Dalle antiche case di Drego al Passo della Mezzaluna

Quella che ho vissuto oggi è stata un’avventura emozionante e la voglio condividere con voi portandovi in luoghi dalla bellezza mozzafiato, facendovi conoscere alcuni miei amici animali e mostrandovi un panorama senza eguali. Vi piace l’idea? Bene, allora inizio.

Inizio da antiche case in pietra, case di pastori, case alcune diroccate oggi, altre rinnovate. Sono le case di Drego, piccola e amata frazione della mia Valle, a 1100 mt s.l.m. 

Da queste case, e da ciò che di loro resta, mi avventuro costeggiando i bellissimi monti che mi permettono di giungere al loro Re, il Carmo di Brocchi. Questa volta potrò vederlo da sotto, dal suo versante a Sud Ovest, la parte più aspra, rocciosa, severa.

Dopo A Rocca du Luvu (La Rocca del Lupo) un’edicola attrae la mia attenzione e mi dirigo verso i bareghi (ruderi).

Cammino su erba ghiacciata. È appena giunta l’alba e la brina può ancora ricoprire quel mondo dalle sfumature tenui prima di sciogliersi al calore del sole.

Il sentiero è morbido. Nonostante qualche roccia, la terra battuta e l’erba cotta dal gelo mi permettono di procedere in silenzio e posso così udire diverse volte il verso di alcuni rapaci.

Sentirne il richiamo è bellissimo ma vederli è ancora più emozionante. Non so ancora che verrò accontentata a breve ma attendo fiduciosa il loro presentarsi.

D’un tratto, infatti, un’Aquila Reale si mostra a me in tutta la sua bellezza sorvolando la Valle e tutto quel vuoto da Nord a Sud.

Plana, poi sbatte le ali, volteggia e si lascia fotografare quasi vanitosa. Come ad essere sicura di aver fatto breccia nel mio cuore, decide di tornare indietro e mi regala ancora diversi minuti di spettacolo.

Da dov’è lei mi rendo conto che stiamo ammirando lo stesso panorama e mi sento una privilegiata. Tutta quell’immensità che mi circonda si trova sotto al suo sguardo e sotto al mio cuore. Sono alta quanto lei.

Mi accorgo di vedere bene Rocca della Mela, vedo sui suoi pascoli un gruppo di Mucche che brucano e ne sento il din don dei campanacci che mi porta il vento.

Proseguo in quello scenario montano che sa di valli incontaminate e indisturbate disposte a regalare il meglio. Le discese alla mia sinistra mi ricordano quelle “ardite” di Battisti e della sua “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…”.

Il Timo e la Lavanda hanno le foglie sottili in questo periodo, sembrano vuote, ma sono piante robuste, non patiscono neanche il gelo e rilasciano ancora il loro piacevole profumo come negli ultimi caldi mesi precedenti.

I miei monti sono meravigliosi visti da qui e sembrano abbelliti da pietre preziose che sarebbero i paesini che ben conosco.

La strada, che da Andagna conduce a Drego, sembra ora un grosso serpente che si insinua tra i pascoli ma le sue curve sono dolci e familiari. Vedo bene tre dei santuari più noti della zona: Madonna del Ciastreo di Corte e San Bernardo e Santa Brigida di Andagna.

È la strada che conduce al Passo della Teglia e, in questa stagione, permette di vedere spettacolari tramonti mentre i raggi del sole vanno a nascondersi dietro al Toraggio.

Il marrone, l’ocra e il bronzo sono i colori più presenti ma sono molte le sfumature di verde che posso vedere vicino e lontano da me.

Alcune montagne, viste da qui, mostrano linee ondulate di roccia dai tratti sporgenti e color pesca. Diversi cespugli sembrano batuffoli di cotone tinto e ammorbidiscono persino ciò che l’occhio vede.

Avanzo in quella natura selvaggia fatta di quiete e sono due, adesso, le Aquile Reali che volteggiano sopra la mia testa formando grandi cerchi nel cielo. Che meraviglia!

Le emozioni però non sono finite, me lo sento, e avrei potuto scommetterci dal momento che subito il mio sguardo si incanta su un gruppetto di Camosci. Uno più bello dell’altro.

C’è il Camoscio sentinella che mi guarda tra lo stupore e la preoccupazione. C’è il Camoscio curioso del quale spunta solo il muso da dietro un grande masso. C’è mamma Camoscio con Capretto, Camoscio unicorno che ha perso uno dei due cornini, Camoscio pigrone che se sta accovacciato su una pietra sporgente e diversi Camosci sportivi che corrono tra un arbusto e l’altro.

Mi fanno sorridere, sono dolci e simpatici allo stesso tempo ma… non sono gli unici a correre.

Girandomi verso sinistra ho la fortuna di cogliere la suggestiva corsa verso cresta di tre Caprioli e un Cinghiale. Mi danno immediatamente la sensazione di “convivenza felice”. Due specie totalmente diverse. Chissà se si stanno totalmente disinteressando l’uno degli altri o se si riconoscono tra loro e stanno assieme per volere. Penso che sia uno dei tanti segreti della natura e non ho bisogno che mi venga svelato. Lo amo per quello che è.

Ho amato quel momento per quello che era e per quello che mi ha dato e, non lo nego, mi ha fatto molto ridere. Erano intenti a correre, come per allontanarsi da qualcosa, ma non erano terrorizzati e questo mi ha sollevata.

Finito quello spettacolo per il quale non ho dovuto pagare nessun biglietto continuo a costeggiare i miei monti.

Dietro ad una curva, che vedo ancora lontana, so esserci il Passo della Mezzaluna ma non riesco a immaginare la sua bellezza da questa prospettiva pur conoscendo molto bene quel luogo al quale sono molto affezionata.

