La Feijoa – scrigno di virtù

Topi, voglio farvi conoscere un frutto che non è autoctono della mia Valla ma la Valle Argentina gode di un clima talmente meraviglioso che può nascere e crescere in lei qualsiasi specie di flora. Anche quella tropicale.

Vi presento infatti una pianta dell’America Latina e si tratta di una pianta che dona frutti buonissimi dal gusto davvero particolare. Un sapore che sembra un misto tra fragola e ananas ma che dipende anche molto dal suo stato di maturazione. E’ comunque inferiore al profumo emesso che è invece dolce e intenso.

Si tratta della Feijoa o, scientificamente conosciuta con il nome di Acca Sellowiana capace di regalarci frutti, dal gusto fresco e estivo in pieno autunno e in inverno.

Ce ne sono diverse piante in Valle e fanno tutte dei fiori stupendi infatte vengono coltivate anche come piante da giardino.

I frutti maturano prevalentemente a inizio autunno e cadono da soli dalla pianta. Questo suggerisce che sono pronti per essere mangiati, altrimenti, la scorza spessa e verde che ricopre la Feijoa non permette di capire la maturazione del prodotto.

Una buccia in grado di difenderla.

Al suo interno, se tagliato a metà, il frutto grande come un Lime, presenta il disegno di una specie di stella e può quindi essere utilizzato anche per decorazioni di piatti in cucina.

La sua polpa è simile a quella della mela, anche se più pastosa, e stando all’aria si scurisce e diventa ancora più giallognola. Non matura però, come la mela, in un secondo momento una volta staccata dalla pianta madre.

Si tratta di un frutto ricco di proprietà benefiche. Contiene molto iodio e i suoi semini hanno una funzione antibatterica per noi. La polpa è un ottimo antiossidante e, in cosmetica, viene usata come tonificante ed emolliente.

Tanta la Vit. C e i Sali minerali che la contraddistinguono e che effettuano sulla pelle un incredibile effetto anti-age.

Ma le sue virtù non sono presenti solo nel frutto. Le sue foglie, molto adatte per calde tisane visto il periodo, rinfrescano, ammorbidiscono ed elasticizzano i tessuti.

La Feijoa è una bellissima visione che appare quando il mondo attorno a noi diventa grigio a causa dei temporali autunnali o bianco per via della neve. I suoi fiori rosa e i suoi frutti verde vivo, sembrano un toccasana per gli occhi e il cuore.

Si consiglia per questo di tenerne una sul terrazzo anche perché tanto è molto robusta e non patisce neanche il gelo.

Cosa ne dite Topi?

Ve l’ho fatta una bella sorpresa oggi vero? Un bacio ricco di virtù a voi!

Il Corbezzolo – Vivi e colora il tuo mondo

Poi qualcuno osa dire che l’Autunno è una stagione triste e spenta, poco colorata… Ma meno male che c’è qui la vostra Prunocciola, pronta a mostrarvi la Natura come la vedete di rado!

corbezzolo2

Cari topi, in questo periodo dell’anno i monti e la Natura tutta si colora di tinte assai calde e accoglienti, complici anche le giornate ancora per lo più terse e molto tiepide. Ed è in questo momento che giungono a maturazione anche dei frutti coloratissimi, che inondano i sentieri offrendo ulteriore bellezza agli occhi, come se non fosse già tanta quella offerta dai generosi Castagni dalle foglie d’oro, dai colori bronzati dei Larici, dalle tinte solari e delicate delle faggete e di tante, tantissime altre piante che fanno i fuochi d’artificio pur di farsi notare.

Sto parlando del Corbezzolo, il cui nome scientifico è Arbutus unedo, pianta appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I suoi frutti paiono palline natalizie di colore giallo-arancio quando sono immaturi e rosso quando invece giungono a maturazione.

corbezzolo3

La pianta è sempreverde e vanta la presenza in contemporanea di fiori e frutti sui rami. I suoi colori prevalenti (il verde delle foglie, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti) la assimilano alla bandiera italiana, e per questo motivo ne è divenuta il simbolo patrio. Fu nell’Ottocento che assunse il significato di unità nazionale.

Plinio il Vecchio, naturalista e filosofo romano, riteneva i corbezzoli talmente insipidi che a suo parere era impossibile mangiarne più di uno, ecco spiegata la derivazione del nome scientifico della specie – “unedo” -, che deriverebbe da “unum” (= uno) e “edo” (= mangiare).

I suoi colori vivaci lo accostano alla Vita, e infatti è una pianta assai longeva, tanto da poter divenire addirittura plurisecolare. Cresce anche rapidamente, e con questo Madre Natura ci vuole lanciare un messaggio importante: chi sa colorare la propria esistenza, chi guarda con gioia ai colori, alla positività, cresce (e vive) con più facilità.

corbezzolo4

Il verde è il colore del cuore secondo le discipline orientali, è la tinta che più di ogni altra riguarda l’energia d’Amore Incondizionato che permea ogni cosa nel Creato. E, in effetti, è il colore di Madre Natura… chi sa amare più e meglio di lei? Qualcuno lo attribuisce anche alla speranza, ma una creaturina del bosco come me non conosce questa emozione: noi bestioline, insieme alle piante e a tutti gli elementi naturali, non siamo soliti sperare, semplicemente siamo, esistiamo e agiamo, senza aspettative. Ecco perché per me il verde del Corbezzolo – e di tutte le altre piante meravigliose della Valle e del pianeta – rappresenta la Vita, la gioventù delle tenere foglie appena spuntate sui rami e dalla terra.

corbezzolo5

Che dire, poi, del bianco? E’ la Purezza per antonomasia, la pagina ancora bianca prima di essere scritta, il principio di ogni cosa, l’insieme di tutti i colori esistenti e la tinta attraverso la quale si esprime la Luce… e, ancora una volta, la Luce è… Vita!

