Fin sulla punta del Carmo di Brocchi

Ormai sanno tutti che il Carmo di Brocchi è uno dei miei monti preferiti e ho molte ragioni per pensarla così.

A mio avviso è bellissimo ma voglio farvelo conoscere per bene portandovi con me alla conquista della sua vetta.

Partiremo da Passo della Teglia, sopra Drego, verso Rezzo. Attraverseremo quindi la splendida faggeta che ci circonda, chiamata anche “Bosco delle Fate” o “Foresta di Rezzo”, per poi giungere al Ciotto di San Lorenzo, tappa principale alle pendici del Carmo.

Il nome – Carmo – venne dato a questa montagna in un secondo momento sostituendo il nome “monte” pur avendo lo stesso significato ma, un tempo, era semplicemente Monte dei Brocchi.

E’ ancora notte quando intraprendo il sentiero ricoperto di foglie all’interno della macchia. La luna è ancora alta nel cielo e, a Est, il sole inizia a colorare il cielo di un rosa e di un arancio molto intensi.

I rami degli austeri faggi, in questo periodo spogli, sembrano intrecci misteriosi e i loro alti fusti, fitti e uniti, lasciano intravedere un sottobosco dalle sfumature grigie e marroni ma non permettono di andare troppo oltre con lo sguardo.

Il sentiero, adatto a tutti e per nulla faticoso, mi dirige al Ciotto, luogo per me mistico e caro al quale si legano molte leggende e molte storie del passato che spesso vi ho raccontato.

Da qui, da questa radura fatta a conca, si può già ammirare la meta che voglio raggiungere.

In tutto il suo splendore, si staglia contro il cielo, il magnifico Carmo alto 1.610 mt. Una luna enorme e brillante lo sovrasta, nonostante il cielo si sia ora schiarito con i colori del giorno. Il suo azzurro è intenso e il colore bruciato del monte quasi abbaglia sfavillando.

Un monte che mi affascina da sempre, da che sono cucciola, con quel suo essere da una parte pelato lasciando posto a pascoli incontaminati e da una parte alberato, come ad avere dritti capelli color argento. O rigogliosi riccioli verdi in estate.

L’ascesa, che parte dal menhir sopra al Ciotto, è ripida e abbastanza faticosa.

Da qui, due strane figure pitturate, e presumo molto significative, sono il punto di partenza dal quale si può ammirare la dolina dall’alto con il suo grande prato e le sue rocce bianche.

Parto alla conquista di una delle vette più belle della Valle Argentina. Sale parecchio, le mie quattro zampe motrici le appoggio sui ciuffi d’erba che mi trattengono. Pare quasi di essere su una scalinata. Non c’è un vero e proprio sentiero pulito. C’è un taglio che si percepisce ma occorre fare attenzione perché, in questa stagione, tra quelle pietre, il ghiaccio potrebbe far scivolare.

Il vento è fortissimo e non aiuta a salire ma non posso certo rinunciare. Vedo a pochi metri da me la croce, simbolo indiscusso del Carmo e di altri monti della mia Valle e dintorni. Sono emblemi realizzati dallo stesso artista, un certo “MR” e sono tutti uguali.

Quella croce… quante volte l’ho vista dal basso e la osservavo pensando “un giorno verrò lì da te”. Ed ecco giunto il momento tanto atteso. Ancora pochi metri e avrei potuto vedere l’immensità.

Carmo di Brocchi infatti, pur non essendo una delle cime più alte della Valle, permette una visuale a 360° di meraviglia. Il panorama che offre è indescrivibile da tanto che è bello e sembra quasi di non riuscire a poterlo guardare tutto da tanta che è l’emozione.

Non so neanche da dove cominciare a guardarlo tutto, gli occhi sono affannati come il cuore. So solo che, molto spesso, dal Passo del Garezzo ho ammirato questa vetta dove ora sono e adesso vedo quel Passo in tutto il suo splendore e in tutta la sua vastità. Il Ciotto de e Giaie e, sopra di lui, il Monte Frontè.

A questo punto lo sguardo viene attratto dal Monte Cimonasso e poi dal Saccarello e poi ancora dal Passo di Collardente. Continuo a girare il muso verso sinistra ed ecco laggiù il Grai, il Pietravecchia e lui… il mio amato Toraggio, inconfondibile con quelle sue punte aguzze.

In basso si distinguono bene diversi borghi della mia Valle adagiati su diversi colli. In primo piano Triora, Corte, Molini, , Andagna.

Ma poi noto anche Perallo, Moneghetti e altre piccole frazioni.

Mi dirigo con gli occhi estasiati verso Sud, verso il mare, vedo il Faudo e continuando a voltarmi verso Est posso osservare come Pizzo Penna stia per essere completamente sormontato da un mare di nubi spesse che, al galoppo, giungono veloci sulla sua vetta.

