Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.

Il bacio argentato della Luna

Molto spesso, di notte, la Luna passa sorvolando le mie splendide montagne e ad ognuna di loro regala il suo bacio d’argento.

In una Valle chiamata “Argentina” è naturale pensare ad un bacio argentato e brillante dato da questo importante satellite. L’unico satellite naturale della Terra.

E’ un bacio lungo che, a volte, dura anche fino al mattino ed è una meraviglia restare ad ammirarlo. E’ un fenomeno che, quando accade, affascina sempre non trovate? Tutto appare più… magico.

Le foglie degli alberi diventano come luminescenti e l’erba appare rilucente.

Si possono persino sentire le voci dei monti che sussurrano parole d’amore a questa Luna, la quale li accarezza al suo passaggio. Offrono a lei dediche affettuose e sembra quasi vogliano elevarsi ancora di più, verso il cielo, per raggiungerla.

Come se lei capisse i loro sforzi, si abbassa fino a sfiorarli, ed è proprio in quel momento che si rimane estasiati dall’immagine che assieme regalano.

Sono i miei monti e sono ancora più belli del solito visti in quella situazione e innamorati.

Incorniciati da un cielo che mostra le sue tinte più belle.

I loro stessi colori cangianti. In base alle stagioni. E poi lei, la Luna, la Regina del momento. La bellezza fatta a sfera, o a falce, sempre colma di fascino.

Talvolta enorme.

Leggera e imponente allo stesso tempo.

Pallida ma ben visibile.

Che momenti unici e meravigliosi.

E’ grazie a lei se alcune sere posso inoltrarmi nel bosco. Un faro naturale che rende tutto surreale quando si avvicina alla macchia scura. Ma posso vedere bene i miei sentieri.

La Luna… che da sempre governa maree, mutazioni, eventi, cicli…

Un tempo venerata dai popoli più antichi e poi studiata da chi, grazie a lei, poteva comprendere l’evolversi perpetuo di Madre Terra.

Mi sento ricca e fortunata quando posso partecipare, anche solo con lo sguardo, a questi eventi.

La mia Valle preziosa diventa ancora più suggestiva e infinitamente bellissima.

E’ giorno… ma è come se la Luna non se ne volesse andare. E’ come se volesse restare lì, vicina a quelle vette che io cerco di conquistare.

E’ giorno ma è come se la Luna volesse accompagnare il Sole per scaldare e illuminare maggiormente.

Evidentemente anche lei ama quelle montagne quanto me.

Non è più notte, potrebbe andar via, invece resta. Insiste. E io ne sono ben lieta.

Il Gerbonte, il Carmo dei Brocchi, il Frontè… tutti che si apprestano a ricevere quel tocco lieve di labbra candide e sacre. Le luminose labbra della Luna. E tutta la Valle risplende!

Che bei momenti. Momenti che ho voluto condividere con voi amici Topi.

E vi assicuro che, ogni volta, seppur già vista, è come se fosse la prima volta.

Ora, mentre mi lascio baciare anch’io dalla Luna, inizio subito a scrivere un altro articolo per voi. Mi sento ovviamente molto ispirata davanti a questo spettacolo.

Continuate a seguirmi quindi… un bacio argentato a voi!

Il Ponte di Glori tra abbracci silenziosi

I raggi del sole tardano a scaldare in questa mattina di febbraio e la brina, sulle piccole foglie dall’animo placido, può donare il suo abbraccio più a lungo.

Ne ricopre i bordi, disegnando asterischi ghiacciati che creano un contrasto con il colore della natura ancora addormentata.

L’erba è schiacciata dal gelo come perduta, in realtà a riposo.

Cammino per questo piccolo sentiero indicatomi da una vecchia casa abbandonata a bordo strada e continuo a guardare quella bellezza che scricchiola sotto alle mie zampe. E’ proprio vero che la meraviglia si nasconde nelle piccole cose.

Starei ore, incantata, ad osservare quei bianchi e freddi fiocchetti ricoprire ancora tutto il mio mondo e so di avere poco tempo anche se il sole non si è ancora alzato nel cielo.

Il sentiero è davvero breve e pulito. Mi condurrà a un ponte conosciuto come “Il Ponte di Glori” perché si trova proprio sotto a questo paese del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/03/25/glori-un-mucchietto-di-case/

Il barego (casone-rudere) è appena prima questo ponte che sto cercando. E’ fatto completamente in pietra e, al posto di porta e finestre, ora ha delle aperture che permettono di vederne il nudo interno.

Mi trovo per la strada che sale per la Valle conosciuta come “la strada di sotto”, cioè la via che sarebbe dovuta essere ricoperta dalla diga non più realizzata. Questa vecchia struttura la si vede molto bene sotto strada, a sinistra (salendo).

La natura si è impossessata di lei dentro e attorno.

Mentre la guardo posso già sentire lo scrosciare dell’acqua poco distante da me. E’ potente e la sua voce riecheggia colpendo le alte rocce che formano il canale del suo passaggio.

Sono rocce lisce alcune, altre ruvide mostrano strie in rilievo. Sono grigio chiaro, a tratti ricoperte da un muschio che mostra varie tonalità di verde.

Anche quello di questa tenera erbetta minuscola, che sembra una moquette, mi pare un abbraccio stretto verso quelle grandi pietre.

In certi punti, le rocce, formano dei veri muraglioni ed è proprio nel punto in cui tali pareti si alzano molto che sorge il ponte.