Giallo, arancio e rosso sono invece colori legati al Sole, al fuoco, quello della creazione e del calore fisico, avvolgente e prorompente. Anche in questo caso sono tinte strettamente legate alla Vita. Ed ecco che allora il Corbezzolo, racchiudendo in sé tutti questi colori, non fa che rimarcare, evidenziare e sottolineare con allegra e sfacciata enfasi il suo essere così profondamente legato alla Vita gioiosa, all’esistenza terrena.

corbezzolo

 

A proposito di fuoco… è una pianta originaria del Mediterraneo, e la terra lambita da questo meraviglioso mare è battuta dal Sole e spesso viene investita da incendi. Ma tutto in Natura è perfetto, topi, per cui questa mamma amorevole su cui poggiamo tutti le zampe ha escogitato un modo efficace e geniale per far sopravvivere le proprie creature durante manifestazioni apparentemente così estreme e violente. Come il Cisto, infatti, il Corbezzolo possiede una “memoria” di fuoco. Cosa significa? Vuol dire che si infiamma molto facilmente e questo gli permette di far passare velocemente le lingue infuocate sopra le proprie radici, in modo tale da preservarle intatte. In pratica la parte alta della pianta si incendia e si incenerisce molto in fretta, e dunque le fiamme, non avendo altro da “mangiare”, passano oltre. Le radici restano integre e da lì a breve il Corbezzolo rigetterà, concimato dalle sue stesse ceneri come l’Araba Fenice, crescendo velocemente come solo lui sa fare! Una meraviglia, insomma! Se non è Vita questa…

corbezzolo6

Il Corbezzolo ha dimensioni arbustive, arrivando a raggiungere però fino ai 10 metri di altezza. I suoi fiori a grappolo sono ricchissimi di nettare, particolarmente apprezzato dalle mie amiche api, soprattutto se quando la pianta fiorisce – ovvero tra ottobre e novembre – non sono ancora giunti i primi freddi a farle rintanare. Il miele di Corbezzolo, molto pregiato, aromatico e amarognolo, è l’ultimo a essere prodotto prima del riposo invernale.

I frutti, come già dicevo, hanno forma sferica tanto da apparire come colorate palline decorative, sono grandi circa due centimetri e sono molto carnosi, possiedono in superficie dei tubercoli che danno alla bacca la sembianza di una pralina ricoperta di granella. Maturano tra ottobre e dicembre e non tutti ne amano il sapore e la consistenza, come ricordava Plinio, eppure in molti lo apprezzano, soprattutto per l’utilizzo in diverse preparazioni, tra cui le confetture.

corbezzolo7

Se non lo apprezzano gli esseri umani, altrettanto non si può dire delle bestioline! In particolare esiste una farfalla che adora nutrirsi dello zucchero presente nei frutti, ne fa grandi scorpacciate, e per questo motivo la bellissima Charaxes jasius è meglio conosciuta più semplicemente come farfalla del Corbezzolo.

Se ne ricavano, oltre alle marmellate, anche vini, liquori, acquaviti e dolciumi.

Un tempo le sue foglie, ricche di tannini, erano utilizzate anche per conciare le pelli.

Il Corbezzolo cresce in mezzo alla macchia mediterranea, motivo per cui è più facile trovarlo sui sentieri costieri o che si affacciano quasi sul mare. Personalmente ne ho visti davvero molti sulle alture di Sanremo, tra San Romolo e Monte Caggio, così come anche tra Verezzo e i Prati di San Giovanni. Ama ambienti semiaridi, a un’altitudine che va fino agli 800 metri sul livello del mare, e cresce tra i cespugli, nei boschi in cui domina il Leccio o anche nei sottoboschi di pinete litoranee.

corbezzoli

Un’antica leggenda latina narra del salvataggio di un neonato da parte della ninfa Carna avvenuto grazie a un ramo di Corbezzolo. Per questo motivo la pianta è divenuta una delle piante che si dice respingano le streghe, soprattutto nella notte di San Giovanni (24 giugno).

I toscani l’hanno addirittura adottata nel gergo come esclamazione di meraviglia: “corbezzoli!”, dicono. E in effetti, topi, io non riesco proprio a dare loro torto. E’ una pianta assolutamente meravigliosa!

Un bacio tricolore a tutti voi.

Antiche presenze in Valle Argentina

Qualche tempo fa mi trovai da sola nelle zone impervie dell’Alta Valle Argentina, lassù dove pochi osano arrivare, in luoghi incontaminati in cui la Liguria si confonde col Piemonte.

Col fiato corto, salii e salii, quando a un certo punto vidi sul sentiero qualcosa che attirò la mia attenzione.

Sembrava un rametto come tanti, ma a un secondo sguardo capii che non lo era. Lo presi tra le zampe e non ebbi più dubbi: quello che avevo trovato era il palco di un Capriolo, abbandonato lì dalla stagione autunnale dell’anno precedente, quando questi cervidi perdono i palchi nell’attesa che ricrescano quelli nuovi durante l’inverno.

Stavo per emettere un versetto meravigliato quando udii qualcosa di familiare…

Fruuush… Fruuush…

«Spirito della Valle, sei tu?» pronunciai guardandomi intorno.

Sì, Pruna. Ben ritrovata, bestiolina.

La voce antica dello Spirito mi diede dei brividi benevoli lungo la coda che mi riscossero.

«È bello incontrarti qui, era da un po’ che non sentivo il tuo richiamo.»

Ormai lo sai, piccola creatura: sono in nessun luogo…

«… Eppure dappertutto!» conclusi per lui.

Esatto. Vedo che hai gradito il dono!

Lo stupore si dipinse sul mio musetto per la seconda volta: «L’hai lasciato tu qui per me?».

Lo Spirito della Valle emise un fruscio simile a una risata, poi disse: No, bestiolina! È il Tutto di cui facciamo parte che ha permesso proprio a te di ritrovarlo.

«È un dono meraviglioso!»

La pensavano come te anche alcuni esseri umani che abitavano in questi luoghi selvaggi tantissimo tempo fa, sai?

montagne valle argentina

Così dicendo, lo Spirito evocò per me una visione. Mi sembrava di stare in un film e vedevo scorrere davanti ai miei occhi e al mio muso come delle proiezioni delle genti che calpestarono i luoghi in cui vivo e amo zampettare. Ero troppo rapita per fare domande, ma non ce ne fu bisogno. Fu lo Spirito della Valle a parlare per me.

