Antiche presenze in Valle Argentina

Qualche tempo fa mi trovai da sola nelle zone impervie dell’Alta Valle Argentina, lassù dove pochi osano arrivare, in luoghi incontaminati in cui la Liguria si confonde col Piemonte.

Col fiato corto, salii e salii, quando a un certo punto vidi sul sentiero qualcosa che attirò la mia attenzione.

Sembrava un rametto come tanti, ma a un secondo sguardo capii che non lo era. Lo presi tra le zampe e non ebbi più dubbi: quello che avevo trovato era il palco di un Capriolo, abbandonato lì dalla stagione autunnale dell’anno precedente, quando questi cervidi perdono i palchi nell’attesa che ricrescano quelli nuovi durante l’inverno.

Stavo per emettere un versetto meravigliato quando udii qualcosa di familiare…

Fruuush… Fruuush…

«Spirito della Valle, sei tu?» pronunciai guardandomi intorno.

Sì, Pruna. Ben ritrovata, bestiolina.

La voce antica dello Spirito mi diede dei brividi benevoli lungo la coda che mi riscossero.

«È bello incontrarti qui, era da un po’ che non sentivo il tuo richiamo.»

Ormai lo sai, piccola creatura: sono in nessun luogo…

«… Eppure dappertutto!» conclusi per lui.

Esatto. Vedo che hai gradito il dono!

Lo stupore si dipinse sul mio musetto per la seconda volta: «L’hai lasciato tu qui per me?».

Lo Spirito della Valle emise un fruscio simile a una risata, poi disse: No, bestiolina! È il Tutto di cui facciamo parte che ha permesso proprio a te di ritrovarlo.

«È un dono meraviglioso!»

La pensavano come te anche alcuni esseri umani che abitavano in questi luoghi selvaggi tantissimo tempo fa, sai?

montagne valle argentina

Così dicendo, lo Spirito evocò per me una visione. Mi sembrava di stare in un film e vedevo scorrere davanti ai miei occhi e al mio muso come delle proiezioni delle genti che calpestarono i luoghi in cui vivo e amo zampettare. Ero troppo rapita per fare domande, ma non ce ne fu bisogno. Fu lo Spirito della Valle a parlare per me.

Tanto tempo fa, quando l’uomo non conosceva le armi da fuoco e viveva ancora in modo semplice e primitivo, queste zone della Valle Argentina, che più tardi sarebbero state chiamate Occitane, erano abitate da popolazioni antiche che poi sarebbero divenute i celto-liguri. Credevano nelle forze della Natura, veneravano tutti gli Elementi che la compongono e tra le loro divinità ce n’era una molto, molto antica che si collega al palco che tieni tra le zampe…

bosco di rezzo

Nel dire questo, vidi nella visione una foresta bellissima. Lo Spirito della Valle mi portò al centro di quel bosco fitto e buio e lì vidi un essere che non avevo mai visto in tutta la mia vita di topina. Se ne stava in una radura, il corpo umano e la testa incoronata da un grosso palco di corna di Cervo, maestoso come il Re della Foresta.

Cernunnos Lou Barban

… Il suo nome era Cernunnos, che significa “Colui che ha le corna”.

«È così imponente! Incute quasi timore» mi intromisi.

È giusto che sia così, creaturina, ti spiego subito il perché. Cernunnos apparteneva alla foresta e alle zone selvagge, era al contempo dio dell’Ordine e del Caos, proprio come un bosco cresce apparentemente disordinato e caotico agli occhi di chi non ne comprende il linguaggio. Era una divinità legata al nomadismo, poiché i popoli di allora non avevano fissa dimora: vagavano per queste e altre terre, vivendo di caccia.

bosco valle argentina

Cernunnos aveva uno sguardo penetrante, non riuscivo a smettere di guardarlo, completamente rapita dal racconto dello Spirito della Valle. Lo lasciai continuare senza interruzioni.

Secondo gli antichi, quand’era di buon umore insegnava all’uomo le regole della società e dell’agricoltura, inducendolo alla sedentarietà. Al contrario, suscitare la sua ira era pericoloso, poiché diveniva allora un giudice severissimo e distruttore.

