Al di sopra delle porte dell’antico Monte Gerbonte (1727 mt) tra le falesie di una delle zone più impervie dell’Alta Valle Argentina, nasce un Rio al quale sono molto affezionata in quanto attraversa luoghi splendidi del mio mondo e seguirlo è sempre una meraviglia.
Nasce tra rocce severe, accarezzando scogli grigi, ma il suo percorso offre poi scenari davvero particolari che ogni volta mi incantano.
Sono diversi tra loro, a volte dolci e morbidi, a volte rudi e spogli ed è difficile far ritorno alla propria tana quando si è nei pressi delle sue acque che rapiscono l’animo.
Si tratta di Rio Infernetto che taglia il sentiero dei Parvaglioni (e cioè dei Larici Monumentali della Foresta del Gerbonte) dando vita ad una natura florida e spettacolare.
Ma ci sono punti in cui attraversa rocce aguzze e sporgenti, austere e taglienti.
Le attraversa placido, con le sue acque linde, per poi tuffarsi in cascatelle impetuose come a dare maggior vita a se stesso e al Creato che lo circonda.
Lo si può infatti incontrare calmo, a formare pozze, oppure vivace, mentre allegramente scavalca grandi massi, sorpassa ponti, si infila in canali di pietra e bagna rive.
Rio Infernetto è tutto questo e anche di più.
Splendido, in qualsiasi stagione dell’anno.
Il punto che preferisco è il suo arrivo dove forma una piccola laguna che in estate è abitata dai Gerridi (i Ragni d’acqua) e le Libellule.
Una laguna cangiante, dalla bellezza che lascia senza fiato sia in estate che in inverno.
Qui l’acqua è così trasparente che si può vedere il fondale e diverse piante scendono a cascata a far da cornice.
Le rocce le danno una forma circolare ed è come essere in un piccolo paradiso.
Il silenzio avvolge, rotto soltanto dal canto di qualche uccellino cordiale.
Trovo molto divertente il modo di fare di questo rio.
In alcuni tratti luccica al sole come a volersi far ammirare in tutto il suo splendore, altre volte invece appare cupo, sembra voler nascondere qualche misterioso segreto che solo chi lo ama profondamente può scoprire.
Sa nutrire ma anche proteggere.
Grazie a lui, molta natura viene alimentata e sono tante le esistenze che prendono vita grazie al suo scorrere perpetuo.
Fiori di ogni tipo spuntano per primi già nei mesi ancora freddi per lasciare poi il posto a quelli più grandi e colorati dell’estate.
Un ciclo che si ripete manifestando la bellezza della Natura.
Enormi foglie sembrano ninfee e molte creature del bosco si abbeverano mentre lui scende a Valle sereno.
Le rane depongono le loro uova nei suoi piccoli laghetti. A loro basta un palmo di acqua e, in certi punti, Rio Infernetto è proprio la tana ideale per anfibi e rettili acquatici.
Anche il Gambero di fiume adora questo piccolo torrente perché offre nascondigli adatti alla vita che conduce questo raro crostaceo d’acqua dolce. Raro perché, purtroppo, non ce n’è più una quantità come un tempo ma qui, gli esemplari rimasti, riescono ad ottenere il loro habitat ideale per vivere e riprodursi.
Amano infatti nascondersi e avere angolini bui dove stare tranquilli e adorano anche una certa vegetazione.
A proposito di questo il Rio Infernetto cambia persino colore sapete?
Il muschio e le alghe gli conferiscono sfumature uniche.
Ci sono zone in cui la sua acqua sembra azzurra come il cielo e nei suoi abissi diventa blu cobalto… ma in altri punti invece è verde come gli smeraldi.
Le rocce si specchiano in lui grazie alla sua limpidezza.
Nascendo tra le alte vette che circondano Borniga, osservando i Bastioni rocciosi del Monte Gerbonte, non può certo inquinarsi.
Lì tutto è arido, pulito, roccia pura, ricca di minerali.
Luoghi in cui un tempo vivevano uomini primitivi in profonde grotte e, oggi, queste montagne, sono vissute solo dagli animali più agili e selvatici.
Dove passa Rio Infernetto tutto è selvatico.
E’ sicuramente una delle parti più selvagge della Valle. L’Alta Valle Argentina. Ed è di una bellezza mozzafiato.
Questo rio incontra il Torrente Argentina poco prima del paese di Creppo.
Al di sopra di alcune delle sue incredibili forre si può vedere gran parte della vallata manifestarsi a Sud, verso Loreto, e il panorama è incredibile.
Dona libertà, senso dell’infinito. Permette di vedere le mie amate montagne.
Sono sempre felice quando giungo nei pressi di questo torrentello.
E’ la vita che si mostra e illumina il mondo.
Fa questo effetto anche a voi vero?
Ma ora vi mando un bacio Topi!
Ci vediamo alla prossima meraviglia della Valle! A presto!
Ottimo, perché oggi vi porto in un luogo davvero “barbaro” anche se, ovviamente, stupendo!
No, tranquilli, non è difficile da raggiungere. E’ il mondo che mostra ad essere severo, arido, ricco di alte falesie, di grandi rocce nude, di burroni, di arbusti intricati… è un pezzo di Valle che lascia senza fiato per via di quella Natura incredibile, austera e meravigliosa al tempo stesso, abbracciata da panorami mozzafiato.
Andiamo sul Bric dei Corvi… nessun nome fu più azzeccato.
Il Corvo Imperiale è un grande uccello nero molto presente in Valle Argentina e sorvola le più alte vette.
Tra questi faraglioni e pietraie, dove i rapaci più impavidi ricercano cibo e gridano nell’azzurro del cielo, i Corvi accompagnano con il loro gracchiare la mia passeggiata.
Su Bric dei Corvi ci si arriva direttamente da Borniga facendo poca strada oppure, come ho fatto io, da Borniga si scende prima a Bric Castellaccio e si risale a Bric dei Corvi percorrendo un anello.
Ho preferito fare così per allungare il mio cammino, osservare più meraviglia e passare tra gli antichi ruderi di Borniga Sottana, un’antica frazione che oggi non esiste più, ma è bello vedere dove vivevano un tempo i nostri predecessori e osservare dove costruivano i terrazzamenti che gli permettevano di coltivare, di tenere il bestiame e riporre provviste per uomini e animali.
Inoltre, posso a lungo godermi il mio caro Monte Gerbonte che regna sovrano in quello spendore, mostrando la sua imponenza e la sua secolare foresta.
Da Bric Castellaccio, dopo aver osservato una Sella (Tholos) e cioè un riparo d’altri tempi simile ai Nuraghi sardi, ai Trulli pugliesi o alle Casite dell’Istria, inizio a salire percorrendo un sentiero pietroso e aperto che mi dona una vista spettacolare sull’Alta Valle Argentina.
Passo anche sotto a qualche Roverella ma cammino per lo più in spazi aperti dove il sole di questa bellissima giornata mi scalda anche la coda.
Come al solito, qualche Cincia e qualche Fringuello, incuriositi dal mio passare, mi cantano dolci canzoni da sopra i rami.
I ruderi della vecchia Borniga posso vederli subito affacciandomi da un crinale che fa venire i brividi. La Valle sembra molto profonda da qui ed è come toccare il cielo con un dito.