Tanto tempo fa, quando l’uomo non conosceva le armi da fuoco e viveva ancora in modo semplice e primitivo, queste zone della Valle Argentina, che più tardi sarebbero state chiamate Occitane, erano abitate da popolazioni antiche che poi sarebbero divenute i celto-liguri. Credevano nelle forze della Natura, veneravano tutti gli Elementi che la compongono e tra le loro divinità ce n’era una molto, molto antica che si collega al palco che tieni tra le zampe…

bosco di rezzo

Nel dire questo, vidi nella visione una foresta bellissima. Lo Spirito della Valle mi portò al centro di quel bosco fitto e buio e lì vidi un essere che non avevo mai visto in tutta la mia vita di topina. Se ne stava in una radura, il corpo umano e la testa incoronata da un grosso palco di corna di Cervo, maestoso come il Re della Foresta.

Cernunnos Lou Barban

… Il suo nome era Cernunnos, che significa “Colui che ha le corna”.

«È così imponente! Incute quasi timore» mi intromisi.

È giusto che sia così, creaturina, ti spiego subito il perché. Cernunnos apparteneva alla foresta e alle zone selvagge, era al contempo dio dell’Ordine e del Caos, proprio come un bosco cresce apparentemente disordinato e caotico agli occhi di chi non ne comprende il linguaggio. Era una divinità legata al nomadismo, poiché i popoli di allora non avevano fissa dimora: vagavano per queste e altre terre, vivendo di caccia.

bosco valle argentina

Cernunnos aveva uno sguardo penetrante, non riuscivo a smettere di guardarlo, completamente rapita dal racconto dello Spirito della Valle. Lo lasciai continuare senza interruzioni.

Secondo gli antichi, quand’era di buon umore insegnava all’uomo le regole della società e dell’agricoltura, inducendolo alla sedentarietà. Al contrario, suscitare la sua ira era pericoloso, poiché diveniva allora un giudice severissimo e distruttore.

«Curioso questo suo duplice aspetto di Ordine e Caos!» constatai.

faggio

Non così tanto, Pruna. Rappresentava l’Energia titanica della Vita a livello universale, la stessa che, tramite la distruzione di quello che gli umani chiamano Big Bang, ha permesso al pianeta Terra su cui ci troviamo di esistere. Si tratta di una grande Forza, in grado di dare inizio a un nuovo ciclo vitale a partile dal nulla generato dalla devastazione. È così che funziona in Natura. Ad ogni modo, Cernunnos non aveva una forma definita e unica per tutti i popoli che lo veneravano e lo rispettavano…

A quel punto, la figura davanti a me cambiò fattezze. La barba gli si allungò velocemente, poi la testa umana fu sostituita da una di Cervo e i piedi divennero zoccoli. Non feci in tempo a mettere a fuoco il nuovo essere, che mutò forma un’altra volta, divenendo simile a una capra.

Cernunnos era anche il dio della Natura, della rinascita, della fertilità e dell’abbondanza. È immortale e permette alle specie vegetali e animali di riprodursi. In questo modo la Vita in tutta la sua potente bellezza e autenticità è preservata e resa Immortale grazie ai suoi cicli.

Gli alberi intorno a Cernunnos divennero sempre più rigogliosi, parevano esplodere foglie, fiori e frutti ovunque. Tutt’intorno c’era un grande turbinio di farfalle e decine e decine di uccelli cinguettavano sui rami. Caprioli, Volpi, Lupi, Tassi, Cinghiali, Faine, Scoiattoli, Topi, Rospi, Lucertole… tutto brulicava di vita, c’erano cuccioli ovunque e mi si riempirono gli occhi di meraviglia a quella visione portentosa.

Tuttavia, bestiolina, sei molto saggia e sai bene che la Vita ha una controparte indispensabile e imprescindibile, che deve esistere per equilibrare il Creato…

terreno sottobosco

Con quelle parole, la visione cambiò. I frutti caddero in terra e marcirono, le foglie sui rami ingiallirono e precipitarono al suolo, trasformandosi in terriccio scuro e fertile sotto la coltre di neve che nel frattempo era sopraggiunta. Alcuni degli animali morirono. Era il Ciclo della Vita, meraviglioso e severo al contempo.

… Ecco perché Cernunnos è anche legato alla Morte, quella che permette il Rinnovamento di tutte le cose. Accadde allora che col tempo questa divinità sia stata fraintesa, associata al male, tuttavia sopravvisse in queste zone come in altre. In certe epoche fu associata alle streghe, che con lui danzavano nel folto del bosco in alcuni periodi dell’anno, celebrando la Natura e la sua ebbrezza fertile. 

Sabba streghe

Qui, nelle Terre Occitane, ha preso così altri nomi. È diventato l’indomito Homo Selvaticus, colui che insegnava le arti e i mestieri ai popoli dell’Occitania in cambio di offerte di siero di latte. Talvolta sceglieva una compagna umana per generare la sua discendenza divina. Il suo aspetto più oscuro, invece, ha assunto un nome ancora differente: Lou Barban. Equivale all’Uomo Nero di cui tanto si parlava ai cuccioli umani per spaventarli, ma è sempre lui, che secondo le leggende si muove di notte per creare scompiglio. Lou Barban è colui che punisce chi viola le leggi della foresta e non le rispetta… o per lo meno così era. Per lui era indispensabile che le leggi della Vita e della Morte venissero rispettate, pena la sua furia devastante. Poi, col tempo, anche Lou Barban cambiò forma…

Il dio possente e fiero si trasformò ancora una volta, ma adesso, con mia enorme sorpresa, iniziò a perdere le sue dimensioni imponenti e divenne sempre più piccolo.

… non era più un dio e neppure un demone della foresta. Era diventato il Sarvan, ma questa è un’altra storia, bestiolina.

bosco rezzo

La visione svanì di colpo con un pop, lasciandomi stordita. Mi ritrovai al punto di partenza, dove avevo trovato il palco di Capriolo che ancora reggevo tra le zampe. Quante cose avevo visto e imparato!

«Grazie, Spirito della Valle. Sei stato… illuminante!»

