono furbe e veloci anche se ancora assonnate.

Bric dei Corvi appare frastagliato come un diamante grezzo che ancora deve essere lavorato.

La vetta del Bric (1260 mt) è inconfondile. Il mio amico Harald Philipp, noto biker (mtb) della Valle Argentina, ha posizionato su di lui delle colorate bandierine tibetane rendendo quel luogo ancora più affascinante.

Una colonna di pietre a forma di cupola arricchisce quello che oggi appare come un sereno santuario di preghiera e tutto infonde calma e pace.

Mi incanto guardandomi attorno.

La sella di Collardente si palesa con la sua fila di alberi messi ben in riga. Sembra la cresta di un gigante con i capelli a spazzola. E’ bellissima.

Davanti a lei il Saccarello e poi il continuo della Catena Montuosa principale della mia Valle.

Molti dei miei monti sono qui, attorno a me.

Posso anche vedere Bric Castellaccio, lo spunzone di roccia sul quale mi trovavo prima. Rimane in basso adesso e, da qui, ne posso vedere la forma a panettone.

Altri denti rocciosi si innalzano nel vuoto, sono appuntiti, nudi e mostrano tutta la severità delle rocce più dure.

Sono in un luogo bellissimo, quasi mistico, e intendo godermelo fino in fondo.

Quindi… me ne starò un po’ in questo silenzio adesso.

Vi mando un bacio, ci vediamo al prossimo articolo!

Squit!

Storia e Natura a Bric Castellaccio

La mia Valle è ricca di rocche…. di spunzoni rocciosi, enormi, che si ergono verso il cielo.

Rendono il territorio che vivo più ricco, meno banale, e sono spesso luoghi che permettono di godere di panorami mozzafiato. Non solo… è molto interessante considerare anche il nome che li identifica perché questo, di solito, è dato da avvenimenti o leggende appartenenti al passato che raccontano molto dei fatti accaduti in Valle.

Quello che voglio farvi conoscere oggi si chiama Bric Castellaccio.

Si tratta di un dente roccioso che si innalza tra le montagne che circondano il paese di Realdo, nella parte alta della Valle Argentina. Il nome “Bric Castellaccio” mi porta automaticamente indietro nel tempo e conoscendo le mie zone e il loro passato non faccio fatica a immaginare, a causa di questo termine, la presenza di un Castellaro in epoche lontane.

Muoviamoci allora! Andiamo insieme a vedere cosa mostra e proviamo ad ascoltare cosa può raccontare. Seguitemi attentamente!

Partirò da Borniga (1.300 mt s.l.m.) un bellissimo e minuscolo centro abitato soprannominato da me “il Presepe della Valle Argentina”. Siamo quindi ben sopra Realdo e raggiungeremo il Bric andando in discesa.

Le sue dimore, tutte in pietra, rendono questo borgo davvero fiabesco e la pace regna sovrana. Non sono molti i residenti ma, anche Borniga, come diverse frazioni di questa parte di Liguria, si sta ripopolando e soprattutto è abitata e frequentata durante i week end e la bella stagione.

Dalla piazzetta della Chiesa, dove ad accogliermi è l’edicola di un Santo che non riconosco (sembra San Francesco) mi godo un po’ di quel salutare silenzio e poi mi dirigo a destra prendendo un sentiero che si palesa immediatamente davanti a me, tagliando terrazzamenti antichi.

E’ un sentiero aperto e, in questo periodo, si accende di un caldo colore dorato. Mi permette di camminare sull’erba soffice nonostante ci siano, qua e là, spolverate di brina che ghiacciano la vegetazione.

Mi conduce all’interno di una pineta dove trovo un’altra edicola, molto simile alla prima, dedicata a quello che sembra essere lo stesso Santo.

Appena uscita dal paese però immediatamente si è stagliato davanti a me il Monte Gerbonte (1.727 mt) in tutta la sua bellezza. E’ uno dei monti più vecchi e più selvaggi della Valle e, in autunno, offre un foliage impressionante.

Da qui posso già vedere il Bric che voglio raggiungere ma devo continuare.

Mi soffermo un attimo ad ammirare frazione Craviti o Cravetti. Una manciata di case appena prima di Borniga. Sembra volermi salutare.

Ora sono gli aghi dei Pini a farmi da tappeto e due insegne in legno mi permettono di scegliere la giusta direzione. Posso andare verso la zona del Pin salendo a destra o verso Creppo scendendo a sinistra.

