La Valle delle Favole

Be’, topi, che dire? Io ho provato a dirvelo in tutti i modi che la mia Valle è degna dei più bei film fantasy, dei migliori romanzi e pare uscita da un libro di favole. Se non mi credete ancora, questo post è per voi. E se invece mi credete, tanto meglio: avrete di che rifarvi gli occhi.

Nel mio continuo girovagare per tutta la Valle Argentina, ho scattato così tante fotografie che non basterebbe una biblioteca per tutti gli album che potrei realizzare con esse. Qualche giorno fa mi trovavo a scartabellare tra le foto del mio topo-pc, quando mi sono accorta di una cosa… Per tutte le ghiande! C’erano degli scatti che parevano proprio usciti da una raccolta di favole! E allora  a ogni scatto che ho selezionato ho assegnato il titolo della fiaba che me lo ha ispirato, così vedrete se non ho ragione.

Hansel e Gretel

Un povero taglialegna abitava davanti a una gran foresta con la moglie e i suoi due bambini; il maschietto si chiamava Hansel e la bambina Gretel…”

hansel e gretel

Questa casa si trova a Monte Ceppo. È minuscola, tutta in legno, circondata da alte conifere e da un prato dall’ampio respiro. A me sembra un luogo surreale, magico, una di quelle capanne di cui si legge all’inizio dei racconti fiabeschi. Ed ecco che nella mia fantasia è diventata la dimora di Hansel e Gretel, ma non siamo nella Foresta Nera, topi! Siamo qui, in Liguria!

Cappuccetto Rosso

“C’era una volta una cara fanciullina che bastava vederla per volerle bene, ma più di tutti le voleva bene la sua nonna, che non sapeva più cosa potesse ancora regalarle. Le aveva fatto dono anche di un cappuccetto di velluto rosso, e siccome le stava che era un amore e si metteva sempre quello, fu chiamata Cappuccetto Rosso…”

Cappuccetto Rosso

Dai, devo proprio spiegarvela, questa? Parla da sé! Potevo, forse, non dare il titolo di questa celebre favola all’Amanita muscaria? Il suo cappello scarlatto spicca nel sottobosco, proprio come la mantella della bimba che tra gli alberi incontrò il lupo.

Biancaneve

“C’era una volta – era inverno e i fiocchi di neve scendevano dal cielo come piume – una regina che cuciva vicino a una finestra dalla cornice d’ebano. Cuciva e guardava ogni tanto la neve, ma poi si punse un dito con l’ago e sulla neve caddero tre gocce di sangue. Il rosso le parve così bello sulla neve candida che pensò: Ah, se avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano!”

Biancaneve

Una folata di vento basterebbe a portar via i semi bianchi di questi pappi fioriti di Senecio. E, quando volano, paiono davvero una nevicata candida e soffice, per questo ho intitolato la foto alla fanciulla dalla pelle bianca come neve, le labbra color di rosa e i capelli d’ebano.

La guardiana delle oche alla fonte

C’era una volta una donnetta vecchia, vecchissima, che viveva col suo branco di oche, in una radura fra i monti e là aveva una casetta…”

la guardiana delle oche alla fonte

Forse una favola poco conosciuta, questa, ma basta gironzolare alla foce dell’Argentina per notare quante oche vi abitino. Ed ecco che mi è subito balzata alla mente questa bellissima storia.

Rosaspina

“Nel paese si sparse la leggenda di Rosaspina, questo era il nome della Bella Addormentata, e ogni tanto arrivava un principe che cercava di attraversare la siepe per entrare al castello. Ma nessuno ci riusciva: i rovi lo stringevano in una morsa come se avessero avuto le mani …”

Rosaspina

Ci voleva qualcosa di acuminato, ma di altrettanto bello per rappresentare la favola della Bella Addormentata nel Bosco. Dunque, niente di meglio della Rosa Canina, non trovate?

La Sirenetta

Non c’era per lei gioia più grande che sentir parlare del mondo degli uomini sopra di loro; la vecchia nonna dovette raccontare tutto quanto sapeva delle navi e delle città, degli uomini e degli animali; soprattutto la colpiva in modo particolare il fatto che i fiori sulla terra profumassero e che i boschi fossero verdi…”

La Sirenetta

Va be’, è scontato, no? Il Mar Ligure, quello che incanta sempre tutti con la sua selvaggia bellezza. E sì, mi ha ispirato proprio La Sirenetta, quale altra favola, sennò?

