Dalla Crocetta del Monte Grai

Ci siete mai saliti sulla vetta del Monte Grai Topi?

Noooo?! Come no?! Non ci credo… ma comunque vi ci porto lo stesso e vi ci porto attraverso un magico viaggio che tocca tutte le stagioni dell’anno perché, anche questo luogo, è sempre splendido.

Per arrivare in cima a questo monte alto 2.012 mt e godere di un panorama fantastico ammirando gran parte della Val Nervia, della Francia, il mare e tutta la Valle Argentina, si può passare da diverse strade sia a piedi che con la Topomobile… ma dev’essere una Topomobile adatta. Lo sterrato è molto sterrato!

Andiamo su questa enorme cupola, ricca di natura, che sorge sulla cresta del confine italo-francese.

In questa immagine invernale potete vederlo bene. E’ quello più a destra. Gli altri due sono i suoi vecchi amici con i quali forma un famosissimo trio: Il Monte Toraggio (1973 mt) quello più a sinistra e il Monte Pietravecchia (2038 mt) quello al centro.

Si può passare dal Passo di Collardente, arrivando a lui dalla zona di Marta, oppure da Colle Melosa e, da qui, sono due i cammini da poter intraprendere.

Il più grande e forse anche più comodo è la ex strada militare, carrozzabile, che si può percorrere anche in auto, mentre l’altro è un sentiero che sale un po’ più ripido (ma è molto panoramico) il quale si può vivere solo zampettando poiché molto stretto e in salita.

Entrambi i percorsi vi porteranno al noto Rifugio del CAI situato sotto la vetta del monte, a circa 1920 mt d’altitudine.

Si tratta di un Rifugio incustodito. Sembra un grande casermone. E’ un edificio grigio e rettangolare con tante finestre.

Una parte è totalmente abbandonata, l’altra parte invece, dovrebbe essere attrezzata per ospitare gli escursionisti.

La larga mulattiera non asfaltata ci passa proprio davanti zigzagando come un sinuoso serpente tra i monti più affascinanti della Liguria.

Qui vive un’allegra famigliola di Gracchi Corallini e ho detto Corallini non Alpini!

C’è differenza? Certo!

Gli Alpini sono molto più soliti e, infatti anch’essi abitano queste zone… ma i Corallini, invece, sono un po’ più rari… e più presuntuosi! Oh si! Hanno un caratterino con il quale potrebbero tranquillamente andare d’accordo con la mia nemica-amica Serpilla la Ghiandaia.

Ma la vera differenza tra i due è che i Gracchi Alpini hanno il becco giallo, come quello che vedete in foto, mentre i Corallini lo hanno di un bell’arancio vivace.

Ma torniamo alla nostra meta.

Oltre ai Gracchi sono davvero tantissimi gli esemplari di Fauna e Avifauna che possiamo incontrare in questa zona: Camosci che si arrampicano ovunque, simpaticissime Donnole, Grifoni durante l’estate e i Corvi Imperiali che, anche loro, come i cugini Gracchi, sorvolano questi cieli ogni giorno.

Questo territorio è splendido. Il panorama si mostra entusiasmante già dopo aver percorso i primi metri e, una volta arrivati in cima, è davvero tutto indescrivibile.

E’ come essere sopra al mondo intero.

Sarà una piccola e anche un po’ instabile crocetta in legno ad accogliervi.

Una crocetta trattenuta da un ammasso di pietre.

Su di lei sono state incise le seguenti lettere “M. GRAI – 2012”, nome e altezza di questa montagna che è una delle più alte di tutta la Valle Argentina.

Sono entusiasta, ho conquistato un’altra preziosa meta.

Ma qui non c’è solo la vista che può sconfinare fino all’infinito, come caratteristica spettacolare.

Anche la Flora regala il meglio di sé nonostante un terreno severo.

L’Astro Alpino, lo Sparviere Lanoso, il Semprevivo, il Timo… sono tanti e presenti con i loro colori sgargianti: lilla, fucsia, giallo, viola!
E quante Farfalle attirano!

Sembra davvero di essere in una fiaba! Le Farfalle sono tantissime e anche i Grilli e le Cicale, le quali iniziano a cantare in tarda mattinata.

I boschi di Conifere appaiono qua e là regalando un po’ di ombre e un profumo salubre e balsamico.

Si tratta prevalentemente di Larici. Ma qui sappiamo esserci anche l’Abete Bianco, il Rosso e il Pino Nero.

Nonostante tutta questa bellezza di vita, non si può però non dare uno sguardo più significativo al suggestivo panorama che si apre generoso davanti ai nostri occhi.

La prima cosa che colpisce è sicuramente la Diga di Tenarda.

Questo lago artificiale degli anni ’60, in questo periodo afoso, appare in secca a causa della siccità. Lo avevate mai visto così asciutto?

Tutta la Catena Montuosa del Saccarello si staglia di fronte a me limitando la parte opposta della Valle Argentina rispetto a quella nella quale mi trovo io. Vedere i miei monti tutti assieme mi apre il cuore.

L’antico e caro Gerbonte con le sue foreste che lo ricoprono e, in autunno, lo colorano di un foliage pazzesco…

Colle Ciaberta che presenta Carmo Gerbontina più avanti.

Sembra una cresta tagliente.

E naturalmente non posso non ammirare la bellezza di Triora che, vista da qui, sembra una pietra preziosa incastonata nei monti.

Adagiata come in una culla.

Tutto è meraviglioso e, come vi ho detto a inizio articolo, lo è sempre, durante tutto l’anno. Per questo ci tengo a sottolineare una cosa molto importante: siamo in uno dei punti più belli della Valle sì… ma è anche uno dei più pericolosi.

In questa zona, a causa di un matrimonio tra le correnti e il gelo, in inverno si forma uno strato di ghiaccio molto spesso e ingannevole.

E’ un ghiaccio che, talvolta, perdura persino fino a giugno e questo avviene prevalentemente nel curvone dietro al Monte Grai, nel Vallone del Negré.

Il fatto che questo strato ghiacciato perduri così tanto, viste le belle giornate primaverili, fa credere di non essere poi così pericoloso dato il tepore del sole; ma, in questo punto, il sole non riesce a scaldare.

Spesso l’ultima neve sembra soffice e percorribile ma non fatevi ingannare poichè sotto di essa resiste una patina ghiacciata da non sottovalutare assolutamente. E… se si cade da lì… si hanno davvero poche speranze.