Scelgo la via di Creppo per raggiungere Bric Castellaccio, una vista incredibile e una zona che ricorda l’Irlanda. Tra poco capirete il perché.

Ora il sentiero si apre di nuovo e posso godere dei tiepidi raggi di sole che mi scaldano. Attorno a me le Ginestre, non ancora fiorite, aprono un corridoio adatto davvero a tutti.

Nell’aria sento le grida di un Falco Pellegrino ma è troppo veloce e si nasconde dietro le tante falesie che mi circondano quindi non posso fotografarlo però posso rendermi conto di quanta natura ci sia qui. Infatti, oltre a lui, sento la presenza di Corvi, di Poiane, di Cince e se mi guardo attorno, posso notare immense distese di Timo e parecchi arbusti di Rosa Canina.

Ecco la vetta del Bric! Mi sto avvicinando. Mi guardo ancora un po’ attorno. Il panorama, sono ripetitiva, è entusiasmante. Laggiù ci sono i monti che conducono alla Val Nervia, confine della Valle Argentina, come il Monte Grai (2.013 mt).

Ciò che però mi incanta maggiormente sono “i Bastioni del Gerbonte”; due alte rocce a forma di parallelepipedo che, seppur lontane, mi attraggono ogni volta, da tempo, con il loro fascino che amo.

C’è anche qualcos’altro che attira il mio sguardo. Una grossa roccia sta per staccarsi, anzi… è del tutto staccata dalla rocca e non capisco quanto ancora possa restare sospesa in quel modo. Se mai dovesse cadere precipiterebbe nel vallone che, osservandolo, blocca il respiro. Sono davvero in alto ma tutto mi attrae.

Posso anche vedere delle cavità e delle grotte. Forse qui ci vivevano gli uomini primitivi.

Guardando quelle montagne attorno riconosco anche il sito dove esiste l’Arma della Gastea o Arma Mamela nella quale, un tempo, venivano seppelliti i defunti e lì, durante i nostri tempi più moderni, sono stati rinvenuti frammenti di oggetti dell’epoca, come pezzi di bronzo e conchiglie.

Mi trovo a Nord del Bric e, infatti, avvicinandomi a lui scopro ora un territorio completamente diverso da quello che ho visto finora.

Quell’ambiente più umido e ombroso si mostra ricoperto da un muschio verde sgargiante. Tanti alberi uniti tra loro, rocce che fuoriescono dal terreno e tutt’attorno c’è un’aria fresca che percorre le narici stuzzicandole.

Ecco perché vi ho detto che sembra di essere in una zona irlandese.

Qui la vegetazione è decisamente più fitta e può servire da ottimo nascondiglio per le creature del bosco.

Mi sembra persino di vedere un Druido camminare… e come si abbracciano certi rami!

Il silenzio protagonista chiede ulteriore silenzio.

Attraverso quelle grigie cortecce intravedo ancora la punta del Bric ma è davvero tutto molto selvatico.

Una zona completamente diversa da quella più a Sud.

Guardate. A Sud è tutto più arido.

Lo stesso Bric appare totalmente diverso. Mostra una facciata dura e spoglia, senza vegetazione. La pietra è chiara, severa, inaridita.

Sotto le mie zampe posso notare un’antica Sella interrata e cioè una struttura denominata Tholos con una conformazione simile a quella dei Nuraghi sardi, dei Trulli pugliesi o delle Casite dell’Istria. Si tratta di ripari di altri tempi.

Ecco un cenno di civiltà antiche e ritorno, con la mente, al nome “Castellaccio” che vi accennavo prima.

Mi giro verso Borniga.

E’ lassù che mi guarda e si affaccia sull’Alta Valle ma la cosa interessante è che posso notare anche un agglomerato di ruderi importanti. Non sono solo muretti a secco ma ci sono costruzioni, ormai divenute bareghi (ruderi), che appaiono proprio come vere abitazioni di moltissimi anni fa.

Si tratta di Borniga Sottana che è poi divenuta luogo di stalle e rifornimenti quando la Borniga esistente ancora oggi è stata costruita. Questa parte è stata poi abbandonata del tutto durante la prima metà del ‘900.

Tutto inizia a prendere forma. Facendo due più due posso stabilire di trovarmi su un sito archeologico importante e le notizie che cerco di scoprire non mi danno torto. Qui, infatti, sono avvenuti determinanti ritrovamenti e, come spiega anche l’Istituto dei Beni Culturali, mi trovo su un insediamento che ai ricercatori ha donato diversi ritrovamenti: una specie di macina, frammenti di ceramica e bronzo, vari manufatti, reperti di diverso genere, appartenenti probabilmente all’Epoca Romana e alla più antica Età del Bronzo.