La Regina delle Nevi

“Vola nella grandine e ricopre i campi di neve. Paralizza i fiori con la brina e ghiaccia i fiumi. Il suo cuore è di ghiaccio e vorrebbe che anche quello degli altri fosse come il suo.”

La regina delle nevi

Ebbene, quando certe zone della mia Valle, nel profondo dell’Inverno, si ricoprono di un candido manto gelato, pare proprio passata lei, la Regina delle Nevi, che allunga le sue dita di ghiaccio tra i rami dei larici e degli abeti, soffia bufere sulle cime più alte e adorna di stalattiti rocce, anfratti e alberi, dipingendo così paesaggi degni di una favola nordica.

La Bella Vasilisa

“Vasilisa camminò tutta la notte e tutto il giorno, solo la sera successiva giunse a una radura, dove si trovava la casetta della Baba Jaga…”

baba yaga.jpg

Baba Jaga è una strega davvero particolare e vive in una casa altrettanto peculiare. La staccionata che la circonda è fatta di ossa e la capanna può muoversi a suo piacimento, poiché è dotata di zampe di gallina alla sua base. Anche se la capanna che ho fotografato io non è altrettanto fantasiosa, mi ha ricordato la strega del folklore slavo. Di capanne come questa la mia Valle ne è piena, e ogni volta parrebbe ospitare uno stregone o una donna conoscitrice delle arti magiche.

Il Principe Ranocchio

“Un giorno che la palla d’oro della principessa non ricadde nella manina ch’essa tendeva in alto, ma cadde a terra e rotolò proprio nell’acqua. La principessa la seguì con lo sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita d’occhio. Allora la principessa cominciò a piangere, e pianse sempre più forte, e non si poteva proprio consolare. E mentre così piangeva, qualcuno le gridò: «Che hai, principessa? Tu piangi da far pietà ai sassi.» Lei si guardò intorno, per vedere donde venisse la voce, e vide un ranocchio, che sporgeva dall’acqua la grossa testa deforme.”

rospo

Non è affatto difficile imbattersi in polle d’acqua e rospi che sguazzano, nella mia Valle. Quando ho visto questo scatto risalente a qualche tempo fa, l’associazione con la favola è stata immediata.

Il Mago di Oz

«Ti chiami Dorothy, cara?»

«Sì», rispose la bambina alzando il capo e asciugandosi le lacrime.

«Quand’è così, devi andare alla Città di Smeraldo. Forse Oz ti aiuterà.»

«E dov’è questa città?» chiese Dorothy.

«Al centro esatto del paese e la governa Oz, il Grande Mago.»

[…] «Come faccio per arrivarci?»

«Devi camminare. È un viaggio lungo, attraverso un paese a volte ameno, a volte cupo e terribile. […] La strada della Città di Smeraldo è lastricata di mattoni gialli» disse la Strega. «Dunque non ti puoi sbagliare.»

Il Mago di Oz

Ok, questa non è una favola, ma un vero e proprio romanzo. Però ci sono dei luoghi, in Valle, che ricordano spesso la via di mattoni d’oro che conduce proprio a Oz, come nel caso di queste felci dorate a bordo sentiero.

Pinocchio

«C’era una volta…»

«Un re!» diranno subito i miei piccoli lettori.

«No ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e riscaldare le stanze. Non so come sia andata, ma il fatto fu che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname…»”

Pinocchio

Che volete che vi dica? Di ceppi ne ho visti tanti, così come di legna da catasta, ma questo in particolare mi ha ricordato il famoso burattino. Già me lo vedo a prendere vita sotto le mani amorevoli di Mastro Geppetto. Voi no?

Topi, il tour fiabesco della Valle Argentina per ora si conclude qui. Mi auguro di avervi fatto sognare almeno un po’, perché nella mia Valle si sogna tanto, sì… ma non c’è affatto bisogno di chiudere gli occhi: è un regno incantato sempre pronto a stupire.