Posso già intravedere, tra la vegetazione, il suo esserci e gli spruzzi bianchi dell’acqua sotto di lui.

Sul ponte non ci sono muretti a protezione e nemmeno staccionate.

Occorre non sporgersi troppo, è abbastanza altino e sotto scorre il Torrente Argentina in tutto il suo splendore scontrando i massi e formando pozze dove Trote e Gamberi di Fiume trovano dimora.

Sembrano lagune in miniatura. Quanta vita celano là sotto.

E’ possibile passare su questa antica costruzione e raggiungere l’altra parte che mostra un altro sentiero ma permette di raggiungere anche scogli enormi dai quali si ha una bella vista sull’intero arco in pietra che forma quello che oggi voglio ammirare.

In realtà gli archi sono due ma uno è più piccolo, da un lato. L’altro invece, sostiene l’intera struttura centrale.

Il fiume scorre veloce ma attorno al ponte la natura è quieta.

Nonostante la fredda stagione, qualche piccolo accenno di primavera prova a spuntare e, ora che il sole si è alzato e batte forte su quelle rocce, si sta d’incanto.

Tenere e minute foglie dal verde sgargiante spiccano in mezzo a quelle sfumature spente.

Solo gli alberi che racchiudono il percorso offrono zone d’ombra ed è proprio qui, in questo piccolo boschetto, che noto l’abbraccio più bello che mi sia capitato di vedere oggi. Quello tra due alberi che sembrano ballare il tango. E con tanto di casquet!

Mi sposto per osservare quella realizzazione storica da un’altra prospettiva cercando di distogliere lo sguardo da quelle piante romantiche.

Si tratta di un ponte medievale che permetteva lunghe passeggiate sulle sponde opposte e sui monti. Monti che donavano lavoro ma anche frutti e la possibilità di costruire dimore che venivano realizzate in quella macchia.

E’ bellissimo stare qui. Seppur sono vicina alla strada che passa di sotto, per raggiungere da Taggia – Molini di Triora, non si sente volare una mosca e tutto offre un’atmosfera onirica.

Non sono in grado di affermare se questo ponte abbia bisogno di un intervento di restauro. Di certo, guardandolo dal di sotto, pare più solido e più in buone condizioni rispetto a molti altri. E’ facile confonderlo con quello di Agaggio, molto più antico e più malconcio, ma secondo le mie fonti, quello di Glori, è proprio questo.

Vi mando un abbraccio quindi, per restare in tema, anziché un bacio, e vi aspetto per il prossimo tour!

Dal Praetto ai Confurzi fino a Santa Brigida

Dal Passo della Mezzaluna, prendendo il sentiero tra i pascoli che taglia i Monti Donzella e Bussana arrivo ad una piccola radura chiamata il Praetto (Piccolo Prato).

È un sentiero molto carino, pulito, arricchito da un vasto panorama e tanta erba che, in questo periodo, è addormentata.

Le zampe poggiano su schegge di una particolare Ardesia. È bicolor, grigia e bordeaux. I coriandoli della Terra. Sono friabili, si rompono facilmente.

Appena intrapreso questo sentiero, se mi giro indietro, posso vedere ancora una piccola parte del Passo e il Monte Arborea illuminati dai raggi del sole.

Se guardo alla mia sinistra, invece, si apre un panorama bellissimo, fatto di monti e paesi.

Al Praetto si arriva in fretta e anche qui si può godere di una vista spettacolare.

Se mi giro verso la Catena Montuosa del Saccarello, un bosco di Conifere inizia in discesa e nasconde diversi animali. Un Gallo Forcello mi ha quasi spaventata partendo all’improvviso davanti alle mie zampe e andando a nascondersi lì, tra quegli alberi dalla corteccia ruvida.

Ma non devo passare di lì, in mezzo a quel verde scuro. Devo dirigermi in giù, verso Andagna e più precisamente verso la piccola Chiesetta di Santa Brigida. Sbucherò infatti dal tornante sopra di lei.

Inizio per quello che non ha più niente a che vedere con il sentiero piano e pulito di prima.

Sono in discesa su un terreno sconnesso. Non è pericoloso ma vi posso assicurare che tonifica di sicuro zampe e glutei.

Piccole frane, piogge e Cinghiali han reso questo tratto di bosco abbastanza impegnativo. Le foglie secche a terra (ce n’è una quantità industriale) ricoprono pietre tonde che rotolano e scivolano se ci si mette una zampa sopra, perciò occhio a non prendere storte che lo so che non siete agili come me.

E’ bellissimo vedere come il suolo muta dopo qualche metro; prima è ricoperto da foglie di Nocciolo, poi di Castagno, poi di Roverella e così via, cambiando tappeto molto spesso.

Sono infatti circondata da alberi, alberi dalla forma anche strana e mi rendo conto che alcuni sono la tana di qualche parente.

Continuo a scendere per quel bosco fatto di massi e tronchi fino ad arrivare dove a regnare è l’acqua. Eccomi giunta nella zona chiamata I Confurzi (ad indicare acqua che confluisce).

E’ tutto bagnato attorno a me. L’acqua sgorga da ogni dove e scende verso fondo Valle.

Ci sono piccoli edifici in pietra e cemento chiusi da porte verdi. Ci sono fontane e rii.

Le piccole onde e gli spruzzi scavalcano pietre e rami.

E’ acqua fresca, limpida e allegra che passa sotto le foglie, crea pozzanghere e ruscelli.

