Monte Corma – la Natura che avvolge

Oggi Topi sconfiniamo un pochino…

Andiamo su un monte che si trova sul confine della Valle Argentina ma è in realtà già in Val Nervia.

Andiamo sul Monte Corma.

Non è considerato altissimo ma raggiunge i 1.556 mt. con la sua vetta boschiva e frastagliata ed è davvero particolare.

Avete voglia di un contatto “ravvicinato” con la Natura senza faticare troppo? Volete vedere da vicino Funghi, Insetti, Piante, panorami e quant’altro? Questo è il posto che fa per voi.

Per raggiungerlo serve arrivare a Colla Melosa. Il Monte Corma è il rilievo che vedete proprio dietro il noto Rifugio Franco Allavena.

Attorno a lui si sviluppano altri rilievi, come Colle della Sella, sui quali Gracchi e Camosci conducono la loro vita in totale libertà tra rocce nude, boschi di Larici e antichi sentieri militari.

In Base alle annate potete trovare molta neve, d’inverno, da queste parti.

Da Molini di Triora basta seguire le indicazioni per Carmo Langan e una volta raggiunto il bivio “Pigna – Colla Melosa” occorre salire appunto verso Melosa, a destra.

Siamo vicini alla Diga di Tenarda e, di fronte a noi, si stagliano il Monte Toraggio, con le sue guglie aguzze (1.973 mt) il Monte Pietravecchia, un monte assai antico (2.038 mt) e il Monte Grai che lo si riconosce bene con il suo Rifugio del C.A.I. incastonato quasi in cima alla vetta (2.012 mt).

E’ un sentiero che costeggia il Rifugio Allavena a condurre sul Monte Corma.

Un sentiero pianeggiante e adatto a chiunque, persino ai Topini.

L’erba soffice posso percepirla bene sotto le zampe e la terra mi accoglie ricca di ciuffi che delineano il sottobosco.

Le conifere mi circondano e, alla fine dell’estate, qui, si può persino trovare qualche Amanita Muscaria conosciuta anche con il nome di Ovolo Malefico. E’ appariscente ma velenosissima, fate attenzione.

Il rosso delle bacche di Sorbo selvatico è l’unico colore che ravviva in questo corridoio.

Questa zona è spesso umida a causa della nebbia e della foschia che possono sorgere anche durante i periodi più caldi, salendo dall’abisso che circonda il Monte.

Gli alberi sembrano enormi spade conficcate nel terreno. Spade dalle else ben adornate, spade di antichi giganti e grandi Re.

I Licheni, assai presenti sulle cortecce di queste alte piante, che hanno il compito di mantenere l’idratazione della pianta, non fanno molta fatica a svolgere il loro lavoro.  

Una volta raggiunta la cima del monte si ha una visione spettacolare sul Toraggio e sul Pietravecchia ma è molto pericoloso affacciarsi da qui anche se il panorama chiama.

Il dirupo è formato da rocce, arbusti e rovi che possono tradire.

Si può vedere anche il Vallone dei Camosci, così chiamato proprio per via della presenza di queste splendide creature che vi ho nominato prima ma, come ho già detto, è bene essere molto prudenti.

Meglio starsene al di qua della staccionata, nella radura, o seduti su questa particolare panchina in legno che permette di godere della pace e dell’atmosfera tranquilla che avvolge questo luogo.

Un’atmosfera resa davvero particolare soprattutto dalla presenza di numerosi formicai che assomigliano molto a quelli che si possono trovare sul Monte Gerbonte.

Si tratta di formicai veramente grandi. Incredibilmente grandi. Spesso a forma di cupola.

Le Formiche, se non erro, appartengono alla specie Carpentiere (Camponotus ligniperda). Sono enormi anche loro. Con il torace rosso e la testa e il ventre neri.

Gli aghi dei Pini e la terra diventano i materiali principali per costruire queste grandi tane… decisamente più grosse della mia!

Su di loro c’è un viavai impressionante. Lo sapete che pare ci siano all’incirca 1.000.000 di Formiche per ogni essere umano sul Pianeta Terra? Sì! E pare anche che il peso di tutte le Formiche del mondo equivale al peso della popolazione umana mondiale. Questi dati sono stupefacenti ma qui, sul Monte Corma, posso iniziare a capire cosa significhino questi calcoli.