«Curioso questo suo duplice aspetto di Ordine e Caos!» constatai.

faggio

Non così tanto, Pruna. Rappresentava l’Energia titanica della Vita a livello universale, la stessa che, tramite la distruzione di quello che gli umani chiamano Big Bang, ha permesso al pianeta Terra su cui ci troviamo di esistere. Si tratta di una grande Forza, in grado di dare inizio a un nuovo ciclo vitale a partile dal nulla generato dalla devastazione. È così che funziona in Natura. Ad ogni modo, Cernunnos non aveva una forma definita e unica per tutti i popoli che lo veneravano e lo rispettavano…

A quel punto, la figura davanti a me cambiò fattezze. La barba gli si allungò velocemente, poi la testa umana fu sostituita da una di Cervo e i piedi divennero zoccoli. Non feci in tempo a mettere a fuoco il nuovo essere, che mutò forma un’altra volta, divenendo simile a una capra.

Cernunnos era anche il dio della Natura, della rinascita, della fertilità e dell’abbondanza. È immortale e permette alle specie vegetali e animali di riprodursi. In questo modo la Vita in tutta la sua potente bellezza e autenticità è preservata e resa Immortale grazie ai suoi cicli.

Gli alberi intorno a Cernunnos divennero sempre più rigogliosi, parevano esplodere foglie, fiori e frutti ovunque. Tutt’intorno c’era un grande turbinio di farfalle e decine e decine di uccelli cinguettavano sui rami. Caprioli, Volpi, Lupi, Tassi, Cinghiali, Faine, Scoiattoli, Topi, Rospi, Lucertole… tutto brulicava di vita, c’erano cuccioli ovunque e mi si riempirono gli occhi di meraviglia a quella visione portentosa.

Tuttavia, bestiolina, sei molto saggia e sai bene che la Vita ha una controparte indispensabile e imprescindibile, che deve esistere per equilibrare il Creato…

terreno sottobosco

Con quelle parole, la visione cambiò. I frutti caddero in terra e marcirono, le foglie sui rami ingiallirono e precipitarono al suolo, trasformandosi in terriccio scuro e fertile sotto la coltre di neve che nel frattempo era sopraggiunta. Alcuni degli animali morirono. Era il Ciclo della Vita, meraviglioso e severo al contempo.

… Ecco perché Cernunnos è anche legato alla Morte, quella che permette il Rinnovamento di tutte le cose. Accadde allora che col tempo questa divinità sia stata fraintesa, associata al male, tuttavia sopravvisse in queste zone come in altre. In certe epoche fu associata alle streghe, che con lui danzavano nel folto del bosco in alcuni periodi dell’anno, celebrando la Natura e la sua ebbrezza fertile. 

Sabba streghe

Qui, nelle Terre Occitane, ha preso così altri nomi. È diventato l’indomito Homo Selvaticus, colui che insegnava le arti e i mestieri ai popoli dell’Occitania in cambio di offerte di siero di latte. Talvolta sceglieva una compagna umana per generare la sua discendenza divina. Il suo aspetto più oscuro, invece, ha assunto un nome ancora differente: Lou Barban. Equivale all’Uomo Nero di cui tanto si parlava ai cuccioli umani per spaventarli, ma è sempre lui, che secondo le leggende si muove di notte per creare scompiglio. Lou Barban è colui che punisce chi viola le leggi della foresta e non le rispetta… o per lo meno così era. Per lui era indispensabile che le leggi della Vita e della Morte venissero rispettate, pena la sua furia devastante. Poi, col tempo, anche Lou Barban cambiò forma…

Il dio possente e fiero si trasformò ancora una volta, ma adesso, con mia enorme sorpresa, iniziò a perdere le sue dimensioni imponenti e divenne sempre più piccolo.

… non era più un dio e neppure un demone della foresta. Era diventato il Sarvan, ma questa è un’altra storia, bestiolina.

bosco rezzo

La visione svanì di colpo con un pop, lasciandomi stordita. Mi ritrovai al punto di partenza, dove avevo trovato il palco di Capriolo che ancora reggevo tra le zampe. Quante cose avevo visto e imparato!

«Grazie, Spirito della Valle. Sei stato… illuminante!»