Non riesco a immaginare che, ancora una volta, sarà in grado di lasciarmi senza fiato.

Prima di giungere alla mia meta incontro vecchi casoni dei quali sono rimaste solo rovine.

Il sole ora batte in modo più intenso. Una fontanella dalla quale sgorga acqua ghiacciata fa apparire quel posto come il ricordo di un antico villaggio. Ci sono ancora le piatte ciappe di Ardesia dei tetti e alcuni travi in legno ricoperti oggi da un muschio chiaro e soffice come quello che ho visto su molte rocce.

Qui mi fermo assaporando con l’animo quello che queste vecchie dimore suggeriscono. Un Corvo Imperiale si libra nell’azzurro e, mentre mi passa sopra la testa, posso vedere bene tutta la sua nera e scintillante bellezza.

Sono in cima ad una delle tante vette che mi circondano. Posso ammirare una vasta parte della mia Valle e tutta quell’immensità nitida e piena di vita mi arricchisce.

Qui non ci sono pensieri, non ci sono turbamenti, solo emozioni forti e meravigliose.

Alcune me le regala un’Albanella Reale. Che uccello stupendo! E’ una femmina e presenta delle chiare tinte ocra e avorio sferzate da righe nere. E’ a caccia. Ha un volo particolare e a raso terra. Afferra qualcosa e si sofferma per mangiare. Un altro evento emozionante che mi godo quasi commossa.

Si è lasciata ammirare in lungo e in largo, sotto e sopra, davanti e dietro per tanti tanti minuti. Insomma, mi ha fatto un regalo davvero grande.

L’ultimo tratto che mi porta al passo mi fa camminare su un tappeto di neve ghiacciata. Serve fare attenzione e sfrutto le impronte degli animali più grandi di me come appoggio. Grazie!

Ed ecco lo spettacolo che stavo aspettando! Cavoli! Non l’avevo mai visto da questa parte e non l’avevo mai visto in questa atmosfera.

Oh! Si! Dovete sapere che la Natura muta in continuazione ad ogni stagione, in ogni mese e persino ad ogni ora! E ogni volta è una sorpresa incredibile.

Ora che sono giunta sin qui mi godo questa bellezza e poi mi preparerò per raggiungere un’altra meta. Verrete di nuovo con me ma questa è un’altra storia.

Alla prossima quindi, tenete gli zaini pronti!

Un bacio fortissimo a voi!

Il coraggioso e affascinante Scorpione

Qualche giorno fa me ne andavo a spasso per la Valle canticchiando una bella canzoncina tra me e me quando all’improvviso inciampai in qualcosa che per poco non mi fece ruzzolare. Abbassai lo sguardo e vidi che quello che avevo urtato con la mia zampina raffinata era nientepopodimenoché… una palla di sterco del mio amico rebattabuse (lo scarabeo stercorario), Metuccuecuje, per gli amici Metuccu. Ve lo ricordate?

Scarabeo Stercorario

Be’, nel vedermi lì con la sua preziosissima sfera di escrementi mi rimproverò col suo solito tono stanco e strascicato: «Potresti prestare un po’ più attenzione a dove metti le zampe, Prunocciola! Puff… pant… E poi non capisco proprio cosa ci sia di così allegro da dover cantare. Proprio no, non lo capisco. Uff…»

«Be’, sono allegra perché nonostante sia Autunno le temperature sono ancora miti e posso permettermi di gironzolare in lungo e in largo per la valle senza dovermi imbacuccare troppo. Mi spiace di aver dato un calcio alla tua palla di sterco, perdonami Metuccu. Come stai?»

«Io? Puff… che vuoi che ti dica? Come sempre. Non vedo altro che nero all’orizzonte» disse con un’alzata di zampe.

Se togliessi quella busa da davanti ai tuoi occhi, forse vedresti anche qualche colore, avrei voluto dirgli, ma lo tenni per me. Invece gli risposi: «Dai, Metuccu! Non puoi dire così!»

«Che vuoi che ti dica? Sempre le solite cose, sempre tanto lavoro da sbrigare… pant… uff...» si lamentò.

«Piuttosto, già che ti vedo, ho da chiederti una cosa…»

«Eh… vedremo se posso risponderti.»

«Siamo entrati astrologicamente nel segno dello Scorpione: cosa mi dici di questo segno, tu che sai tutto sugli astri e sui loro movimenti?»

Metuccu sbuffò e fece un cenno con la zampa, come a voler scacciare qualcosa di invisibile: «Gli astri non sono altro che luci utili a orientarsi, Prunocciola, ma se proprio vuoi che ti racconti qualcosa… eh, che vuoi che ti dica? Ti accontenterò.»

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Quando fa così lo prenderei a colpi di ghianda, ma mi trattenni anche questa volta.

Con aria un po’ trasognata lui proseguì: «Segno misterioso, lo Scorpione, il più enigmatico di tutto l’Oroscopo. Una leggenda antica racconta che Dio chiamò a sé tutti i segni dello zodiaco per assegnare loro diverse missioni. Allo Scorpione disse: ‘A te affido il compito di purificare ed eliminare gli ostacoli. Dovrai rimuovere e far morire tutto ciò che impedisce la realizzazione del mio piano divino, cosicché venga dato spazio a tutto ciò che è puro e nobile. Ecco che allora comincerai da te stesso: imparerai a morire e rinascere dalle tue ceneri, poi insegnerai all’uomo a fare altrettanto. Affinché tu possa assolvere il tuo compito, ti dono i talenti della Volontà, dell’Intuizione e della Rinascita: usali con Amore e non dimenticare che intolleranza, eccessivo individualismo e passioni incontrollate saranno grandi ostacoli lungo il tuo viaggio.‘ Questa è la missione di chi è nato sotto questo segno, e cioè in una data compresa tra il 22 di ottobre e il 21 di novembre.»

via lattea Valle Argentina 2

«Molto interessante, Metuccu! Quando si tratta di astrologia e astronomia, sei sempre fenomenale!» dissi per incoraggiarlo.