Ho davanti ai miei occhi delle quantità eccezionali di questi insetti.

Non abbiate comunque fastidio o timore. Se ne stanno pacifiche accanto ai loro formicai. Saranno altri gli insetti che verranno a curiosare per vedere chi siete… ma sono innocui – Parola di Topina -.

D’altronde, sul Monte Corma, il sottobosco è veramente molto ricco.

Il Monte Corma offre passeggiate in tranquillità adatte a tutta la famiglia e offre anche soste all’interno del bosco per ristorarsi della bellezza che circonda.

Alcuni tronchi sembrano troni adatti a Topine Regine e quando si sta seduti lì, nel silenzio, non è difficile scorgere qualche Poiana appollaiata sui rami più alti di quei Larici che fanno ombra.

Infatti, ora… io mi riposerò un po’ ma voi no! Preparatevi immediatamente per il prossimo tour perché sarà magnifico e in Valle Argentina!

Io vi mando un topobacio e vi aspetto…

Sul sentiero Parvaglione attraversando ruscelli

Il bellissimo sentiero che percorriamo oggi, lo facciamo a scendere, partendo dalla Casermetta Lokar, situata a 1700 mt s.l.m., in cima al Monte Gerbonte per arrivare al Pin, appena sopra Borniga.

Chiamato “Sentiero Parvaglione o dei Paravaglioni” ma più conosciuto come “Sentiero degli Alberi Monumentali” deve il suo nome ad una caratteristica etimologia che riguarda le Farfalle. Parvaiui, infatti, in dialetto, significa Farfalloni e ci sono momenti in cui, alcune zone di questo luogo incantato, si riempiono di meravigliose Farfalle di tutti i colori. E’ tipica la frase che da noi si dice quando nevica – I càa parpiiui de neve – (scendono farfalle di neve/grandi fiocchi).

Ma questo nome nasconde ben altro, di ancora più affascinante, preso anche dal termine francese Papillon (Farfalla) in una terra dove un tempo le lingue del francese e dell’italiano si mescolavano spesso, formando sovente ulteriori dialetti o lingue a sé come ad esempio l’Occitano. E qui siamo proprio sul confine, non per niente si possono ammirare, ad Ovest del Monte Saccarello e delle Alpi Liguri dove siamo, la Catena del Tanarello e Punta Missun che appartengono, oggi, alla Francia.

Come vi dicevo, il fascino di questo termine è dato soprattutto dalla Dea Parvati o “Figlia della Montagna” (una meraviglia), simbolo di fertilità, amore e devozione, nonché espressione di energia e potere creativo. Vi ho sempre detto che la Farfalla è simbolo di Rinascita e qui ne abbiamo un’ulteriore prova.

Qui dove Madre Terra partorisce una natura selvaggia che occorre assolutamente rispettare.

Osserviamo però anche l’altra dicitura: Sentiero degli Alberi Monumentali. E lo credo bene. I Larici, gli Abeti e i Faggi che costituiscono un ambiente unico nel suo genere, sono davvero splendidi e maestosi. Un tempo venivano tagliati per avere la legna ed è spettacolare notare, dove adesso è rimasta la vecchia cappaia, una nuova vita crescere. Piccoli alberelli teneri teneri, fioriscono dall’anziano tronco e con una punta di albagia spiccano verso l’alto, senza temere gli enormi fratelli. Tra molto tempo saranno proprio come loro.

Forte era la richiesta di legname durante i due periodi bellici più importanti della storia e, questa foresta, venne ripopolata velocemente, dopo studi dettagliati, di nuove piante. Fortunatamente, alcuni fusti, a causa della loro irregolarità o della loro consistenza considerata non idonea, vennero lasciati e oggi sono testimonianza di un mondo vetusto, che perdura da secoli e che può raccontare molto di un ambiente ancora poco conosciuto.

Gli alberi che consideriamo giovani, sono anch’essi altissimi e rigorosi. In un Faggio che offre riparo, qualcuno dall’animo artistico, ha posizionato una piccola pietra con due occhietti. Sembra un allocco in tana.