Bene, penso di avervi detto tutto riguardo questo paradiso.

Non mi resta che andare a preparare il prossimo articolo.

Vi mando uno squit-bacio e vi aspetto per il prossimo tour.

Il Dio Marte abbraccia la Valle Argentina

Col tempo, cercando di conoscere sempre di più la mia bella Valle e i suoi segreti, ho scoperto qualcosa di molto interessante riguardo (secondo me) un Dio della tradizione romana noto a chiunque: il Dio Marte.

Come tutti saprete, si tratta del Dio della guerra, della battaglia, ma anche della tempesta.

Detta così sembra di parlare di un Dio violento e bellicoso, beh… sì, Marte non era certo serafico, ma Priapo insegnò lui l’arte della guerra rendendolo un vero guerriero e rendendolo in grado di rappresentare la lotta per la vittoria, la gloria e la forza della natura tutta, della vita, del movimento. Di quel potere perpetuo che crea e si manifesta.

Molte volte vi ho raccontato di come sia significativo, nelle zone che vivo, questo movimento vitale e, sempre di più, mi sono imbattuta proprio in questo Dio.

Ci tengo a sottolineare che sono soltanto mie supposizioni, non sono uno storico lo sapete, ma quello che ho scoperto serba in sé qualcosa di davvero interessante e penso di non essere poi così lontana dalla realtà…

Realtà… che poi, il termine “realtà”, come sinonimo di “verità”, lascia sempre un po’ di punti interrogativi. Bellissimi punti interrogativi che portano alla scoperta e alla voglia di conoscere, non trovate?

Ma veniamo a noi.

Ad Ovest della Valle Argentina, quindi siamo sui confini che abbracciano il mio mondo, una splendida zona dalla storia assai antica si chiama – zona di Marta – (Marta/Marte).

Perché si chiama così? Alcuni affermano che sia per via dello spettro di una pastorella di nome Marta, caduta in un precipizio, che ancora si aggira di notte per gli infiniti pascoli.

Altri dicono, senza dilungarsi troppo, che sia proprio per onorare il Dio Marte, tenendo conto che quella zona è stata da sempre palcoscenico di guerre e battaglie anche in tempi molto antichi, altri ancora sono sicuri che il nome Marta derivi dal termine scientifico con il quale vengono chiamati due animali molto presenti in questi luoghi; si tratta di due mustelidi molto astuti, veloci e avidi: la Martora e la Faina, rispettivamente “Martes martes” e “Martes foina”.

Io li trovo simpatici entrambi ma non hanno una bella nomina. Vengono ritenuti subdoli, bellicosi, scaltri, violenti e, nell’antica arte degli animali di potere, vengono proprio correlati al Dio Marte come suggerisce il loro nome.

Come ho detto sono molto presenti nella mia Valle e nei dintorni. Sono anche molto simili tra di loro. Serve una vista molto acuta per identificarli. La Martora presenta una macchia chiara dal colore giallognolo nel sottogola, mentre la Faina, la stessa macchia, ce l’ha più bianca e più estesa. E poi hanno una lieve differenza nella forma delle orecchie e nella tonalità del naso ma sembrano davvero lo stesso animale.

Andiamo avanti.

Oltre alla Fauna, serve osservare anche la Flora.

Durante il periodo estivo, infatti, proprio in queste zone, nasce un fiore particolare e bellissimo. Si tratta del Giglio Martagone (Lilium Martagon) uno dei Gigli selvatici più belli.

Si innalza sopra la vegetazione nel suo splendido color viola maculato e i suoi petali, girati all’insù, lo rendono elegante e virtuoso.

La nascita di un fiore rappresenta sempre il risveglio della vita, il rinnovo, il movimento della natura, l’energia vitale, proprio come il Dio protagonista di questo articolo ma, in tali termini, l’argomento può apparire senz’altro abbastanza generico. Ebbene, lasciatemi allora scendere in profondità. Sono una Topina e sapete che amo i cunicoli, anche metaforici.

Non avete notato nulla nel nome Martagone? Marta – gone. Esatto! Di nuovo Marte! E dovete sapere che, questo fiore, che vi ricordo essere una specie protetta, era davvero sacro a Marte perché simboleggiava la fatica di una battaglia e di un eroe. Per gli antichi soldati era considerato un vero e proprio amuleto di protezione e gloria e ne portavano sempre una piccola parte con sé o lo disegnavano come stemma. Pare che anche in Francia e altre parti d’Europa, il Giglio, assunse un valore militare.

Nel linguaggio dei fiori, il Giglio (a parte il Giglio bianco che simboleggia la purezza, l’innocenza, l’alba e l’amore) è emblema di fierezza, visto il suo lungo e ritto stelo a rappresentare la posizione di un soldato sull'”attenti”. Ma è emblema anche di nobiltà, fedeltà e procreazione. Tutte virtù degne di un vero guerriero e parecchio associate con le espressioni della Sorgente creatrice di tutta la natura.

La zona di Marta è una zona che supera i 2000 mt di altitudine.

Qui l’aria è salubre e il paesaggio incontaminato.

E’ un angolo di mondo meraviglioso che presenta, a tratti, balsamici boschi di conifere, pascoli infiniti e dolci pendii ma è anche una delle zone più impervie e più difficili da vivere soprattutto durante il periodo invernale.

Le falesie che la circondano sono severe, le temperature rigide, il territorio diventa aspro e pungente pur mantenendo il suo fascino.

Sarò ripetitiva ma anche tutto questo mi ricorda un po’ Marte.

Le piante e gli animali che vivono qui sono esseri coraggiosi, forti, resistenti e queste loro virtù non posso che associarle proprio a Marte e a quelle di Madre Natura che, molto spesso, ci insegna come anche attraverso le difficoltà si possa vivere e trovare la forza di andare avanti…

…in un fiore che sboccia nel cemento o nell’aridità di una pietra.

In una pianta che trionfa nonostante il gelo, in una creatura che corre dove pare impossibile muoversi.

Tante sono le indicazioni che riportano a vari Dei e a vari culti nella mia Valle.

Pizzo Penna, Rocca delle Penne… pare derivino dal Dio Penn, divinità venerata proprio dagli antichi liguri. Colle Belenda e, più in là, il Monte Abelio, ricordano il Dio Belenos (luminoso) come vi avevo spiegato qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/05/04/belenda-belenos-belin/ e allora, forse, anche il Dio Marte è stato in qualche modo considerato.