Il sentiero si appiana. Si passa vicino a delle alte rocce sotto alle quali noto le prime Primule di quest’anno e anche qualche Helleborus Faetidus sempre pronto a sbocciare. Ama le zone umide e ombrose e non patisce il gelo. Ne ho visti molti sopravvivere con tanta neve attorno.

Conosco anche un nuovo Tizio, mai visto prima, sembra un Maggiolino con le borchie ma riesce a sparire prima di rivelarmi il suo nome.

Quando non ci sono alberi si può vedere una bella parte di Valle fatta di montagne ricoperte di un verde pallido e spento che sembra velluto.

E’ tutto bellissimo e, laggiù in fondo, intravedo già la mia meta, il Santuario conosciutissimo al quale molte persone della Valle Argentina sono affezionate. Nella foto (scattata dalla parte opposta di dove mi trovo oggi) potete vedere da dove sbucherò quando giungerò in fondo a questa mia escursione.

Incontro un’edicola solitaria in mezzo a tutta quella natura. E’ bianca, anch’essa in cemento. Uno dei tanti emblemi del culto mariano molto sentito in zona.

Anche una specie di costruzione realizzata con le pietre del luogo sembra voler abbellire quel posto. Stanno ferme e in bilico.

Immagino che d’estate questo posto sia pieno di fogliame e fiori. Sono sicuramente tante le specie di flora che arricchiscono questo territorio anche se, in questo periodo, devo accontentarmi di un Creato più svogliato e ancora sonnolente. Splendido comunque.

Si arriva al traguardo senza nessuna fatica. Dopo quei primi cinquecento metri, di cui vi ho parlato a inizio post, il sentiero e bello e pianeggiante.

Anche questa volta ho vissuto una bella esperienza e ho visto un luogo che ancora non conoscevo e che mi ha colpito per il suo incredibile silenzio.

Un silenzio rotto solo dallo scorrere dell’acqua.

Bene Topi, come avete visto sono arrivata, non mi resta che salutarvi e aspettarvi per il prossimo tour che faremo assieme, come sempre!

Un bacio schioccante a voi!

Quando un ponte si fa incanto

In Valle Argentina ci sono luoghi che offrono ambienti suggestivi e sempre diversi ogni volta che ci vai, a seconda della stagione e delle condizioni meteorologiche del momento. Ecco perché certi scorci vanno assaporati in occasioni diverse, per poter godere della bellezza che Madre Natura offre e che sa dipingere in modo sempre differente.

Oggi vi porto a visitare un posto che definire fiabesco è poco, conosciuto e visitato soprattutto da fotografi e appassionati di epiche storie fantastiche, non a caso, aggiungerei. Sto parlando del ponte di Creppo e dei suoi dintorni, attraversati da sentieri variegati in cui è bello perdersi e abbandonarsi all’avventura.

Per scendere giù, fino alle acque limpide e cristalline del torrente, si imbocca il sentiero dalla strada provinciale, subito sotto l’abitato di Creppo. Volendo, da qui si potrebbe arrivare a Drondo, a Ca’ de Bruzzi, al Gerbonte e in altri luoghi meravigliosi, ma oggi il nostro breve tour si fermerà al ponte.

albero

Si scende dolcemente, seguendo i profili soleggiati delle campagne e dei prati assolati, dove gli alberi da frutto sono spogli. Siamo accompagnati dalle pietre rustiche dei muretti a secco, quei massi che caratterizzano la mia terra e ai quali sono affezionata.

Creppo muretti

Roverelle e Ippocastani svettano contro il cielo azzurro e terso, sono ormai spogli e i loro rami paiono dita nodose agganciate alla volta celeste.

Giungono anche due occhioni dolci a salutarci in questa nostra passeggiata e intorno è tutto un andirivieni colorato del giallo e del blu delle cinciallegre.

cavallo

Anche se siamo a gennaio, il tepore del sole scalda a sufficienza e ci permette di indugiare sul paesaggio senza rabbrividire. Il Gerbonte si erge davanti a noi, il suo volto aguzzo è piacevolmente familiare, punto fermo di tante passeggiate. Con lui, stretto in un abbraccio tra rocciosi parenti, c’è anche il Grai coperto di bianco.

gerbonte da creppo

Si abbandonano le bionde campagne per attraversare luoghi più umidi, si passa sotto rocce incombenti dalle quali piovono cascate di piante verdi e tende di rami ormai secchi.

rocce

E ancora la luce del sole si spegne un po’ di più, resta in alto e non ci raggiunge. Siamo assai vicini al torrente ormai. Si passeggia fra i tronchi delle conifere sempre rinverdite dal loro fogliame, alternate dalle spoglie latifoglie, che mostrano senza pudore il loro tronco nudo.

castagno

Ci sono anche castagni secolari, perfettamente riconoscibili in mezzo all’apparente desolazione della natura. I colori che prevalgono sono il marrone del suolo e il grigio-bruno degli alberi, ma c’è un’altra tinta che inizia a dipingere i massi: il verde brillante del muschio, talmente acceso da sembrare surreale.

muschio bosco

Poi, tutt’a un tratto, si gira una curva, si fanno due passi in salita e…

ponte di creppo

… ci si trova in un mondo del tutto diverso, magico e incantato come una fiaba, dove ogni cosa è coperta da uno spesso manto di brina. E il ponte di Creppo è là, immobile in mezzo al candore. Il suo suggestivo semicerchio è come la gobba della luna di cui oggi imita il pallore.

