Un Festival alternativo: da San Romolo a Monte Bignone

L’autunno è una delle stagioni più colorate che ci sia, a differenza di quanto si possa pensare, e io, di colori, ne ho visti davvero molti nella passeggiata che sto per raccontarvi.

Partiamo una domenica mattina presto, molto presto.

Saliamo sulla topo-mobile, ma questa volta non andiamo in Valle Argentina, passeggeremo piuttosto sopra Sanremo, la città dei fiori tanto famosa per il suo Festival. Quello che voglio mostrarvi oggi, però, è un Festival diverso, un tripudio di colori e profumi che si trova lontano dal centro abitato.

Con qualche curva, iniziamo la salita verso San Romolo, e veniamo subito colti di sorpresa dall’alba, col suo sole rosso fuoco a illuminare il porto di Sanremo. È una palla gigante color del sangue, la foto è solo un pallido riflesso della sua bellezza.

alba San Remo

Dopo la pausa obbligata per qualche scatto, riprendiamo a salire.

Visto che il tempo a nostra disposizione non è molto, per questa volta decidiamo di non lasciare la macchina a San Romolo, ma di proseguire ancora un po’ sulla strada per Perinaldo. Una volta parcheggiata la macchina a bordo strada, imbocchiamo il sentiero dalla tagliafuoco, sulla sinistra, e iniziamo a salire.

Se in un primo momento la strada si presenta in falso piano, ben presto la pendenza si fa più evidente. Preparatevi, perché dovremo salire un po’.

Entriamo nel bosco. Intorno a noi ci sono Castagno, Pino silvestre, Leccio, Quercia, Acero, Nocciolo e Agrifoglio. La vegetazione di latifoglie è intervallata da spazi di cielo aperto e in quei punti è la macchia mediterranea ad avere la meglio.

Intorno a noi è tutto un ronzare di mosche, sembra quasi inizio estate, e la giornata è molto calda per essere autunno inoltrato.

Continuando a camminare, ci troviamo di fronte a un incrocio: da una parte c’è il sentiero per Baiardo, che scende alla nostra sinistra, a destra c’è un sentiero segnalato ma che non si sa dove conduca e dritto davanti a noi c’è quello che dobbiamo imboccare e che ci porterà su, a Monte Bignone.

La vegetazione si fa fitta, sembra quasi voler escludere la presenza dell’uomo e forse, in effetti, è proprio così. I rami degli arbusti ci vengono addosso, impigliandosi nel pelo folto della nostra pelliccia e trattenendoci i pantaloni. Eppure, attraversato quel breve tratto di naturale ostilità, il sentiero diventa più bello, si apre e continua a inoltrarsi nel bosco. La Natura è cresciuta così per un motivo, mi viene da pensare, per effettuare una sorta di selezione naturale già da principio e permettere solo ad alcuni di godere delle bellezze che ci saranno più avanti.

E le bellezze arriveranno eccome, parola di Pigmy!

Il sentiero continua in salita, a tratti anche ripida e scivolosa, bisogna prestare attenzione. Il terreno è coperto da uno spesso strato di foglie e, dove non sono presenti in grande quantità, è sabbioso. Le scarpe faticano a trovare la giusta presa su quel pavimento naturale, ma con un po’ di pazienza e perseveranza si sale.

Rimaniamo estasiati dai massi di dimensioni enormi che circondano il sentiero, hanno forme tutte da scoprire, ma di questo parleremo un’altra volta.

A tratti la bellezza del bosco lascia lo spazio a panorami mozzafiato. Davanti a noi si staglia il monte Caggio tinto con la tavolozza dei colori autunnali. Si scorgono la Val Nervia e i centri abitati di Perinaldo e Apricale, riusciamo a spingere lo sguardo al monte Toraggio e poi, tornando ad accarezzare con gli occhi la costa, vediamo persino la vicina Francia con la sua prima cittadina, Mentone! Se, poi, ci voltiamo di nuovo verso monte, in lontananza si vede persino la Valle delle Meraviglie, uno spettacolo del quale non si gode certo tutti i giorni! A fare da cornice a questo spettacolo è il mare nostrum, azzurro e infinito. Si rincorre con il cielo, tanto che non si riesce più a distinguere chi sia l’uno e chi l’altro.