Non c’è di che, Pruna. Tieniti caro quel dono, ora che sai cosa rappresentano i palchi dei cervidi. Che tu possa far cadere al suolo i frutti che non servono più nella tua Vita e sempre rinnovarti con forza e vigore! disse, poi svanì nel vento tra i rami della boscaglia con il suo inconfondibile fruuush… fruuush.

Avevo ricevuto un dono e un augurio meraviglioso, topi, e lo sesso auspicio lo rivolgo a voi.

Un saluto antico dalla vostra Prunocciola.

Cloristella e l’elisir alle fragole

Cloristella, ormai la conoscete, ha sempre qualche intruglio portentoso da consigliare, così un giorno, passando nei pressi del suo antro stregato pieno di vapori profumati, ho deciso di chiederle qualcosa per voi e che so che apprezzerete.

fragole

«Oh, cara Prunò! Nel vederti qui che piacere che ho!» esordì in rima, come nel suo stile.

«Il piacere è mio, saggia strega della Valle. Ehm… hai visto nei dintorni quante belle farfalle?» tentai di risponderle… per le rime, che sennò sarebbe stata capace di tenermi il muso per qualche minuto. «Vorrei avere da te una buona ricetta, ma posso passare anche un’altra volta, se adesso sei di fretta.»

Cloristella rise dei miei tentativi maldestri: «Entra, vieni avanti, amica Prunò! Ti dirò come sempre tutto quello che so.»

foglie di fragola e zucchero

Canticchiò verso il focolare, dove rimestò un liquido ribollente dentro un pentolone.

«Cosa c’è lì? Sento un profumino…» dissi col naso teso all’insù.

«Oh, questo? È infuso di fragola ormai quasi pronto. Per questo sei venuta, di come si prepara vuoi il resoconto?»

fragole2

«Sarebbe perfetto, Cloristella! Però ti prego, non parlarmi ancora in rima che altrimenti mi confondo» glielo dissi spontaneamente, portandomi subito dopo le zampe alla bocca e sbarrando gli occhi come se avessi pronunciato un sacrilegio.

Lei, anziché offendersi, rise di nuovo: «Va bene, va bene Prunò. Questo infuso speciale si può  fare in modi differenti. La mia ricetta, però, prevede una base di prosecco. Vi metto dentro le foglie di fragole fresche, quelle di bosco… e poi anche le fragole stesse, un po’ di zucchero, del succo di limone e una punta di cannella. Ovviamente le foglie prima hanno bollito per dieci minuti nell’acqua come per fare un decotto e, quest’acqua non la butto via. La aggiungo al tutto »

limoni e zucchero

«Ma dai! Fa un profumino così buono e invitante… apre il cuore e le narici!»

«Certo che lo fa! È rinfrescante, energetico e alleggerisce lo stomaco dopo una grande scorpacciata. Vuoi assaggiarlo? Ne ho un po’ già freddo da poterti offrire.»

Annuii con entusiasmo e lei arrivò subito con un bicchierino per me.

elisir fragole

Lo ingollai tutto, così buono da leccarmi i baffi più e più volte.

«E ora ti dico un segreto, Prunò: è un ottimo elisir d’amore! Si usa anche al termine di una cenetta romantica… » lo disse bisbigliando, con fare cospiratorio.

«Cloristella… che intenzioni hai?»

«Intenzioni? Io? Nessuna, ovvio! Ma sai, non si può mai sapere chi potrebbe passare di qui… Potrebbe servire a qualcuno, per questo l’ho preparato.»

fragole3

Mi fece l’occhiolino, poi riprese a canticchiare, rimestando in quel suo pentolone. << A proposito Prunò! Tienilo in frigo, deve essere fresco e i bicchieri prima, mettili in freezer >>.

<< D’accordo >> risposi quando ormai non mi stava più ascoltando tutta presa dai suoi affari.

Topi, che vogliamo farci? Cloristella è così, un po’ birichina qualche volta, ma sempre di cuore.

Ora io vi saluto e vado a preparare per voi un altro elisir… ops, volevo dire articolo!

A presto!

Il Sentiero della Castagna e il Passo dei Fascisti

Prendendo la strada che, dopo Molini di Triora, sale a Colle Melosa si arriva ad un certo punto dove un piccolo prato ti obbliga a fermarti.

Da qui si gode infatti di una bellissima vista che regala i profili dei nostri monti da una parte e fasce pianeggianti dall’altra.

O meglio, unisce la Valle Nervia alla Valle Argentina in un solo sguardo.

Le montagne a Est si riconoscono bene: i Balconi di Cima Marta, il Monte Saccarello, Rocca Barbone più in basso, il Colle del Garezzo con il suo tunnel… i sentieri, conosciuti come “i Sentieri degli Alpini”, si srotolano davanti ai nostri occhi mostrando una bellezza mozzafiato e il cielo esalta, nel contrasto, le vette di queste montagne sulle quali si è sviluppata la storia del nostro passato.

Al di là del prato, invece, il territorio appare come più morbido offrendo, prima dei lontani monti francesi, terrazze erbose e curve dolci.

Da qui, inoltre, passa il sentiero che arriva a Cetta, il protagonista di questo post, un tempo molto usato da chi, a piedi, raccoglieva legna o frutti selvatici da portare a vendere e il nome, “Sentiero della Castagna”, che lo contraddistingue, indica proprio la raccolta di questi doni, dei quali la Valle Argentina è ricca, che hanno sfamato per molti anni le generazioni che furono.

Si tratta di un sentiero che, proprio attraverso la frazione di Cetta, unisce le due Valli da Castelvittorio (Val Nervia) a Molini di Triora (Valle Argentina). Un cammino usato già dal 1200. Come vi ho detto, siamo un punto toccato da questo percorso ma, proprio da qui, volendo, si possono iniziare passeggiate più brevi e meravigliose in mezzo alla natura arrivando appunto a Cetta o a Palazzo del Maggiore.

Il fatto è che, durante la guerra, e mi riferisco alla Seconda Guerra Mondiale, non si poteva passare da questo punto strategico liberi e inosservati.