Non c’è di che, Pruna. Tieniti caro quel dono, ora che sai cosa rappresentano i palchi dei cervidi. Che tu possa far cadere al suolo i frutti che non servono più nella tua Vita e sempre rinnovarti con forza e vigore! disse, poi svanì nel vento tra i rami della boscaglia con il suo inconfondibile fruuush… fruuush.

Avevo ricevuto un dono e un augurio meraviglioso, topi, e lo sesso auspicio lo rivolgo a voi.

Un saluto antico dalla vostra Prunocciola.

Due Valli e una Topina: una gita nel basso Piemonte

Ogni tanto mi piace zampettare anche in altre Valli (Ssst! Non ditelo alla mia, che poi s’ingelosisce, già lo so!) e così questa estate mi sono concessa una gita fuori porta mica male, topi!

Me ne sono andata nientepopodimenoché nel basso Piemonte, nelle valli Pesio e Gesso, ed è di queste due che voglio parlarvi oggi.

Ci troviamo come sempre in un paradiso naturale, ancora una volta tra le Alpi Marittime. Si supera Entracque e si lasciata la topo-mobile nei pressi del Lago della Rovina.

Lago della Rovina

Già da qui si gode di un panorama fantastico, tipico dell’alta montagna. In Valle Argentina siamo poco abituati a questo genere di ambienti, assai diversi dai nostrani. Le cime spiccano dal lago, il cielo è terso e si rispecchia nell’acqua, concedendo scatti degni di uno spot pubblicitario o di un documentario. Siamo in Valle Gesso e la nostra meta è il Lago di Chiotas, sotto il Rifugio Genova-Figari, a ben 2015 metri sul livello del mare.

E’ il luogo preferito di Stambecchi e Camosci, si nota subito fin dal primo sguardo, e anche i rapaci, qui, la fanno da padroni. Da anni ormai è anche appurata la presenza del Lupo, di cui si parla tanto anche nel Centro Faunistico Uomini e Lupi di Entracque.

sentiero lago rovina

La salita verso il Lago di Chiotas si fa sentire, topi. Si avanza un po’ come sui nostri sentieri ripidi e scoscesi, con poca ombra a rinfrescare dal caldo estivo. Miriadi di farfalle accompagnano il cammino, sono colorate e audaci, svolazzano vicine e si fanno fotografare.

farfalla valle gesso

Il terreno è sterrato, a tratti costeggiato dalle ortiche (Ahi!) e si attraversano diverse zone pietrose assolate.

sentiero montagna lago rovina

Ma più si sale e più il paesaggio si fa bello, anche se non sembrerebbe possibile, visto il luogo ameno dal quale siamo partiti. Il laghetto da quassù sembra una piccola pozzanghera ora, e le topo-mobili paiono come giocattoli adagiati su un tappeto d’erba finta.

lago della rovina2

Quando ci si ferma a ristorarsi bevendo un po’, prima di riprendere la marcia, ci si guarda intorno, si scrutano le montagne vicine e con un po’ di attenzione si distinguono diversi Stambecchi in lontananza. Li vedete anche voi?

stambecchi lago della rovina

Brucano tranquilli l’erbetta tenera, la testa china, tanto che a un primo sguardo parrebbero semplici rocce marroncino-grigiastre.

Stuole di Lamponi, More e Fragoline si lasciano vedere ovunque su tutto il sentiero, invitandoci a cogliere questi frutti prelibati di cui vado davvero ghiotta.

lampone

E poi Carline, Felci e fiori di campo d’ogni sorta colorano i nostri passi fino al Lago di Chiotas, sulle cui sponde si trova anche il Rifugio Genova-Figari. E qui si gode davvero di una tranquillità incredibile, col cielo come tetto e una corona di cime montuose ad avvolgerci.