Un bacio da favola a tutti!

 

 

 

Ius Primae Noctis tra Badalucco e Montalto

Topi, quella di cui vi rendo testimoni oggi è una storia pazzesca, per cui preparatevi.

Dovete sapere che noi bestioline della Valle Argentina abbiamo il privilegio di avere una Nonna molto particolare, comune a tutte le creaturine zampettanti, striscianti e volteggianti. Non vi ho mai parlato di lei, ma ora è giunto il momento di farlo. E’ Nonna Desia, antica quasi quanto lo Spirito della Valle, una cantastorie provetta e infallibile. Lei  sa sempre cosa dire agli animaletti che, come me, vogliono trascorrere qualche momento spensierato e magico in sua compagnia.

Se ne sta al centro di un bosco, in una radura dall’atmosfera surreale, conficcata nel terreno chissà quando e chissà da chi. Gli umani non possono vederla e non conoscono la sua esistenza. L’ardesia che la compone è scura, grezza a tal punto da disegnare rughe antiche sulla sua superficie. Le nonne degli esseri umani raccontato storie ai propri nipoti e così fa lei con tutti noi animaletti.

Ebbene, un giorno mi trovavo nei pressi del bosco in cui abita e decisi di farle visita.

«Topina cara! Che bello vedere il tuo musino, dopo tanto tempo. Siediti qui con me, prendi quelle bacche. Mi sembri deperita… Mangia, bela me fia, ti me stai ma’! (Mangia, bella la mia bambina, mi stai male)».

Eh sì, proprio come le nonne umane, anche Nonna Desia sembrava non vedere che in realtà mi nutro benissimo, proprio io che mai mi priverei di un boccone. Però l’accontentai e mi sedetti alla sua base, mangiucchiando qualche mora.

«Avanti, Nonna: raccontami una storia delle tue. Ne ho proprio bisogno, oggi!» le dissi.

montalto

«Ne conosco proprio una che può fare al caso tuo. C’era una volta un conte cattivo e spietato, alcuni dicono che vivesse a Baaücu (Badalucco), altri vogliono che sia nato a Ventimiglia. Il suo nome era Oberto. Egli era odiato e temuto da tutti, un uomo avido di potere e di ricchezze; non c’era essere umano che non conoscesse la sua prepotenza. La sua cupidigia si rifletteva nel suo aspetto fisico, per nulla armonioso e privo di qualsiasi forma di bellezza. U l’ea in rantegusu… (era un rantego cioè brutto, storto, rugoso, zozzo…). Inoltre, era risaputo che amasse la compagnia delle dame, non importava se fossero di nobili origini o appartenenti al volgo: le desiderava tutte per sé. Accadde, dunque, che proprio a Badalucco una giovane era stata chiesta in sposa da in zuenu (un giovanotto) sinceramente innamorato di lei. Tuttavia, né la donzella né il promesso sposo volevano sottostare alla legge dell’epoca, quella dello Ius Primae Noctis, che prevedeva che a spusinna (la novella sposa) dovesse obbligatoriamente trascorrere la prima notte di nozze non con il suo consorte, bensì con il capo della comunità, del feudo o della cittadina.»

«Gli esseri umani hanno leggi davvero bizzarre!» commentai, la bocca macchiata del blu delle more.

Badalucco e Montalto

«Sì, piccola topina, è così. Be’, i due innamorati decisero di fuggire per scampare a quella regola insopportabile, e trovarono rifugio tra i monti, nelle zone limitrofe. Non furono soli, poiché si portarono al seguito i loro familiari, pronti anch’essi a ribellarsi al volere del Conte Oberto. Si stabilirono nel luogo che oggi è diventato Montalto Ligure, furono loro a fondarla. Ecco perché oggi è considerato il paese degli innamorati, tanto che ospita la bellissima Loggia degli Sposi. La conosci?»

 «Sì, certo! Ne ho parlato anche in un articolo. Cosa accadde, poi?»