Le fasce sono pulite si contraddistinguono bene.
Sono delle linee, perfettamente orizzontali, sulla montagna. L’erba è chiara in questa stagione e le pietre dei muretti fuoriescono da quelle tonalità ancora invernali proponendosi agli occhi di chi guarda.
Continuo a salire avvicinandomi a quella parete tratteggiata. Le costruzioni in pietra mostrano una forma cubica e non sono piccole. Alcune sono anche unite tra di loro.
Sopra la mia testa c’è invece la nuova Borniga e io la sto raggiungendo per poi salire sul Bric dei Corvi.
Passo per un sentierino stretto sorpassando rocce nude che sovrastano arbusti.
Tra di loro si nascondono le prime Lucertoline coraggiose che cercano di scaldarsi dopo la stasi invernale. Sono furbe e veloci anche se ancora assonnate.
Bric dei Corvi appare frastagliato come un diamante grezzo che ancora deve essere lavorato.
La vetta del Bric (1260 mt) è inconfondile. Il mio amico Harald Philipp, noto biker (mtb) della Valle Argentina, ha posizionato su di lui delle colorate bandierine tibetane rendendo quel luogo ancora più affascinante.
Una colonna di pietre a forma di cupola arricchisce quello che oggi appare come un sereno santuario di preghiera e tutto infonde calma e pace.
Mi incanto guardandomi attorno.
La sella di Collardente si palesa con la sua fila di alberi messi ben in riga. Sembra la cresta di un gigante con i capelli a spazzola. E’ bellissima.
Davanti a lei il Saccarello e poi il continuo della Catena Montuosa principale della mia Valle.
Molti dei miei monti sono qui, attorno a me.
Posso anche vedere Bric Castellaccio, lo spunzone di roccia sul quale mi trovavo prima. Rimane in basso adesso e, da qui, ne posso vedere la forma a panettone.
Altri denti rocciosi si innalzano nel vuoto, sono appuntiti, nudi e mostrano tutta la severità delle rocce più dure.
Sono in un luogo bellissimo, quasi mistico, e intendo godermelo fino in fondo.
Quindi… me ne starò un po’ in questo silenzio adesso.
Vi mando un bacio, ci vediamo al prossimo articolo!
Si ritorna a viaggiare per la mia splendida Valle e a scoprire luoghi magici dal profumo antico che affascina e lascia di stucco. Come ad essere in un’altra dimensione.
Sono incantata e non vedo l’ora di condividere con voi questa gioia. Non accadeva da tanto tempo, visto il mio lungo letargo… abbiate pazienza… però, ora, seguitemi perché un posto fiabesco vi attende per mostrarsi in tutta la sua umile ma attraente bellezza.
Un posto che non vi concederà di venir via tanto facilmente, vi terrà nel suo morbido abbraccio silenzioso e ricco di meraviglia.
Sotto la più nota Realdo, borgo caratteristico e assai suggestivo dell’Alta Valle Argentina, affacciato a strapiombo sulle falesie che incorniciano Rio Sant’Antonio, c’è una piccola frazione che non ha nulla da invidiare alle altre.
E’ circondata dalla pace e da Castagni secolari, da orti ben curati e al di sotto di lei scorrono le limpide acque del Torrente Argentina che ne ravviva l’anima.
Sono a Case Carmeli Topi! E oggi vi porto con me in un tour mozzafiato!
A circa 1.000 mt s.l.m., in un angolo appartato della mia Valle, sboccia un gruppetto di case prevalentemente in pietra, un tempo nido di parecchie persone che si dedicavano soprattutto alla raccolta delle castagne da vendere verso la costa.
Terrazze pianeggianti e pulite, abitate da grandi Castagni, circondano questo minuscolo paesino e accoglievano molti anni fa i mulini dove quei frutti venivano lavorati e trasformati in farina.
C’è persino un campo da bocce sotto l’ombra di questi alberi. Un campo da bocce come se ne vedono molti nei dintorni dei borghi della mia Valle.
Sgattaiolo sopra a quelle foglie che adesso, durante la fredda stagione, dopo essere cadute in autunno, scrocchiano sotto le mie zampe. Un terreno ben diverso da quello che poi troverò tra le dimore, realizzato in ciappe di ardesia come i tetti antichi che qui ancora sorgono.
Tra i terrazzamenti spunta un’edicola bianca dedicata alla Madonna che, negli anni, ha ricevuto diversi restauri. Il culto mariano, nella mia Valle, è sempre presente e mai viene dimenticato.
Man mano che mi avvicino al mucchietto di case sono ora gli orti con la terra arata e soffice ad accogliermi. Orti piccoli ma numerosi e importanti.
Sembrano sistemati da poco e, non so perchè, mi mettono allegria.
Queste piccole distese scure fanno capire che esiste, tutt’oggi, una quotidianità.
Ebbene, che ci crediate o no, da circa tre anni, a Case Carmeli vivono un’arzilla coppietta e un signore che hanno deciso di ripopolare questo luogo anche se, umilmente, raccontano di essere una quantità assai scarsa. Io invece ne sono felicissima e quel numero, considerato “povero” da loro, mi sembra già una ricchezza!
Fino a qualche anno fa, infatti, Carmeli era completamente disabitato. Le persone utilizzavano le loro seconde case solo in estate. E lo fanno ancora ma, oggi, qualcuno ci vive tutto l’anno e ha persino disposto delle – Case Vacanze – per accogliere eventuali ospiti.
Ora, come vi ho preannunciato prima, cammino su questa pavimentazione storica realizzata dalla mano di uomini che costruivano ogni cosa.
Se alzo il muso verso l’alto posso vedere case splendide, ancora ben curate. Verande, balconi e travi riempiono i miei occhi. E non mancano i messaggi di “Benvenuto” vicino alle porte d’ingresso. Qui, sono tutti cordiali.
Arrivati a Case Carmeli ad accogliervi saranno i padroni del paese e cioè gattini dall’espressione furba che lì vivono felici e liberi formando una simpaticissima gang. Sono abbastanza socievoli ma anche guardinghi e io, che sono un Topo, devo dire che apprezzo il loro osservarmi da lontano e avvicinarsi con estrema cautela.
A dire il vero, arrivando dalla stradina principale, comoda e asfaltata, la prima cosa che vedrete sarà una fontana in pietra, con una tettoia in legno.
Si tratta di una fontana dedicata a Edoardo Alberti, un anziano muratore della Valle Argentina, nato a Realdo e considerato una memoria storica.
Poi ecco lo svolgersi del borgo. Il sole lo bacia ovunque.
Illumina anche gli attrezzi per coltivare, le ringhiere che proteggono, le canne e i bastoni che servono nelle campagne.
Gli arnesi sono appoggiati ai muri. Alcuni sono arrugginiti mentre altri sembrano essere stati sempre usati. C’è davvero di tutto: seghe, rastrelli, imbuti, mestoli, vanghe, carriole…
Solo alcuni carruggi restano in ombra. Sono carruggi brevi, fatti di scale e antri.
Diverse porte in legno conducono a delle cantine.
Al posto della ringhiera, una grossa corda è utilizzata come scorrimano. Per non cadere. I gradini sono ripidi in effetti.