Il prato, nel quale oggi sorge un’edicola dedicata alla Madonna, era zona di controllo presidiata dai fascisti, per questo, ancora oggi, lo si conosce come il “Passo dei Fascisti”.

La testimonianza che ne è rimasta è una costruzione, semi distrutta, all’interno della quale i nazisti controllavano cosa si trasportava e facevano pagare un dazio. Una specie di cabina di Dogana, costruita in cemento e a forma di cubo con tanto di feritoia per sparare o osservare senza essere visti.

Siamo su un punto della Valle che ha visto il passaggio di molti partigiani e molti tedeschi. L’apertura permetteva gran visibilità ma il bosco adiacente, di castagni in basso e conifere in alto, dava la possibilità a tutti di nascondersi. Alla sua destra e alla sua sinistra, le due conche furono teatri di molti atti sanguinari, di fughe, di nascondigli ed era una cosa normale, seppur spaventosa, sentir riecheggiare nei due valloni parecchi spari ogni giorno.

Il cielo, oggi terso e sfondo di una natura splendida e di catene alpine assai suggestive, era a quel tempo disturbato e trafficato da aerei che sganciavano bombe senza pietà.

Chi passava di qui, quindi, come vi stavo raccontando, doveva pagare e se non aveva soldi poteva lasciare la merce recuperata nel sottobosco.

Il vero nome di questo Passo non lo conosco ma, come vi ho detto, è sempre stato chiamato così per ciò che è servito.

La piccola cappelletta è alla base di un breve sentiero in salita, che porta sulla cima di una montagnetta dalla quale la vista si apre ulteriormente e lo sguardo si spalanca sull’infinito.

Avete visto topi come, ogni giorno, se ne scopre una su questa splendida Valle sia dal punto di vista della natura che da quello storico? Oggi vi ho portato qui, in questo luogo che metteva timore, pericoloso anche per i fuggiaschi. Un luogo che, per un lungo periodo, non fu nostro.

Un bacio a voi e ai vostri ricordi.

Elogio ai doni della Natura e della Valle

Cari Topi, oggi vi scrivo per comunicarvi una cosa per me assai interessante.

Mi è capitato, ultimamente, di sentire parecchi di voi lamentarsi a causa di molti malesseri e, come se non bastasse, l’arrivo della primavera ha contribuito a rendere questo periodo ancora più sgradevole dal punto di vista della salute, causando allergie o intolleranze varie. Che peccato! Una stagione così bella! La stagione della rinascita, dove tutto sboccia a nuova vita.

So che molti hanno iniziato ad assumere medicinali i quali gli hanno portato altri problemi, mentre quello di cui voglio parlarvi oggi non ha quasi controindicazioni, se si fa un po’ di attenzione e se ci si impegna in qualche ricerca.

Ma torniamo al discorso che volevo farvi e vi assicuro che per essere certa al cento per cento che sia vero ciò che ho intenzione di rivelarvi, ho chiesto verità anche a tre miei cari amici: Maga Gemma, Strega Cloristella e lo Spirito della Valle.

Ebbene, il discorso che voglio intavolare oggi riguarda le cure verso i disturbi che possono colpire voi umani, ma anche noi creature del bosco.

Grazie alla mia personale esistenza e alla conferma dei miei amici, posso stabilire che in natura esistono le farmacie più fornite che possano esserci sul pianeta. Negli abissi del mare, negli intrichi della macchia, sui pascoli incontaminati esistono, pronti all’uso, tutti i prodotti curativi e medicamentosi di cui possiamo avere bisogno.

In effetti, ragionandoci su, se pensiamo che la natura è nostra madre e noi siamo la natura, come potrebbe lei non difenderci e curarci? È nostra mamma ed è formata dai nostri stessi atomi di ossigeno, di idrogeno, di carbonio! Va be’, ora volevo farvi vedere che non dico sciocchezze, ma è proprio così.

Qualche tempo fa, in una radura presso il Passo della Mezzaluna, lo Spirito della Valle mi confidò che, un tempo, gli uomini preistorici che vivevano quella zona, trattavano i loro malanni e le loro ferite con le erbe che nascevano dove ora sorge il Ciotto di San Lorenzo! Mi suggerì di guardare tra le mie zampe e infatti vidi la Lavanda, la Bardana, la Piantaggine, il Cardo Selvatico, il Tarassaco… ma che meraviglia! Quanta ricchezza! Ecco un disinfiammante, un lenitivo, un digestivo, un antibiotico naturale.

Mi raccontò persino che… sui tagli o sui morsi di alcuni animali, mettevano i vermi! Avete capito bene. I vermi erano in grado di eliminare l’infezione mangiando la parte infetta della ferita e lasciando il danno pulito e sterilizzato. Va be’, è ovvio che oggi non dobbiamo arrivare a tanto, ma volevo farvi capire come Madre Terra pensi a tutto, in un ciclo perpetuo e continuo. Il ciclo del sacro equilibrio.

La natura è dotata di ogni rimedio. Come faremmo, altrimenti, noi bestioline a cavarcela? Ve lo siete mai chiesto?

 Inoltre, e ora non voglio peccare di vanità ma così è, la Valle in cui vivo è davvero molto generosa in tal senso! Offre tantissime varietà e specie di erbe officinali, piante spontanee curative, fiori edibili. Ne è ricca. Non c’è malessere che non possa essere trattato con qualche dono della Valle Argentina.

E ogni zona, di questo speciale angolo di paradiso, ha ciò che serve.

La Menta e l’Iperico, ad esempio, si troveranno solo in certi luoghi ma non in alta Valle. Nessun problema, però, perché in alta Valle ecco spuntare il Timo e la Genziana! Per non parlare della freschezza delle Conifere che purifica ogni situazione. Nel primo entroterra, invece, ecco la Gambarossa, l’Ortica e il Trifoglio, fino al mare, dove possiamo godere della sua acqua e delle sue alghe ricche di oligoelementi salutari, che diventano elisir per il nostro benessere. C’è davvero di tutto.

I vari e preziosi elementi possono essere utilizzati da soli o mescolati tra di loro al fine si ottenere ulteriori cure ed è meraviglioso osservare, con i propri occhi, la loro riuscita.