Ci si ferma per una pausa lunga, questa volta, per farsi accarezzare da un sole che scotta e scrutare sotto il pelo dell’acqua i pesci che nuotano giocondi in santa pace. Fare il bagno qui è sconsigliato, il pericolo è segnalato dai cartelli, ma qualche topo audace un tuffo non distante dalla riva se lo fa eccome, per lavare via tutto il sudore accumulato con la precedente salita.

lago chiotas

C’è pace qui, tra questi monti, e non si vorrebbe davvero andare via, non dopo aver zampettato qualche oretta. Ma la discesa riserva tante sorprese! Eh sì, topi, perché le famigliole di Stambecchi scendono fino al sentiero e si lasciano guardare e fotografare senza pudore alcuno.

stambecco valle gesso

Sono vicini, anzi, vicinissimi, e di una bellezza selvaggia davvero estrema. Ci sono anche i cucciolotti, piccoli e ancora inesperti guidati dalle loro mamme. E’ bene non disturbarli troppo nei loro affari, sebbene siano tolleranti. I piccoletti, in particolare, suscitano una tenerezza infinita con quelle loro cornine non ancora cresciute come quelle delle mamme.

cucciolo stambecco

Più si scende di quota e più se ne vedono. Brucano con tranquillità e pacatezza, poi si sdraiano sulle rocce o si arrampicano con le loro zampe resistenti ed equilibriste.

stambecchi valle gesso2

E’ bello ammirare il modo in cui questi mammiferi si siano adattati perfettamente all’ambiente in cui vivono e siano con esso un tutt’uno. A volte hanno qualche scaramuccia, presto risolta per fortuna, poi la vita torna a scorrere placida e selvaggia.

stambecchi valle gesso4

Conclusa questa gita strabiliante, ne inizia un’altra, questa volta in luoghi a me più familiari. La Valle Pesio era una delle mete predilette dalla mia topofamiglia per le vacanze estive, quando ero una topina piccola piccola, ma qualche ricordo lo conservo ancora con tanto affetto.

valle pesio

Come scordare i pranzi da re sul prato del Rifugio di Pian delle Gorre, le capriole con i topo-cugini, le domande con le quali prontamente tempestavo topomamma, topopapà e i topononni? Che dire, poi, di tutte le passeggiate zampettando per i boschi con quegli alberi alti, alti, ALTI (e io son piccolina, e io son piccolina) e le zampette nel fango per acciuffare le rane per qualche secondo, lasciandole poi libere di saltellare altrove?

Insomma, volevo a tutti i costi tornare in quei luoghi e così eccomi qui a raccontarvi anche questa.

Devo dire che anche in Valle Pesio, come nella mia Valle, si possono incontrare strane creature… ma non mi aspettavo assolutamente niente di tutto ciò! Guardate un po’ in chi mi sono imbattuta!

serpente bosco valle pesio

Un serpente gigante se ne sta acquattato nel bosco, vi assicuro che è davvero di dimensioni notevoli… ed è interamente realizzato con materiali naturali offerti dal bosco.

E, a proposito di quest’ultimo, lascia proprio senza fiato.

valle pesio albero

Le conifere, per lo più Abete Bianco, odorano di resina e aghi, un profumo forte, che già da solo basta a fare aprire i polmoni. Lo scroscio del torrente Pesio dona pace e serenità, soprattutto quando grazie alle cascatelle scende più sinuoso tra i ciottoli del sottobosco.

cascata pesio

E’ un percorso bello, pulito, quasi tutto pianeggiante, pieno di topi che qui vengono a godere del fresco offerto con generosità dalle alte fronde arboree. Fa quasi fresco in questi luoghi, se ci si ferma per lungo tempo è bene mettere un golfino sulle spalle. E qui camminano tutti, ma proprio tutti! Topi anziani, topini piccoli, topi con problemi motori… persino i topi di città ci si avventurano con piacere, perché qui si gode di scorci che fanno respirare, si esce dal bosco rinfrancati, alleggeriti, sereni.

parco valle pesio

La rete sentieristica è davvero fitta, i percorsi da fare sono così tanti che non basterebbe una settimana per scoprirli tutti, ma io ho voglia semplicemente di zampettare in luoghi familiari che non vedo da diverso tempo e così finisco dritta dritta all’Osservatorio Faunistico.