Troviamo ancora qualcosa dedicato alla Vergine Maria accompagnato da una frase assai conosciuta nel mio mondo: “Oh passegger che passi in questa via volgi lo sguardo a salutar Maria”.
A volte si legge anche: “Oh pellegrin che passi da ‘sta via, non ti scordar di salutar Maria”… il significato non cambia.
A Carmeli ci sono una piccola piazzetta, aiuole e vasi ovunque, staccionate e… i miei adorati monti tutt’intorno.
Al di sopra di quei tetti, laggiù in fondo, posso ben vedere, stagliati contro il cielo, la statua del Redentore e il Monte Saccarello che svettano sopra Verdeggia, ultimo paese della Valle Argentina.
Così vicina alle mie montagne, questa frazione, regala scorci davvero particolari e penso riesca a farlo in ogni stagione dell’anno essendo già bellissima in inverno, periodo dai colori più spenti e opachi.
Sulle rive del piccolo rio che costeggia Carmeli da un lato, cioè Rio Paves, la Natura è già desta e vispa pur essendo gennaio. Quei raggi luminosi rendono tutto più tiepido e piacevole.
Alcune Lucertoline corrono sulle pietre adesso calde e, con sorpresa, noto persino la presenza di qualche Cincia Bigia abbastanza rara da vedere.
Appare simpaticissima con il ventre bianco e tondo come una pallina e il caschetto nero sulla testa. Il suo “Tciùùùù”, che emette di continuo, mi fa alzare lo sguardo verso il cielo terso e sotto ai balconi degli edifici adiacenti al rio.
Chi alloggia qui ha davvero una splendida vista su un gran pezzo di Valle! Un panorama da invidia! Forse anche la Cincia, dall’alto dei rami spogli, si sta godendo questo spettacolo.
Decido di continuare a guardare meglio e più da vicino quelle case. Le viuzze sono poche ma permettono di raggiungere ogni abitazione.
Non ci vuole molto a girare per tutta la borgata ma sono diversi i punti in cui soffermarsi ad osservare, annusare e immaginare il passato.
Le scale non mancano e sono tutte circondate da erba e fiori che stanno nascendo per festeggiare, in largo anticipo, la primavera.
Intorno a Carmeli, infatti, ci sono già le Violette, la Veronica e tantissime Primule a regnare con il loro giallo che spicca tra quelle tinte marroni.
Queste Primule, nate qua e là, circondano anche il vecchio lavatoio. Oggi di acqua non ce n’è più nelle sue due vasche ma lui è ancora lì, in memoria di mestieri antichi che incuriosiscono.
L’acqua la si può comunque ottenere dalle varie fontanelle che ci sono sparse per il paese. Piccole ma molto caratteristiche.
Anche il lavatoio, raggiungibile grazie ad un breve sentiero, è circondato dai Castagni e da quelle terre silenziose.
Siamo molto vicini alle cave d’Ardesia dell’Alta Valle e la presenza di questa pietra protagonista è assai nota anche qui. I portali, le vie, i gradini, i tetti… tutto la esalta. La si può vedere grezza oppure lavorata.
In Valle è la Regina nera della Natura!
Alcune case hanno più di un piano e parecchie sono state restaurate anche se l’atmosfera è rimasta quella di un tempo.
La maggior parte delle volte sono stati utilizzati materiali naturali per i restauri, come la pietra e il legno. Questo fa sì che il borgo resti affascinante e riporti ai tempi dei nostri nonni.
Notare il fumo di una stufa uscire da un camino e sentire odore di legna nell’aria è stato poi un vero tocco magico che ha completato quella bellezza.
Tra quegli edifici si continua ad affacciarsi sulla Natura che è davvero vicina e sfiora i muretti a secco e le strade. Non solo le rocce severe ma anche i fitti boschi sono proprio a un passo dalle dimore.
Partendo dalla costa, in un’oretta scarsa, si giunge dove il tempo si è fermato.
Ritrovo persino la Lunaria, che qui abbonda. Quando ero ancora una cucciola, la mia Topononna la usava essiccata per abbellire la nostra tana e la chiamava “Le Monete del Papa”.
Non vorrei più andar via da qui ma so che ho ancora tanto da scoprire e tanto da scrivere sulla Valle Argentina quindi mi devo incamminare verso la via del ritorno.
Non perdo l’occasione di guardarmi ancora intorno, come a voler immagazzinare tutto nei miei ricordi e immortalare con lo sguardo quella meraviglia, oltre che con la mia fida macchina topografica.
Quelle case, quelle piccole finestrelle con le persiane in legno chiaro… è come se mi salutassero e mi dessero appuntamento alla prossima…
Persino una Poiana viene a dirmi << Arrivederci! >> volando quieta, sulla mia testa, nel cielo azzurro di questa indimenticabile giornata.
Case Carmeli è un posto che tornerò a frequentare perchè mi è davvero piaciuto molto. E anche salendo a Realdo, o a Verdeggia, o a Borniga non si può non fare una tappa qui.
Ci si passa proprio davanti!
Saluto questo luogo che mi ha accolta splendidamente e a voi prometto che ci vedremo presto per il prossimo tour!
Restate con gli scarponi nelle zampe mi raccomando!
Oggi Topi, grazie al periodo di primavera avanzata nel quale ancora siamo, posso portarvi in un luogo davvero magico. E’ magico perché è bellissimo di suo ma, ora, lo è ancora di più grazie ad un verde vivacissimo e la fioritura di tantissimi fiori che rendono questo ambiente degno di tutta l’invidia di Walt Disney.
E’ infatti come camminare in una fiaba.
La Natura sta dando il meglio di sé in un trionfo di fiori, colori e profumi.
I doni sono tanti, di mille tinte e mille forme, ma uno sguardo particolare lo daremo alle splendide Peonie selvatiche che non crescono ovunque, ma ovviamente qui si, perché siamo in un paradiso.
Non siamo proprio in Valle Argentina ma sul suo confine.
Andremo sui monti che la incorniciano e che si possono vedere da ogni suo punto. Che partecipano a renderla meravigliosa.
Andremo verso montagne aspre, soprannominate addirittura le “Dolomiti Liguri” e visiteremo una Gola che sembra uscita da un film fantascientifico.
Severa, erta, profonda. Dalle pareti rocciose che la circondano, alte e colossali.
Partendo da Colle Melosa e più precisamente dalla Fontana conosciuta come “Fontana della Forestale”, qualche tornante più su della più nota “Fontana Itala”, ci dirigeremo verso il Monte Toraggio (1.973 mt) passando per la Valletta e fermandoci poi alla Gola dell’Incisa. Sarà proprio qui, attorno ad un sentiero scavato nella roccia un’ottantina di anni fa dai militari, che potremo godere di un panorama meraviglioso e una natura incontaminata.
La parte apicale di questa Gola presenta un Eden infinito che lascia a bocca aperta, delineato da questo percorso sul quale siamo, a picco sull’abisso. Si tratta del famoso “Sentiero degli Alpini”, oggi malridotto in certi punti, pericoloso a causa della mancanza di protezioni a valle e il suo essere molto stretto e persino inaccessibile dal lato, appunto, del Toraggio.