Proseguendo nella nostra salita, troviamo bacche di corbezzolo coloratissime e una miriade di castagne, che sembrano cadute apposta per noi. Tiriamo fuori dallo zaino un sacchetto e iniziamo a raccoglierle, assicurandoci che le camole non se ne siano già appropriate. Mentre procediamo, ci imbattiamo in un punto del bosco particolarmente rumoroso… È tutto uno spezzare, un frusciare, un rotolare.

Tac.

Fruuuuuush.

Pata-tum-tum-tum.

«Che cos’è?»

«Non lo so… un cinghiale? Un capriolo?»

Ben presto arriva la risposta: sono i ricci dei castagni che si spezzano dal ramo e  cadono al suolo rumorosissimi, sembrano delle bombe!

Con il sole che splende sopra le chiome degli alberi, non  abbiamo pensato a portare un ombrello, per cui non abbiamo modo di ripararci da quella pioggia di spine. Allora non ci resta altro da fare che chiedere al bosco di porre attenzione a noi poveri visitatori, e lui, padre paziente, ci ascolta. Ci dona castagne succulente, ma i suoi ricci non ci sfiorano neppure per un momento, per cui procediamo senza intoppi.

Quando ci fermiamo per alzare lo sguardo, il soffitto arboreo è d’oro puro, brilla, scintilla, ondeggia al tocco del vento leggero e noi rimaniamo estasiati.

Lungo il cammino si sente l’onnipresente ghiandaia, ne udiamo il canto e ne troviamo persino le piume. Guardate che colori stupendi e preziosi!

piume ghiandaia

Eppure le sorprese non sono ancora terminate.

Un nido abbandonato e caduto a terra è lì, sul sentiero, poggiato su una roccia. È affascinante osservarlo, riflettere sulla tecnica che hanno gli  uccelli per costruire un cerchio perfetto come questo.

E poi, più su, sempre più su, sentiamo profumo di funghi…

Non crediate, però, che siano solo loro a spandere la loro fragranza, perché più avanti, tra spicchi di cielo e carezze di sole, possiamo sentire l’odore balsamico e rigenerante del Pino, così forte da aprire i polmoni.

Arriviamo infine a Monte Bignone con la meraviglia negli occhi, accolti da un tappeto di crochi e da un tetto di foglie di quercia.

Per oggi ci fermiamo qui, ma le sorprese continuano!

A presto, topini.

Vostra Pigmy.

 

 

 

Villa Faraldi accoglie Fritz Roed

Adombrata un poco dalla magnificenza di Cervo Ligure, sicuramente più conosciuto e, si dice anche, più bello di lei, Villa Faraldi è in realtà un borgo spettacolare.

Sulla collina dietro la città di San Bartolomeo e di Cervo appunto, se ne sta lì, come in attesa. In attesa di essere visitata. E merita, merita davvero. Andiamo a scoprirla insieme.

Sorpassiamo le coltivazioni di Ulivi e ci inoltriamo nelle sue strette stradine. Possiamo notare subito alcune sue particolarità.

Tante lavorazioni in ferro battuto, lastre di Ardesia appese alle case, statue in bronzo.

Eh si topi, vi sto portando dove ha vissuto e lavorato il grande scultore Fritz Roed. Tante sono le sue opere d’arte qui a Villa Faraldi. Di lui, Adele Menzio dice: “E’ dotato di un senso dell’ironia sottile, intrigante, autenticamente intellettuale. La sua visione della realtà è aliena da complicanze trascendentali o da visioni situate a livelli che non siano immediatamente e concretamente percepibili. La vita è bella, tutta da godere, assaporare, vivere intensamente minuto per minuto. Fritz, ama il mondo così com’è…“.

Le due foto che vi mostro ora, sono solo due delle creazioni di quest’uomo. Due delle sculture che, Villa Faraldi, protegge gelosa da tempo.

La prima è l’insegna dell’unica trattoria di questo paese, l’osteria “Bella Vista”, dal quale portico si può davvero godere di tutta la bellezza di questo antico borgo, mentre la seconda è una statua rappresentante la piccola Karoline, dietro la piazza della chiesa.