Tutto quello che vi sto dicendo non è poi così assurdo né lontano. Le nostre nonne, fino a pochi anni fa, ne facevano largo uso. E vi siete mai chiesti perché le famose Bazue che vivevano nella mia Valle sono state sterminate? Be’, è semplice. Attraverso i frutti di Madre Terra guarivano quello che sembrava impossibile e magico. Perciò passavano per donne che di umano avevano ben poco e non si poteva certo accettare una cosa così.

Non mi stancherò mai di ringraziare il luogo in cui vivo per tutto ciò che mi regala e per tutti i problemi che mi risolve. È fantastico e non mi fa spendere nemmeno un soldino!

Grazie, Madre Natura, e grazie Valle Argentina.

Un abbraccio terapeutico a tutti voi!

Le vite antiche di Borniga

Pronti? Oggi si zampetterà parecchio. Andremo in Alta Valle Argentina, in terra brigasca e precisamente a Borniga… una metropoli! Scherzo. Un pugno di case, non di più, è pronto ad accoglierci, e dovete credermi: dire che è magnifico è riduttivo. Una borgata montana assai suggestiva che ricorda un presepe, che dona una pace incredibile dove la vita si svolge come un tempo, placida e lenta, e la natura attorno riesce ancora a mostrarsi vera e spettacolare come fosse piena di gioia.

borniga.jpg

Vi avevo già fatto conoscere questo minuscolo villaggio in questo post: “Angoli di Tibet a Borniga, in Valle Argentina“, ma ho altre cose da dirvi, più antiche e più storiche, perciò serve ripartire.

Borniga (Bornighe o Burnighe nel dialetto del luogo) è rimasta a noi, alla Valle Argentina e alla Liguria, laddove terre smembrate dalla Seconda Guerra Mondiale vennero date alla Francia o al Piemonte.

alta via realdo borniga

Siamo sull’Alta Via dei Monti Liguri e Borniga è un bellissimo punto panoramico. Siamo in un luogo dalla bellezza indescrivibile, come per la vicina Realdo e le zona del Pin e Abenin che circondano Borniga, le quali fecero innamorare persino autori come Italo Calvino (che quassù fece anche il partigiano) e Francesco Biamonti, che scrissero di questi luoghi introducendone i paesaggi nei loro romanzi. Zone che furono, per questi scrittori, vere muse ispiratrici. Un altro scrittore assai più recente e nostro contemporaneo ha fatto di queste zone selvagge e a tratti impervie lo sfondo perfetto per il suo romanzo, Giacomo Revelli, di cui vi parlerò prossimamente.

borniga realdo

Borniga, che in Valle ora si può raggiungere anche a piedi da un vecchio sentiero che parte da Creppo, il quale è stato ripulito tempo fa da dei volontari, oltre a una natura selvaggia mostra panorami infiniti. E’ infatti definito La Finestra della Valle, essendo anche uno dei punti più alti.

paesaggio borniga

Da qui partivano molti muli a scendere, per vendere legna o carbone, ma anche frutti e vari doni della terra, o a salire trasportando pietre e materiale valido per la costruzione delle dimore che, da come potete vedere, sono state realizzate con materiali del tutto naturali.

case borniga

E’ una zona ricca di ardesia, questa, e si è trasportata per lungo tempo sulle strade sterrate che attraversano i territori intorno a Borniga. Di ardesia, come vi ho già detto altre volte, è costituita la copertura della maggior parte delle case della Valle Argentina, ma essa serviva anche per i tavoli da biliardo.

Particolari donne di Triora, le nostre amatissime bazue (streghe), durante la notte aiutate solo dalla luce fioca della luna, si mettevano in marcia di buona lena per giungere fin qui, dove una terra incredibilmente ricca di elementi naturali donava loro erbe e altri ingredienti, più rari altrove, utili ai loro incantesimi.

rosa canina

Donne che passeggiavano tra boschi e sentieri, in quegli anni, assai popolati da lupi. Il loro ululato riecheggiava nelle notti buie per tutta l’Alta Valle. Lupi che tendevano agguati a una pecora assai particolare… Mi riferisco alla pecora brigasca, una specie ovina autoctona, proprio di qui.

Pecora Brigasca

Siamo sul versante sinistro del torrente Argentina e lo scenario è incantevole. Sappiamo che laggiù in basso gli abitati di Loreto e Cetta ammirano i monti nei quali stiamo sostando.

Da questi luoghi partono diversi sentieri, tutti panoramici, che attraversano zone selvagge, impervie a dagli scenari mozzafiato. Il Gerbonte è a due passi, così come la vicinissima Francia.

Boriga dintorni

E proprio qui, sotto le nostre zampe, proprio dove oggi sorge questo stupendo paesino, sappiamo esistere una cavità importantissima per la Valle Argentina perché risalente al periodo Neolitico. Si tratta di un corridoio sotterraneo chiamato “Arma della Gastea” dove un tempo venivano seppelliti i defunti e nel quale nei nostri tempi moderni sono stati rinvenuti frammenti di oggetti dell’epoca, come pezzi di bronzo o conchiglie. Ci pensate? Appartenenti al mare, ovviamente!

dintorni borniga realdo

“Arma della Gastea” o anche “Arma Mamela” (vi ricordo che il termine Arma deriva da Barma, ossia Grotta, come vi raccontai per il primo paese sul mare della Valle e cioè Arma di Taggia) si trova a Borniga, nel Vallone Durcan, e nessuno ha mai potuto scoprire quanto sia profonda.

Ma non è finita qui. Sempre in questa zona, un’altra cavità chiamata “Buco del Diavolo” mostra decorazioni e utensili e ha permesso anch’essa di rinvenire ossa di uomini primitivi. I resti ritrovati qui si trovano oggi al Museo Civico di Sanremo, altri reperti si possono ammirare invece nel Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora.

naturna dintorni borniga

Insomma, siamo davvero in un fulcro archeologico, topi! E quelle che vi sto raccontando non sono le sole grotte conosciute, ce ne sono molte altre utilizzate soprattutto come sepolcri.