Per arrivare qui, infatti, siamo passati dal lato del Monte Pietravecchia (2.038 mt) che ci permette di camminare su un sentiero meraviglioso, prettamente pianeggiante e che sembra in molti tratti un lungo prati circondato da alberi lussureggianti.
Soltanto verso l’arrivo diventa più selvaggio ma resta adatto a tutti.
Oltre il bivio della Gola l’accesso invece resta adatto agli impavidi, i quali, dirigendosi poi verso l’immenso potranno godere dei fiori rari che vi ho citato prima: le grandi, rosa e magnifiche Peonie, simbolo di affetto, amore, generosità e abbondanza.
Qui siamo al Passo dell’Incisa, a 1.684 mt e siamo in un luogo che ha vissuto molta vita militare in passato. Quei costoni impervi che la formano sono stati palcoscenico di difese, osservazioni e battaglie.
Le rocce sono stratificate e, in alcuni punti, formano i famosi flysch dei quali spesso vi ho parlato e che troviamo in diverse zone della mia Valle, i quali donano alle pareti rocciose un’apparenza ancora più rude.
Stare qui è bellissimo. Viene in mente il titolo “Dove osano le Aquile”. In realtà, pur essendoci i nobili rapaci, a regnare sono i Gracchi Alpini e Corallini. Sì, qui ci sono entrambe le specie ma i Corallini vivono solo qui mentre gli Alpini si possono trovare anche in altri luoghi lungo la Catena Montuosa del Saccarello.
Anche gli insetti che svolazzano sembrano più coraggiosi di altri. Adattati a un luogo che può apparire ostile ma che ha davvero tanto da offrire.
Pensare ad un ritorno in tana fa quasi male, si vorrebbe restare a godere di questa pace e di tanta magnificenza ancora per molto tempo. La parola – tempo – mi porta con la mente al clima. Qui è davvero bizzarro e imprevedibile.
Si parte con il sole e un cielo terso, poi arriva la nebbia, piove ma spunta il forte vento e ritorna il sole a splendere con i suoi raggi che abbronzano. Se vi avventurate da queste parti vi consiglio di portarvi tutto l’occorrente dal k-way alla crema solare.
Ma in fondo… è anche questo il bello di questi luoghi e si potrebbe leggere come una generosità particolare da parte della natura che vuole offrirci tutto.
Spero che questo luogo vi sia piaciuto e che non vi siate stancati troppo perchè dovete prepararvi per la prossima escursione. Vi aspetto!
Avete mai fatto caso a come ci parlano le rocce Topi? Sicuramente utilizzano uno dei linguaggi più antichi di Madre Terra.
Le rocce appaiono tutte uguali per chi non sa osservarle ma non è assolutamente così. Ognuna ha il suo passato, ha visto e vissuto cose, situazioni, persone. Alcune hanno assunto col tempo forme strane e certe sembrano persino avere una personalità. Ma venite con me, andiamo a vederle da vicino e proviamo a fare la loro conoscenza.
Occorre prima di tutto sapere che in Valle Argentina si incontrano prevalentemente l’Arenaria e l’Ardesia ma molte altre pietre e altri minerali formano questo angolo del pianeta e, tutti, sono qui da tanti tanti anni.
Qualcuna forma gigantesche e severe montagne, altre, più umili invece, ma utili anche loro, sono oggi rocche o piani o poggi.
Se si va al Pin e ci si inoltra verso la Foresta del Gerbonte, le rocce che si incontrano e ci sovrastano sono così grandi e austere da farci sentire piccoli come insetti. Tra di loro passa l’aria della nostra voce e non è difficile godere del fenomeno dell’eco.
Sono rocce vecchie, sagge, padronali. Vere e proprie montagne che si sono formate a causa dell’orogenesi che c’è stata tantissimi anni fa, più precisamente tra i 90 e i 40 milioni di anni fa.
Si tratta di rocce contenenti anche materiali oceanici, come molte altre d’altronde, e diversi fossili ancora presenti soprattutto nei calcari argillosi e sabbiosi.
Sono alte falesie che godono di una vista mozzafiato su tutta la parte dell’Alta Valle Argentina.
Ad incutere timore, visto il loro aspetto severo, sono anche le pareti del Monte Pietravecchia così alte e massicce che dal basso non si riesce a vedere la loro fine e sembra riescano a toccare il cielo.
Accarezzarle significa ascoltare una voce profonda che esce dal cuore della terra e dopo la meraviglia iniziale si china il capo colmi di rispetto.
Queste rocce così possenti sono molto diverse da quelle fatte a guglia del Monte Toraggio, meta ideale di Gracchi Alpini.
Impertinenti e affilate svettano verso l’alto col quel fare presuntuoso. Forse perché sanno di essere su un monte maestoso e amato da tutti.
Di lui ne formano anche il profilo del viso di un uomo che, se visto da lontano, pare addormentato. Briose come le farfalle e le cicale che gli svolazzano attorno.
Restando in questi paraggi e andando verso la Gola dell’Incisa, proprio di fianco ad una parete del Toraggio, non si possono non notare i Flysch cioè stratificazioni di rocce sedimentarie che formano delle linee indicanti le alternanze cicliche.
Sembrano serpenti in rilievo in un moto ondulatorio. Dal Passo della Guardia a Verdeggia esiste un sentiero chiamato proprio “Sentiero dei Flysch”.
Prima di Verdeggia, subito dopo il Ponte di Loreto, grandi rocce chiare sono usate anche come palestra di arrampicata, si tratta di una falesia soleggiata chiamata appunto “Rocce di Loreto” alta circa 700 mt. a strapiombo sul Torrente Argentina.
Si tratta di rocce che hanno visto molta disperazione. Il Ponte di Loreto, per molti anni il ponte più alto d’Europa, è stato teatro purtroppo di diversi suicidi e non oso immaginare ciò che queste rupi hanno vissuto.
Verso il Passo del Garezzo, dove alcune pietre danno i natali al Torrente in un punto chiamato “Ciotto dei Fiumi”, si percepisce più dolcezza. Il Muschio e il Capelvenere conferiscono loro morbidezza e colore.
L’umidità delle frizzanti goccioline rende quel tratto di strada più allegro e alcune pietre sono più arrotondate consumate dal passaggio dell’acqua.
In quei pressi ci sono rocce più piccole a dare protezione e regalare un habitat naturale ai Camosci.
Sorvolate dall’alto da Aquile, Nibbi e Gheppi offrono nascondiglio anche a diversi animaletti spesso prede dei nobili rapaci.
Queste rocce mostrano l’apertura della Valle in tutto il suo splendore e sembrano formare una cinta difensiva. Se quelle che abbiamo visto prima potevano ricordare Alpini e Partigiani, queste rivelano le giornate di Pastori e Commercianti.
Al Ciotto di San Lorenzo, invece, si incontrano massi bianchi dalla forma cubica che hanno una lunga vita da raccontare piena di vicissitudini e misteri che riguardano popoli antichi e persino streghe.
Su di loro venivano sacrificati animali e il loro essere tozze e quadrate permetteva la costruzione di ripari, tombe e altari.
C’è anche Rocca Barbone, il dente anomalo della Valle. Col suo fare solenne spunta prima della Catena del Saccarello e sembra voler dire alle montagne più alte dietro di lei << Non mi volete tra di voi? E io sto qui lo stesso! >>.