Villa Faraldi, e i due paesini vicini, Tovo e Tovetto, rendono autenticamente gli onori a questo loro amico norvegese. Ma cosa dice lui del paese che lo ha accolto? Eccolo: “Vivo e lavoro in un paesino della Liguria, nel bel mezzo di un paesaggio creato dal Padreterno in un momento di buon umore. (A mio avviso questa frase è bellissima). Nei particolari invece, si vede l’opera del contadino. Il villaggio di Villa Faraldi è fatto a mano. Si sente il ritmo del paesaggio sotto i piedi, nell’intrecciarsi delle viuzze che penetrano, attraversano, aggirano il corpo stesso delle case. I miei amici sono coltivatori di olivi. All’avvicinarsi dell’inverno, vestono la madre terra come se fosse una donzella invitata al suo primo ballo. Grandi reti bianche e rosa, danzano intorno alle sue gambe, raccogliendo laghetti di olive. L’antitesi di tutto questo è Milano, la febbre nel sangue, tecnologia, efficienza ed industria all’insegna del cosmopolitismo. La mia aspirazione? Cercare modestamente di fare da tramite tra le due sfere, di fare il testimone degli aspetti gioiosi della vita“.

Sì. Di opere di Fritz, ne è piena anche la città di Milano e in particolar modo Piazza Duomo offre la dimostrazione de La Sveglia, un’ opera davvero caratteristica.

La sua creazione migliore invece, è per me, la porta della chiesa di San Sebastiano in Tovetto, ma questo è un altro post. Merita di essere protagonista assoluta.

Villa Faròudi, come si dice in ligure, ospita all’incirca 430 persone delle quali 80 sono stranieri, gli altri contadini per la maggior parte e abili costruttori. Non è raro infatti incontrare persone che, durante il sabato e la domenica, finiscono di realizzare o migliorare la loro casa.

Anche questo borgo, appartenuto alla Repubblica di Genova, come tutta la Liguria di Ponente, fu un antico Feudo del Marchesato di Clavesana.

Il suo principale evento è il Festival delle pitture e sculture in collaborazione con la Galleria di Stato della Norvegia. Esso è iniziato nel 1984 e, con l’andare del tempo, si è arricchito sempre di più, comprendendo anche musica, danza e teatro, divenendo così un’importantissima manifestazione estiva nazionale ed internazionale dove si possono assaggiare anche i due vini tipici della zona, produzione maggiore, assieme a quella dell’olio, che sono il Pigato e il Vermentino. Si può sentire il loro profumo passeggiando sulle stradine di mattoni rossi.

Si possono vedere i tipici colori delle case sella Liguria, il giallo, il rosa, l’azzurro, quei pastelli che ci fan sentire nel nostro mondo.

Si possono vedere statuette della Madonna incastonate nelle pareti delle case dentro a delle piccole grotte. C’è minor culto mariano rispetto alla mia valle ma non mancano mai qualche cappella o qualche simbolo religioso neppure qui.

Non ci vuole molto per ammirare questo villaggio. Ma è bene soffermarsi con calma e osservare cosa ci mostra.

Io, mi ci soffermerei delle ore e, per farvi apprezzare meglio quel che vi spiego, vi lascio altre immagini che potete andare a vedere sul mio album di flickr, come sempre, qui alla vostra destra.

Per oggi mi fermo. Le mie zampette han già girato tanto. Mi riposo qualche po’ e poi vi porterò in una nuova avventura. Un abbraccio a tutti.

M.

Una notte da toporeporter

Squit! Volevo raccontarvi la mia avventura di qualche sera fa.

Sono stata invitata da un amico di famiglia a partecipare al Festival Jazz di Nizza. Ma no! Non a suonare, bensì a fotografare i musicisti! Che bellezza, ero sicura di divertirmi: fare foto è la mia passione.

Allora parto con mamma e topino, che sono grandi appassionati di jazz (io un pò meno, ma come vi ho detto il mio compito era un altro). Arriviamo a Nizza e vengo accolta come una vera fotografa, mi danno persino l’aperitivo nello spazio riservato ai giornalisti e un pass! Che emozione! La serata, nel caso in cui ve lo foste chiesto, è stata un regalo che mi ha fatto questo nostro amico.