Nonna Desia si schiarì la voce: «E in mumento, ratin! Dund’à l’è ca lu messu a raixe de Brügu? A ghe l’ajevu chi-eciapilà in pocu ca me fa umbra… (E un attimo, topino! Dov’è che ho messo la radice di Brugo? Ce l’avevo qui… prendila un po’, che mi fa ombra…) Successe che gli abitanti di Badalucco, preso coraggio dall’azione dei due sposini, si ribellarono al perfido Conte, costringendolo ad abbandonare le loro terre. E allora, finalmente, vissero tutti felici e contenti.»

«Ma pensa… che bella storia! E, dimmi un po’: è vera?»

«Che vuoi che ti dica, gioia? Eeeeh… a nu me regordu (non mi ricordo)! Non lo so più! Sono tanto vecchia, ormai… mia’ ‘a go ina teista (ho una testa) che tendo a confondere quello che è vero da ciò che non lo è. Forse è esistito davvero il Conte Oberto, o forse la sua è una figura plasmata dalla nebbia del tempo. Però resta una bella storia da condividere in un pomeriggio come questo, per farsi compagnia. Non credi anche tu?»

Sono d’accordo con Nonna Desia, tuttavia io so che il conte è esistito davvero, anche se non posso sapere se la storia che mi ha raccontato sia vera. Credo che certe leggende siano belle proprio per l’alone di mistero che le avvolge.  E allora è bene godersele e prenderle per quello che sono: delle storie piacevoli da raccontare intorno al fuoco o la sera, prima di spegnere la lucciola da comodino e andare a dormire.

Un fiabesco saluto.

Mondi in miniatura

SONY DSCQuesti  minuscoli fiori, quel piccolo, quasi invisibile muschio, quelle foglie piccine mi affascinano. Mi sembra il mondo degli gnomi. Un mondo che si lascia accarezzare. Umido. Che ti solletica il palmo della mano. Che si piega e poi ritorna su, ambizioso, curioso, fiero, vivace. Di un bel verde fosforescente, di un verde acido, di un verde più scuro.SONY DSC E’ il paesaggio dei minuscoli folletti. Può sembrare una foresta per loro, in realtà, vi dico che i fiorellini viola/fucsia che potete vedere in queste immagini, sono grandi come una moneta da 1 centesimo… Guardate gli aghi di pino, sembrano liane nei loro confronti. E quel muschio, microscopiche stelline tante quante quelle nel cielo. Una giungla per quegli esserini che SONY DSCnemmeno vediamo, che nulla sappiamo sulla loro esistenza. Un prato, ricco di magia, di vita. Una meraviglia. Semplicemente una meraviglia che volevo condividere con voi. Che mi ha fatto ampliare le foto per voi. Favole, favole di SONY DSCmondi in miniatura ma infiniti. Anche questa è la mia Valle topini e, in alcuni angoli di essa, questa è la vita che vi si svolge. Tutto è rigoglioso. Quelle poche foglie secche sono solo appoggiate, pronte per essere spazzate via dal primo lieve venticello e lasciare così il posto a quella nuova, calda stagione. Tutto è pronto e sembra di sentirlo cantare dalla gioia. Possibile tanta perfezione in una cosa così piccola? Sì. E mi lascia senza fiato. Che sta lì, a terra, e si lascia baciare dal sole. SONY DSCUn mondo in miniatura che non ha bisogno di niente. Un habitat eccezionale che si automantiene in perfette condizioni. Che non possiamo far altro che ammirare. Spero vi sia piaciuto questo magico luogo nel quale vi ho portato oggi, e sono sicura che anche voi ne sapete riconoscere l’immenso, incredibile, incantevole capolavoro.

Per me è così. Topobaci.

M.

C’era una volta

Piccun, dagghe cianin… sun tuti coerpi deiti in sciù u me coe….” (Piccone, fai piano… son tutti colpi dati sul mio cuore).

Così recitava una vecchia canzone genovese. Vi è mai capitato di assistere all’abbattimento di una casa o di un edificio significativo del vostro paese? Oppure di svegliarvi un mattino, passare da una strada che da parecchio non percorrete e accorgervi che non c’è più quella struttura che regnava sovrana da che eravate bambini?