Gli indizi combaciano tutti e, che le mie teorie siano vere o false, devo ammettere che ho trovato davvero affascinante e divertente fantasticare su questi toponimi….… TOPO-nimi… eh…! Lo vedete che tutto è collegato?

Io vi mando un bacio mitologico e vi aspetto per il prossimo viaggio assieme. Chissà se il prossimo sarà reale o di nuovo fantastico…

La vita di Rio Infernetto

Al di sopra delle porte dell’antico Monte Gerbonte (1727 mt) tra le falesie di una delle zone più impervie dell’Alta Valle Argentina, nasce un Rio al quale sono molto affezionata in quanto attraversa luoghi splendidi del mio mondo e seguirlo è sempre una meraviglia.

Nasce tra rocce severe, accarezzando scogli grigi, ma il suo percorso offre poi scenari davvero particolari che ogni volta mi incantano.

Sono diversi tra loro, a volte dolci e morbidi, a volte rudi e spogli ed è difficile far ritorno alla propria tana quando si è nei pressi delle sue acque che rapiscono l’animo.

Si tratta di Rio Infernetto che taglia il sentiero dei Parvaglioni (e cioè dei Larici Monumentali della Foresta del Gerbonte) dando vita ad una natura florida e spettacolare.

Ma ci sono punti in cui attraversa rocce aguzze e sporgenti, austere e taglienti.

Le attraversa placido, con le sue acque linde, per poi tuffarsi in cascatelle impetuose come a dare maggior vita a se stesso e al Creato che lo circonda.

Lo si può infatti incontrare calmo, a formare pozze, oppure vivace, mentre allegramente scavalca grandi massi, sorpassa ponti, si infila in canali di pietra e bagna rive.

Rio Infernetto è tutto questo e anche di più.

Splendido, in qualsiasi stagione dell’anno.

Il punto che preferisco è il suo arrivo dove forma una piccola laguna che in estate è abitata dai Gerridi (i Ragni d’acqua) e le Libellule.

Una laguna cangiante, dalla bellezza che lascia senza fiato sia in estate che in inverno.

Qui l’acqua è così trasparente che si può vedere il fondale e diverse piante scendono a cascata a far da cornice.

Le rocce le danno una forma circolare ed è come essere in un piccolo paradiso.

Il silenzio avvolge, rotto soltanto dal canto di qualche uccellino cordiale.

Trovo molto divertente il modo di fare di questo rio.

In alcuni tratti luccica al sole come a volersi far ammirare in tutto il suo splendore, altre volte invece appare cupo, sembra voler nascondere qualche misterioso segreto che solo chi lo ama profondamente può scoprire.

Sa nutrire ma anche proteggere.

Grazie a lui, molta natura viene alimentata e sono tante le esistenze che prendono vita grazie al suo scorrere perpetuo.

Fiori di ogni tipo spuntano per primi già nei mesi ancora freddi per lasciare poi il posto a quelli più grandi e colorati dell’estate.

Un ciclo che si ripete manifestando la bellezza della Natura.

Enormi foglie sembrano ninfee e molte creature del bosco si abbeverano mentre lui scende a Valle sereno.

Le rane depongono le loro uova nei suoi piccoli laghetti. A loro basta un palmo di acqua e, in certi punti, Rio Infernetto è proprio la tana ideale per anfibi e rettili acquatici.

Anche il Gambero di fiume adora questo piccolo torrente perché offre nascondigli adatti alla vita che conduce questo raro crostaceo d’acqua dolce. Raro perché, purtroppo, non ce n’è più una quantità come un tempo ma qui, gli esemplari rimasti, riescono ad ottenere il loro habitat ideale per vivere e riprodursi.

Amano infatti nascondersi e avere angolini bui dove stare tranquilli e adorano anche una certa vegetazione.

A proposito di questo il Rio Infernetto cambia persino colore sapete?

Il muschio e le alghe gli conferiscono sfumature uniche.

Ci sono zone in cui la sua acqua sembra azzurra come il cielo e nei suoi abissi diventa blu cobalto… ma in altri punti invece è verde come gli smeraldi.

Le rocce si specchiano in lui grazie alla sua limpidezza.

Nascendo tra le alte vette che circondano Borniga, osservando i Bastioni rocciosi del Monte Gerbonte, non può certo inquinarsi.

Lì tutto è arido, pulito, roccia pura, ricca di minerali.

Luoghi in cui un tempo vivevano uomini primitivi in profonde grotte e, oggi, queste montagne, sono vissute solo dagli animali più agili e selvatici.

Dove passa Rio Infernetto tutto è selvatico.

E’ sicuramente una delle parti più selvagge della Valle. L’Alta Valle Argentina. Ed è di una bellezza mozzafiato.

Questo rio incontra il Torrente Argentina poco prima del paese di Creppo.

Al di sopra di alcune delle sue incredibili forre si può vedere gran parte della vallata manifestarsi a Sud, verso Loreto, e il panorama è incredibile.

Dona libertà, senso dell’infinito. Permette di vedere le mie amate montagne.

Sono sempre felice quando giungo nei pressi di questo torrentello.

E’ la vita che si mostra e illumina il mondo.

Fa questo effetto anche a voi vero?

Ma ora vi mando un bacio Topi!

Ci vediamo alla prossima meraviglia della Valle! A presto!

Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.

Luoghi magici – Dalla Bassa di Sanson a Testa della Nava

La Bassa di Sanson (in francese – la Baisse de Sanson) è un luogo molto bello della mia Valle. Le fa da cornice.

Si tratta di un pianoro situato tra le più alte vette che mi circondano, in grado di offrire una natura e un panorama splendidi.

L’ho nominato anche in lingua francese perché, qui, siamo in terra di confini. Siamo infatti molto vicini alla Francia e, soprattutto, siamo vicini a Cima Marta montagna che divide la Valle Argentina dalla Valle Roja.

In questa zona molti Larici e molti Sorbi ricoprono, con le loro altezze, tantissimi fiori e lo sterrato, percorribile con topo-mobili adatte, passa in mezzo ad una natura assai rigogliosa.

Oggi però, partendo proprio dalla Bassa, vi porterò in un luogo bellissimo ma attraverso un sentiero e non percorrendo la carrareccia che tutti conoscono. Sarà un sentiero fatto di curve che ci regalerà la presenza di molti uccellini, piante, funghi, fiori e conifere.

Partiamo da 1.679 mt e saliamo ulteriormente, perché andiamo a Testa della Nava, a 1.939 mt, ritrovandoci ancora più vicini a Marta o Cime de Marte.