I piccoli alberelli di cui vi accennavo poc’anzi, sono morbidi e flessibili. Rispetto ai grandi, il loro verde è più acceso, più vivace, sono meno seriosi ovviamente, data la loro giovane età. I Larici invece, ancora arsi dal freddo invernale, appaiono cupi e spenti ma comunque bellissimi. I Faggi devono ancora mostrare il meglio di sé, mentre gli Abeti, donano un tocco di colore cupo che suggestiona. Si distinguono l’Abete Rosso e quello Bianco. Qualche Sorbo colora quella solennità.

E’ facilissimo, in questo ambiente di alberi secolari, di morbido sottobosco e di neve ancora presente, immaginare gli occhi d’ambra di Lupo spuntare all’improvviso da dietro un tronco. Proprio così, siamo nella terra dei Lupi e non serve saperlo, lo si percepisce. Lo si visualizza senza alcuna difficoltà. Quello è il suo regno.

Aspettando il suo arrivo ammiro quei tronchi. Alcuni sono sagome strane, forme bizzarre e attraenti. Un muschio di velluto li ricopre. Il verde è vivo, deciso, appariscente. Pettinato sul via vai delle rughe di legno. Mi chiedo se dobbiamo essere noi a paragonare queste bellezze a quelle celtiche, o se un irlandese le notasse probabilmente inizierebbe a dire nella sua terra natia << Proprio come quelle dell’Alta Valle Argentina >>. E poi… fate e folletti e gnomi, tra primule e anemoni.

Bombi e formiche vivono quei luoghi per nulla disturbati dal nostro camminare.

Si scende. Alcune zone sono leggermente impegnative. L’attraversamento di diversi ruscelli richiede attenzione, anche se basta un solo passo per giungere dall’altra parte. Che bello essere una topina femmina! I maschietti ti dan la zampa… et voilà! Ti ritrovi sul lato opposto del rio.

Siamo quasi a maggio. In questo periodo la neve è ancora parecchia ma inizia a sciogliersi, quindi risulta morbida e scivolosa. Un bel paio di scarponi adatti sono quello che ci vuole. Anche impermeabili ovviamente.

Il primo rio che si attraversa è chiamato Rio Cassin. Siamo sotto a Cima Marta e tra poco raggiungeremo un punto panoramico che lascia senza fiato, permettendo di vedere la punta del Gerbonte, dove siamo appena stati, e poi tutta la parte alta della mia Valle contornata dal Monte Frontè, dal Passo della Mezzaluna e dal Passo del Garezzo. Più in basso, cullati dalle Alpi, Borniga, il Pin e Abenin.

Indicherei questo sentiero come – adatto a tutti – soprattutto in assenza di neve.

E’ solo lunghetto. Andando di buona lena bisogna calcolare circa 2 ore e mezza per arrivare al Pin, considerando sempre che stiamo scendendo. Se siete come me, che mi fermo a fotografare ogni cosa, aumentate pure il tempo.

Ma come si fa a non immortalare tanto splendore? Questa natura offre vari spettacoli. Primi fra tutti: Rapaci, Picchi, Camosci, Lupi e Caprioli. Io sono riuscita a fotografare uno Yearling, da come potete vedere, cioè un giovane Camoscio. Ce n’erano due, ma l’altro era troppo distante, beatamente sdraiato sulle rocce, e il mio obiettivo non mi permette tanto.

All’interno della foresta l’atmosfera è umida e ombrosa. Il verso del Cuculo accompagna per tutto il tragitto così come lo scrosciare dell’acqua che, a tratti, forma cascatelle fresche e pimpanti.

Flutti allegri si tuffano tra le rocce e scendono veloci unendosi ad altra acqua. L’ambiente si rinfresca ancora di più e si prova a guardare oltre a quella trasparenza.

Attorno a loro tante impronte. Il Tasso, ho scoperto, ha gironzolato ovunque!

L’aria è frizzantina. In alcuni punti si percepisce odore di selvatico. Da noi si dice bestin e trattasi soprattutto di animali come Capre e Cinghiali che emanano il loro forte odore. Naturalmente, visto dove siamo, si tratta prevalentemente di Camosci e Caprioli.

Il bagnato provoca freschezza nelle narici e il lieve venticello può raffreddare le zampe anteriori altre al muso.