Da questo punto così esposto, sul quale mi verrebbe da citare il titolo di un famoso film “Dove osano le Aquile”, riesco anche a vedere Bric dei Corvi ma di lui vi parlerò in un altro articolo.

Ora voglio restare ancora qui. In questa terra brigasca.

Qui dove i miei antenati coltivavano il Grano e raccoglievano Castagne, dove si occupavano di pastorizia (è nota infatti la Pecora Brigasca), dove realizzavano cumuli di fieno, dove nascevano le patate più buone di tutta la Valle.

Cari Topi voglio godermi questo paesaggio immortalandolo nei miei occhi per poterlo portare sempre con me.

E chissà quante cose ha ancora da dire. Per caso qualcuno di voi conosce il passato di questo splendido posto? Se vi và fatemelo sapere.

Io resto ancora qui, voi invece preparatevi per il prossimo tour perché vi porterò in un luogo davvero interessante.

Un affettuoso topobacio a voi!

Dentro i Bunker di Marta – nella profondità della Terra

Cari Topi, probabilmente non ve l’ho mai detto ma a far da cornice alla mia splendida Valle ci sono monti assai importanti perché hanno conosciuto vicende umane non indifferenti.

Attraverso questo post, capirete che siamo davvero in un teatro storico che ha molto da raccontare ma, allo stesso tempo, dal punto di vista naturalistico, proprio dove la mano dell’uomo si è unita a quella di Madre Natura per compiere le proprie azioni, siamo in un luogo stupendo.

Una parte del lato a Ovest, e a Nord Ovest, della Valle Argentina è infatti delineato da montagne straordinarie, vissute tantissimo durante i più noti periodi di battaglia, le quali sono state trasformate in giganteschi pezzi di gruviera. Sapete perché? Perché al loro interno sono stati realizzati bunker di una vastità incredibile.

Oggi vi porterò a visitarli ma prima devo dirvi due nomi.

Siamo nella zona di Marta; è così chiamata per via di Cima Marta 2.138 mt, una delle montagne più alte che ci circondano. Vi indico l’altezza di questa vetta perché capirete, leggendo, quanto è stato protagonista il clima.

Siamo infatti in una zona dove un tempo nevicava tantissimo. Gli inverni erano molto più rigidi di adesso e la neve, la bianca signora, perdurava per diversi mesi. Questo è importante da sapere, Topi, perché oggi vi racconto di guerre, di storie militari ma, sopra ogni cosa, porto il vostro ricordo ai soldati che prima di tutto erano: uomini.

La maggior parte di essi si spostavano sugli sci. Dovevano essere abili sciatori e, ovviamente, non dovevano patire il freddo. Ma come era possibile a quelle temperature? Qui si era sempre sotto lo 0, il vento tagliava i musi e il ghiaccio regnava sovrano.

Davanti a Cima Marta, proprio di fronte a lei, un altro promontorio elevato, nominato “Balconi di Marta”, conserva al suo interno il più grande e vasto bunker di tutto il Vallo Alpino Occidentale (pur non essendo l’unico).

Si tratta di un bunker davvero impressionante che scende sottoterra quanto un palazzo di 45 piani, pensate!

Al suo interno, infatti, ben 500 gradini circa, portano sempre più giù e il buio è assoluto.

Se fuori, in mezzo a quei prati verdi e incontaminati, me ne sto con le maniche corte di una canotta ricavata da una foglia di Faggio, qui sotto mi devo mettere la giacca pesante! Un bel po’ di paglia me la porto dietro, perché non fa caldo per niente e non è suggestione.

Là sotto le correnti d’aria sono ghiacciate, mi chiedo come l’essere umano abbia potuto realizzare un’opera di quelle dimensioni in un luogo come quello: il ventre della terra.

Scusate se posso apparirvi patetica ma provo persino compassione per quegli uomini che hanno dovuto stare in queste condizioni nonostante fossero davvero ben organizzati e questo è ciò che più stupisce. Avevano la luce e persino il riscaldamento. Letti, telegrafi, materiale di primo soccorso…

Questi bunker, che dal 1947 appartengono alla Francia (siamo infatti in zona di confine) sono stati creati intorno alla fine degli anni ’30 del secolo scorso e, in realtà, sono un insieme di edificazioni sotterranee che si collegano tra di loro. Ce ne sono diversi, ma quello sotto ai Balconi, come vi ho detto, è il più esteso e il più profondo di tutti.