Sembra che la Bianca Signora sia passata di qua lasciando dietro di sé una scia come un sentiero di petali gelati da seguire. E io li seguo, eccome!

erba brina

Sembra incredibile che solo pochi istanti fa eravamo al sole, baciati dal suo calore, mentre adesso la punta della coda e del naso sono fredde, circondate da una temperatura ben diversa. Il terreno è duro di gelo, i fili d’erba scrocchiano sotto le scarpe al nostro passaggio, talmente sono gelati. E in alcuni momenti, il ghiaccio pare formare coi suoi merletti dei minuscoli fiori congelati, se ne contano persino i petali.

I profili delle nervature delle foglie cadute sono dipinti di bianco e tutto sembra ingioiellato da minuscole perle argentate.

foglia congelata

I rami più bassi protendono le loro dita ossute verso di noi, qualche volta indossano guanti di licheni e paiono volerci afferrare per farci restare un altro po’.

licheni

Anche le pietre del ponte antico hanno la loro morbida e bianca pelliccia, mentre sotto scorre l’acqua col suo scroscio costante, ma mai impetuoso.

scarponi

Saliamo su quel ponte, lo attraversiamo e in un attimo siamo dall’altra parte, pronti a salire di nuovo. La brina ci accompagna ancora per un po’, poi lascia il posto ai raggi del sole, che illumina gli alberi sui versanti dei monti e tinge il mondo di colori più vivaci. A questo punto, dopo una breve salita, il sentiero prosegue in piano tra ginestre, pini silvestri e castagni ritorti.

ponte legno creppo

E da qui si attraversa un altro ponte, questa volta in legno, ristrutturato dal Comune di Triora e co-finanziato dal Parco Alpi Liguri. Oltre quel ponte, qualche passo più in là, la cavalla dagli occhi dolci ci attende insieme all’abbraccio di Creppo.

cavallo sentiero creppo

Per oggi ci fermiamo qui, topi, ma presto vi farò conoscere altre meraviglie.

Un saluto incantato dalla vostra Prunocciola.

La Mantide: una profetessa in Valle Argentina

L’amica che vi faccio conoscere oggi e alla quale voglio dedicare un articolo si chiama Mantide o Mantide Europea ma, a causa del suo tener le zampe anteriori come se fossero giunte in preghiera è conosciuta più comunemente come Mantide Religiosa.

Il nome Mantide deriva dal latino Mantis e significa Profeta o Indovino, un qualcuno in grado di predire il futuro.

È infatti noto che incontrare una Mantide reca con sé il significato di poter ricevere delle nuove notizie… ma non solo…

La Mantide simboleggia anche la connessione al regno spirituale e la bellezza dell’introspezione, un importante stato d’essere che permette di ritrovare la forza e la saggezza perdute. Doti attraverso le quali ci si può preparare ad affrontare le prove più ostiche della vita.

Ma la Mantide è l’emblema anche di un concetto tutto al femminile anche se questo non significa rivolto esclusivamente alle donne, bensì a quella parte più femminile che possiede ciascuno di noi. Come nutrimento della femminilità s’intende infatti donare potere alla nostra creatività, alla dolcezza, alla saggezza, alla sensibilità, alla fantasia, alla lungimiranza e altre virtù.

Si tratta di un insetto davvero particolare. Il suo stesso aspetto è particolare. Sofisticato e seducente.

Quel corpo allungato, sottile, e quel muso triangolare reso ancora più ammaliante da occhi alieni.

Nella parlata popolare, le donne opportuniste che sfruttano gli uomini per poi abbandonarli vengono definite – Mantidi – in quanto, questo insetto, durante la copulazione divora il compagno partendo dalla testa mentre questo, ancora vivo, la copre e rilascia in lei il seme fecondo. Proprio come se lo sfruttasse per i suoi scopi per poi sbarazzarsi di lui.

Questo però accade solo se la femmina risente di una mancanza di proteine elementi che le sono indispensabili per portare avanti la gravidanza e deporre le uova.

Tale comportamento viene chiamato cannibalismo post-nuziale.

Le uova poi, durante l’inverno, vengono deposte dentro a delle sacche tipo bozzolo chiamate ooteche e possono arrivare a contenere più di cento uova. Che mondo strambo e fantastico quello degli insetti! Sapeste cosa vedo accadere tra le foglie e i fili d’erba della mia Valle!

La Mantide ha solitamente una colorazione verde chiara e brillante ma alcune possono essere marroncine, gialle o persino color avorio. In alcuni paesi tropicali ce ne sono però di tutti i colori, persino rosa.

Spesso infatti la si confonde con gli Insetti Stecco ma sono due animali diversi, mentre, alla stessa famiglia appartiene l’Ameles Spallanzania che potete vedere sulla mia zampa detta anche Mantide Nana.

La Mantide possiede un paio d’ali che usa per spaventare i predatori aprendole a ventaglio per mostrarsi più grande. È dotata però anche di altri mezzi difensivi come due macchie scure sulle zampe anteriori a forma di occhio e un paio di tenaglie come bocca con le quali divora voracemente le sue vittime.

I due occhi neri (finti) sulle zampe arricchiscono l’apertura alare in quanto divaricando al contempo anche gli arti superiori, mostrando quel falso sguardo, per alcuni animali lei diventa quasi un mostro alato.

La sua dieta è varia. Si nutre principalmente di insetti ma non disdice neanche piccoli anfibi o piccoli rettili che cattura con uno scatto velocissimo dopo essere rimasta immobile per molto tempo sulle piante nascosta tra le foglie.