cervi osservatorio faunistico valle pesio

Fu costruito nel 1990 per permettere ai Cervi di abituarsi all’ambiente nel quale furono reintrodotti e conta una superficie di quattro ettari. Ci sono diverse femmine coi loro piccoli, è bello osservarle per un po’, prima di zampettare di ritorno. Preferisco le bestiole libere di correre, piuttosto che chiuse in un recinto, ma la loro bellezza è comunque innegabile. Senza contare che la loro permanenza qui è comunque temporanea, per fortuna.

cervi osservatorio faunistico valle pesio2

Tra gli alberi del sentiero si respira un’aria magica e insolita e io me ne torno a casa ancora più desiderosa di scrivere nuovi articoli per voi, topi! Perché se è vero che è bello mettere il naso fuori dalla tana e vedere luoghi nuovi, è altrettanto vero che la mia tana è bellissima e sempre unica nel suo genere. La amo e voglio farla scoprire per benino anche a voi. Un bacio silvano a tutti.

Pigmy e le marmotte

Ebbene sì, topi, io con le marmotte ho sempre avuto un rapporto speciale.

Innanzi tutto, vi presento Miss Marmotta del Marguareis. Quel giorno io e la mia socia Niky, facendo una delle più belle gite della nostra esistenza, incontrammo questa madama che, credetemi, seppur impaurita e diffidente, non poteva fare a meno di seguirci e spiarci. Alla fine l’ho fotografata. Purtroppo le immagini sono quello che sono, ai tempi non ero nemmeno in grado di fare click! Accontentatevi.

Era simpaticissima. Aveva l’espressione che diceva “Mmh… Queste qua mi son simpatiche, non sembrano cattive!”.

Andavamo pianissimo in macchina, a passo d’uomo, e lei ci seguiva entrando e uscendo da diversi nascondigli. Siamo state insieme per un bel tratto di strada, poi, quando evidentemente il suo territorio è finito, ci ha lasciato andare continuando a osservarci da lontano.

Le altre avventure marmottesche, invece, le ho avute con il mio topopapà. Ho assistito alla splendida scena di due cuccioli che giocavano tra di loro. E’ difficile vederli, ma sono  meravigliosi, piccoli, piccoli e di colore più chiaro rispetto agli esemplari adulti. Si rincorrevano, si abbracciavano, facevano insieme le capriole, si tuffavano in una tana per uscire da un’altra a dieci metri di distanza. Quel giorno capii che la tana di una marmotta, con tutti i suoi cunicoli sotterranei, può arrivare a essere grande come tutta la montagna. La marmotta sentinella fischiava e tutti sparivano, poi, però, sembrava che, vedendoci buoni nei loro confronti, potevano continuare a fare ciò che desideravano.

Ora vi racconto una vicenda che non dimenticherò mai.

Eravamo io e topopapà in auto. Pian piano salivamo per andarcene in cima al monte “Schiena D’Asino” e ammirare il paesaggio. Fortunatamente, come sempre, andavamo lenti come lumache. All’improvviso, a un certo punto, abbiamo visto una cosa enorme, marrone e grigia, uscire da una roccia e passarci davanti, velocissima. Papà ha frenato di colpo ma…. sbam! Che botta. Ma cos’era?

Scendiamo dalla macchina. Una marmotta!

La poverina corse subito dentro una cunetta per riposarsi e ansimava. Potete immaginare come stavo io. Amante degli animali come sono, sapere di avere investito una marmotta a casa sua, nella sua zona era un sacrilegio imperdonabile! Mio padre era conciato peggio di me.

Stavamo andando davvero piano, tutto ci sembrava impossibile. Ho provato ad avvicinarmi, ma lei ha iniziato a soffiare e a mostrarmi dei denti che, credetemi, un castoro è niente a confronto. Ero preoccupatissima. Sembrava stesse bene, a parte lo spavento, ma poteva avere un’emorragia interna. La botta era stata abbastanza forte, ma lei era veramente grossa e robusta.

L’unica cosa che potevo fare era chiamare quelli del ristorante a fondo Valle, probabilmente loro conoscevano qualche veterinario della zona. I veterinari che conosco io ci avrebbero messo quattro ore ad arrivare, eravamo davvero in alto. Il cellulare non prendeva e così papà è risceso a Valle. “Resta qui con lei” mi ha detto.