A me è successo. Ho assistito all’eliminazione del Cinema del mio paese. Una piccola palazzina come se fosse di tre piani. Era il Cinema in cui mio padre, quando ero piccola, mi portava a vedere le favole di Walt Disney: “Red e Toby”, “Cenerentola”, “Il Libro della Giungla”…

Era come un monumento, era un punto di riferimento.

– Ok, dal cinema alle quattro! -, dicevamo da ragazzini nei pomeriggi caldi in cui incontravamo gli amici.

Quando lo hanno abbattuto, ho assistito pensando che quel luogo non l’avrei mai più rivisto. Ho osservato commossa. Vederlo sventrato mi ha colpita. “Ecco cosa c’era sotto di me quando mi sedevo su quelle poltrone di velluto rosso”, “Ah pensa, di bagni ce n’erano tre, io ne avevo sempre visto uno solo!”, “Il gabbiotto del bigliettaio…”, ecco iniziare a sentire il cuore in gola.

Era proprio lì che mio papà, oltre al biglietto, mi acquistava anche, immancabilmente, il sacchettino di pesciolini di liquirizia per 100 lire. Era lì che non arrivavo nemmeno al bancone e, il bigliettaio, si sporgeva per guardare se potevo entrare con il ridotto o no. Era lì che, issandomi con le braccia e in punta di zampe, scrutavo quell’uomo con pochi capelli, controllavo che i biglietti ce li desse veramente, poi mi giravo e dovevo subito consegnarli all’uomo vecchio vecchio, che stava davanti ai tendoni più pesanti di me e dicevo nella mia testa “Ma come? Lo ha visto che li abbiamo pagati, perchè deve controllare?” ma era il suo lavoro, l’unico che gli rimaneva, e lo faceva con una disciplina incredibile.

Ecco cosa c’era dietro a quel gigantesco schermo bianco e sotto a quel palco, ma sinceramente, avrei preferito non vederlo. Io e la mia amica, ormai donne, stavamo lì come inebetite a guardare senza poter far nulla. Così avevano deciso e, nessuno, probabilmente se ne è lamentato.

Ora, al suo posto, sorgono due palazzine rosa di tre piani dove regnano sovrani studi di avvocati, commercialisti, medici, notai e, un bellissimo e curato giardino, fa da contorno a quelli che sono tra gli edifici più belli del mio paese, con le colonnine bianche, con il nome scolpito su una targa dorata, con il videocitofono… ma quel Cinema, il mio Cinema, che quando è stato abbattuto non era nemmeno un rudere, aveva molto più fascino.

Ogni week-end, da topini, andavamo a vedere attaccato al pioppo dinanzi, quale film proponevano e, solitamente, una favola fantastica, per noi, c’era sempre. Quello era il Cinema dei topini. Un altro, stava più verso il mare e proponeva qualsiasi novità. Parlo al passato perchè ora hanno chiuso anche lui. Forse, oltre alle caramelle, con qualche pop-corn, qualche bibita, qualche gadgets, gli occhiali 3D e un bel rinnovo, avrebbe potuto sopravvivere e invece siamo rimasti senza nemmeno un Cinema nel mio boschetto. Siamo rimasti senza casette, che hanno lasciato il posto ad alti palazzi e, ogni giorno, col passare del tempo ne sparisce una. Siamo rimasti senza la vecchia officina, la vecchia centrale, la vecchia fabbrica dove lavoravano il rame, senza cortili o spiazzi di terriccio, tutti posti in cui si andava a giocare, ci costruivamo le nostre “basi” e quelle dei nemici, si andava ad aiutare, o semplicemente ad ammirare, gli artigiani al lavoro, si andava a correre con il pallone perchè non c’erano auto che potevano impedircelo. Ora ci sono i palazzoni, i grattacieli, quelli con la luce rossa sul tetto per essere notati anche di notte dagli elicotteri. Enormi forme di cemento dalla strana architettura e il bizzarro design.Palazzi completamente vuoti, con il mega cartello “VENDESI” sempre attaccato lì, da anni.

Non un fiore a ravvivare quei balconi, non una tapparella tirata su a mostrar la vita, non un lume acceso attraverso i vetri, ma soltanto loculi su loculi, tutti uguali. Ma così è e nessuno può farci niente.  A noi, non rimane che il dispiacere.

M.