Il suo modo di fare denota supponenza e sono pochi infatti gli animali che si permettono di darle fastidio.

Il suo fascino evoca rispetto e timore e ha ispirato diversi artisti nel mondo umano soprattutto scrittori e poeti.

Vi ha fatto piacere conoscere questa mia amica? Beh, forse sarebbe meglio dire – conoscente -… non ci si ride molto assieme. Comunque son contenta di avervela presentata.

Un bacio profetico a tutti voi!

Al Ciotto: osservando tinte e arabeschi

Da più di tre anni, di tanto in tanto, mi dirigo al Ciotto di San Lorenzo.

Si tratta di un luogo a me molto caro, situato alle pendici del Carmo dei Brocchi e oltre ad essere un posto bellissimo se lo si sa ascoltare, parla con un’energia davvero profonda e unica.

Per arrivarci passo solitamente da Drego e da Passo Teglia, anch’esse zone della mia Valle senza eguali per il loro fascino remoto.

Una volta giunta all’arrivo mi piace soffermarmi a guardare ogni cosa, lentamente. Lo sguardo si appoggia piano, su tutto quello che addobba questo angolo della mia Valle per me dal sapore mistico e affascinante.

Mi piace contemplare, pensare, riflettere e guardare intorno a me tutta quella bellezza che mi circonda sentendomi davvero una Topina fortunata. Si tratta di una dolina tutta fiorita in estate e circondata da austere rocce, una faggeta fatata e abeti antichi che proteggono. Una radura a forma di conca nella quale talvolta si forma un piccolo lago o è prato in base al periodo dell’anno.

E’ proprio durante queste attente osservazioni che ho potuto notare come questo luogo si modifica di stagione in stagione.

I suoi cambiamenti sono in realtà molto evidenti e dati principalmente dai colori che lo abbelliscono ma se quando parliamo di colori pensiamo soprattutto all’autunno… beh… al Ciotto di San Lorenzo (chiamato anche il “Sotto”) le tinte regalano emozioni ogni mese.

E’ vero che, prima di aprire le porte all’inverno, i Carpini si vestono d’oro e i Larici delle nuances del tramonto. Com’è anche vero che i Faggi diventano color della terra bruciata e le capsule di semi delle Graminacee creano puntini neri sparsi qua e là ma quando la fredda stagione giunge del tutto è la Bianca Signora, la neve, a regnare rendendo tutto candido e brillante.

Il foliage, in questo luogo, è davvero attraente.

D’estate, invece, è il viola della Lavanda e del Cardo Selvatico a prevaricare su tutto. Il colore della magia, ed è quasi più presente addirittura del verde vivace, il vero padrone.

Lo stesso Cardo, terminato il periodo estivo, appare di un avorio lattiginoso e sfavillante.

Tra il profumo del Timo anche gli insetti contribuiscono a colorare il tutto ma ovviamente, il gradino più alto del podio spetta alle farfalle e le loro ali dipinte.

Per non parlare delle bacche. Tante tantissime e tutte diverse tra loro. Quelle color rosso fuoco si notano già da lontano.

Molte tonalità di grigio e di marrone vengono date anche dalla corteccia degli alberi che circondano l’antico Ciotto ricco di storia e leggende.

Osservando certi tronchi, dal basso verso l’alto non si possono non notare le diverse sfumature di queste alte piante e, una volta che ci si trova con il naso all’insù, un ulteriore spettacolo si apre davanti agli occhi agitati.

Un intreccio infinito di rami, sia spogli che ricchi di fogliame, si annodano, si avvicinano e si incrociano fino a formare strane forme di linee, degli arabeschi stupendi che sembrano disegnare il cielo.

Come dei centrini, posizionati all’incontrario, abbelliscono anche l’aria sicuri nel risultato di una meraviglia totale.

Via via che i giorni passano, andando verso il periodo del gelo, dopo il trionfo di vita e tinte forti, tutto si spegne divenendo sempre più pallido e mostrando il riposo.

Nonostante questo sonno color pastello, pare d’esser in un incanto, nella tela di un pittore malinconico e che ama i colori tenui. L’inverso della vivacità verde incontrata in passato.

Insomma, il Ciotto di San Lorenzo regala sorprese sempre. Non può non lasciar stupiti e grazie alla natura variegata che lo forma resta un punto assolutamente unico della Valle Argentina.

Io, sognante, vi mando un bacio colorato e vi lascio immaginare questa tavolozza. Vado a prepararvi un altro articolo!

Il Corbezzolo – Vivi e colora il tuo mondo

Poi qualcuno osa dire che l’Autunno è una stagione triste e spenta, poco colorata… Ma meno male che c’è qui la vostra Prunocciola, pronta a mostrarvi la Natura come la vedete di rado!

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Cari topi, in questo periodo dell’anno i monti e la Natura tutta si colora di tinte assai calde e accoglienti, complici anche le giornate ancora per lo più terse e molto tiepide. Ed è in questo momento che giungono a maturazione anche dei frutti coloratissimi, che inondano i sentieri offrendo ulteriore bellezza agli occhi, come se non fosse già tanta quella offerta dai generosi Castagni dalle foglie d’oro, dai colori bronzati dei Larici, dalle tinte solari e delicate delle faggete e di tante, tantissime altre piante che fanno i fuochi d’artificio pur di farsi notare.