Faccio in tempo a vedere San Bernardo di Conio, a fondo valle, e poi quelle onde di vapore ricoprono tutto.

Continuo quindi a rigirare su me stessa. Molto lontane da me vedo le pale eoliche di Caprauna.

Adesso punto Cima Donzella e Monte Bussana e, dietro di loro, in prospettiva, il Monega. Là sotto, ancor prima del Donzella, so esserci il famoso Passo della Mezzaluna e, poco più in là, Monte Arborea ma questa sarà un’altra tappa. Ora sono, con lo sguardo, al tunnel del Garezzo che non posso vedere da questa prospettiva ma so essere oltre quella cresta.

Mio Dio che meraviglia. L’entusiasmo mi pervade. Il vento è ancora forte ma non lo sento neanche. Tutto quel cielo, dove ancora gongola la luna, e tutta quella Valle… la mia! Che emozione! Da togliere il fiato. E’ come sentirsi grandi, immensi, pur rimanendo umili davanti alla bellezza del Creato.

Mi chiedo come possa quel mio mondo essere così bello. Nessun artista avrebbe potuto immaginare e realizzare un tale prodigio. Resta solo che ammirare, in silenzio, un’eccellenza così immensa.

Mi sento appagata fino alla punta della coda.

Metto la mia firma sul quaderno custodito tra le pietre della croce, libro di vetta, e dopo aver ringraziato tanto splendore che mi arricchisce l’animo, mi dirigo verso un altro monte molto conosciuto. Un monte particolare, completamente diverso da quello su cui mi trovo ora: Monte Arborea.

Ma questa, come vi ho detto, è un’altra avventura. Quindi mi auguro continuate a seguirmi perché presto vi porterò anche lì.

Vi mando un bacio enorme, quanto enorme è la bellezza che mi sta circondando in questo momento.

Nel Ciotto di San Lorenzo tra storia, natura e misteri

Sarà un lungo articolo questo che descrive uno dei luoghi da me più amati in Valle Argentina. Voglio parlarvi del Ciotto di San Lorenzo e, per elencarvi tutto quello che propone agli occhi e al cuore, ho bisogno di molte parole.

Il Ciotto, chiamato anche “Sotto”, lo si raggiunge dal Passo della Mezzaluna oppure da Passo Teglia camminando in mezzo ad una splendida faggeta, la Foresta di Rezzo, per poi giungere in questa radura fatta a conca, definita persino dolina, sormontata dal Carmo dei Brocchi.

La Foresta è così bella da essere soprannominata “Bosco delle Fate”.

Qui, dove d’estate regnano indisturbate le Marmotte, la storia racconta che un tempo, intorno al 245 d. C., ha vissuto il giovane eremita Lorenzo ucciso poi a Roma, per volere dell’Imperatore Valeriano, e venerato in seguito come Santo dalla Chiesa Cattolica.

Si fermò qui per circa due anni vivendo da solo con l’unico contatto della natura e, di lui e del suo passaggio, oggi resta solo un rudere nel quale alloggiava e pregava. Le rovine di chi dice essere stata una piccola chiesa e chi invece afferma essere stata una semplice dimora.

San Lorenzo si affacciava su questo prato bellissimo circondato da Abeti, Larici ma anche da grossi massi e osservando attentamente queste bianche pietre ci si accorge che alcune sono disposte a cerchio. Si parla di cerchio sacrificale, punto in cui venivano bruciate le streghe durante il periodo dell’Inquisizione.

Non si sa se siano leggende o realtà ma questo luogo ha da raccontare molto anche riguardo un tempo precedente alla caccia alle Streghe.

Si parla di popoli antichi e di costruzioni che restano lì, immobili, da tantissimi anni.

Al Ciotto, e nei suoi paraggi, infatti, si possono scoprire in un grande complesso megalitico: dolmen, menhir, pietre sacrificali e molto altro. Ogni cosa meriterebbe un post a sé.

L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno. Mentre il Dolmen poteva essere una tomba e la pietra sacrificale è dotata di coppa di scolo ben visibile.

Qui tutto è ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

Siamo a circa 1.400 mt s.l.m. e il verde vivo è incontaminato e splendente. Una coppia di Corvi Imperiali vola in cerchio sopra alla radura e sembrano essere i guardiani di questo luogo mistico. Mi piace pensare che siano gli amici delle donne che qui hanno trovato la morte per volere dell’Inquisitore.

Salendo sulle selle attorno al prato si può godere di una vista magnifica e si vede anche il mare.

So che però, oltre ai Corvi, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi.

Lorenzo, dalle origini spagnole, poteva godere di una stellata magnifica passando le notti in questo Ciotto. Qui, dove i monti si aprono permettendo di godere di un firmamento unico; non c’è inquinamento luminoso e tutto pare come avvolto dalla magia.

Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda.