Ci ha messo quasi un’ora, che io passai da sola, seduta in mezzo alla strada con una marmotta a cinquanta centimetri da me. Intorno regnava il silenzio.

Dopo un po’ lei ha iniziato a calmarsi, respirava meno velocemente. Avrei voluto avvicinarmi, accarezzarla, provare a capire se stesse bene. I minuti passavano mentre lei mi guardava negli occhi, poi si è alzata con agilità, senza particolari problemi. Ha riattraversato la strada e si è infilata dentro una roccia, tenendo la testa appena fuori dall’uscio.

Se ne stava lì. Si puliva, si leccava, si grattava. Sembrava non avere nulla.

Ecco arrivare papà, infine. Gli ho raccontato l’accaduto e anche lui, vedendola, era abbastanza tranquillo. Si muoveva senza difficoltà, aveva soltanto soffiato un po’ e si era rintanata all’arrivo dell’auto, ma poi è uscita di nuovo.

“Mandano qui uno che dicono sia molto bravo a prendere marmotte, magari la portano da un veterinario.” ha detto papà.

Infatti, dopo poco, arriva un pastore del posto con gabbia, bastone, guanti e…. tanto, tanto alcool in corpo.

“Allora, dov’è la bestia?” ha urlato biascicando. Mio padre ha sgranato gli occhi e ha capito tutto prima di me, così ha risposto: “Se n’è andata”.

L’uomo quasi si è arrabbiato: “Come, se ne è andata?”.

“Sì, guardi, proprio lassù, dietro a quella rocca, ma non dev’essere andata molto lontano, vada a vedere!”.

Il pastore si è diretto dove era stato indirizzato e topopapà venne da me: “Mandala via, Pigmy! Spaventala, falla scappare!”

“Ma se ha qualche problema?” chiesi io.

“Meglio aver qualche problema che morire!” mi rispose.

Che potevo fare? Dopo un’ora quella marmotta si stava quasi fidando di me. Come facevo, ora, a fargli paura? Cosa avrebbe pensato di me? Feci comunque come mio padre mi aveva consigliato. Avevo 13 anni, non potevo fare molto altro.

Andai davanti a quel muso peloso che sbucava dalla pietra e urlai forte: “Psssscccccch! Psssssssccccccch!”, ma niente. Lei mi guardava e stava lì. A quel punto ho commesso l’errore di battere le mani. Il pastore mi ha sentita, mi ha vista ed è arrivato traballando. Puzzava di vino. Aveva capito che lì c’era la marmotta.

Mio padre mi ha fulminato con lo sguardo e io mi sentii morire quando udii le parole del pastore: “Vieni, bella, vieni! Che come te, in pentola, buone non ce n’è!”.

Non potevo fare nulla. Mio padre gli stava dietro, forse, se fosse riuscito a prenderla avrebbe cercato di fermarlo. Non lo so perchè è andata così. Appena quell’uomo si è avvicinato al pertugio, la marmotta ha soffiato violentemente e ha emesso una specie di ringhio, come un digrignare stridulo, ed è scomparsa. Quell’antro era profondissimo, e lei lo conosceva bene. Fin dall’inizio avrebbe potuto andarsene quando voleva e invece aveva continuato a stare lì, con me. Avevo creduto che fosse solo una piccola grotta che non andava oltre.

Il pastore se è imbestialito e ha iniziato a urlare e a tirare calci alla roccia, poi, finalmente se ne è andato.

Mio padre mi ha guardato, mi ha sorriso e mi ha detto: “Meglio così, Pigmy. Credimi che quella marmotta stava bene. Era solo un po’ spaventata per il colpo. Questi animali hanno una forza incredibile, non ti preoccupare, ora lei si cura da sola. Quello là, altro che curarla! Se la sarebbe mangiata!”.

Mi auguro che papà abbia avuto ragione e ne sono convinta, perchè ho visto anch’io che in realtà stava bene. Ho soltanto un piccolo rimpianto. Se lei è stata lì, quando avrebbe potuto andar via, mi sarebbe piaciuto salutarla diversamente.

Queste che vi ho raccontato sono alcune delle mie avventure marmottesche e ogni volta è stata una grande emozione.

M.