Vi immaginavate tanta storia in un posto come questo, che sembra solo natura? No. Migliaia e migliaia di anni fa era abitato, e lo è stato per tantissimo tempo, divenendo palcoscenico di diverse culture e civiltà.

Un bacio antico, topi miei.

Il divino nella Vite, nell’Uva e la Vendemmia

Topi cari, l’estate ci abbandona e i suoi colori sgargianti si spengono per lasciare posto a tinte più scure. In tutta la Valle e le sue zone limitrofe le aree collinari sono cariche degli acini succosi e tondi dell’Uva, uno dei frutti autunnali per eccellenza. Com’era divertente, quando ero topina, schiacciarli con le zampe per aiutare con la vendemmia! Una vera gioia, una di quelle che difficilmente si possono dimenticare.

vite e uva

Ebbene, proprio una manciata di sere fa è venuta nella mia tana Maga Gemma. L’ho invitata per condividere con lei l’abbondanza del mio raccolto ed è stata entusiasta di  unirsi a me. La mia tavola era imbandita: non mancavano piatti a base di zucca, mele e frutta secca, ma l’attenzione della Maga era rivolta interamente verso quello che è divenuto il vero protagonista della serata…

«Il tuo vino è squisito, Pruna. Ah, la Vite… che pianta divina!» mi ha detto sorseggiando dal bicchiere.

vino rosso

«Sono proprio contenta che ti piaccia, lo abbiamo fatto io e topo-papà. Non è molto, perché non abbiamo una vigna ampia, ma quel poco che ricaviamo è prezioso, lo usiamo per le occasioni speciali, come questa per esempio.»

«Ti ringrazio, Pruna. Davvero molto gentile da parte tua. Un tempo, così come oggi, il vino era considerato una bevanda sacra, legata al Divino: per questo mi fai ancor più onore offrendomelo con la generosità che ti contraddistingue.»

 

«In effetti, ora che ci penso, il vino insieme al pane non manca mai sulle tavole della Valle…»

«Esatto. E come accade sempre, dietro ogni abitudine ci sono origini e motivi ormai quasi dimenticati.»

«Il pane e il vino sono simboli importanti della religione cristiana, alla quale gli abitanti della Valle sono molto devoti. Credo sia noto a tutti il significato di questa usanza… no?»

Gemma ha annuito: «Hai ragione, certo. Ma persino nella gestualità e nelle parole della religione si celano significati più profondi di quelli che siamo abituati a cogliere in superficie. Fin dall’antichità la Vite è stata assunta come simbolo della divinità, dell’amore e della purezza. Si sono celebrate feste e cerimonie in onore di questa pianta e dei suoi frutti…»

vite

«Parli dell’antica Grecia?»

«Certo, ma non solo.» ha puntualizzato sorseggiando ancora un po’ dal calice. «La Vite divenne uno dei simboli per eccellenza dell’immortalità, sai perché?»

Ho riflettuto un secondo prima di darle la mia risposta: «Be’, i frutti della Vite sfamano esseri umani e bestioline d’ogni genere. E poi dall’Uva si produce il Vino e quest’ultimo viene consumato abitualmente da tutti. Non è difficile trovare la sua analogia con il ciclo di vita, morte e rinascita.»

«Brava, topina!» ha detto soddisfatta. «La Vite ci racconta proprio questo. Ci parla del ciclo delle stagioni, della Trasformazione alla quale nessuno è immune e che coinvolge tutti gli esseri viventi del pianeta. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Lo stesso atto della vendemmia, per esempio, rappresentava nell’antichità la morte, il disfacimento del corpo. Il Vino che si ricava da tale procedimento, necessiterà di buio e temperature basse per essere chiarificato e divenire limpido, come noi lo beviamo. Freddo e assenza di luce sono, guarda caso, due elementi che associamo per antonomasia alla morte, ma l’antica saggezza racchiusa anche nella Vite e nel Vino ci insegna che questi due elementi sono necessari per giungere all’essenza delle cose. Accade nella morte fisica, ma anche simbolicamente nelle avversità che tutti siamo chiamati ad affrontare. Si scende metaforicamente in quelli che chiamiamo gli inferi per poi ascendere al paradiso, al regno celeste.»

damigiana vino

Ero affascinata dall’interpretazione di Maga Gemma, i miei occhi brillavano di meraviglia: «Insomma, niente di diverso da quello che tocca a tutti noi in questa stagione appena cominciata, quella autunnale: attraverseremo il buio e il freddo del prossimo Inverno, per rinascere rinnovati in Primavera, in un ciclo che si ripete sempre e che noi bestioline conosciamo molto bene!».

Maga Gemma ha sorriso: «Esatto, Pruna. Non esiste il tempo dei fiori, se prima non viene il tempo del seme: il momento del buio, del riposo, di un’energia che si concentra all’interno per poi manifestare la bellezza della vita all’esterno.»

A quel punto, restava un solo piccolo nodo da sciogliere nella mia testolina di sorcio: «Maga Gemma… che mi dici, allora, del fatto che i cristiani associno il Vino al sangue?»

vino bianco e rosso.jpg

«Una domanda davvero interessante, la tua. Vedi, Pruna, come immaginerai il Vino è diventato sinonimo del sangue per via del suo colore e le sue caratteristiche. E’ il sangue di Cristo offerto per l’umanità. Non siamo abituati a pensare in questi termini, ma il sangue rappresenta la gioia, quella di vivere in armonia con il Creato e le sue leggi, tant’è che perdere sangue, sia esso in piccole o grandi quantità, equivale a perdere un po’ di quella vita preziosa che ci è stata donata. Il sangue che Cristo ci offre è la sua gioia, la gioia di chi vive seguendo i suoi principi. E quella gioia è offerta con amore a tutti noi. Possiamo attingere in ogni istante al suo calice, ma troppo spesso lo dimentichiamo.»