Nonostante l’oscurità e accompagnata dalla mia fida amica – Torcia – (non potete andare senza) riesco a riconoscere alcune stanze indicate da delle scritte originali dell’epoca. C’è la camerata, l’angolo delle latrine, la riservetta, il serbatoio della benzina… l’impianto elettrico è completamente arrugginito e alcune grosse schegge di ceramica sono un ammasso ossidato con il ferro.

Solo in alcuni punti la luce e l’aria arrivano dalle casematte che hanno l’apertura sulla quale veniva posizionata la mitragliatrice o il cannone.

Questo complesso fortificato, che riprende anche le caserme esterne (ben più antiche ma ristrutturate all’epoca per la Seconda Guerra Mondiale e riutilizzate) era prettamente – difensivo – ma capitava qualche volta di dover attaccare.

Molto prima di Cima Marta, verso Testa della Nava, e cioè più a Nord, gli inglesi facevano scendere armi e munizioni dagli aeroplani, all’interno di grandi casse di legno e di ferro, e queste dovevano essere trasportate fin là sotto. Che vita Topi! Per non parlare, naturalmente, del fatto che si era in guerra!

E’ come se non riuscissi a destarmi da quella sorta di incanto. Nonostante il ricordo negativo che trasportano con sé, queste realizzazioni in pietra e cemento incantano. Guardo quei cardini enormi, quelle putrelle… sono gigantesche. Come hanno potuto trasportarle fin qui, quando, per arrivare dove sono io ora, bisogna scendere gradini piccoli e stretti e umidi.

Nemmeno le stille, in alcuni angoli, osano far rumore andandosi a rompere al suolo. Alcuni anfratti sono letteralmente bagnati e si formano persino delle pozzanghere a terra. Bisogna fare attenzione, la pavimentazione è bagnata e in discesa. Penso che quelle mucillagini, che si sono formate con il tempo, siano l’unico cibo per delle zanzare che svolazzano su quell’acqua stantia. Ma non sono gli unici esseri viventi anche se può sembrare assurdo. Nessuna forma di vita potrebbe vivere là sotto eppure…

Mi colpiscono moltissimo delle Falene di colore nero. Sono davvero in basso e questi insetti non godono ne di luce, ne’ di aria… come possono vivere qui? Di cosa si nutrono? E come fanno ad orientarsi in quel buio scuro come la pece? C’erano già quando i soldati risiedevano qui dentro? Durante la notte le vedevano volare davanti alle loro fioche lampade e la loro ombra diveniva enorme sui muri bianchi? Quante domande mi frullano per il cervello, per questo, come vi dicevo, sono totalmente rapita da questi luoghi.

I muri… quei muri… freddi e un tempo puliti. Oggi sono molte le scritte che li pasticciano e, nel bunker più grande, c’è anche quella che indica l’”Uscita”. Beh, ci sta. Può essere utile, anche se, devo ammettere che non è così difficile riuscire ad orientarsi. E mi riferisco anche al bunker grande.

In lui, il lungo corridoio dritto è ramificato e queste diramazioni portano ad altre stanze ma si può sempre tornare in questo lungo corridoio principale. La parte iniziale è forse la più “complicata”, se così si può dire, perché porta anche alle quattro casematte dove c’era l’artiglieria ma è anche la più apprezzata perché permette di respirare da quelle aperture e vedere i pascoli e il cielo che circondano quell’incredibile opera.

Quei colori sgargianti della natura si apprezzano ancora di più stando là sotto.

Il volo dei Corvi Imperiali, liberi in quell’azzurro, fa davvero capire quanto sia importante la libertà.

Mentre un tempo, degli uomini, hanno vissuto segregati in quei luoghi oscuri, che sapevano di inferno, oggi la Natura continua a dare il meglio di sé trionfando con fiori ed erba nuova ogni anno.

Le marmotte saltellano tra una roccia e l’altra e le pecore dei pastori si nutrono di quella meraviglia.

Il vento accarezza le spighe che si muovono… si muovono senza legami, senza catene e quasi commuovono dopo aver visto tanta chiusura.

Un fascino davvero particolare amici. Un fascino da conoscere ma non adatto a chi soffre di claustrofobia.

Un’opera colossale, incredibile, ed è qui, a due passi da me.