Di certo non voglio fare quella che parla due lingue Topi, il fatto è che qui siamo sul confine tra Italia e Francia come vi dicevo. Un tempo questo territorio era tutto italiano ma è poi passato alla Francia, dopo il trattato di Parigi del 1947, mantenendo come “capoluogo”, se così si può chiamare, La Brigue, la cittadina più grande di queste zone che noi, oggi, vedremo dall’alto.

Continuando per questo sentiero si può anche raggiungere proprio Cima Marta (2.138 mt) ma noi ci fermeremo prima questa volta. Ci fermeremo dove risiedevano i cannoni che venivano usati su Marta e sui suoi Balconi, dove, ancora oggi, tra bunker e baraccamenti esistenti, possiamo ritrovarci nel teatro di un passato militare e storico che ci riguarda. Tranquilli, vi prometto che vi porterò su Marta ma in un secondo momento.

A Testa della Nava venivano depositate nuove armi e munizioni, le quali si trasportavano poi alle caserme, o nelle casematte, per essere utilizzate dai soldati.

La Bassa di Sanson la si può comodamente raggiungere sorpassando l’abitato di Realdo e proseguendo per la strada semi asfaltata che porta al Pin e anche a Collardente dove di asfalto non ce ne sarà più neanche l’ombra.

Sarà facile, mentre si sale, scorgere Poiane indaffarate a cacciare che svolazzano in quel cielo meraviglioso.

Una volta lasciata qui la vettura si può proseguire a piedi per un percorso che si congiunge poi a una via più larga e diventa percorribile anche alle auto (sempre quelle adatte ovviamente).

Tra una rigogliosa vegetazione è possibile intravedere i primi antichi baraccamenti in pietra.

Proprio nei pressi di questa congiunzione, la piazzola che si forma è spoglia di alberi e il sole batte forte permettendo a diversi fiorellini prativi di nascere e nutrire una vasta quantità di insetti.

Gli alberi attorno, poco fitti, sono un ottimo habitat per diversi uccelli perché donano protezione ma permettono anche la libertà del volo. Si possono incontrare quindi Tordelle ma soprattutto Crocieri, uccelli davvero particolari, dal becco ricurvo e forte in grado di spaccare anche i gusci più duri di alcuni frutti.

Una coppia di questa specie, scientificamente chiamato Loxia curvirostra, mi affascina moltissimo e resto parecchi minuti a guardarla. Si baciano, si scambiano il cibo, si osservano… sono davvero innamorati!

La femmina, che potete vedere qui da sola in queste immagini, è di colore grigio maculato, meno colorata del maschio che invece sfoggia una bella livrea dalle tinte arancioni ma sono entrambi bellissimi.

Il sentiero continua pulito al di sotto di quelle sacre conifere e circondato da erba alta che crea un bel sottobosco spumeggiante.

Di tanto in tanto, grandi mucchi di Epilobi, alti fiori color fucsia che possono addirittura raggiungere i 150 cm di altezza, rendono quel luogo ancora più magico. Sembrano nuvole rosa e viene voglia di tuffarsi in mezzo a loro.

In questo periodo si stanno trasformando. I petali lasciano il posto a semi leggerissimi e piumosi come soffioni, i quali si distaccano dalla pianta e volano lontano permettendo a nuovi Epilobi, in futuro, di nascere. Quanta meraviglia!

Si iniziano a vedere diversi monti francesi e quei profili, seppur lontani, regalano stupore.

Ma continuiamo l’ascesa.

Sono monti grigi, sfumati di azzurro. Sono monti nudi, aspri, austeri e si ammirano con la bocca spalancata.

Sono monti attaccati uno all’altro a creare un paesaggio alpino incredibile.

Si può scorgere anche un pezzo della famosa “Alta Via del Sale” che conduce a Limone.

E’ come comprendere cosa significhi davvero la parola – Montagna -!

Voltandosi invece verso Est è possibile lasciarsi stupire dai monti più verdeggianti della Valle Argentina come il Monte Frontè e il Saccarello che, pur essendo un monte severo, regala la vista dei suoi pascoli e dirupi erbosi.

Da qui, ritornando a Ovest con il muso, si può già notare La Brigue, giù nel vallone, e il grande bunker di Tenda che, solitario, rimane ben visibile su un pianoro.

Sarà tutto questo che si vedrà ancor meglio da Testa della Nava e quindi proseguiamo ma ormai siamo vicinissimi.

I boschi di Larici iniziano a diradarsi e a lasciare il posto a praterie splendide. Le stesse che continuano verso Marta divenendo sempre più ampie e capaci di regalare il senso di immensità.

Uno degli ultimi alberi dona la presenza delle comuni “faccette” realizzate su pietra e posizionate qua e là per tutta la Valle. Sono ormai un emblema dei miei luoghi.

A Testa della Nava una sosta è d’obbligo per poter assaporare con gli occhi e con il cuore tutta quella bellezza. C’è bellezza intorno alle nostre zampe ma anche verso l’orizzonte se alziamo il muso per guardar lontano.

Ovunque, lo sguardo incontra splendore.

Mentre la radura mi accoglie, un’altra zona boschiva si presenta con la sua fitta macchia davanti a me. Sarà breve. Lascerà poi il posto ai prati incontaminati e vasti di cui vi accennavo prima. Prati che vedrete presto.

Approfittiamo per riposarci un po’ ma poi, come vi ho anticipato, si ripartirà per raggiungere la Cima delle cime. La Regina di questa zona. Marta. Un tempo conosciuta come Monte Vacchè.

Ora state qui tranquilli, io vi mando un bacio pieno di entusiasmo e vi aspetto per proseguire.

A presto! Squit!

Dal Tanarello al Saccarello – tra Pecore, Fiori e Montagne

Dopo un po’ di pausa, che mi è servita per andare in perlustrazione, l’escursione che vi porto a fare oggi è meravigliosa e non solo dal punto di vista panoramico.

Ecco, già vi sento che mi state accusando di essere ripetitiva ma cosa ne posso io se la mia Valle e i suoi dintorni sono di una bellezza unica? Giudicate voi stessi dalle immagini di questo articolo, noterete immediatamente che sto dicendo il vero!

Attraversando Passo Tanarello si giunge al Monte Saccarello, il monte più alto della Liguria (2.202 mt) e vetta imponente della Valle Argentina divisa con Piemonte e Francia. Ma prima dobbiamo arrivarci al Tanarello. Mi sembra ovvio.