Sto parlando del Corbezzolo, il cui nome scientifico è Arbutus unedo, pianta appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I suoi frutti paiono palline natalizie di colore giallo-arancio quando sono immaturi e rosso quando invece giungono a maturazione.

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La pianta è sempreverde e vanta la presenza in contemporanea di fiori e frutti sui rami. I suoi colori prevalenti (il verde delle foglie, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti) la assimilano alla bandiera italiana, e per questo motivo ne è divenuta il simbolo patrio. Fu nell’Ottocento che assunse il significato di unità nazionale.

Plinio il Vecchio, naturalista e filosofo romano, riteneva i corbezzoli talmente insipidi che a suo parere era impossibile mangiarne più di uno, ecco spiegata la derivazione del nome scientifico della specie – “unedo” -, che deriverebbe da “unum” (= uno) e “edo” (= mangiare).

I suoi colori vivaci lo accostano alla Vita, e infatti è una pianta assai longeva, tanto da poter divenire addirittura plurisecolare. Cresce anche rapidamente, e con questo Madre Natura ci vuole lanciare un messaggio importante: chi sa colorare la propria esistenza, chi guarda con gioia ai colori, alla positività, cresce (e vive) con più facilità.

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Il verde è il colore del cuore secondo le discipline orientali, è la tinta che più di ogni altra riguarda l’energia d’Amore Incondizionato che permea ogni cosa nel Creato. E, in effetti, è il colore di Madre Natura… chi sa amare più e meglio di lei? Qualcuno lo attribuisce anche alla speranza, ma una creaturina del bosco come me non conosce questa emozione: noi bestioline, insieme alle piante e a tutti gli elementi naturali, non siamo soliti sperare, semplicemente siamo, esistiamo e agiamo, senza aspettative. Ecco perché per me il verde del Corbezzolo – e di tutte le altre piante meravigliose della Valle e del pianeta – rappresenta la Vita, la gioventù delle tenere foglie appena spuntate sui rami e dalla terra.

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Che dire, poi, del bianco? E’ la Purezza per antonomasia, la pagina ancora bianca prima di essere scritta, il principio di ogni cosa, l’insieme di tutti i colori esistenti e la tinta attraverso la quale si esprime la Luce… e, ancora una volta, la Luce è… Vita!

Giallo, arancio e rosso sono invece colori legati al Sole, al fuoco, quello della creazione e del calore fisico, avvolgente e prorompente. Anche in questo caso sono tinte strettamente legate alla Vita. Ed ecco che allora il Corbezzolo, racchiudendo in sé tutti questi colori, non fa che rimarcare, evidenziare e sottolineare con allegra e sfacciata enfasi il suo essere così profondamente legato alla Vita gioiosa, all’esistenza terrena.

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A proposito di fuoco… è una pianta originaria del Mediterraneo, e la terra lambita da questo meraviglioso mare è battuta dal Sole e spesso viene investita da incendi. Ma tutto in Natura è perfetto, topi, per cui questa mamma amorevole su cui poggiamo tutti le zampe ha escogitato un modo efficace e geniale per far sopravvivere le proprie creature durante manifestazioni apparentemente così estreme e violente. Come il Cisto, infatti, il Corbezzolo possiede una “memoria” di fuoco. Cosa significa? Vuol dire che si infiamma molto facilmente e questo gli permette di far passare velocemente le lingue infuocate sopra le proprie radici, in modo tale da preservarle intatte. In pratica la parte alta della pianta si incendia e si incenerisce molto in fretta, e dunque le fiamme, non avendo altro da “mangiare”, passano oltre. Le radici restano integre e da lì a breve il Corbezzolo rigetterà, concimato dalle sue stesse ceneri come l’Araba Fenice, crescendo velocemente come solo lui sa fare! Una meraviglia, insomma! Se non è Vita questa…

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Il Corbezzolo ha dimensioni arbustive, arrivando a raggiungere però fino ai 10 metri di altezza. I suoi fiori a grappolo sono ricchissimi di nettare, particolarmente apprezzato dalle mie amiche api, soprattutto se quando la pianta fiorisce – ovvero tra ottobre e novembre – non sono ancora giunti i primi freddi a farle rintanare. Il miele di Corbezzolo, molto pregiato, aromatico e amarognolo, è l’ultimo a essere prodotto prima del riposo invernale.

I frutti, come già dicevo, hanno forma sferica tanto da apparire come colorate palline decorative, sono grandi circa due centimetri e sono molto carnosi, possiedono in superficie dei tubercoli che danno alla bacca la sembianza di una pralina ricoperta di granella. Maturano tra ottobre e dicembre e non tutti ne amano il sapore e la consistenza, come ricordava Plinio, eppure in molti lo apprezzano, soprattutto per l’utilizzo in diverse preparazioni, tra cui le confetture.

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Se non lo apprezzano gli esseri umani, altrettanto non si può dire delle bestioline! In particolare esiste una farfalla che adora nutrirsi dello zucchero presente nei frutti, ne fa grandi scorpacciate, e per questo motivo la bellissima Charaxes jasius è meglio conosciuta più semplicemente come farfalla del Corbezzolo.

Se ne ricavano, oltre alle marmellate, anche vini, liquori, acquaviti e dolciumi.

Un tempo le sue foglie, ricche di tannini, erano utilizzate anche per conciare le pelli.