Marta e la Guerra… quanto sangue è stato versato su quelle praterie immense che scendono fino all’infinito.

Quante riflessioni sono state fatte tra quelle pareti bagnate. Non c’è più nulla sotto a quella terra ma i ricordi sono pesanti come il marmo.

Vi mando un bacio malinconico ma non temete, non sono triste, sono più che altro rapita e affascinata, e tanti sono i punti interrogativi che danzano nella mia mente.

Ora risalgo in superficie e mi godo una delle zone più spettacolari della mia Valle. O meglio, dei suoi confini. Un punto panoramico eccezionale.

Alla prossima Topi.

Nel Ciotto di San Lorenzo tra storia, natura e misteri

Sarà un lungo articolo questo che descrive uno dei luoghi da me più amati in Valle Argentina. Voglio parlarvi del Ciotto di San Lorenzo e, per elencarvi tutto quello che propone agli occhi e al cuore, ho bisogno di molte parole.

Il Ciotto, chiamato anche “Sotto”, lo si raggiunge dal Passo della Mezzaluna oppure da Passo Teglia camminando in mezzo ad una splendida faggeta, la Foresta di Rezzo, per poi giungere in questa radura fatta a conca, definita persino dolina, sormontata dal Carmo dei Brocchi.

La Foresta è così bella da essere soprannominata “Bosco delle Fate”.

Qui, dove d’estate regnano indisturbate le Marmotte, la storia racconta che un tempo, intorno al 245 d. C., ha vissuto il giovane eremita Lorenzo ucciso poi a Roma, per volere dell’Imperatore Valeriano, e venerato in seguito come Santo dalla Chiesa Cattolica.

Si fermò qui per circa due anni vivendo da solo con l’unico contatto della natura e, di lui e del suo passaggio, oggi resta solo un rudere nel quale alloggiava e pregava. Le rovine di chi dice essere stata una piccola chiesa e chi invece afferma essere stata una semplice dimora.

San Lorenzo si affacciava su questo prato bellissimo circondato da Abeti, Larici ma anche da grossi massi e osservando attentamente queste bianche pietre ci si accorge che alcune sono disposte a cerchio. Si parla di cerchio sacrificale, punto in cui venivano bruciate le streghe durante il periodo dell’Inquisizione.

Non si sa se siano leggende o realtà ma questo luogo ha da raccontare molto anche riguardo un tempo precedente alla caccia alle Streghe.

Si parla di popoli antichi e di costruzioni che restano lì, immobili, da tantissimi anni.

Al Ciotto, e nei suoi paraggi, infatti, si possono scoprire in un grande complesso megalitico: dolmen, menhir, pietre sacrificali e molto altro. Ogni cosa meriterebbe un post a sé.

L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno. Mentre il Dolmen poteva essere una tomba e la pietra sacrificale è dotata di coppa di scolo ben visibile.

Qui tutto è ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

Siamo a circa 1.400 mt s.l.m. e il verde vivo è incontaminato e splendente. Una coppia di Corvi Imperiali vola in cerchio sopra alla radura e sembrano essere i guardiani di questo luogo mistico. Mi piace pensare che siano gli amici delle donne che qui hanno trovato la morte per volere dell’Inquisitore.

Salendo sulle selle attorno al prato si può godere di una vista magnifica e si vede anche il mare.

So che però, oltre ai Corvi, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi.

Lorenzo, dalle origini spagnole, poteva godere di una stellata magnifica passando le notti in questo Ciotto. Qui, dove i monti si aprono permettendo di godere di un firmamento unico; non c’è inquinamento luminoso e tutto pare come avvolto dalla magia.

Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda.

Il suo aspetto cambia ad ogni stagione ma resta sempre magnifico.

L’Agrifoglio e l’Aquilegia si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia e il Cardo Selvatico ne descrive la resistenza al tempo. Tutto è perfetto.

 In questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante.

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che accade a me ogni volta che ci vado. Sarà la mia sensibilità da animaletto.

Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

E’ un luogo, questo, colmo di ricordi ed emozioni.

Qui l’amore di Madre Terra ti abbraccia e ti fa suo. Qui, anni or sono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità.

Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

E’ un luogo splendido vero Topi? Un luogo che esige rispetto come ogni zona in fondo.

Spero tanto che sia piaciuto anche a voi come a me. Se è così, vi lascio sognare ancora un po’, io corro a prepararvi un’altra fantastica escursione.

Vi mando un bacio spirituale! Smuck!