C’è tanta acqua da bere. Piccolissimi laghetti permettono di dissetarsi e, infatti, vicino a loro, le orme permettono di leggere movimenti che incuriosiscono. Storie alle quali non pensiamo dalla nostra tana, ma cosa accade i questi luoghi magici, mentre noi ancora dobbiamo alzarci dal letto? La neve, tende a soffocarli ma il loro vigore è più forte e, alla fine, risultano contornati da nuvole bianche.

Dopo aver camminato su un sottobosco morbido, contornato da Rododendri che devono ancora fiorire e primule che spiccato nel pallore dell’erba paglierina, si arriva all’asfalto che ci fa proseguire per qualche tornante fino alle auto.

E’ in questo momento che ci si sente appagati e si ha voglia di tornarci di nuovo. La natura chiama e lascia addosso un pizzico di malinconia.

Con lo sguardo si ripercorre la strada fatta. Si rivedono quei Larici severi, alti e dritti verso il cielo. Quelle guglie aspre e ardenti che quasi intimoriscono. E si promette. Sicuri di non essere riusciti ad ammirare tutto quello che c’era da vedere. Si promette di tornare e così sarà.

Ora vado riposare le zampette però, mi auguro di avervi fatto fare un bel tour anche questa volta.

Io vi mando un bacio pacato come pacata è la natura che ho incontrato oggi.

Alla prossima topi!

La Madonna del Ciastreo

E’ attraversando questa stradina che vedete nella prima immagine topi che potremmo andare a visitare uno dei Santuari più belli della mia Valle. E’ quello della Madonna del Ciastreo di Corte, chiamato anche Santuario della Madonna della Consolazione.

Questa strada, ricca di natura e segni di animali, ci porta a questa Chiesa facendoci percorrere una via crucis segnalata da cappelle che ogni tot metri fanno pregare i pellegrini i quali, una volta all’anno, organizzano una processione per giungere fin qui.

Il panorama è stupendo. La montagna, la vallata, le strade del bosco di fronte a noi.

Quegli alberi, quel silenzio che solo chi vive qui, può amare ed apprezzare. L’erba che scende a cascate e i paesi intorno a far da sentinella.

Ci vogliono all’incirca venti minuti a piedi per raggiungere il Santuario ed è, credetemi, una gradevole passeggiata. Ed eccolo. Ergersi tra le piante, tutto rosa, solitario, bellissimo.

Siamo a quasi 700 metri sul livello del mare e siamo nel punto più amato dagli abitanti di Corte. E’ reso protagonista dalla grande fede e dalla devozione degli abitanti ma anche da una leggenda.

Si dice infatti che qui, ad una ragazzina, apparve la Santa Vergine Maria. La giovinetta, che si dice fosse una pastorella, era muta dalla nascita, ma dopo l’apparizione, riacquistò l’uso della parola. Un miracolo che ancora oggi vive nei racconti dei cortigiani. Dopo quell’apparizione, venne quindi costruito il santuario, con tanto impegno e tanto amore perchè tutti potessero ricevere le grazie della Madonna. Una Chiesa venerata da sempre e visitata non solo da quegli abitanti ma anche da pellegrini forestieri e turisti.

Oggi, non ci possiamo entrare, è chiuso, ma al suo interno sono conservati, oltre ai numerosi ex-voto offerti alla Vergine, quadri e dipinti di ogni epoca tra cui uno raffigurante San Mauro, del 1622, e altri molto pregiati.

L’altare maggiore è un’opera in legno dello scultore locale Giuseppe Borgognese, detto il Buscaglia, mentre, la bellissima parte anteriore, raffigura la Madonna con il Bambin Gesù con, ai lati, i Santi Francesco e Carlo Borromeo.

Mi duole tremendamente rendermi conto che però dovrei parlare al passato. Ebbene, esattamente una settimana fa, durante la notte, questo Santuario è stato derubato di ogni suo avere. Hanno portato via tutto. Sapete cosa vuol dire tutto? Tutto. E ovviamente non si sa ancora chi possa essere stato a fare un gesto simile. Quadri, lampadari, oggetti di valore, ogni cosa. I muri sono bianchi e completamente vuoti. Sono proprio desolata, ma voglio continuare a descrivervela ugualmente nella speranza che presto, ogni cosa torni al suo posto.

L’altra parte è tutta in pietra e, sul davanti, sotto al suo porticato rivestito di lavagna, spiccano, intorno alla statua della Madonna, tre insegne di marmo che riportano diverse scritte in onore della Santa Maria.