Il Corbezzolo cresce in mezzo alla macchia mediterranea, motivo per cui è più facile trovarlo sui sentieri costieri o che si affacciano quasi sul mare. Personalmente ne ho visti davvero molti sulle alture di Sanremo, tra San Romolo e Monte Caggio, così come anche tra Verezzo e i Prati di San Giovanni. Ama ambienti semiaridi, a un’altitudine che va fino agli 800 metri sul livello del mare, e cresce tra i cespugli, nei boschi in cui domina il Leccio o anche nei sottoboschi di pinete litoranee.

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Un’antica leggenda latina narra del salvataggio di un neonato da parte della ninfa Carna avvenuto grazie a un ramo di Corbezzolo. Per questo motivo la pianta è divenuta una delle piante che si dice respingano le streghe, soprattutto nella notte di San Giovanni (24 giugno).

I toscani l’hanno addirittura adottata nel gergo come esclamazione di meraviglia: “corbezzoli!”, dicono. E in effetti, topi, io non riesco proprio a dare loro torto. E’ una pianta assolutamente meravigliosa!

Un bacio tricolore a tutti voi.

Ciò che racconta l’Autunno

Topi cari, tutti voi sapete quanto io ami l’estate, eppure l’autunno – come ogni altra stagione di Madre Natura, del resto – ha una luce particolare che voglio far conoscere anche a voi.

Rocca Barbone - Valle Argentina

È appena cominciato e quest’anno pare essere anche più caldo del consueto, ma irrimediabilmente si percepisce nell’aria qualcosa di diverso rispetto alla stagione passata.

 

 

Non c’è più quel brulichio di energia tutto estivo, ogni cosa, adesso, sembra quiete, calma, armonia. L’autunno è così, topi miei. Dà nostalgia a chi ama la bella stagione, a chi agogna già i prossimi tuffi al mare o ai laghetti, ma dona anche una pacatezza che si sente dentro, dal cuore e fino alle viscere.

castagni autunno

I ritmi della Natura influenzano tutte le creature che ne fanno parte, e in questo periodo l’energia inizia ad abbassarsi, pian piano si ritira nel suolo, anziché sui rami e sulle parti alte delle piante. La stessa cosa capita agli altri esseri viventi: gli animali abbandonano pian piano il “mondo di sopra” per iniziare il loro periodo di letargo, mentre gli esseri umani si concentrano di più sulla loro interiorità. Si ricerca la compagnia, ma in modo meno mondano rispetto all’estate.

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E’ considerato il tempo del seme, quello in cui tutta la forza risiede in qualcosa di piccolo, talvolta minuscolo, ma che ha in sé potenzialità di grandezza e bellezza infinite. Il seme ha bisogno di buio e silenzio, due cose che si associano alla morte e alla vita intrauterina, elementi necessari alla crescita e alla nascita di nuova vita. La terra, con la sua umidità e i suoi sali minerali, si prende amorevolmente cura di quei semi, cullandoli e proteggendoli dal freddo esterno che avanza e incalza. Lo farà finché il semino non sarà pronto per aprire il suo involucro esterno e far germogliare la piccola, grande vita che contiene.

 

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Questo accade non solo al regno vegetale, topi! Tutta la Natura è coinvolta da questi cambiamenti, ecco perché l’autunno è la stagione in cui si resta più facilmente da soli con se stessi, si è più portati a riflettere, a permanere in uno stato ovattato di chiusura e protezione.

foglie

 Adesso le ombre si fanno più lunghe per via del sole più basso all’orizzonte, e allo stesso modo ci sono giorni in cui anche i lati più in ombra di noi stessi appaiono più cupi.

Ma l’autunno è anche luce riflessa sulle foglie tinte d’oro e vermiglio, nei cieli dai colori caldi e avvolgenti di albe e tramonti strabilianti.

passo della mezzaluna

I larici danno spettacolo tingendosi con tavolozze niente male, lo stesso fanno anche i castagni, i faggi, le querce, i noccioli e tutti gli altri alberi della Valle, eccezion fatta per le conifere.

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Tutto si tinge d’incanto, quasi come se Mamma Natura volesse farci vedere che tanto più le ombre si fanno lunghe, tanto più sarà sgargiante il tripudio di colori del Creato.

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L’autunno è equilibrio, proprio come l’Equinozio attraversato da poco: luce e ombra si bilanciano perfettamente e noi possiamo godere di tali cambiamenti anche dentro di noi.

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Trascorsa la fase delle foglie cadenti, la Natura resterà spoglia per qualche mese, prima di indossare di nuovo i suoi abiti lussureggianti. Sarà allora il momento del riposo, quello obbligato, per rimettersi in forze e prepararsi alla nuova, bella stagione che verrà. Ma di questo parleremo in Inverno, topi, per ora (per fortuna) è ancora troppo presto.

Io intanto vi mando un bacio colorato, con la speranza di avervi donato uno sguardo differente su questa stagione che divide sempre gli animi.

Con affetto,

vostra Prunocciola.

Una lingua antica, quella del bosco

Camminare nel bosco è una gran meraviglia. Ci sono giorni in cui si zampetta di buona lena per raggiungere mete distanti, e allora si ha poco tempo per fermarsi a godere di ciò che offre questo ambiente.

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E poi ci sono giorni in cui, invece, si esce per il puro gusto di immergersi tra gli alberi, perdersi nell’intrico dei rami e delle radici, e allora si ha modo di leggere le storie scritte sulla corteccia, sulle pagine delle foglie, nel terreno e negli anelli dei ceppi ormai tagliati.

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Il bosco parla, topi, anche se il linguaggio che usa è tutto da decifrare per chi non  è abituato a codificarlo.