«Puff… che vuoi che sia, Prunocciola? Che vuoi che sia? Ciò che so è solo un bruscolo di polvere nell’infinito Universo. E qui, su questa terra nera e umida, ho così tanto da fare, così tanto lavoro da sbrigare… uff

Metuccu è proprio un inguaribile “vedo-tutto-nero”, non c’è niente da fare. Lo esortai allora a continuare per distoglierlo dai suoi pensieri pessimisti e lui riprese il suo affascinante racconto:

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«Lo Scorpione è un segno d’acqua, elemento legato al ventre materno, alla vita e all’inconscio. Di tutti i segni è quello che dimostra una grande potenza nei sentimenti, anche se lo nasconde con abilità. Sono individui ambiziosi, gli Scorpione, e riescono là dove molti falliscono, proprio perché hanno coraggio da vendere e tanta di quell’energia che… be’, potrebbero donarne un po’ a me, che son sempre così stanco… uff. I loro intenti sono sempre ricchi di potenza e ardore, non lasciano mai nulla di incompiuto e, anzi, hanno una gran voglia di sperimentare ogni cosa nella loro esistenza. Ancora non capisco come facciano… uff… a non stancarsi! Lottatori nati, sono amici e protettori leali in caso di bisogno. Ovviamente io non ho avuto la fortuna di avere un amico Scorpione, come sarai in grado di vedere benissimo da te. Ma, ora che ci penso… sono anche temibili nemici, soprattutto quando si scatena la loro ira. Se si abbandonano a sentimenti di offesa e ingiustizia, possono covare risentimento, gelosia, malvolenza… dopotutto l’aracnide che lo rappresenta ha un pericoloso aculeo avvelenato, e quel veleno, se non riesce a uscire, alcuni nati sotto lo Scorpione lo rivolgono a se stessi. Un segno affascinante… E’ ingegnoso e risolve facilmente i rompicapo, ha una pazienza illimitata, una grande resistenza fisica e una spropositata dose di coraggio. Lo Scorpione è un saggio consigliere, poiché riconosce subito i punti deboli e quelli di forza di chi gli sta davanti. Le energie spirituali di questo segno provengono da Sirio e dalla Stella Polare: queste due maestre fanno sì che il discepolo Scorpione debba affrontare le prove più complicate, le cosiddette Fatiche di Ercole. Il pianeta che lo governa è Plutone, l’antico dio degli Inferi, ma non solo. E’ anche il bellicoso e passionale Marte a dominare lo Scorpione. Inoltre, a differenza di quanto si pensi, il simbolo dello Scorpione non è solo quello dell’omonimo insetto, ma è rappresentato anche dall’aquila e dal serpente.»

«Davvero? Wow! Questa mi giunge davvero nuova, Metuccu!»

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«Eh, sì. Lo scorpione si nasconde nell’ombra, sotto terra – come il dio infero greco – pronto a colpire la preda: la stessa cosa accade a chi è nato sotto questo segno e non ha raggiunto una certa evoluzione personale e spirituale. L’aquila, invece, si libra in alto nel cielo, ha un volo potente: simboleggia l’uomo che si è rigenerato e si innalza ai massimi livelli spirituali, al servizio del divino. Per quanto riguarda il serpente, invece, è un simbolo di rinascita e rappresenta sia il male, gli impulsi terreni e materiali, che l’ascesa spirituale, la trasformazione in un essere più evoluto.»

«Questa volta mi hai lasciato senza parole, Metuccu. Devo proprio ammetterlo.»

«E meno male! Ho perso un sacco di tempo con questi racconti, Prunocciola, non posso fermarmi ancora. Eh… devo ancora fare tanta strada e lo sterco pesa, sai… Pesa tanto, ahimé. Vita grama, la mia…»

«Grazie per queste brillanti conoscenze, Metuccu!»

«Che vuoi che sia… che vuoi che sia!» disse. Era già lontano, con la sua palla di sterco davanti, la testa china.

Sarà anche un vedo-tutto-nero, ma quel che sa lui non lo sa nessun altro. Io vi saluto, topi! Un bacio astrologico a tutti.

 

 

La montagna regala anche monete

Quanti regali fa la montagna vero? Ve li ho descritti in lungo e in largo in questi anni ma non vi ho mai detto che regala anche soldi.

Nessuna ricerca e nessun metal detector amici, bensì, qualcosa di ben più suggestivo.

Io e altri topi si parte un giorno di buon mattino con la speranza nel cuore di fare qualche bella foto alle creature di Madre Natura.

La Valle Argentina è ricca di una fauna che purtroppo molti non conoscono ed essendo totalmente libera e selvatica non è detto abbia voglia di mostrarsi.

Neanche il tempo ci dava sicurezze. Avrebbe piovuto? Ci sarebbe stato il sole? Boh? È ovvio che anche il clima ha la sua importanza in fatto di avvistamenti. Non sapevamo nulla ma ci piace l’avventura e abbiamo tentato.

Abbiamo parcheggiato a bordo strada e siamo scesi dall’auto. Zaino in spalla, binocoli e macchine fotografiche. Si era comunque felici. Si stava bene.

La mia Valle mostrava una natura incantata fin dalle prime ore del mattino. Naturalmente si era perplessi e speranzosi allo stesso tempo. Stava iniziando a nevicare e un vento gelido sferzava i nostri musi. Ci incamminiamo. Facciamo i primi metri e uno dei tre topi assieme a me si accuccia verso terra per raccogliere qualcosa. La sua espressione era stranita e dopo poco esclama《Toh! Ho trovato 100 lire!》. Subito non gli abbiamo creduto e invece era proprio vero.