Una dedicata a Monsignor Ambrogio Dafra, un’altra del 1934 in ringraziamento all’acquedotto costruito e l’ultima è un ringraziamento scolpito da parte di chi è riuscito a scampare alla guerra.

Anche il suo portone, in legno massiccio, è circondato di ardesia, ma anche di piante in vaso a cespuglio di un verde rigoglioso. Gli abitanti lo tengono da conto.

Davanti a lui, una croce di legno, regna nel centro della piazzetta che lo ospita mentre dietro, si sente scorrere il torrente Capriolo e una stradina ti permette di girare intorno a questa Chiesa per ammirarla in ogni sua angolazione.

C’è una fontanella sulla sua destra. Una fontanella, sotto un’immagine sacra di Maria, dalla quale scorre un’acqua rinfrescante e limpida, pronta a dissetare chi è arrivato fin qui, dalla strada principale oppure dal bosco. Una fontanella che esce direttamente dalla roccia ed è contornata di muschio leggero.

E si topi, si può percorrere anche il sentiero del bosco per raggiungere la Madonna del Ciastreo. Un sentiero meraviglioso attraverso il quale si possono trovare molte More, Funghi, Ciliegie. E’ un posto così bello che tutti ci vengono in processione, vedete? Lasciamole pregare in pace queste Formiche, noi possiamo andare.

Il suo campanile, spicca tra gli alti alberi. E’ un campanile particolare, il suo tettuccio è completamente rivestito da piccole pietre e contiene campane che quando suonano vengono udite da una gran parte di vallata. Il loro rintocco echeggia beato.

Spero che questo luogo vi sia piaciuto, meritava una visita da parte nostra.

I santuari della mia Valle sono tanti. Uno più bello dell’altro ma, questo, è sicuramente tra i più importanti, tra i più conosciuti. Il santuario di Corte. Completamente immerso nel verde a identificare quel paese.

E questo santuario è anche meta di una gara podistica che raccoglie ben cento iscritti i quali, correndo, si godono uno spettacolare percorso che si snoda tra sentieri, sterrati e sottobosco. Una meta importante quindi.

Io vi abbraccio a tutti e vi dò appuntamento alla prossima gita, voi però potete continuare a stare qui quanto volete. C’è così tanta pace che è davvero un peccato andarsene! Ma gli altri post da scrivere mi aspettano. Tanto non siete soli, sentite quanti uccellini intorno a voi? Baci!

M.

Tutti insieme sul trattore!

Il mio amore per la natura sono riuscita a trasmetterlo anche ai miei topini. Quello che ancora non sono riuscita a fare è insegnargli ad apprezzare anche la pace che può regalare la natura.

Questo significa che, quando desidero godermi un po’ di quiete ascoltando solo il ronzio delle api o il fusciare di una lucertolina, davanti a un bel libro o semplicemente spaparanzata sull’erba, una vocina stridula penetra nelle mie orecchie come un piccolo martello pneumatico: “Mi annoio, mamma, mi annoio!”.

Premetto, onde evitare inutili telefonate al topotelefono azzurro, che, prima di annegare in una lettura o buttarmi supina sul prato, gioco, corro, canto, insegno molte cose, faccio capriole per tutta la giornata.

A quel punto, avrei bisogno di un tiramisù, mentre a loro non farebbe effetto nemmeno un gas soporifero.

“Cerca le formichine e contale!”, suggerisco.

Arriva l’altra topina: “Cosa posso fare?”

“Fai le torte con la sabbia e le foglioline di menta”, rispondo.

Ora, io dico: com’è che io da piccola stavo ore e ore a fare ‘ste torte, mentre i giovanissimi d’oggi ti guardano con quel punto interrogativo sulla testa come a dire: “Ma sei s…..?” (ok, non lo dico)

“Topino, insegna a topina i nomi delle piante”

“Guarda: una coccinella! Esprimi un desiderio che duri almeno un’ora, così si avvera!”

“Lanciate le prugne a papà!”

“Costruisci una diga nel torrente”

Niente. Nulla li distrae, se non lo stare a guardarmi imperterriti mentre cerco di rilassarmi. Mi fissano con quell’espressione che non mi fa sentire solo cattiva, ma anche pessima. Come se loro non bastassero, si ci mettono anche gli altri amori, toponipotini.