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Per esempio, quando si varca la soglia di una foresta, piccola o grande che sia, bisognerebbe sempre fermarsi qualche secondo per farsi riconoscere. Perché? Be’, vorrei vedere se qualcuno entrasse nella vostra tana senza bussare e bel bello se ne andasse a gironzolare per le stanze senza dirvi niente, oh! Ecco spiegato il motivo: si entra in un ambiente diverso, che non è nostro, ma di creature ben più antiche di noi e immobili, per giunta, con scarsissima capacità di movimento. Un brivido percorre il bosco, quando una presenza estranea si appresta ad entrarvi.

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E adesso vi sento, eccome se vi sento! “Topina, ma che dovremmo fare, parlare con gli alberi?”

Sì! Cioè, no: non nel modo in cui si è soliti intendere la parola “parlare”. Quella cattedrale verde se ne sta lì, ferma, e vi osserva, anche se voi non ve ne accorgete.

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Per farsi accogliere, basterebbe semplicemente liberare la mente dai brutti pensieri e lasciare che gli alberi percepiscano la pace e la benevolenza che viene da voi. Solo a quel punto dovreste mettere zampa sulle loro radici.

E anche qui lo so cosa starete mugugnando: “Macché! Non sulle loro radici! Si cammina sul sentiero, no? Sulla terra!”

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Eh no, è qui che cascate, topi miei! Quello che vediamo non è altro che una piccola porzione di ciò che accade in verità sottoterra. Pensate che spesso le radici superano in profondità e in ampiezza persino le chiome dell’albero stesso… ecco perché dico che si zampetta inevitabilmente sulle loro radici. Ma non finisce qui, nossignore! Perché queste propaggini sotterranee degli alberi, oltre a trarre dal terreno il nutrimento necessario per l’intera pianta, hanno anche un’altra funzione, recentemente confermata dai topo-scienziati più illustri.

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Le radici sono delle vere e proprie trasmettitrici di informazioni, formano una rete nascosta e invisibile ai nostri occhi, tramite la quale gli alberi e le piante in generale trasportano notizie da un esemplare all’altro nel modo più veloce possibile.

Forse vi chiederete a cosa servirà questo sistema e qualche risposta ve la do volentieri.

bosco radici

Se un albero è malato per via dell’infestazione di insetti o parassiti, lancia il suo allarme tramite le radici, emette delle frequenze e produce determinate sostanze che, trasmesse agli alberi vicini, gli consentono di ricevere aiuto.

In che modo? Be’, le altre piante inviano sempre tramite le radici sostanze in grado di far sopravvivere l’albero (come per esempio zuccheri) il quale può richiamare a sé con rinnovata energia i predatori giusti che possano liberarlo dall’infestazione, per lo più uccelli o altri insetti, ma a volte attira a sé altre piante utili alla sua lotta. Tutto questo permette anche agli alberi vicini di mettersi sul “chi va là”, innescando i loro personali meccanismi di difesa per non essere colti impreparati da un’infestazione.

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L’unione fa la forza, il bosco lo sa bene, ed è nell’interesse di tutti che ogni albero resti sano il più possibile e che non scompaia. Un albero in meno significherebbe più luce per i suoi vicini, ma questo non è sempre un elemento vantaggioso, non per le specie che invece necessitano di zone ombrose e che fino a un momento prima erano cresciute e vissute in un habitat per loro ideale. Anche la terra ne risente, mettendo in pericolo gli altri esemplari soprattutto in caso di frane.

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E’ ovvio che in Natura è tutto perfetto, c’è perfezione anche in un albero che crolla e lascia il suo posto scoperto, laddove prima esisteva ombra e semi-oscurità… però in generale la foresta si auspica che ciò non succeda troppo spesso.

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Ma ci sono anche altre cose di cui bisogna tenere conto, quando si zampetta in queste grandi case verdi.

Credo possa esservi capitato di imbattervi in punti in cui la vegetazione si fa più fitta, quasi impenetrabile, o comunque visibilmente ostile. I rami si fanno bassi, sembra quasi di trovarsi di fronte a un esercito in difesa, con le lance puntate in avanti verso gli intrusi.

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Ed è proprio quello che comunica questa porzione di bosco, topi! In quei luoghi è meglio non avventurarsi, non perché potrebbe succedere qualcosa di brutto, sia chiaro, quanto piuttosto perché lì il bosco non vuole presenze aliene al suo ambiente. Si preserva, si difende per l’appunto, dicendoci come può: “Tu non puoi passare!”.

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Sì, lo so che questa frase da topo-Gandalf vi fa sorridere, ma rende bene l’idea. Rispettare il volere del bosco non è cosa da poco, c’è chi apprezza, e posso assicurarvi che un dono si presenta volentieri a coloro che non deturpano l’equilibrio perfetto di quei luoghi sacri e pacifici.

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Non parlo di pentole d’oro nascoste tra le radici, topi, ma di piccoli segnali che i più sensibili sapranno cogliere senza fatica alcuna: una piuma lasciata sul sentiero, una pietra o una foglia dalla forma particolare, un incontro inaspettato… insomma, sono questi i segnali con i quali veniamo ringraziati. E non c’è cosa più bella del sapere che lì, in un luogo in cui saremmo estranei, siamo invece stati accettati e riconosciuti come amici!

Avrei mille altre cose da raccontarvi, ma penso che per oggi possa essere abbastanza.

Un saluto verde foglia a tutti!