Sul suo cocuzzolo un bel prato è il giaciglio perfetto per Caprioli e diverse specie di uccellini. Le sue pareti sono nude e aspre ma la sommità è un verde tappeto.
E poi, ovviamente, non posso non ricordarvi della mia dolce e materna Nonna Desia, la mia antica e saggia Nonna in Ardesia, che spesso vi ha raccontato al posto mio storie arcaiche della Valle e anche adesso è qui con me.
Vero Nonna? << Scì me belu ratin >> (Si, mio bel topino).
Prima di concludere questo articolo, però, ho voglia di farvi vedere ancora una cosa particolare e cioè le forme bizzarre che a volte le rocce della Valle Argentina possono assumere.
Guardate queste immagini. A sinistra, una parte di roccia che forma il Poggio del Foresto, dopo il paese di Corte, sembra avere la forma di un rapace, mentre a destra, sotto al paese di Borniga un’altra roccia sembra una Cicala. Non lo trovate buffo?
E voi avete mai notato altre strane figure tra le montagne di questo luogo magico?
Aspetto le vostre foto e intanto sgattaiolo a prepararvi un altro articolo interessante.
E allora scendiamo. Scendiamo da questa vetta meravigliosa che ci regala un panorama splendido sulla Francia e sulla Liguria. La vetta del Monte Toraggio.
Scendiamo da questi grandi massi chiari tra i quali, qualche simbolo cristiano, protegge chi crede in loro.
Siamo a 1.972 mt e ci aspetta un percorso stupendo, anche se un po’ ostico, per arrivare a Colle Melosa più precisamente dalla nota Fontana Itala.
Percorreremo il Sentiero degli Alpini, un sentiero militare realizzato intorno alla fine degli anni ’30, attraverseremo la suggestiva Gola dell’Incisa e torneremo nei boschi verdi dopo essere passati tra rocce e falesie aspre e severe. Siete pronti? Bene. Seguitemi.
Il volto rivolto verso le rocce per essere più abbarbicati e non perdere l’equilibrio. Abbandoniamo l’erba smeraldina e i fiori estivi.
Davanti a noi si prepara un paesaggio austero, prevalentemente grigio, che regala ancora panorami mozzafiato ma concede poco spazio alla vegetazione.
Salutiamo un’altra Madonnina, pare in bronzo questa, altro simbolo mariano assai usato su queste montagne.
Alcune rocce sono aguzze ma molto resistenti. Il sole è ancora alto nel cielo terso e, riflettendo su quei massi, quasi abbaglia.
Il sentiero in certi tratti è davvero stretto, così stretto che è stato collocato contro la roccia un cavo in acciaio per tenersi. Ancora una volta consiglio di non portarci i piccoli topini.
Chi soffre di vertigini non deve guardare in giù. La vallata pare non avere fine. Sotto alle zampe il vuoto immenso si apre, mostrando una natura che da quell’altezza appare lontanissima. E lo è. Nulla si ferma cadendo da lì. È bene non mettere le zampe sul ciglio del dirupo. Le nevi invernali sgretolano, di anno in anno, questo cammino e conviene stare attaccati alle pareti.
Le rare zone d’ombra che alcune parti di falesie stratificate regalano permettono brevi soste fino a giungere Fonte della Dragurina, e il suo omonimo passo, la stessa incontrata all’andata. Siamo a 1.810 mt.
Solo tra poco cambieremo percorso, facendo così una sorta di anello e, questa volta, attraverseremo la Gola dell’incisa.
Nessuno, osservando quel cielo celeste sopra di noi, può immaginare che una nebbia molto fitta la sta abbracciando, con il sole cocente incontrato finora, adesso, questa atmosfera rende ancora più suggestivo un luogo importante come quello.
I Gracchi Alpini volano attorno ai profili montuosi e il loro gracchiare rimbalza da una parete all’altra. Sono tanti, sembra di essere in un film.
Oggi la Gola è una frana e non è semplice da percorrere ma bisogna scendere da qui. Ci siete? Via allora! All’inizio pare abbastanza semplice e si possono ammirare i flysch alla nostra destra. Si tratta di livelli, rughe che si disegnano sulla roccia a segnalare la successione delle formazioni sedimentarie delle montagne.
Da qui si può vedere il Toraggio da un’altra prospettiva e guardare il suo profilo all’incontrario, rispetto a come lo si vede dal mare della mia valle è comunque meraviglioso.
Il Monte Pietravecchia, dietro di lui, appare altissimo da qui sotto e guarda il suo amico a ogni ora del giorno e della notte.
Le sue pareti sono di una bellezza indescrivibile e si adattano al free climbing con i loro 140/160 mt d’altezza offrendo meraviglie di flora e fauna.
Poi tutto si fa più arduo. Le pietre sotto alle zampe rotolano, non c’è più il sentiero bisogna fare forza sui muscoli delle gambe e mantenere l’equilibrio. Io che sono una Topina fortunata, l’ho scesa tutta, agganciata a uno dei miei Topo amici quindi la fatica l’ha fatta lui mentre io me la ridevo dietro alle sue spalle ma non diteglielo altrimenti mi finisce il gioco.
Gola dell’incisa è a 1.685 mt.
Le difficoltà non sono finite. Siamo ancora su un sentiero stretto che, a tratti, passa sotto a portici di roccia trattenuti da colonne posizionate appositamente.
Scavato nelle rocce calcaree, il Sentiero degli Alpini, realizzato negli anni ’30 (a parte alcuni brevi passaggi risalenti al periodo della Prima Guerra Mondiale) e considerato un’opera di grande ingegneria presenta tratti spettacolari nonostante lo strapiombo sul quale si sviluppa.
Siamo sull’Alta via dei Monti Liguri. Questo percorso militare, a tratti impervio, attraversa diversi emozionanti luoghi un tempo teatro di difesa e avvistamenti al motto di – Dei Sacri Confini Guardia Sicura -.
Alcuni punti presentano sorprese che mozzano il fiato. Il panorama è così immenso che lo sguardo fatica a raccoglierlo tutto.
Bisogna girare la testa di 360° e lasciarsi cullare da tanta bellezza tra i monti che concedono visuali splendide e mostrano il loro profilo.
Avvicinandoci all’arrivo si giunge nei pressi di una sorgente dalla quale sgorga acqua ghiacciata ma purissima. Io personalmente ho sentito il suo gusto un po’ metallico ma era davvero buona e soprattutto molto dissetante dopo quel caldo.
L’acqua gocciola veloce dall’alto delle rocce bagnate e due grandi vasche in cemento l’accolgono per dissetare probabilmente animali da pascolo. All’interno di questi contenitori rettangolari l’acqua è verde, piena di morbido muschio dal verde acceso, sembra uno stagno.
Abbiamo ancora da camminare ma ci siamo ristorati e abbiamo fotografato anche un Camoscio che ci osservava dall’altra parte della montagna.
E’ adesso che si entra di nuovo nel bosco. Nelle zone più verdi e lussureggianti abbandonando il brullo. Nelle zone ricche di fitta fauna.
Anche le montagne che ci circondano hanno cambiato aspetto. Sono più morbide, ricoperte da una coltre di alberi e sembrano di velluto.