Metto il pass al collo, convinta di potermene andare a zonzo tranquillamente scattando foto qua e là. All’occorrenza, ero persino sicura di riuscire a fare anche una pennichella, nel caso in cui qualche sax avesse prolungato troppo il suo lamento. Ebbene, niente di tutto ciò.

All’improvviso mi sento prendere per un braccio e un uomo, in francese, con un teleobbiettivo più grande di lui, mi grida eccitato che è iniziato lo spettacolo al palco numero 1. Mi calo immediatamente nella parte (è una strategia di noi topini): per lui sono una collega, non posso certo far finta di niente! Corro e, dopo aver percorso circa duecento metri, mi trovo davanti a una folla mai vista. Grazie al pass posso (e devo, se voglio fotografare) passare davanti a tutti, i quali, poverini, con me davanti, non avrebbero visto più nulla.

Le zampe iniziano a tremare dalla vergogna, sento i loro insulti colpirmi le spalle e un milione di occhi puntati su di me. Non sapete quanto io stia rimpiangendo il mio mulino! Tuttavia, ormai sono in ballo e noi topi non ci arrendiamo davanti a niente.

Arrivo annaspando davanti al palco, posso toccarlo con la punta dei baffi.

Vicino a me altri fotografi. Inutile, il muso da fotografa inesperta è tanto evidente che  un topo gentile mi spiega che per fare le foto ho solo un quarto d’ora, poi dovrò scappare. Ah, lo stavo dimenticando: non posso assolutamente usare il flash! Sempre più difficile, accipicchia.

La serata sta per trasformarsi in una vera e propria missione. Alcuni giornalisti, tra uno spettacolo e l’altro, guardano le foto fatte da noi…. Chissà se a qualcuno piaceranno le mie. Dovevo impegnarmi al massimo! Ora, non so se lo sapete, ma al buio, se non si usa il flash, bisogna riuscire a stare immobili, altrimenti… be’, sfido chiunque a capire cosa si è fotografato!

Non ho neppure la possibilità di usare un sostegno, quindi devo arrangiarmi.

Risultato? Ho quindici minuti, la tremarella per la vergogna e gli spintoni che arrivavano dai “colleghi” vogliosi di acchiappare il primo piano migliore non mi aiutano di certo. Stare fermi è praticamente impossibile, ogni click è un pianto, uno scempio.

Nel frattempo, inizia lo spettacolo al palco numero 2 e, di nuovo, ho solo il fatidico quarto d’ora. Corro disperatamente, arrivo al 2 e oltrepasso i bodyguards che mi guardano in modo scimmiesco, come a dire “Sei in ritardo”. La mia reputazione sta andando a rotoli e….. la rischio: uso il flash.

Un sorcio arriva subito gridando mille volte un «No!» con la sua o stretta…. ma due foto ormai le ho fatte ih!ih!ih!

Eppure c’è poco da ridere, i palchi erano 3. Iniziano il terzo spettacolo e il quarto, in contemporanea, nuovamente al palco numero 1. Come faccio? Lancio la mia borsetta rosa  e la sacca a mia mamma: «Tornerò vincitrice!» le grido.

Lei mi guarda felice, fa il tifo per me.

Inizio a correre, e corro e corro e corro. Ho corso dalle nove di sera fino a mezzanotte. Click, guardo il tabellone, aspetto l’artista nel covo delle star. Un altro click, cambio palco, fuggo dall’altro tabellone. Ancora un click…. Sudo, ho il fiatone. I miei simili iniziano a considerarmi loro socia:

«Prendi il piano che io penso al microfono!»

«Allarga, allarga! Guarda lo sfondo!»

«Aspetta le luci. Ecco, ora! Vai!»

Topini, è stata una serata incredibile. Ho perso due chili e tutto il pelo invernale in tre ore, però una cosa l’ho capita: fare il paparazzo non è cosa da poco! Però, se proprio ve la devo dire tutta, mi sono divertita un sacco! Purtroppo i risultati sono quello che sono, ma li condivido ugualmente con voi.

Buona visione da Pigmy, la topofotografa delle TOP star!

 

M.