“Vieni zia! Guarda zia! Senti zia! Zia, zia, zia!”

Bene. Basta, ho capito: mi alzo.

Devo trovare una soluzione a tutti i costi, quel praticello di margheritine mi sta aspettando. Nella piscina gonfiabile sono già andati.  Non hanno più voglia di fare il pane con la farina, e di rincorrersi… ancora meno. E allora?

E allora urge l’intervento di topononno, che arriva accompagnato dalla colonna sonora di A-Team. Tanananà, ta-na-nààà. Brum… brum… ha messo in moto, ma… che cosa? Il trattore con il cassone! E allora tutti a bordo, in giro per la campagna! Ai piccoli si illuminano gli occhi. Il nonno si sente il “number one” della situazione e io, ora, posso godermi la mia pausa di riflessione!

E, quando nonno chiama, partono proprio tutti, con cani al seguito.

E voi, ci siete mai andati su un trattore? Io ci sono nata. Ero sempre infilata nel cassone di un trattore o di un motocarro e persino quando mi sono sposata ho fatto il giro del paese su un bellissimo trattore! Quanti ricordi! E’ un bellissimo mezzo di trasporto.

Un bacio finalmente rilassato dalla vostra Pigmy.

M.

Il Nome della “Valle Argentina”

Con questo post, vorrei invitare chi vuole e chi sa, o chi immagina, a raccontare una curiosità inerente al nome della mia valle.

E’ da qualche mese che scrivo articoli su di lei perché sento di farne parte, perché sono luoghi che amo e perché merita di essere esplorata fino in fondo. Nonostante tutti i miei vari scritti però, ancora non vi ho detto perché questa mia vallata si chiama “Argentina”.

Ebbene cari topi, dovete sapere che le teorie a riguardo sono davvero tante, questo un po’ mi dispiace, perché apprezzerei conoscere l’origine di tale nome ma, allo stesso tempo, mi affascina tantissimo ascoltare le varie versioni, tutte, incredibilmente e possibilmente, valide.

La più attendibile e, se devo essere sincera, è per me anche la più bella e suggestiva, è data dagli Ulivi.

Questa valle, completamente ricoperta di tali alberi e spesso ventosa, si dice prenda il nome proprio dal colore argenteo delle foglie degli Ulivi che, mossi dal vento, mostrano il retro delle loro foglie, di un verde quasi madreperlato, luccicanti al sole. Le stesse foglie, brillano ancora di più se cullate dal torrente, in quanto, a contatto con l’acqua, rendono la Valle scintillante.

Questa versione la si trova anche su libri e vecchie scritture. Addirittura, per la maggior parte degli anziani essa è la giusta teoria ma, tra di loro, c’è anche chi afferma che, questo nome, deriva dal colore del torrente.

Un torrente limpido, che percorre un determinato percorso tra i monti e, in certi punti, baciato dal sole, tra alberi e rocce, si propone di un grigio fulgido proprio come l’argento quando brilla. E’ chiamato infatti Torrente Argentina. Mi da però l’idea che qualsiasi torrente possa assumere questo colore e quindi non so quanto ritenere valida questa affermazione anche se è vero che, tale rio, effettua un viaggio in una natura particolare.

Un’altra ipotesi, raccontata dagli anziani del posto, include come protagoniste le formiche argentine del Sud America. Le formiche che hanno invaso non solo la mia Valle ma tanti altri luoghi italiani. Trasportate fino a noi dal Nuovo Continente, con i barconi di un tempo, si sono presto costruite dimora in tutta la Valle, moltiplicandosi negli anni, e diventando tra i primi abitanti di boschi, campagne e città. Dopo essere arrivate qui insieme a pirati, mercanti e guerriglieri che solcavano i mari, si sono adeguate ad un clima diverso ma senza la minima fatica.

Ora ditemi, ne conoscete per caso altre di versioni? Avete mai scoperto chi ha dato il nome a questa vallata e perché?

Comunicatemelo se vi va, sono curiosa e trovo divertente conoscere tutte le supposizioni. Questi che vi ho elencato sono quelli che ho scoperto io. Mi chiedo quali altri possono esserci.

Vi lascio con questo dilemma e, a tutti, auguro un buon inizio di settimana.

La vostra Pigmy.

M.