100 vecchie lire brillavano nella sua mano nonostante la polvere che avevano raccolto.

Ma dai! Non possiamo crederci!》dicemmo in coro tutti quanti e, il topo archeologo, avvicinandosi a me, mi regalò quel piccolo tesoro 《Tieni Topina, sono tue》. Ma che bellezza! Il fango e lo sterrato ci avevano appena offerto una specie di simbolo che ora era tra le mie zampe trattenuto caramente.

Guarda di che anno sono?》mi chiese topo fotografo.

1971>> risposi e, rapidamente, nella mia testa, l’addizione diede la soluzione “9” pensai. Il mio numero! Ma che… coincidenza! E voi sapete bene che non credo alle coincidenze. Non dissi nulla e misi via quella moneta per non perderla.

Ci dividemmo dopo qualche passo. Io e topo condottiero da una parte e gli altri due dall’altra. Guarda di qui, guarda di là, nulla… solo una Cinciarella mi diede la soddisfazione di rimanere immortalata nel mio obiettivo e neanche poi molto nitidamente visti la bruma e il vento.

Quando rincontrammo topo archeologo e topo fotografo ci dissero che anche loro non avevano visto nulla di che ma, proprio in quel momento, una coppia di Gheppi meravigliosi iniziò a sorvolare sulle nostre teste. Si lasciarono fotografare con la loro aristocratica apertura alare che planava sulle correnti del cielo, e poi andarono a posarsi contro la falesia di una Rocca dove probabilmente avevano il nido; chiamata da noi Rocca Barbone.

Con gli occhi a fessura, per non perderli di vista, cercai di inquadrarli e suggerire a topo amico dove si erano posati. Mi fece i complimenti perché era difficile vederli mimetizzati contro la roccia nuda. Wow! Ero riuscita anch’io a far qualcosa visto che di solito non vedo nulla neanche col binocolo e, in quei casi, la pazienza degli altri topi è pari a quella di Giobbe quando cercano di farmi adocchiare meraviglie. La magia delle 100 lire stava forse iniziando a fare effetto? Proseguimmo poi, tutti assieme, verso un altro Passo dove la neve decise di lasciare il posto al sole e la mattinata divenne ancora più splendida.

Non ci volle molto a vedere un mucchio di Camosci tutti assieme. Erano tantissimi e topo condottiero mi disse che erano anni che non vedeva una cosa così. Si rincorrevano sulla neve o stavano fermi in branco e, come ripeto, ce n’erano così tanti che ci hanno lasciato stupiti. Era bellissimo vederli su quella neve bianca. Vedemmo anche un Capriolo. Un’Aquila in lontananza, un Codirosso e persino un altro Gheppio, elegante rapace che ci affascinò con il volo definito a “spirito santo”, ossia quando sta fermo in aria, immobile, con le ali aperte. Non ci crederete ma fui io a vederlo per prima, inciampandomi nella neve col naso all’insù, e quindi venni promossa con il titolo di… – Avvistatrice di pennuti – (così suona bene direi).

Che soddisfazione! Non potete immaginare. È stata la mia prima volta. Per me era tanta manna ma ho visto soddisfatti anche gli altri birdwatchers molto più abituati ed esperti di me. Così soddisfatti che, alla fine, persino topo archeologo ha detto《Penso che quelle 100 lire siano state proprio di buon auspicio!》e mi sa che aveva ragione.

La natura non si stanca mai di regalare. Offre senza chiedere nulla in cambio ma forse percepisce l’entusiasmo come riconoscenza di chi la ama.

Mi sono divertita tantissimo, ho vissuto esperienze mai vissute prima e, per una che ama la natura come me, potete immaginare! Ma… chissà chi ha perso quelle 100 lire? Un passante? Un trekker? Un pastore? E quando? Da quanto tempo erano lì ad aspettare noi? Vi lascio libera la fantasia, io vado a prepararvi un altro articolo pensando che qualcosa di magico sempre mi accompagna!

Un bacio ricco.

Emozioni infinite – Al Passo della Mezzaluna

Fu come respirare per la prima volta.

Quando giunsi in questo punto, la gioia fu talmente tanta nel vedere la meraviglia del Creato che l’aria si bloccò per lo stupore nei miei piccoli polmoni, ma fu come se, per la prima volta, io prendessi vita.

Sentivo l’entusiasmo pervadermi e scalpitare dentro di me. Quasi mi venne da urlare: quell’euforia doveva uscire, insieme alla vastità, così pura, così verde, così… infinita di cui era testimone il mio sguardo. Infinita come le mie emozioni. Infinita fino al mare. I miei occhi luccicavano.

Vi starete chiedendo dove mai io sia andata per provare sensazioni così forti e ve lo dico subito, cari amici. Sono andata in un luogo molto particolare della Valle Argentina, dalla bellezza indescrivibile. Potete notarlo voi stessi attraverso le mie immagini. Sono andata al Passo della Mezzaluna. Vi consiglio, però, di venire qui di persona se, oltre ad appagare lo sguardo, volete risollevarvi anche l’animo e il cuore. Questo luogo ne ha il potere e, quindi, voglio darvi le indicazioni per raggiungere tanto incanto.

Dalla strada principale di Passo Teglia, ho zampettato all’incirca un’oretta per giungere qui, ma io sono veloce; in un’ora e mezza ci arriva chiunque attraverso un bel sentiero, pulito e ben delineato.