Giungiamo in questo splendido luogo passando per l’Alta Valle dal piccolo paese di Realdo per poi proseguire verso Passo di Collardente e alla Bassa di Sanson.

Qui incontriamo un bivio. Siamo in un punto che ci permette di andare a Marta e quindi poi a Colle Melosa oppure al Passo della Guardia e al Garezzo ma noi, si va appunto, verso il Tanarello.

Si va quindi verso un valico delle Alpi Liguri che supera di poco i 2.000 mt s.l.m. un’ex strada militare totalmente sterrata.

Si può già vedere la nostra meta stagliarsi contro il cielo e, facendo attenzione, si nota persino la Statua del Redentore, verso destra, che sembra piccolissima da qui. Ebbene sì, dobbiamo arrivare fin lassù.

Sono le prime ore di una calda mattina e la rugiada non è ancora stata asciugata del tutto dai raggi del sole che la fanno brillare. Sembra di essere contornati da diamanti… queste sono le “ricchezze” della Natura.

Sono gli alberi a riparare queste goccioline dal tepore del sole e contribuiscono all’incanto.

Si tratta prettamente di Conifere attraversate dal sentiero che percorriamo, il quale poi diventerà uno sterrato dove è possibile anche passare con un’auto adatta.

Durante la primavera e l’estate il colore dominante è assolutamente il verde, non tanto degli alberi che si diradano sempre di più, ma soprattutto è il verde di una vegetazione florida e dei pascoli infiniti che si tuffano in discesa verso la Francia.

Il verde e il giallo dei fiori di campo. Un’immensità di giallo.

Nel periodo di giugno, questo verde è meravigliosamente contrastato dal rosa acceso dei Rododendri che formano come grandi laghi colorati e romantici su quei versanti incontaminati. I Rododendri non sono gli unici fiori presenti ma sono sicuramente quelli che più stupiscono vista la loro enorme quantità.

Anche le Orchidee selvatiche e i Non Ti Scordar Di Me sono numerosi e propongono varie totalità che non si incontrano sovente, senza tralasciare il viola vivo del Timo e le sfumature di tanti Funghi che, come pietre preziose, abbelliscono ulteriormente questo territorio.

Il colore dello smeraldo, dato da un’erba appena nata, mette in risalto il panna scuro delle pecore che brucano felici su quei prati.

Ce ne sono tantissime e ci sono anche Mucche e Cavalli per non parlare dei Camosci che si possono scorgere sulle creste più alte e più rocciose. Liberi e curiosi.

La Brigue si nota a fondo Valle e i monti che a sinistra vediamo, salendo, sono tutti francesi. Noi viaggiamo sul confine mentre, un tempo, questo era tutto territorio italiano che è stato poi diviso attraverso il Trattato di Parigi.

A perdita d’occhio si possono vedere profili montuosi dalla bellezza selvaggia e indescrivibile. Una meraviglia dalle punte azzurre e spesso baciate da nuvole dense.

La meta è vicina e continuiamo a salire fino ad arrivare in cresta. Una cresta dalla quale ora si può ammirare anche il versante ad Est e i paesi di Monesi e Piaggia. La divisione tra la Liguria e il Piemonte.

Tra le montagne meno aspre della Valle del Tanarello si distingue bene, bianca e serpeggiante, la strada che conduce ad una delle carrarecce più belle e conosciute d’Italia. Si tratta della Via del Sale, che congiunge le due regioni prima nominate e che su di sé ha visto passare soldati e mercanti.

Oggi sono i ciclisti, i centauri e gli escursionisti ad attraversarla e il panorama che offre è splendido.

Ma anche la vista che godiamo da qui non è niente male e, davanti a noi possiamo nuovamente notare la vetta del Saccarello simboleggiata da un obelisco in cemento. Siamo decisamente più vicini ora.

Un emblema però meno “sentito” rispetto alla vicina statua del Redentore conosciuta ovunque.

Chi lo desidera può ristorarsi al Rifugio “La Terza”, qui presente, e aperto durante la calda stagione.

Può rifocillarsi con tante squisitezze proposte oppure… per chi invece preferisce fare un pranzo al sacco… beh… lo spazio non manca di certo.

Si è contornati da monti e valli, ci si sente come in cima al mondo e gli occhi si affrettano a guardare tutto come se quel tutto dovesse finire da un momento all’altro.

Stando sulle creste adiacenti al Saccarello occorre fare attenzione a non sporgersi più di tanto. I dirupi sono davvero esagerati. Quel mondo va in discesa per presentare, laggiù in fondo, piccoli piccoli, i paesi di Verdeggia, Realdo e Borniga.

Sembrano finti visti da qui. Tutti quei tetti di grigio antico e quelle case incastonate tra gli spazi delle montagne. Come siamo alti…

Continuando più avanti, verso Passo di Garlenda, una cima che colpisce è quella del Monte Frontè con la sua Madonna Bianca a vegliare su quell’angolo di paradiso. Sembra vicino visto da qui, in realtà, per raggiungerlo, occorrerebbe fare una passeggiata per niente breve.

Noi abbiamo raggiunto questo luogo a piedi ma, ovviamente, si può salire anche in auto (con un’auto adatta) e quindi volendo si può poi decidere di proseguire per altre mete zampettando.

Un tour che consiglio a tutti, il quale può offrire una spensierata giornata familiare o una ricerca più tecnica del territorio o, per chi semplicemente ama la natura, un momento di relax e stupore. Le possibilità che regala sono diverse, quindi affrettatevi che l’estate sta per finire!

Io vi mando un bacio dalle più alte cime liguri e vi aspetto al prossimo articolo!

Continuate a seguirmi! Squit!

Generosa Flora sopra Il Pin

Beh, che i fiori, in Valle Argentina, in questo periodo, siano i protagonisti assoluti non ci piove. Ed è giusto che sia così. Siamo in primavera, ormai alla fine, stiamo sfiorando l’estate ed è bellissimo vedere le loro forme davvero uniche e i loro colori.

Oggi però vorrei portarvi a vederne di particolari in un luogo altrettanto particolare. Si tratta di fiori che nascono nei prati, a bordo strada, ma anche su alberi e, insomma, creano un ambiente incredibile.

Andiamo dopo Realdo, dopo Borniga, oltre Il Pin, località così chiamata vista la grande presenza di Pini, salendo per andare verso l’inizio del sentiero che conduce ai Parvaglioni e possiamo godere di un luogo meraviglioso, pezzo di un paradiso unico.

