Candido Queirolo, eroe della Resistenza

Ho parlato molte volte della guerra che coinvolse anche la mia Valle e che vide protagonisti i miei convallesi in più occasioni e battaglie.

Tra gli eroi che fecero la Resistenza ce n’è uno che dà il nome a una via di Arma, una via centrale per di più, a sottolineare l’importanza di questo personaggio al quale è intitolata: Candido Queirolo.

Egli nacque a Taggia nel 1915. Si attivò molto, partecipando alle organizzazioni clandestine antifasciste a partire dal 1936 e negli anni Quaranta fu lui insieme a dei compagni a fondare i primi gruppi di partigiani della provincia di Imperia. Sempre in quegli anni, quando la guerra infuriava, cambiò il suo nome in Marco, con il quale assunse il comando di un distaccamento garibaldino molto attivo in ambito provinciale.

Queirolo combatté con successo a Briga Marittima e condusse i suoi uomini alla conquista della postazione nazifascista a Santa Brigida, presso Andagna.

Tuttavia le sue gesta non finiscono qui, topi, nossignore! Dopo un combattimento all’ultimo sangue, distrusse anche un’altra postazione nemica, quella di Stormina di Triora. Nel 1944 fu comandante insieme ad altri e guidò i garibaldini nello scontro di Carpenosa. A proposito di questo episodio, va detto che i nostri costrinsero alla fuga i nemici, che pure erano in maggioranza e avvantaggiati da un’equipaggiamento migliore. Che tempra, questi topi d’un tempo!

I suoi uomini combatterono anche nella presa di Molini e di Triora, così come in Valgavano, a Badalucco e a Carmo Langan.

Il 14 agosto 1944 Queirolo,  insieme ad altri Partigiani, era accampato vicino Bajardo, nel versante rivolto ad Apricale. Lì c’erano molti tedeschi. Si racconta che giunse sul posto un giovane, annunciando l’arrivo dei nazifascisti in paese. Queirolo allora, insieme a  Giuseppe Gaminera detto Garibaldi, che ha testimoniato questo racconto, decise di attaccarli. Si spostò nella zona dove presumeva che i nemici sarebbero passati per andare ad Apricale. Tuttavia, nell’udire le raffiche di mitra, i tedeschi non avanzarono, anzi, tornarono sui loro passi e si appostarono dietro una delle numerose chiese che si trovano nei miei luoghi. Queirolo corse verso il luogo degli spari e fu colpito da una raffica che lo ferì gravemente. Venne soccorso da un medico, ma le sue condizioni erano troppo gravi, tanto che morì poco dopo. Oggi il suo nome riposa, insieme a quello di altri compagni, su una lapide commemorativa nel borgo di Bajardo che recita così:

“Ad eternare nella storia il sacrificio dei garibaldini Marco, Alfredo, Blengino. Barbaramente trucidati dai nazifascisti il 14 agosto 1944 e in segno di riconoscimento a coloro che per la libertà del proprio paese seppero cadere da prodi. I cittadini di Baiardo questa lapide posero. Baiardo 14 agosto 1945.”

Insomma topi, quanta storia tra le mie montagne! Sono pronta a spolverarne altre per voi, squit! Torno a girovagare e intanto vi lascio uno storico e coraggioso saluto.

La vostra Prunocciola.

Tre Monumenti e un Bastione

Girovagando per il paese di Taggia e dirigendoci verso Piazza della Santissima Trinità, arriveremo, discendendo dalla Valle Argentina, in uno slargo… “dove gira l’autobus”… direbbero i taggesi.

Una grande aiuola, davanti alle Scuole Elementari e Medie, è ulteriormente arricchita da tre splendidi monumenti che, questo borgo, ha voluto dedicare ai suoi caduti.

E’ davanti a loro che un tempo, si radunava il Coro “Le voci della Valle Argentina” a intonare canzoni e inni in ricordo di guerra e libertà.