Ritorna la vita come a ridestarsi grazie a quel fresco.
Il sentiero è nettamente più semplice e praticabile. Solo pochissimi metri sono trattenuti da pezzi di legno o pietre posizionate in modo da reggere al meglio e, già da qui, si può vedere la nostra meta.
Eccola laggiù. Fontana Itala. Fine o inizio di un’avventura meravigliosa. Siamo a Colle Melosa, qualche tornate sopra al Rifugio all’Allavena.
Un’avventura indimenticabile e che sicuramente riempie il cuore.
Mi sono divertita e meravigliata parecchio ma, adesso, con permesso, devo andare a riposare un po’. Immagino vogliate che vi porti da qualche altra parte molto presto, quindi vado a distendermi nel mio guscio di noce.
Vi saluto con un bacio panoramico e vi aspetto per la prossima escursione.
Per arrivare in cima al Monte Toraggio, 1972 mt, si può partire da diverse zone.
Esso infatti si trova tra due Stati, Italia e Francia, e tra le valli Nervia e Roja pur essendo simbolo amico degli abitanti della Valle Argentina che possono ben vederlo, ogni giorno, stagliato contro il cielo dell’Alta Valle e vivendoci attorno.
Io sono partita da Colle Melosa, dove un Camoscio mi ha subito salutata di buon mattino (non l’unico quel giorno), ho attraversato le pendici del Monte Pietravecchia, ho raggiunto il Passo di Fonte della Dragurina e sono arrivata al Toraggio. Proprio in cima.
Su quella punta chiamata “naso” perché, il Toraggio, visto dalla mia Valle, appare come il volto di profilo di un uomo addormentato. Il Gigante che dorme.
Alcuni o chiamano il “Napoleone che dorme” o il “Garibaldi che dorme” (vedendoci anche la barba lungo le falesie orientali del monte protagonista e questo perché, assieme al Monte Pietravecchia e al Monte Grai, forma il corpo (fino alla cinta) di una figura maschile, con tanto di mano appoggiata sul petto.
Quando si è lassù ci si sente più in alto del mondo e, di quel mondo, se ne vedono tantissimi pezzi che sembrano infiniti.
Della Liguria, terra nella quale siamo, si vedono i paesi dell’entroterra di Ponente, fino ad arrivare con lo sguardo al mare. E poi altri monti e creste e falesie.
Sono partita da un ambiente verdeggiante e c’era persino la nebbia, quel mattino, ad accompagnarmi.
Una nebbia che, prima di andar via, si è trasformata in acquazzone e sono stata costretta a ripararmi sotto ad una roccia che formava una piccola grotta intima e affascinante.
La natura, qui, mostra tutti i suoi caratteri da quello più morbido e dolce a quello più aspro e selvaggio che incontrerò avvicinandomi all’arrivo.
Ma anche attraverso il clima palesa tutte le sue qualità.
Sto percorrendo un sentiero fresco che mi permette di vedere l’ampiezza della vallata, molta flora, pascoli e persino qualche regalino lasciato da chi è passato prima di me.
Queste pietre disegnate si trovano spesso nella mia Valle come una specie di riferimento.
I Gracchi Alpini e qualche uccellino solitario mi tengono compagnia con il loro verso e il solo svolazzare. A volte spiccano il volo alla ricerca di cibo, altre volte giocano con il vento che, adesso, sta portando via tutte le nuvole.
Sul Toraggio, invece, sono minuscole e rare le zone d’ombra date unicamente da qualche solitario Ontano o un arbusto di Rosa Canina.
Il sole ora è cocente e risplende sulle rocce bianche e solide che vanno a comporre la sua punta frastagliata.
Il paesaggio è più duro e asciutto rispetto ai primi km percorsi in questo tratto dell’Alta Via dei Monti Liguri (complesso tracciato di oltre 80 km) dove il bosco rendeva tutto più umido e verde.
Fonte della Dragurina permette un po’ di frescura. In questo periodo di acqua ne produce poca e non è conveniente berla ma risulta utile per chi vuole darsi una rinfrescata bagnandosi le braccia o i capelli.
Vi consiglio vivamente di portarvi parecchia acqua da bere se volete intraprendere questa escursione.
Arrivati a questa sorgente si capisce che manca poco per giungere in cima alla meta ambita. Dopo poco infatti, dove alcuni sentieri si incrociano in uno spazio aperto di prato ecco la scritta che indica l’arrivo.
Si guarda in su e si può vedere la vetta attenderci. Quelle rocce così alte sembrano messe una sopra l’altra e la loro austerità è limata da un paesaggio che ricorda il cartone animato di Heidy. Fiori, farfalle, erba, spighe…
L’ultimo pezzo di salita, anche se breve, è da fare a quattro zampe arrampicandosi tra quei massi che lasciano poco spazio alla sosta. Alcuni punti possono intimorire. Non ci sono protezioni e i punti in cui si appoggiano le zampe sono così sottili da non permettere al corpo di incurvarsi o rilassarsi.
Chi non se la sente, per paura del vuoto o dell’altezza, può fermarsi più in basso godendo comunque di un panorama mozzafiato. Chi invece riesce a salire sul punto più alto rimane davvero strabiliato dal creato che si mostra ai suoi occhi a 360°.
Qui, una Madonnina bianca e azzurra sotto ad una croce, simboli della vetta, aspetta gli escursionisti più impavidi ed è già pronta a rimanere immortalata su tante foto che contraddistinguono la frase – Ce l’ho fatta! -.
È facile essere stanchi dopo aver percorso circa 8 km su pietre, salite e discese toccando anche il Sentiero degli Alpini per diversi tratti, per cui, occorre non esagerare e non sforzare troppo il proprio fisico soprattutto se siete topi che semplicemente si fanno una camminata la domenica. Vi consiglio quindi di riposarvi un po’ prima della discesa perché vi serviranno di nuovo tenacia, stabilità ed equilibrio.
È infatti un sentiero definito EEF (Escursionista Esperto Facile). Significa facile per un escursionista esperto ma più arduo per chi esperto non lo è. Sconsigliato ai piccoli topini.
Tanto non dovete preoccuparvi. A stare fermi lì non ci si annoia di certo. Già vi vedo con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata ad ammirare quello splendore.
Durante la salita non serve correre. Godetevi quei momenti e quella meraviglia. La natura è incantevole. Gigli, Cicuta, Ginestra, Vedovine, Fiordalisi alpini, Campanule e molti altri fiori si mischiano al verde chiaro e brillante dell’erba sottile che spicca a ciuffi.
In alcuni tratti di prato le Ortiche, le Roselline e i Cardi selvatici possono pungere le gambe ma nulla di drammatico.
In mezzo a tutti quei colori si innalzano molti profumi che penetrano le narici in modo deciso e anche tanti insetti vivaci e curiosi come le Cicale e le Farfalle, un’infinità di farfalle, che non hanno paura a venir vicino e stare un po’ assieme. Certi insetti invece sono davvero singolari. Mostrano colori o disegni geometrici sul loro esoscheletro che io non ho mai visto.
La pace è indiscussa soprattutto se ci si allontana leggermente dalla Madonnina (spesso circondata da parecchie persone) e si sceglie un anfratto tra gli scogli chiari per riposare o mangiare.