Meraviglioso perché la natura qui dona il meglio di sé. C’è tanta vita soprattutto regalata dalla flora.

Ad accogliermi, dall’angolo di un grande prato, c’è una piccola comunità di alberi. Sono dei Larici. E’ curioso vedere come i più piccoli e giovani siano difesi da quelli più adulti e saggi che li circondano proteggendoli dal perimetro del boschetto. Sotto di loro è come essere dentro ad una capanna, un tepee indiano e l’ombra è così scura e fresca che sembra di aver oltrepassato un portale che porta in un’altra dimensione. Le loro fronde cadenti sono come tende vive e ci si sente accolti.

Esco da quella biocenosi dopo aver respirato il loro profumo balsamico e aver accarezzato i licheni che ricoprono quelle ruvide cortecce perché molto altro mi aspetta.

Sulla soglia un innocuo Orbettino (Anguis Veronensis) mi saluta e meno male perché quasi non l’avevo visto anche se è più lungo di me. Tranquilli, non è un serpente ma una Lucertola un po’ particolare che ha perso le zampe durante la sua evoluzione.

Riprendo a zampettare in su fino ad arrivare in un pezzo di strada che sembra dorata. Questo bellissimo colore è dato dalle cascate dei Maggiociondoli in fiore che, con i loro gialli grappoli, creano un portico suggestivo lungo la via. Si tratta di un albero tossico ma meraviglioso. E persino utile. Il suo legno, che si confonde facilmente con l’Ebano, soprattutto nei soggetti più anziani, era venduto un tempo al posto di quest’ultimo e ancora oggi infatti è conosciuto come “Falso Ebano”.

Passo sotto a quei numerosi e piccolissimi soli, in un mondo tutto giallo, e mi sembra di sognare. Non avevo mai visto tanti Maggiociondoli così assieme anche se, in Valle Argentina, ce ne sono davvero parecchi.

Mi viene in mente il Monte Pellegrino che, in questo periodo, è praticamente giallo!

Dopo aver percorso questo viale ritorno al grande prato e questa volta vengo rapita da un insieme di fiori di campo uno più bello dell’altro.

Persino i fiori, abbastanza classici, di Trifoglio qui sembrano ancora più belli, sono come grandi e morbidi pon pon che dal bianco arrivano alla tonalità fucsia e sono stupendi. Anche altri sembrano palline e assomigliano al Trifoglio anche se non lo sono. Quasi quasi me ne prendo due da mettere come cuscini nel mio guscio di noce.

Ma ci sono anche i Non ti scordar di me e la Veronica, conosciuta anche con il nome di Occhi della Madonna per via del colore blu intenso dei suoi minuscoli petali.

I campi sono completamente in fiore e tutta quella manna è una delizia per molti insetti.

Mi inoltro in un bosco che scorgo oltre il prato. I fiori non mi abbandonano. Ripensando agli insetti mi viene in mente che qui possono sfamarsi davvero quanto vogliono.

L’erba è alta eppure questi fiori sono così colorati e variopinti che spiccano in quel verde vivace. La parola “verde” deriva dal Latino “viridis” e significa “vivere”. Che bellissimo significato vero? Lo sapevate?

E infatti qui, chiunque ritroverebbe la vita. Si respira nuova vita. Perché tutto è vivo e palpitante.

Anche questa volta spero di avervi fatto cosa gradita portandovi con me a vedere tanta bellezza ma ora dobbiamo lasciarci perché un nuovo articolo mi aspetta tutto da scrivere.

Vi mando quindi un bacio floreale e vi aspetto per il prossimo tour.

Rocca della Mela – un “frutto” antico in Valle Argentina

Un po’ come se, in Valle Argentina, fosse sempre Natale! Ebbene sì Topi cari… abbiamo un panettone sempre fisso, nel bel mezzo della Valle, tondo come un cuscino e naturalmente meraviglioso. Ma non è un panettone in realtà. E’ qualcosa di ancora più bello e porta un nome assai curioso. Vi sto parlando di Rocca della Mela un ammasso roccioso, probabilmente in arenaria, davvero simbolico.

Le rocce che la compongono sono bianche e parecchio strane. Ruvide, porose e attaccate assieme dalla terra scura o appoggiate una sull’altra ma sembra quasi impossibile possano stare così appiccicate senza staccarsi. Non è infatti un masso unico, frastagliato, come può sembrare da lontano.

Rocca della Mela si trova isolata in mezzo a tanti prati che durante la primavera e l’estate sono di un bellissimo verde vivace e quindi lei, così chiara, spicca ancora di più. Prati che però non sono solo di erba ma composti anche da tantissimi fiori stupendi, colorati e profumati e che rendono tutto quell’ambiente completamente fiabesco. Ci sono i bianchi Gigli di Monte, i Fiordalisi selvatici, i Botton d’Oro, i Non ti scordar di me e tanti tanti altri…

Sono gli alti pascoli della Valle presso i Prati di Corte dove, durante la bella stagione, soprattutto un tempo, i pastori portavano a pascolare i loro animali.

Oggi, sono prevalentemente i Caprioli a far da padroni in mezzo a quel ben di Dio della Natura e a cibarsi di germogli, funghetti e foglie fresche. Sono prati ricchi, molto generosi.

Il nome “Mela” è un nome interessante nella mia Valle da tanto tempo. Non riguarda solo il frutto in sé come si potrebbe pensare. E’ un nome che ricorda anche il Miele, considerato il “Nettare degli Dei”, alimento fantastico, in tutte le qualità, fin dai tempi più antichi. E la malva. Dalla radice mal significa infatti un qualcosa di morbido, dolce e succoso. Non solo, persino il nome Colle Melosa ricorda questi alimenti considerati da sempre portentosi soprattutto quando il cibo scarseggiava più di oggi e, al posto dei medicinali, si usavano i prodotti della Terra.

La Mela è da sempre considerata, per eccellenza, il frutto in grado di guarire. Lo diciamo anche oggi – Una Mela al giorno toglie il medico di torno – e, alcuni nostri Topononni, quando erano più giovani, tenevano una Mela sul comodino di chi stava poco bene perché, quella Mela, la si riteneva in grado di assorbire il malessere del malato portando via i dolori alla persona.

Alcune Streghe usavano bacchette magiche in legno di Melo per realizzare incantesimi sulla longevità e, inoltre, la Mela, era considerata il frutto simbolo dell’Amore. Non solo della discordia come si pensa in base a diverse filosofie. Per questo, le nostre Bazue, la usavano nel creare alcune pozioni d’Amore.