Dopo Drego (sopra Andagna) dapprima si sale, godendo di un bellissimo panorama, e poi si scende verso Rezzo, e ci si inoltra nella fantastica foresta di Rezzo, chiamata anche “Bosco delle Fate” proprio per via del suo straordinario fascino. Dopo Drego troviamo qualche curva e poi, proprio in una di queste curve, sulla sinistra ci imbattiamo in una placida fontana non più funzionante: ecco l’inizio del sentiero da prendere, segnalato nella zona di Caselle Fenaira.

Sul cartello leggerete anche il nome di Ciotto di San Lorenzo e oggi vi sto portando  proprio subito dopo questo Ciotto, luogo altamente mistico della Valle, ma del quale in questo articolo non vi svelerò nulla.

Oggi, infatti, mi trovo al fantastico Passo della Mezzaluna, uno dei più belli della mia Valle. All’inizio del sentiero ci troviamo a 1351 mt s.l.m., ma, una volta giunti al Passo, raggiungiamo i 1450 mt s.l.m.

Si cammina immersi tra esemplari di Faggi meravigliosi che, tra le rocce ricoperte di muschio verde scuro, in alcuni punti, mostrano un paesaggio degno delle leggende celtiche e irlandesi. Il bosco in certe zone è scuro, ombroso, pare avere un piglio albagioso, ma molto affascinante e ricco di energia positiva e sacra. Il sentiero è largo, ci si passa comodamente anche con una moto da trial o in mountain bike. C’è solo un tratto un po’ difficoltoso, anche se molto molto breve (10 mt appena), che da fare con le due ruote risulta abbastanza ostico. E’ un tratto roccioso, dove ci sono massi alternati a creare una specie di parete sulla quale ci si deve arrampicare un pochino, ma persino le vecchie nonnine riescono.

Il Passo della Mezzaluna è così chiamato in quanto forma proprio la sagoma di una falce di luna tra le vette di due monti verdi ricoperti di pascoli incontaminati e baciati dal sole. Sono di un verde pallido, a differenza delle mucillaggini che ricoprono il suolo percorso in precedenza. E’ un verde che si alterna all’ocra, al giallo e al marrone del fieno e dell’erba, colorando di sfumature pastello tutta quella meraviglia cangiante a seconda delle stagioni.

Io, come sapete, sono grande quanto una castagna, ma al Passo mi sento ancora più minuscola e capiterà anche a voi, se saprete cogliere davvero tanta magnificenza. Una rara bellezza che si apre permettendovi di abbracciare con gli occhi e lo spirito quanto di più bello ci sia al mondo: Madre Natura in tutta la sua grandezza.

Un’apertura esagerata vi permetterà di cogliere gran parte di un paesaggio da veri amanti della montagna e non. Sì, perché farebbe innamorare chiunque. Tutto attorno ci sono monti di varie altezze: Monte Bussana, Cima Donzella, Monte Monega. E boschi, e più in giù colline, e continuando a scendere con lo sguardo ecco le vallate, e poi le città sulla costa, che da qui sembrano nugoli di formichine, e poi l’azzurro esteso e sconfinato del mare che bacia quello del cielo.

Ecco il mare di Albenga, dopo il Carmo di Loano e il mare di Imperia. Si possono vedere persino distintamente, a seconda delle giornate e delle condizioni atmosferiche, anche i profili scuri delle montagne della Corsica. Verso Nord, invece, è possibile ammirare l’immensità dei valichi, delle cime ancora più alte, dei sentieri, dei prati eterni colorati da cespugli di Rododenri, Crocus, Stelle Alpine e Cardi selvatici.

Di qua abbiamo la carrareccia che porta a Colle Melosa, di là, invece, si può proseguire verso il Colle di Garezzo percorrendo i Sentieri degli Alpini, le Vie del Sale, i cammini militari che hanno visto, un tempo, le azioni bellicose degli uomini, le loro ore in postazione o in marcia, su e giù per la Strada Marenca, per quei prodigi armoniosi naturali.

La pace, qui, è protagonista assoluta, una dolce compagna che ristora e rilassa. Corrobora i sensi ancor più di una tazza calda di cioccolata in una fredda sera invernale. Se fosse concreta, la si potrebbe definire maestosa, così imponente che neanche gli uccelli osano disturbarla. Solo qualche Aquila, ogni tanto, si permette di strillare e lasciarsi udire facendomi spalancare gli occhi in alto. I Corvi Imperiali se ne stanno sulle rocce più alte a gracchiare al nostro passaggio, sentinelle di un paesaggio che li rende guardiani perfetti e quasi incontrastati.

Topi… non so che altro dirvi. Quassù si ha davvero il cuore appeso a un filo di meraviglia. Vi tratterrei qui per giorni interi, ma non posso: devo farvi conoscere altri luoghi che meritano, perciò devo per forza salutarvi, ora, con un bacio e un sospiro innamorato.

Giorgio Cusin e il torrente Argentina

Cosa possono avere in comune l’autore di un bellissimo libro, che consiglio a tutti di leggere e il mio amato torrente? Vi dò un piccolo aiuto e l’aiuto stà proprio nel titolo di quella che è una meravigliosa relazione sull’acqua, uno degli elementi più importanti che ci circondano e che spesso sottovalutiamo troppo.

“Acqua – Fiume di vita”, così si chiama. E qui, il simpatico e bravo Giorgio, ci spiega tutte le proprietà dell’acqua, i suoi benefici e la sua importanza rivolgendosi a tutta l’acqua: a quella che beviamo, a quella del mare, a quella dei laghi, alla pioggia. E vedete, a costo di sembrarvi una pazza vi confesserò che, per me, l’acqua ha un’anima tutta sua, un’intelligenza propria e dei sentimenti.