Siamo in alto e può capitare che la nebbia o le nuvole vengono a far visita come ho detto prima. Non temete potrebbero sparire nel giro di mezz’ora, a quelle altezze capita, e lasciare il posto nuovamente al sole, così caldo da obbligarvi all’uso del cappello e della crema solare.
L’appagamento è totale soprattutto se è un monte al quale siete affezionati come me.
Averlo sempre visto da fondo Valle e ora esserci sopra e poter guardare cosa osserva lui ogni giorno è indescrivibile. Fa uno strano ma piacevole effetto e, sicuramente, da oggi, ogni volta che lo vedrò stagliarsi nel panorama dei miei monti, in tutta la sua austera bellezza, lo guarderò con occhi diversi.
Il Toraggio è come un Re e appartiene alla Catena del Saccarello un importante insieme delle Alpi Liguri. La sua imponenza regna nei nostri cuori.
Quando si è lassù si può lasciare il proprio ricordo su un quaderno messo a disposizione che si trova all’interno di un contenitore tubolare plastificato. Si tratta di un quaderno pieno di scritte, nomi e pensieri. Bisognerebbe aggiungerne uno nuovo e avere altre pagine bianche per permettere ai futuri viandanti di lasciare la loro impronta. Quello che c’è oggi non ha più spazio ed è una cosa molto carina a mio parere. Ovviamente anch’io ho lasciato il mio messaggio e che si sappia che la Topina della Valle Argentina è giunta fin quassù.
Per ora ho finito e prima di scendere da qui rosicchio qualcosa. Mi raccomando, aspettatemi per la discesa, devo raccontarvi anche come si scende da qui e spiegarvi il percorso di ritorno, quindi, continuate a seguirmi.
Vi mando un bacio purissimo da una vetta altissima, alla prossima!
La giornata si è presentata cupa e uggiosa ma questo non mi ha impedito di uscire dalla tana per andare a conoscere un luogo fantastico che mi ha lasciata senza fiato e, ora che ve lo mostro, sono sicura che farà rimanere anche voi allibiti.
È subito dopo il paese di Corte che si apre ai miei occhi un mondo così bello da non credere. Monti pettinati, colorati da un verde cupo, pascoli altissimi che scendono dalle loro cime, ammassi rocciosi che spezzano la morbidezza di quel territorio e lo macchiano di grigio e bordeaux. Che meraviglia!
La bruma rende tutto più fantasy, quasi mistico, e questo mi permette anche di sognare.
Sono a Case Loggia e inizio a zampettare in salita su pietre a volte aguzze a volte arrotondate. Un percorso faticoso che sale parecchio grazie ai gradini di massi, ma so che arriverò poi al sentiero pianeggiante. Non ho preso la stradina che porta alla Rocca della Mela, ho proseguito e sono arrivata ai Casai; ora salgo ancora per raggiungere i Prati.
Qui, dove adesso appoggio le zampe, la natura è aspra anche se la Valle si apre ai miei occhi in uno spettacolo florido e lussureggiante. Si può vedere anche un antico altare di pietra.
Qualche Orchidea selvatica e qualche Primula colorano l’ambiente ma non posso fermarmi ad osservarle a lungo altrimenti non arrivo più a destinazione. Posso vedere Carmo dei Brocchi da una prospettiva nuova. Anche da qui è artistico. La sua cima è per metà prato e per metà bosco.
Un Cuculo mi insegue assieme a molte Prunelle e mi piace ammirarli, attirano la mia curiosità.
Se a destra ho la possibilità di vedere la mia Valle che sembra distesa con le braccia aperte, a sinistra monti più severi mi mostrano, circondandomi, falesie e corsi d’acqua che scendono a cascata. Purtroppo posso anche notare la disgregazione di una parte di montagna che ha formato una pericolosa frana qualche anno fa ma questo non rovina la bellezza del territorio.
Inizio a vedere molti Narcisi ma non posso immaginare che, da lì a poco, ne potrò ammirare prati infiniti. Una bellezza senza eguali e che non mi permette neanche uno 《Squit!》d’ammirazione da tanto che sono stupita.
Sono piacevolmente meravigliata, osservo quella natura che è riuscita a rapirmi ancora una volta ed è in quel momento che un’elegante coppia di Caprioli fa capolino uscendo dal boschetto di Conifere e avanzando sulle pietre. Non vi dico il mio entusiasmo!
Sono giunta al primo casone realizzato come una casella. Un tempo, queste costruzioni, servivano da rifugio o magazzino o luogo di pace e riposo per la gente di Corte. Ma che fatica arrivare fin qui portando con sé il necessario!
Ora, però, la parte più ostica è terminata e si prosegue su prati per nulla stancanti dove i Narcisi regnano. Sono sui “Prati”. Questo luogo di pascolo è conosciuto così e il verde è infinito.
Sono sopra alla Foresta dei Labari ma il mio tour non è finito e mi dirigo verso un bosco di faggi e abeti nuovo ai miei occhi. Ogni tanto gli alberi lasciano spazio a radure ricche di fiori e non è difficile sentire l’odore dell’ambiente selvatico che tanto mi piace. Questo luogo pullula di tanta vita, la flora è vasta anche se ad una prima occhiata non si direbbe.
Sulla strada del ritorno sono affiancata da piante di Ginepro piene di bacche (che hanno un nome bellissimo, si chiamano “coccole”) e Genziane e Viole che rallegrano con il loro bluette.
La striscia sottile di terra sulla quale cammino, mettendo una zampa dopo l’altra, è a tratti intersecata da massi che diventano sempre più umidi man mano che si scende. Alla fine del percorso, infatti, si arriva in un boschetto dal fitto sottobosco nel quale, sotto a grandi rocce nascono e sgorgano fonti d’acqua. È emozionante vedere dove l’acqua nasce. Vedere quella terra che, in quel punto, partorisce una fonte. Il latte nutriente del Creato che, lì, ha deciso di venire alla luce.
Sono arrivata di nuovo da dove ero partita compiendo questa specie di anello e direi di essere molto appagata e felice.
Un percorso adatto a tutti e che, sicuramente, nella sua prima parte, permette persino di tonificare i quadricipiti!
Che dite topi? Vi ho portato di nuovo in un bel posto vero? E allora aspettatemi per la prossima escursione.
Questa è la storia (vera) di due fratelli che vissero in Valle Argentina, precisamente nei pressi del borgo di Loreto, verso la fine dell’800 e i primi anni del ‘900.
I due fratelli, il cognome dei quali iniziava per L. ma non posso svelarlo del tutto, vivevano in due case di pietra in uno dei punti più rocciosi della Valle. Siamo in Alta Valle, oltre Triora e poco prima di Realdo, dove le lisce e alte pareti di roccia oggi permettono scalate a chi ama arrampicarsi.
Non c’era terra e le loro dimore erano state costruite su dei costoni che si affacciavano sul torrente.
Uno dei due, il più anziano, coltivava un piccolo pezzo di terra davanti a casa. Un appezzamento molto prezioso, in quanto di terra, in quel punto lì, non ce n’era per niente.