Probabilmente è a causa della forma particolare di questa Rocca che le è stato conferito questo nome ma è carino pensare anche a tutto quello che ci sta dietro.

Come può anche essere che, una volta, ci siano stati diversi Meli a circondarla. Non lo so, so solo che ora, a circondarla, ci sono tutti i miei monti in un teatro unico.

Dalla mia posizione posso ben vedere dietro di lei il Toraggio, il Pietravecchia e il Grai ma anche il borgo di Triora, mentre, dietro alla mia coda ci sono il Monega, il Bussana e il Donzella. Che spettacolo!

Su di lei Sassifraghe, Timo e Lavanda si muovono mossi da lievi sbuffi di vento. Queste rocce, piene nei loro anfratti da piante così tenaci, sono incredibili. Si tratta di piante spontanee che hanno bisogno di poco terreno e poche cure così, adattandosi anche ai luoghi più impervi, addobbano persino scogli rudi.

Che luogo di pace assoluta, quasi quasi vengo a costruirmi la tana estiva in qualche cunicolo sotto di lei. Tutto qui è particolare. Mi guardo attorno e vedo un infinito fatto di bellezza inimitabile.

Ogni volta la mia Valle mi stupisce regalandomi ambientazioni che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe potuto immaginare. E’ tutto così bello.

Mi sento ancora più piccola in tutto questo spazio ma, allo stesso tempo mi sento protetta dalla bontà che mi abbraccia e da questa Rocca che emana un’energia amorevole.

Vorrei stare qui ancora molto tempo, vorrei persino dormire ai suoi piedi ma devo tornare in tana perché ho da scrivere altri articoli per voi e portarvi con me in altri luoghi da favola.

Salutiamo assieme Rocca della Mela promettendole di venirla a trovare presto.

Vado! E a voi mando un bacio… mieloso…

Verso Gola dell’Incisa e le Peonie selvatiche

Oggi Topi, grazie al periodo di primavera avanzata nel quale ancora siamo, posso portarvi in un luogo davvero magico. E’ magico perché è bellissimo di suo ma, ora, lo è ancora di più grazie ad un verde vivacissimo e la fioritura di tantissimi fiori che rendono questo ambiente degno di tutta l’invidia di Walt Disney.

E’ infatti come camminare in una fiaba.

La Natura sta dando il meglio di sé in un trionfo di fiori, colori e profumi.

I doni sono tanti, di mille tinte e mille forme, ma uno sguardo particolare lo daremo alle splendide Peonie selvatiche che non crescono ovunque, ma ovviamente qui si, perché siamo in un paradiso.

Non siamo proprio in Valle Argentina ma sul suo confine.

Andremo sui monti che la incorniciano e che si possono vedere da ogni suo punto. Che partecipano a renderla meravigliosa.

Andremo verso montagne aspre, soprannominate addirittura le “Dolomiti Liguri” e visiteremo una Gola che sembra uscita da un film fantascientifico.

Severa, erta, profonda. Dalle pareti rocciose che la circondano, alte e colossali.

Partendo da Colle Melosa e più precisamente dalla Fontana conosciuta come “Fontana della Forestale”, qualche tornante più su della più nota “Fontana Itala”, ci dirigeremo verso il Monte Toraggio (1.973 mt) passando per la Valletta e fermandoci poi alla Gola dell’Incisa. Sarà proprio qui, attorno ad un sentiero scavato nella roccia un’ottantina di anni fa dai militari, che potremo godere di un panorama meraviglioso e una natura incontaminata.

La parte apicale di questa Gola presenta un Eden infinito che lascia a bocca aperta, delineato da questo percorso sul quale siamo, a picco sull’abisso. Si tratta del famoso “Sentiero degli Alpini”, oggi malridotto in certi punti, pericoloso a causa della mancanza di protezioni a valle e il suo essere molto stretto e persino inaccessibile dal lato, appunto, del Toraggio.

Per arrivare qui, infatti, siamo passati dal lato del Monte Pietravecchia (2.038 mt) che ci permette di camminare su un sentiero meraviglioso, prettamente pianeggiante e che sembra in molti tratti un lungo prati circondato da alberi lussureggianti.

Soltanto verso l’arrivo diventa più selvaggio ma resta adatto a tutti.

Oltre il bivio della Gola l’accesso invece resta adatto agli impavidi, i quali, dirigendosi poi verso l’immenso potranno godere dei fiori rari che vi ho citato prima: le grandi, rosa e magnifiche Peonie, simbolo di affetto, amore, generosità e abbondanza.

Qui siamo al Passo dell’Incisa, a 1.684 mt e siamo in un luogo che ha vissuto molta vita militare in passato. Quei costoni impervi che la formano sono stati palcoscenico di difese, osservazioni e battaglie.

Le rocce sono stratificate e, in alcuni punti, formano i famosi flysch dei quali spesso vi ho parlato e che troviamo in diverse zone della mia Valle, i quali donano alle pareti rocciose un’apparenza ancora più rude.

Stare qui è bellissimo. Viene in mente il titolo “Dove osano le Aquile”. In realtà, pur essendoci i nobili rapaci, a regnare sono i Gracchi Alpini e Corallini. Sì, qui ci sono entrambe le specie ma i Corallini vivono solo qui mentre gli Alpini si possono trovare anche in altri luoghi lungo la Catena Montuosa del Saccarello.

Anche gli insetti che svolazzano sembrano più coraggiosi di altri. Adattati a un luogo che può apparire ostile ma che ha davvero tanto da offrire.

Pensare ad un ritorno in tana fa quasi male, si vorrebbe restare a godere di questa pace e di tanta magnificenza ancora per molto tempo. La parola – tempo – mi porta con la mente al clima. Qui è davvero bizzarro e imprevedibile.

Si parte con il sole e un cielo terso, poi arriva la nebbia, piove ma spunta il forte vento e ritorna il sole a splendere con i suoi raggi che abbronzano. Se vi avventurate da queste parti vi consiglio di portarvi tutto l’occorrente dal k-way alla crema solare.

Ma in fondo… è anche questo il bello di questi luoghi e si potrebbe leggere come una generosità particolare da parte della natura che vuole offrirci tutto.

Spero che questo luogo vi sia piaciuto e che non vi siate stancati troppo perchè dovete prepararvi per la prossima escursione. Vi aspetto!