Il suo aspetto cambia ad ogni stagione ma resta sempre magnifico.

L’Agrifoglio e l’Aquilegia si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia e il Cardo Selvatico ne descrive la resistenza al tempo. Tutto è perfetto.

 In questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante.

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che accade a me ogni volta che ci vado. Sarà la mia sensibilità da animaletto.

Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

E’ un luogo, questo, colmo di ricordi ed emozioni.

Qui l’amore di Madre Terra ti abbraccia e ti fa suo. Qui, anni or sono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità.

Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

E’ un luogo splendido vero Topi? Un luogo che esige rispetto come ogni zona in fondo.

Spero tanto che sia piaciuto anche a voi come a me. Se è così, vi lascio sognare ancora un po’, io corro a prepararvi un’altra fantastica escursione.

Vi mando un bacio spirituale! Smuck!

Al Ciotto: osservando tinte e arabeschi

Da più di tre anni, di tanto in tanto, mi dirigo al Ciotto di San Lorenzo.

Si tratta di un luogo a me molto caro, situato alle pendici del Carmo dei Brocchi e oltre ad essere un posto bellissimo se lo si sa ascoltare, parla con un’energia davvero profonda e unica.

Per arrivarci passo solitamente da Drego e da Passo Teglia, anch’esse zone della mia Valle senza eguali per il loro fascino remoto.

Una volta giunta all’arrivo mi piace soffermarmi a guardare ogni cosa, lentamente. Lo sguardo si appoggia piano, su tutto quello che addobba questo angolo della mia Valle per me dal sapore mistico e affascinante.

Mi piace contemplare, pensare, riflettere e guardare intorno a me tutta quella bellezza che mi circonda sentendomi davvero una Topina fortunata. Si tratta di una dolina tutta fiorita in estate e circondata da austere rocce, una faggeta fatata e abeti antichi che proteggono. Una radura a forma di conca nella quale talvolta si forma un piccolo lago o è prato in base al periodo dell’anno.

E’ proprio durante queste attente osservazioni che ho potuto notare come questo luogo si modifica di stagione in stagione.

I suoi cambiamenti sono in realtà molto evidenti e dati principalmente dai colori che lo abbelliscono ma se quando parliamo di colori pensiamo soprattutto all’autunno… beh… al Ciotto di San Lorenzo (chiamato anche il “Sotto”) le tinte regalano emozioni ogni mese.

E’ vero che, prima di aprire le porte all’inverno, i Carpini si vestono d’oro e i Larici delle nuances del tramonto. Com’è anche vero che i Faggi diventano color della terra bruciata e le capsule di semi delle Graminacee creano puntini neri sparsi qua e là ma quando la fredda stagione giunge del tutto è la Bianca Signora, la neve, a regnare rendendo tutto candido e brillante.

Il foliage, in questo luogo, è davvero attraente.

D’estate, invece, è il viola della Lavanda e del Cardo Selvatico a prevaricare su tutto. Il colore della magia, ed è quasi più presente addirittura del verde vivace, il vero padrone.

Lo stesso Cardo, terminato il periodo estivo, appare di un avorio lattiginoso e sfavillante.

Tra il profumo del Timo anche gli insetti contribuiscono a colorare il tutto ma ovviamente, il gradino più alto del podio spetta alle farfalle e le loro ali dipinte.

Per non parlare delle bacche. Tante tantissime e tutte diverse tra loro. Quelle color rosso fuoco si notano già da lontano.

Molte tonalità di grigio e di marrone vengono date anche dalla corteccia degli alberi che circondano l’antico Ciotto ricco di storia e leggende.

Osservando certi tronchi, dal basso verso l’alto non si possono non notare le diverse sfumature di queste alte piante e, una volta che ci si trova con il naso all’insù, un ulteriore spettacolo si apre davanti agli occhi agitati.

Un intreccio infinito di rami, sia spogli che ricchi di fogliame, si annodano, si avvicinano e si incrociano fino a formare strane forme di linee, degli arabeschi stupendi che sembrano disegnare il cielo.

Come dei centrini, posizionati all’incontrario, abbelliscono anche l’aria sicuri nel risultato di una meraviglia totale.

Via via che i giorni passano, andando verso il periodo del gelo, dopo il trionfo di vita e tinte forti, tutto si spegne divenendo sempre più pallido e mostrando il riposo.

Nonostante questo sonno color pastello, pare d’esser in un incanto, nella tela di un pittore malinconico e che ama i colori tenui. L’inverso della vivacità verde incontrata in passato.

Insomma, il Ciotto di San Lorenzo regala sorprese sempre. Non può non lasciar stupiti e grazie alla natura variegata che lo forma resta un punto assolutamente unico della Valle Argentina.

Io, sognante, vi mando un bacio colorato e vi lascio immaginare questa tavolozza. Vado a prepararvi un altro articolo!