Oh si! E cosa accade se unisco le scoperte, la passione e gli studi di un ricercatore torinese sul benessere psicofisico della persona, che considera l’acqua terapeutica, alla vita, talvolta impetuosa, talvolta placida, ma pur sempre presente del mio torrente che amo a dismisura? Dal quale non riesco a staccarmi rimanendo, ore e ore, seduta su quei massi bianchi ad appoggiare una mano sopra di lui e lasciarmi accarezzare. Sussurandogli dolci parole e ascoltando le sue risposte?

L’acqua. Sentirla accarezzarmi, sostenermi, aiutarmi, esserci. E lei c’è. C’è sempre. Dal punto più in alto, in questo taglio di Liguria, fino al mare, il mio torrente attraversa tutta la Valle.

E quell’acqua è splendente, brilla, ricca di sfumature azzurre o rosate. Accipicchia! A volte quel sole è così vanitoso e brillante da non permettere a quella fresca acqua di essere ammirata.

E bagnarsi le zampe, il viso… E’ fredda, limpida, fa rabbrividire. Ti sente, ti avvolge, porta con se’ tanta vita, tante emozioni.

E no, non sono impazzita ma cosa pensate di me se vi dico che prima di bere penso o bisbiglio belle parole? E vi spiego il perchè. Pensate ch’esse siano solo un insieme di lettere? Per l’acqua no. La parola – Amore -, ad esempio, è ben diversa dalla parola – Astio -. E lei lo sente, lo sente eccome. Lo percepisce come un bambino. A dimostrarlo, anche uno studio non indifferente proprio sulle molecole dell’acqua che… sì, si emozionano, nel bene e nel male. E allora, dopo aver usato come introduzione la bravura di Cusin, vi mostro alcune cose.

Guardate queste immagini tratte dagli studi di un ricercatore giapponese, Masaru Emoto, e una cosa non dimenticatevi: il corpo umano, così come il pianeta Terra, è formato da circa il 75% di acqua.

L’acqua ci ascolta, memorizza sul suo nastro magnetico le vibrazioni dei nostri pensieri e delle nostre emozioni e ci risponde nel linguaggio figurativo dei suoi cristalli“.

Quindi ecco, cari amici, nella foto a sinistra un’acqua che ha ascoltato la frase – TI AMO – (la coscienza delle persone contenute nell’amore e nell’apprezzamento, solo esprimendo amore e gratitudine l’acqua attorno a noi e nei nostri corpi cambia in modo così bello) e, dall’altra, un’acqua che invece ha sentito dire – IO TI UCCIDERO’ – (dopo aver esposto queste parole, la forma dell’acqua è risultata brutta, il cristallo era distorto, imploso e disperso, vivere in un mondo dove parole come queste vengono usate senza ritegno suscita sgomento).

Capite? E la stessa cosa vale con la musica. Guardate una canzone heavy metal come rende la nostra acqua. Una musica che può piacere, non lo metto in dubbio, ma è una musica dura, non dolce. Una musica che racconta probabilmente di ingiustizie, una musica diciamo, “violenta” (questa musica è piena di rabbia e sembra avercela con il mondo intero, di conseguenza, la base esagonale ben formata del cristallo si è spezzata in molti pezzi, non è che la musica metal è negativa, solo che ci deve essere un problema con il testo). Visto? Questo per la foto di sinistra, mentre, a destra questa volta, ecco il risultato di un’acqua che sta ascoltando una sinfonia di Mozart, la “Sinfonia n°40 in Sol Minore” e, attenzione, non perchè è Mozart, ma perchè è un tipo di suono soave, pacifico (questa sinfonia più di ogni altro lavoro di Mozart è una musica piena di sentimento che sembra inseguire la bellezza, Un pezzo do profonda riflessione che sembra quasi una preghiera alla bellezza, questa musica cura quietamente il cuore di chi l’ascolta). 

Qui, potete leggere meglio cosa intendo dire www.viveremeglio.org/acqua_emoto/water.htm

Bhè ecco, ora però, sarò più precisa. In realtà, ciò che ha sempre asserito Emoto, non ha nessun basamento scientifico e anzi, esso è stato accusato dalla scienza di essere un approfittatore disposto a raccontare le cose più stupide pur di guadagnarci soldi sopra. Ebbene, sia chiaro, a me non interessa cosa vuole farci credere il signor Emoto, ne’ tanto meno ho intenzione di farlo credere a voi. Penso semplicemente che quello che dice non sia del tutto falso. Un fondo di verità c’è. Probabilmente l’acqua non assume nessuna forma strana o diversa. Le foto che vi ho postato, che lo scienziato vuole mostrare al pubblico, mi sono servite per farvi capire. Nessuno dice che queste formazioni cristallizzate di acqua realmente si creano, ma sì, credo che l’acqua abbia delle proprie emozioni. E insomma, d’altronde, chi ci crediamo di essere per pensare che solo noi possiamo avere sensazioni ed emozioni? Che solo noi possiamo godere di empatia nei confronti di altri esseri viventi? Chi siamo per pensare che gli stati d’animo sono una dote che solo a noi appartiene? E l’aria, e l’acqua, e la terra, non sono nulla? Ora potete capire l’importanza del mio torrente? Questo scrosciare di vita perpetuo e di vibrazioni verso l’Universo? Una magnifica fonte vitale.

Capite bene che, a questo punto, se bevo pensando al bene, bevo acqua pura, buona, salutare, viceversa, se penso a qualcosa di brutto, o triste, o che mi fa arrabbiare, bevo acqua “negativa”. Che energia metto dentro di me? Al di là di tutte le teorie di Masaru che, comunque, considero interessanti. Volete forse dirmi che è un brutto pensiero il suo? Potrebbe farci male avere pensieri belli e positivi giornalmente? Direi di no.