Un giorno, il fratello più giovane, passando vicino alla campagna del maggiore, permise alla propria capra di divorare un cavolo di quell’orto e questo fece arrabbiare così tanto il più grande che prese una grossa pietra e la scagliò contro il fratello più piccolo e irrispettoso, colpendolo proprio alla testa. Non lo uccise, ma si fece ugualmente circa otto anni di duro carcere. Una volta uscito di galera, tornò in quella casa e rivide il fratello. Per niente soddisfatto e ancora pieno di rancore, questa volta gli tirò una badilata sul viso, ma lo ferì solamente a un labbro e quindi non venne messo in gattabuia.
Viene subito da pensare che questo fratello maggiore fosse davvero una persona cattiva, violenta e rancorosa, ma io, senza giustificare né giudicare nessuno, vorrei porre l’attenzione su qualcosa che forse sfugge ai più, ma che riguarda tutta la mia Valle.
Partiamo dal presupposto che non si fa del male a nessuno, così evito eventuali incomprensioni. Come già sapete, sono contro la violenza di qualsiasi tipo e verso chiunque, però una cosa che al giorno d’oggi non riusciamo più a comprendere è l’immensa ed estenuante fatica che un tempo, soprattutto in certe zone della mia Valle e di tutta la Liguria, si compiva nel cercare di creare spazi pianeggianti atti alla coltivazione per evitare di morire di fame. La Liguria è una regione morfologicamente molto difficile da coltivare. La Valle Argentina è culla, inoltre, del monte più alto di tutta la regione (il Saccarello, 2.201 mt). Questo indica come la mia sia una Valle che, in pochi chilometri, dal mare giunge ad alte vette, quindi potete capire come sia aspra e scoscesa, seppure bellissima. Durante la costruzione di terrazzamenti e muri a secco, per creare le famose “terrazze liguri”, strisce di terreno nelle quali seminare ortaggi e grano, si faticava assai. Cumuli di terra e grosse pietre pesanti venivano trainati con sforzi disumani, in salita, per chilometri e chilometri o a braccia o con l’aiuto di muli che, spesso, sfiniti anch’essi, dovevano fermarsi a riposare. Una volta trasportato tutto il materiale in alto con sangue e sudore, si iniziava il lavoro: si disboscava o si spaccavano rocce e falesie (a mano!), si scavava, e non c’erano di certo le ruspe, si ergevano muri e poi si procedeva al riempimento con la terra che veniva poi battuta e smistata (sempre a mano!).
Ora, nonostante con questa spiegazione sia impossibile concepire veramente la fatica di quegli uomini, potete credermi se vi dico che ogni dono della terra, nato in quelle sottili strisce, era un tesoro dal valore inestimabile che permetteva il sostentamento.
Questo, lo ribadisco, non vuole giustificare l’atto del fratello maggiore, ma, proprio da chi è sangue del mio sangue, io non mi aspetterei un gesto così poco rispettoso come quello di far mangiare il mio cavolo a una capra che aveva ettari interi di bosco e brughiera nei quali sfamarsi.
Il gesto del fratello più grande, ripetuto poi attraverso la vanga, è sicuramente imperdonabile, ma non badiamo a lui per un attimo. L’importante, secondo me, è osservare con gli occhi dell’ammirazione e dello stupore quello che, oggi, nella Valle, ci circonda.
Quando notiamo le nostre montagne e le nostre colline trasformate in enormi gradini, soffermiamoci a pensare alla portata del lavoro di gente che ha sfamato anche i nostri nonni e i nostri padri. Se ci pensate bene, guardando questo territorio, ha davvero dell’incredibile.
Quando si associano i colori alla natura si pensa solitamente all’autunno, ma, ora che siamo in primavera, uscendo dalla mia tana mi rendo conto di quanta meraviglia colorata ci sia attorno a me.
L’autunno offre spettacoli incredibili di tinte accese, infuocate ed energiche, ma cosa vogliamo dire di questo periodo, che dona timide e delicate nuances? Il lilla, il rosa, il giallo, l’azzurro… E dell’estate, ne vogliamo parlare? Con quei tocchi sgargianti di rosso, arancio e blu! L’inverno, poi, regala sfumature più tenui di colori pallidi e gentili che riposano e sospirano.
Sapete bene ormai che io, a malincuore, di letargo ne faccio ben poco, altrimenti poi mi venite a bussare al tronco di castagno per chiedermi nuovi post, ma tutto questo ha anche il suo lato positivo perché ogni giorno dell’anno, ho la possibilità di svegliarmi e riempirmi gli occhi di arcobaleni! Oh sì! Anche tutto questo si chiama “Valle Argentina”!
E i suoi boschi, le sue falesie, i suoi doni, il suo mare, i suoi prati e il suo cielo propongono ogni dì una nuova bellezza. Colori che non solo si vedono, ma si respirano anche! Si percepiscono, si toccano! Sono colori che vivono con me. Non mi soffermerò a elencarvi le varie tinte come il marrone della nocciola, il verde delle foglie e il porpora dei mirtilli, voglio raccontarvi come possono, tali colori, estasiarvi.
Vedete: un conto è ammirarli, un altro è trovarvisi proprio nel mezzo. Io son piccina come una ghianda, a me riesce bene. Immaginatemi scorrazzare tra l’erba piena di fiori variopinti! Potete capire la mia meraviglia! Mi basta sostare sotto al piccolo fiore di un trifoglio per vedere tutto il mondo violetto. E lo sapete che solo di verde ce ne sono infinite tonalità?
Stavo pensando, infatti, che, come vi ho detto molte volte, persino il nome stesso della mia Valle è quello di un colore: “Argentina” da “argento”. Questo argento, però, è associato a un verde, quello degli Ulivi che sappiamo mostrare un verde argenteo quando le loro foglie sono mosse dal vento. Ma, guardandomi intorno, posso notare che questa particolare tinta è data anche dal Rosmarino, ad esempio, e dalla Lavanda, che l’argento lo ricordano parecchio. Per non parlare del brillio dell’Ardesia e dell’Arenaria… altro che argento! Può arrivare ad assomigliare a un luccicante… grigio topo… splendido colore! Vi pare poco?
E volete che vi racconti dei colori delle mie albe e dei miei tramonti? Ah no! Non posso! Solo un poeta potrebbe. Sono così splendidi e meravigliosi che non meritano di essere offesi da parole dal basso pregio perché, credetemi, quando i monti s’incendiano al sole, quando il cielo fiorisce di rosa, quando le nubi arrossiscono e il sole è come una grande arancia sospesa… be’… è tutto veramente meritevole di poesia.
Posso raccontarvi, tuttavia, qualcosa del blu notte che scurisce sopra il mio muso dopo il crepuscolo. Un blu quasi nero, che avvolge il firmamento e si veste di mistero. Un blu scuro che zittisce ogni cosa, che tutto spegne. Tranne le lucciole, che rifulgono beate in alcuni periodi dell’anno. E sono bellissime. A me tengono molta compagnia e mi permettono sempre di far ritorno in tana a qualsiasi ora. Dei minuscoli lanternini contro l’oscurità.
Allora topi? Cosa ne dite? Vi ho convinto a credere che, nella mia Valle, i colori siano grandi protagonisti e che sappiano mostrare anche qualcosa di magico? Lo spero, perché è davvero così.
Per adesso vi mando un colorato sorriso, vado a dipingere un altro post per voi.