Un bacio massiccio, la vostra Topy!

L’eterna bellezza dei fiori selvatici

Ho deciso di intitolare questo articolo “l’eterna bellezza dei fiori selvatici” perché è davvero eterna la bellezza che mostrano e a loro appartiene. Nonostante il loro durare, al di là del tempo.

Naturalmente mi rivolgo ai fiori della Valle Argentina che sono quelli, i quali, posso ammirare durante le mie passeggiate e, soprattutto, nascono spontanei come tanti principini della Flora.

Alcuni vivono per una stagione, altri un solo giorno ma è proprio vero che, a volte, in un solo attimo, si nasconde l’eternità. Perché il loro splendore permane. Resta negli occhi e nel cuore per sempre. Se lo si guarda attentamente, un fiore selvatico, ha tanto da dare. Si offre incondizionatamente in tutta la sua meraviglia ed è stupore.

Durante le mie passeggiate per monti, prati e boschi, ho la possibilità di osservare e toccare e annusare queste piccole divinità costantemente.

Le stagioni della Primavera e dell’Estate ne offrono molti di più ma anche in Autunno e in Inverno, se si fa più attenzione, si può godere della loro bellezza.

Essa muta, di volta in volta, proponendo sempre forme, colori e profumi diversi. Nuovi.

Non è possibile, secondo me, affermare che quel fiore può essere più bello di un altro. Sono tutti belli, ognuno a modo suo e non voglio essere banale con questo. Provate a trasformarvi in piccoli microscopi e osservare da vicino. Vedrete che ho ragione.

I loro colori più accesi si contraddistinguono parecchio con tutto il resto della natura e gli occhi non possono che incantarsi su quei petali così vivi.

Alcuni di loro sono persino edibili, cioè commestibili, anche se bisogna essere bravi a riconoscerli, la natura non è mai da sottovalutare.

Noi della Valle siamo molto fortunati. Non solo viviamo in un pezzo del pianeta splendido e incontaminato ma questo gode anche di una biodiversità raramente equiparabile ad altre zone del mondo! Pensate! Sono tantissime le specie di piante (e anche di animali) che lo popolano. E con il loro nettare squisito, le Api possono creare tanto buon miele.

Le essenze floreali trasmesse da queste meraviglie che ci circondano e che, per la maggior parte, proprio in questo periodo si stanno risvegliando, possono influenzare parecchio la nostra vita.

Un fiore racchiude in sé tantissime forze come quelle della Terra Madre e quelle della luminosità del Sole Padre. Sono le energie con le quali egli stesso si è nutrito e, dando ciò che ha, non potrà che elargire energie pure.

E avete mai notato la loro espressione Topi? Henry Ward Beecher diceva: << I fiori hanno un’ espressione del volto, come gli uomini o gli animali. Alcuni sembrano sorridere; altri hanno un’espressione triste; alcuni sono pensierosi e diffidenti; altri ancora sono semplici, onesti e retti, come il Girasole dalla faccia larga e la Malvarosa >>. Sono assolutamente d’accordo con lui.

I loro colori e le loro forme, inoltre, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, educheranno alla creatività che, credetemi, è il sale della vita. Solo colui che sogna e crea non sarà mai schiavo perchè, per realizzare il suo desiderio, automaticamente diventerà un Creatore. Non posso parlare di floriterapia perché non ne ho le competenze ma ho potuto appurare nella mia vita quanto beneficio i fiori possono regalarci.

Come noi e come il pianeta, sono costituiti dall’80% circa di acqua, un’acqua racchiusa dentro a trasparenze sottili, a venature marcate ma tenui. Ci aiutano a scoprire noi stessi e ad avere molta più autostima e fiducia nelle nostre capacità. Ci insegnano la forza.

Molti fiori emettono profumi per favorire la riproduzione e attirare gli insetti impollinatori. La creazione di profumo è un esercizio di equilibrio: le piante devono generare abbastanza odore per indurre gli insetti per fecondare i fiori, ma non così tanto da sprecare energia. Infatti, per molte specie, l’emissione del profumo non è costante ma diminuisce dopo l’impollinazione” (cit. chimicamo.org). I fiori ci insegnano l’equilibrio. L’equilibrio vitale.

E basterà osservarli attentamente e perdersi nella loro bellezza per arrivare a questo. Il loro sbocciare infatti è un inno alla vita e avviene, sempre, anche contro ogni avversità. Nonostante per loro sia una gran fatica.

I fiori ci parlano e hanno la grande dote di eliminare da noi le energie negative. Riescono ad assorbirle, come fanno con l’Anidride Carbonica, e le trasformano in sensazioni salutari.

Sarà la dolcezza che possiedono nel conquistarci, noi non dobbiamo fare altro che aprir loro la porta del nostro cuore. Osserviamoli attentamente, lo ripeto. Ognuno è un’opera d’arte.

Hanno nuances che nemmeno con i più sofisticati mezzi tecnologici riusciamo ad imitare e profumi che regalano essenze atte al benessere. Al di là delle cure attraverso i fiori di Bach, filosofia curiosa e piacevole ma che non tocca questo tema, stare a contatto con i fiori è sinceramente salutare. La loro bellezza, la loro perfezione, ci aiuteranno ad apprezzare di più il mondo, sentirci confortati e gradire le piccole cose.

Come può un esserino così minuscolo essere anche così perfetto? Eccolo, possiede tutto. E in quel – tutto -, che scopriamo se miriamo ancor di più con i nostri occhi, c’è un altro mondo da svelare… a noi.

I pistilli e gli stami ci appaiono come il suo centro, come il suo arrivo ma no, c’è ancora qualcosa oltre: lanugine, colori, solchi, palline, polvere sgargiante. C’è la meraviglia. Addentrarsi in loro, toccarli, percepirne la leggerezza. Lasciarsi sollevare l’animo. Perdersi in loro, evadere dal mondo. Così va guardato un fiore. Così saremmo appagati dalla sua energia. I fiori permettono la vita. Sono un anello fondamentale della catena.

Anche noi possiamo riprodurre grazie a loro. Possiamo riprodurre la nostra gioia, la nostra serenità, il nostro benessere. Amalgamiamoci ad essi. Avviciniamoci a loro in un corroborante abbraccio. I fiori non vanno solo guardati o messi a dimora in uno splendido vaso. I fiori vanno vissuti.

Che ne dite Topi? Vi sono piaciuti i miei fiori selvatici?

Bene, un bacio floreale a voi allora.