Il primo è una grossa pietra in onore degli Alpini con tanto di cappello, stemma e picozza. Sul davanti, una lastra di marmo bianco riporta la scritta “a ricordo di tutti gli Alpini” mentre, sul lato destro, un’altra scritta dice così: “a memoria di padre generoso, fratello tra fratelli, Alpino con Alpini, fu appoggio e sostegno a chiunque a lui si rivolse. il gruppo. 26 maggio 1968“.

Pochi passi più avanti invece, un’austera aquila su una rocca, simbolo di forza, spiega le ali orgogliosa al di sopra dell’elenco dei Martiri della Libertà, anch’essi deceduti in guerra e, un mucchio di fiori di pietra, fanno da cornice. Tra i suoi artigli, la pergamena con la data di questa creazione. Ancora 1968.

La fierezza dei taggesi però va oltre. Non è finita.

Accanto a quest’ultima memoria, ecco la più grande di queste tre opere d’arte. Il monumento dedicato a coloro che vengono considerati eroi, morti o dispersi, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il bianco prigioniero che appoggia i suoi piedi sulle scritte in stampatello “vittorioso – libero – grande” Tre aggettivi che, da soli, bastano a rendere l’idea. Ma, il giovane scolpito e con le mani incatenate, è situato sopra a tutti i nomi di quelle persone che hanno dato la vita per la propria patria e, davanti ad ogni individuo, l’abbreviazione di ciò che era a livello di gradi militare.

Ai figli caduti per la Nazione, Taggia, ne consacra l’immortalità.

Tanti i fiori che lo circondano e, dietro, alcune Palme e un Pino Marittimo, gli fanno da sfondo.

Il viso della statua è rivolto verso l’alto, quasi a cercare aiuto dal cielo, unico appiglio rimastogli e, con il corpo quasi nudo, è coperto solo da un cencio sui fianchi.

Tutte e tre queste sculture circondano un’antica Fortezza che oggi sta nel bel mezzo di questo praticello. Sto parlando del Bastione del Ponte.

Questo Bastione che difendeva la ormai scomparsa Porta di Castellaro è rimasto isolato dopo la demolizione delle mura lungo il torrente Argentina.

Si chiudeva qui la cerchia di mura disposta durante la seconda fase di costruzione delle difese cittadine che inglobava una parte della città non ancora densamente abitata.

Una grata ci proibisce di entrare al suo interno ma si può notare, come fosse un tempo, un antro scuro dal quale si controllava per difendere il paese.

Delle scale ormai completamente rovinate salgono e sembra quasi di vedere come delle piccole stanze dove, forse, riposavano le guardie.

In autunno questo Bastione è ricoperto di foglioline rosse appese agli alberi attorno e che spariscono poi, durante l’inverno, lasciando una ragnatela di rametti morti ad avvolgerlo che sembrano arabeschi.

Al di fuori, un’altra stretta scalinata, permetteva di giungere sulla sua cima.

Non è altissimo ma, un tempo, quando le case non erano palazzi, questa altezza bastava per tenere tutto sotto controllo.

In Taggia non è l’unico. Ogni angolo era protetto e controllato da una di queste Torri.

Ci sono infatti anche il Bastione del Gombo, il Bastione Grosso o dei Berruti e quello della Biscia. Sono tutti punti fortificati per difendere la città. Delle vere fortezze.

Sono storici, affascinanti e non si toccano. Sono anch’essi l’emblema di questo antico posto.

Da qui, si può giungere facilmente al Ponte Romano, il ponte che da il nome a questo Bastione e a Villa Curlo, il Palazzo di cui vi ho parlato qualche articolo fa, quindi, corro.

Non perdo tempo, mi aspetta un nuovo fantastico post da scrivere su uno dei ponti più antichi della storia (beh… quasi!).

Voi nel mentre, godetevi questo.

Un arrivederci a presto, vostra Pigmy.

M.