E poi guardatelo. E’ qui, immortalato per voi. Questa è una parte del mio torrente, il torrente Argentina, che si trova nei pressi di Gavano. Guardatelo bene. Potreste forse dirmi che tutto ciò non ha un’anima?

Un bacione a tutti.

M.

Primi piani

Sono favorevole alle riserve di animali, ma non mi piacciono gli zoo. Non mi piacciono le gabbie piccole, quella rete intorno, soffocante.

È in questi luoghi che gli animali hanno espressioni rassegnate, annoiate e tristi. Sono stata recentemente al Parc Zoologique de Fréjus e lì gli animali hanno uno spazio vitale già migliore rispetto ai classici zoo. Hanno spazi grandi e aperti per potersi muovere, anche se non si tratta certo delle immense paludi della Florida, delle infinite praterie del Nord America o della savana africana.

Loro stanno lì, a farsi ammirare dalla gente che passa, sempre nello stesso luogo e sempre con i soliti passatempi ormai logori o sgualciti. I loro musi, però, nonostante tutto, mi affascinano.

Al di là del posto in cui si abitano, i loro sguardi, sicuramente meno felici in cattività, mi rapiscono, permettendomi di stare anche intere ore ad ammirarli senza mai stancarmi.  Rimarrei intere giornate appoggiata a un recinto cercando di immaginare a cosa stiano pensando, osservando attentamente le loro movenze e, dove c’è, far finta che quella rete metallica non esista.

Se fotografo uno di loro, non posso fare a meno di scattare anche un bel primo piano dello sguardo che, spesso, continua a essere infelice, ma anche fiero e orgoglioso.

Sono animali abituati a vivere in questi parchi, una volta liberi andrebbero incontro a morte certa e sono probabilmente convinti che, al di fuori di quei pochi metri quadri, non esista altro. È per questo, forse, che molti – azzarderei dire quelli di dimensioni minori – mantengono comunque la loro vera personalità. Quelli che hanno a disposizione un laghetto e un isolotto grandi a sufficienza, se li dividono in zona notte, zona giorno, zona bisogni, zona nursery, e scavano e lavorano e manipolano sempre le stesse  cose e sempre nel medesimo punto. Anche in natura sfrutterebbero gli spazi conosciuti.

Il problema reale, secondo me, si incontra con gli animali più grandi. Per rendere felice un’antilope, ad esempio, bisognerebbe offrirle un prato chilometrico. Per la fierezza di un puma occorrerebbe un’intera collina; inoltre, quei luoghi palustri di acqua verde e muscosa non bastano, ci vorrebbero dei piccoli torrenti d’acqua limpida e corrente che formino delle polle, ogni tanto.

Ciò nonostante, come vi dicevo, tanti ti guardano dall’alto al basso, quasi con superbia, una superbia naturale, l’unica a poter essere ammirevole in natura. È un’espressione che amo poter portare con me tramite immagini e, come lei, tante altre. Attimi che fanno capire quanto sono simili a noi e proprio con gli occhi ce lo dimostrano.

Gli occhi persi nel vuoto, come ad aspettare un qualcosa che non arriverà mai; gli occhi curiosi, che cercano la provenienza di un rumore; gli occhi assonnati, soprattutto nelle ore più calde della giornata; gli occhi profondi, infiniti, che ti cercano e, quando ti trovano, ti osservano, ti puntano, senza paura, senza rancore, attenti e, spesso, quasi fiduciosi. Ci sono anche gli occhi menefreghisti dell’animale pigro o decisamente spocchioso, al quale non importa della tua presenza. Puoi provare a chiamarlo in tutte le lingue del mondo, cercando d’indovinare quella del Paese dal quale proviene, ma per lui, in quel momento, sei soltanto un microscopico moscerino, magari anche fastidioso, per giunta.

Spettacolari, invece, sono gli sbadigli, gli starnuti, i movimenti delle palpebre, le pieghe del manto a seconda dell’espressione, gli arricciamenti del naso. Anche la coda, le zampe, il corpo intero sono affascinanti, ma il muso mi tocca profondamente. Gli erbivori, con quelle labbra in stile Anna Mazzamauro, sempre alla ricerca di cibo, ti solleticano il palmo della mano; i carnivori si puliscono i baffi, la bocca e il pelo con leccate da dieci minuti l’una; i rettili, alcuni impassibili, mantengono l’espressione del “sicuramente non mi ha visto”, altri invece, muovono gli occhi così veloci da una parte all’altra che sembra stiano seguendo una partita di ping pong tra campioni del mondo. In realtà cercano di tenere tutto sotto controllo, stando sempre all’erta.

Nei nostri parchi, le specie animali sono sempre le stesse e le più comuni. Nel parco del Fréjus – che si visita in auto, data la sua grandezza – ci sono circa 82 tipi diversi di animali. Sono tanti, ma in realtà si contano in questo numero anche le razze di uccelli, che popolano diverse zone del parco.

Ho passato l’intera giornata a scattare con la macchina fotografica quello che loro stessi mi permettevano, e gli scatti che qui vi propongo non sono granché, ma rimarranno comunque un bel ricordo.

Alla gente intorno a me bastava lanciare un biscotto all’animale di turno e andarsene, oppure proferire qualche battuta per poi allontanarsi dal recinto senza osservare con attenzione, senza pensare. Perdonatemi, forse avrò i paraocchi, ma mi sono chiesta più volte che cosa ci facessero lì quelle persone e perché avessero deciso di venire a vedere gli animali. Non possiamo ammirarli come nella loro libertà, ma possiamo comunque studiarne il comportamento, i modi di fare, le tecniche, le abitudini.

Lo scimpanzé ruba il pezzo di mela al compagno, che si è distratto un attimo.

Signora Avvoltoio scruta tutti, incavolata a prescindere, perché sta aspettando che il suo cucciolo esca dal guscio ed è impaziente.

