E oggi topini, andiamo in un luogo misterioso…
Andiamo di nuovo in Val Gavano e, precisamente, nelle caserme della vecchia Polveriera, testimonianza anch’essa della guerra.
Che atmosfera affascinante… i colori scialbi, il freddo, la quiete.
Il posto appare lugubre e spettrale ma, posso assicurarvi che, per chi come me è abituato a visitare anche questi luoghi della mia Valle, si percepisce più pace che silenzio spaventoso e più storia piuttosto che mistero.
I vecchi cancelli, ormai arrugginiti, sono completamente aperti e io vado. Voglio entrare; d’altronde, anche il mio topobisnonno ha partecipato alla costruzione di questi edifici sapete? Mi sento coinvolta.
All’entrata, la guardiola, la postazione della sentinella, mostra ancora oggi scritte di soldati che passavano lì intere ore, molteplice è la parola “vita” e, subito dopo, ci inoltriamo in questa zona militare dall’atmosfera arcana e fantascientifica.
Inutile dirvi le storie che sono state inventate riguardo questo posto. Tra fantasmi, spiriti e creature mostruose, le leggende sono state descritte senza pietà.
Questa zona militare è stata costruita per la Prima Guerra Mondiale ma venne utilizzata moltissimo, soprattutto per il riarmo, anche durante la Seconda Guerra.
Vicino alle ormai fatiscenti casette, dalle quali alcuni barbari hanno portato via ogni cosa (come ad esempio i sanitari… che fantasia!) un muraglione, con obelischi intorno, dà l’accesso ad una piazzetta di pietre e mattoncini con, al suo interno, delle fontanelle scolpite bellissime, attaccate al muro ornato da mattonelle.
Un tempo si dice fosse un luogo stupendo e che, per essere una zona militare, era addirittura signorile.
Oh! Ma questo è ancora niente, seguitemi…
A proposito di fontane, nel bel mezzo delle casupole, ormai quasi ruderi purtroppo, guardate che strana, seppur semplice, sorgente d’acqua. Sembra un parallelepipedo, una piramide mozzata.
Me li vedo i soldati arrivare, accucciarsi e abbeverarsi qui, per poi entrare, ognuno, nella sua camera o nel refettorio.
Guardate però cosa rimane delle cucine. Che scempio. Che peccato.
Il luogo nel quale mi trovo è grandissimo. Per vederle tutte, queste caserme, bisogna muoversi in macchina. Sono presenti in tutto il crinale della montagna.
Un tempo erano davvero un grande punto di riferimento per coloro che combattevano e, tutto, così come le siepi intorno alla cappella che ora vi mostrerò, era curato nei minimi particolari e tenuto come una gemma preziosa.
Guardate invece, nella zona dove i soldati cuochi preparavano da mangiare. Oggi hanno cercato di portare via anche le piastrelle e presumo che, tutto questo, la notte, sia rifugio oltre che per le bestie, anche per chi tana non ne ha. Tutto è spaccato e un tanfo di urina mi invade le narici. Il dispiacere mi pervade.
La cappella però… eccola. La sua visione mi fa di nuovo sorridere. Non è meravigliosa? E’ stupenda. Una piccolissima chiesetta che radunava in preghiera quei giovani che un tempo non desideravano altro che sopravvivere. Lei è ancora intatta. E’ come se di lei abbiano avuto rispetto. Con quei suoi colori grigio e crema, in alcuni punti, ricoperti dal muschio.
Il paesino di Gavano è disegnato al suo interno come un affresco e, ogni pietra, con la quale è stata costruita è ancora lì. Guardate, vedete quegli arbusti accanto a lei? Ebbene, immaginateli lussureggianti e grandi e fioriti e sono ancora lì. Qualcuno, piccolo, ha resistito. Succhiando un pò di umidità boschiva è riuscito ad essere tutt’ora testimone di una vita a noi giovani fortunatamente sconosciuta.
E girarmi, guardarmi intorno, e vedere queste costruzioni, e pensare che qualche mattone e un pò di cemento sono stati messi dal padre di mio padre mi mette i brividi.
Non posso intrufolarmi all’interno. Tutto è pericolante e in possesso dei roveti. Tutto questo mi fa male. Perchè, dico io, non poterle sistemare? Non lasciare che questi anni, inerenti al nostro passato, vadano via, spariscano. Pare essere in un bosco stregato. L’uccello che sta ora emettendo quello strano suono, non poteva giungere più puntuale di così. Non lo si vede, nonostante la nudità degli alberi, ma è come se si percepisse il suo padroneggiare. “Questo posto è mio!” sembra dire.
E ditemi, avete mai visto tanta architettura in una sperduta caserma che mai scoprireste se non foste pratici del posto? Ancora obelischi. Ancora muretti e quadri in mattoni. Ancora significato. E i piccoli edifici, costruiti a L con tanto di terrazzino. Come a volersi trattare bene.
Il cielo bianco è una bellissima cornice ma i tetti distrutti, le grondaie penzolanti, le finestre spaccate, rubano il mio sguardo.
Mi giro e mi rigiro su me stessa, dietro le piante vuote altre case ricoperte come da una foschia. Sembrava non esserci nulla prima lì e ora, eccole spuntare una dopo l’altra. Ma quante sono? Tantissime. Perchè così numerose? In quanti erano quegli uomini? E dico, siamo qui, nella mia Valle, in un posticino poco trattato persino da internet. Perchè avevano bisogno di tutto questo spazio e tutti questi rifugi?
L’abbandono assoluto del luogo. Ci sono solo io e qualche essere piumato eppure, un tempo, questa era quasi una città.
Provo ad andare oltre ma, anche questa volta, devo fermarmi. Un altro tronco mi blocca il cammino. Scatto ancora due foto per lasciarvele nell’album, potrete vederle qui a destra, come sempre.
Me ne vado felice ma anche un pò dispiaciuta. Avrei preferito vedere più cura e più mantenimento a tanta importanza.
Vi aspetto per la prossima promenade però! Un saluto vostra Pigmy.
M.