Il leone “dice” alla leonessa: «Piantala di stare sdraiata lì, davanti a tutti: vergognati! Vai dietro la pietra!», e lei, mesta, si alza e lo segue senza proferire parola.

Le tartarughe litigano.

L’agnellino, pur di ricevere una carezza, si butta in picchiata tra i massi.

E poi ci sono le recinzioni al cui interno vive un’intera comunità.

La maggior parte delle persone tende a fermare il suo sguardo sull’esserino più impavido e ardito, quello che picchia tutti per arrivare primo a prendere il biscotto, quello che si mette in pole position distraendoti, per essere ammirato, quello che, soprattutto se si tratta di una scimmia, ti allunga la mano e con quel suo ondeggiare di dita ti ipnotizza, facendoti il gioco di Giucas Casella. Ma non c’è solo lui, non è l’unico. Se spostiamo un po’ lo sguardo – senza offesa per il protagonista – possiamo accorgerci del cucciolo al quale la mamma sta facendo un’accurata toeletta, notiamo che il biscotto che abbiamo lanciato e nessuno ha preso è diventato, in realtà, il premio per l’ultimo, laggiù in fondo, che sta nascosto sotto la foglia.

C’è chi boccheggia, ma non si avvicina, perché emarginato dal gruppo e chi, invece, ci prova, ma viene immediatamente scacciato. Impariamo a osservarli con più attenzione.

E poi i colori, i loro manti, la livrea. Se osservati con attenzione sapranno lasciare senza fiato. Ognuno di loro ha delle tonalità ben definite e  sfumature impressionanti. Anche un geco, nel suo grigio, se contemplato saprà stupirvi. Come può, la natura, essere così perfetta nelle righe di una zebra o in quelle di una tigre? Bianche e nere o arancioni, sembrano disegnate, grandi e piccole, e ognuna lascia spazio all’altra.

Come può, un pavone, possedere quello smerigliare di tinte in una sola piuma, quel metallico fluorescente che diventa argento sotto i raggi del sole?

Com’è possibile che un animale sia completamente bianco, ma abbia le zampe nere, oppure tutto grigio e con la coda rossa? E, soprattutto, può darsi che lo stesso animale cambi il tono del manto in determinate occasioni o periodi dell’anno!

Tutto questo è fantastico.

A parte la coda, che per certi animali è la parte più folcloristica, spesso è proprio il muso o, se vogliamo, la testa, a offrire il meglio di sé e non solo in quanto a colori, ma anche per quanto riguarda la cresta, le corna, i ciuffi di pelo intorno alle guance, le orecchie, davvero buffe a volte, i denti in bella mostra… Ci sono righe o pois che in quel determinato punto si accentuano o diventano più piccoli, come a volerci i stare tutti; macchie che dipingono il contorno occhi e la tinta stessa dell’iride: un arancio intenso, un verde smeraldino, un nocciola tenue, ognuno con una pupilla dalle mille forme. E torniamo agli occhi, quelli che, se guardati bene, sono contornati da ciglia, piccoli peli o, per gli uccelli, da microscopiche piume. Ci sono occhi scuri, grandi, dolci, che ci fanno pensare all’animale mansueto, e gli occhi chiari, vitrei, piccoli, che ci fan credere che quella bestiola sia feroce e inavvicinabile. Gli occhi parlano, è vero, ma tutto dipende anche dal rapporto che può nascere con quel determinato animale. Personalmente, non mi avvicinerei mai a un orso, nonostante i suoi teneri occhioni scuri; preferisco di gran lunga una lucertolina innocua con gli occhi color del mare!

La parola avvicinare mi fa venire in mente che sarebbe stato il massimo poterli accarezzare e avere con loro momenti diversi da quelli che possono essere soltanto un “ti guardo” e un “guardami pure”, ma ovviamente questo è impossibile. Inoltre, non ho né il coraggio né la capacità che possono avere parecchi personaggi televisivi che non conoscono la paura e sopportano il dolore. In più, sono così piccola che qualsiasi esemplare di fauna, in quel luogo, avrebbe potuto fare di me un sol boccone, solo l’elefante si è spaventato un po’! Se davvero fossimo tutti grandi come dei topolini, la maggior parte degli animali ci sembrerebbe enorme, ma penso che non sarebbe male se imparassimo a guardarli così, se pensassimo di avere meno supremazia su di loro. Potremmo usare l’intelligenza che ci è stata donata in modo più costruttivo  nei loro confronti. Per fare questo, a parer mio, bisognerebbe imparare a osservare. Come tra esseri umani è meglio ascoltare, piuttosto che parlare, anche con loro – ne sono convinta – si dovrebbe lasciare più spazio al silenzio e utilizzare gli sguardi  attraverso i quali loro sapranno risvegliare in noi tanti altri sensi sopiti e tante altre emozioni.

Non è possibile rimanere indifferenti davanti a tanto splendore. Sono meravigliosi.

So che questi animali li avete già visti tantissime volte,  ma mi piacerebbe se li osservaste e ammiraste. Anche se possono sembrare banali, conosciuti, di tutti i giorni.

A volte penso che loro ci scrutino più di quanto possiamo vederli noi, ma lo fanno con discrezione, tanto che noi non ce ne accorgiamo. Sono sicura che, se potessero parlare il nostro stesso linguaggio, saprebbero perfettamente ripetere come eravamo vestiti o pettinati o riconoscerci in un mare di folla. Davvero!

Ricordatevi: non approfittate mai di loro, nemmeno se chiusi in una gabbia.

Bene, a questo punto non mi rimane altro che augurarmi che abbiate potuto avere, oltre che una buona lettura, anche una buona visione!

Come sempre, dalla vostra – questa volta zoofila – Pigmy.

M.