«Wow!» ho esclamato.

vite dipinta

La Maga ha continuato: «Ma il simbolismo in sé nasce dal fatto che, come sai, Gesù ha sempre accettato la volontà del Dio suo Padre “barcollando” molto raramente in fatto di Fede. Ebbene, la prima volta che ebbe paura fu proprio durante la sua notte passata nel Getsemani, nell’uliveto, dove sapeva bene che le guardie sarebbero andato a prenderlo da lì a poco per crocifiggerlo. In quel momento Gesù esclamò: “Padre, tu che puoi tutto, allontana da me questo calice!”, ma subito si riprese e continuò: “Tuttavia, sia fatta la tua volontà, non la mia”. La sua angoscia, Pruna, era così forte e tanti erano il suo spavento e la sua sofferenza che si dice abbia sudato sangue. Quel suo sudore, talmente concreto e intriso di terrore, aveva i bagliori rossi e purpurei del sangue. Lo stesso sangue, sostituito dal Vino, che ancora oggi viene offerto. Ancora una volta, la Fede totale e assoluta verso Dio aveva prevalso in quel cuore puro. Quello venne considerato dai teologi un momento catartico della vita del Messia.»

«Cavoli… non conoscevo questa precisazione. Però, tornando al discorso della gioia… Be’ mi pare proprio di capire che, ancora una volta, gli esseri umani si facciano tanti problemi, quando in realtà avrebbero la soluzione a portata di mano, sotto i loro occhi, dico bene? Basterebbe solo comprendere di avere dentro una riserva preziosa di gioia e amore, per non focalizzarsi sempre e solo sulle cose negative.»

«Hai detto proprio bene, amica mia. Pensaci tu a ricordarlo, ora però propongo un bel brindisi.» ha detto, alzando il calice.

«Alla gioia!»

«E all’Amore, di cui dobbiamo ricordarci sempre.»

«E sia!»

Unitevi a noi, topi! Brindiamo insieme! In alto i calici, allora, e… Cin cin!

Dai granai della Valle alla tavola: la trasformazione del grano e di te

Topi, qualche volta capita che, anziché invitarla io, sia Maga Gemma in persona a chiedermi di andare da lei a consumare un pasto salutare e genuino. E, cercate di capirmi, come posso rifiutare tanta gentilezza?

Ebbene, ieri ho avuto il piacere di essere ospitata a casa sua. Mi sono seduta al suo tavolo, avvolta dai rivoli di fumo dell’incenso, e mi sono preparata ad ascoltare quello che avrebbe voluto insegnarmi. Quando si parla di Maga Gemma, infatti, c’è sempre qualcosa da imparare, statene certi!

tavola apparecchiata - occasione speciale

«Mia cara topina, sai perché ti ho invitata da me, oggi?»

Ho scosso la testa, così lei ha continuato: «Perché desideravo parlarti di una cosa che credo sia molto importante.»

«So che può sembrare strano, detto da me, ma sono tutt’orecchie!» ho ribattuto.

La Maga ha sorriso: «Molto bene. Come sai, la Natura può essere nostra Maestra in moltissime occasioni. Nessuna creatura terrestre può sottrarsi alle sue regole e ai suoi influssi, che influenzano ogni cosa. A dire il vero, volendo essere precisi, non è solo la Terra a influenzare le creature che la abitano: i pianeti, le stelle e l’Universo intero hanno potere sull’Esistenza.»

Pendevo già dalle sue labbra, topi! Non ho fiatato, l’ho lasciata continuare, perché volevo capire dove volesse arrivare con quei discorsi grandiosi.

«Adesso, per esempio, ci troviamo in un momento dell’anno molto particolare…»

I suoi occhi mi hanno interpellata, così ho cercato di dire la mia: «Sì, siamo in Estate!»

«Esatto, piccola amiche. Ma anche l’Estate ha in sé diverse energie.»

Questa Maga mi fa sudare freddo, con le sue domande a trabocchetto: «Be’, è la stagione dei frutti…» ho risposto.

«Proprio così, ma è anche molto altro. Conosci il motto “Come sopra, così sotto; come dentro, così fuori; come l’Universo, così l’Anima“?»

Ho riflettuto un attimo su quella specie di indovinello appena ascoltato, poi ho scosso la testa: «No, non mi pare di averlo mai sentito.»

«Era proprio qui che volevo arrivare. Forse non avrai mai udito le parole umane di cui ti ho resa testimone poco fa, ma sono sicura che tu in realtà le conosca profondamente: sei una bestiolina e, come tale, sei molto sensibile ai cambiamenti della Natura, molto più di quanto lo siano gli esseri umani, ormai offuscati dai loro pensieri e spesso dormienti. Il moto del nostro pianeta intorno al Sole ha fatto sì che il nostro emisfero lo scorso giugno entrasse nella stagione in cui ci troviamo tuttora, l’Estate. L’energia dapprima euforica di questo periodo, data dal Sole che con i suoi raggi ci scalda e permette alla Natura di rinascere, ora, sul finire di luglio, assume sfumature differenti. E’ tempo di trasformare i doni preziosi della Natura, lo sai bene anche tu.»

«Ah sì, è vero! E’ tempo di conserve e provviste, sia per gli esseri umani che per noi animali del bosco.» ho detto entusiasta, credendo di essere entrata meglio nel discorso che voleva farmi la Maga.

Grano

«Proprio così. Ed è la Trasformazione, quella di cui voglio parlarti oggi.» Dicendo così, mi ha porto del pane fragrante. Era tiepido, sfornato da poco, e aveva un profumo e un aspetto indescrivibili. «Per lungo tempo, qui in Valle Argentina, le coltivazioni di grano hanno arricchito i pendii delle montagne con il loro colore oro. Che tinta meravigliosa, topina! Quello del grano è l’oro della rinascita, del Sole che sorge al mattino con tutte le sue potenzialità. E’ la nuova Vita in tutta la sua prorompenza.»

«Il mattino ha l’oro in bocca, come dice il detto popolare!»

«Esatto, ed è davvero così. Come ti dicevo, il grano era protagonista indiscusso dei nostri luoghi…»

«Sì, non per niente Triora era il granaio della Repubblica di Genova» l’ho interrotta per la seconda volta.

farina

Maga Gemma ha annuito: «E non solo! Tutta la Valle abbondava di una qualità di grano particolare e unica per le sue proprietà. Il nostro grano sfamava gran parte della Liguria, e arrivava fino alla Francia. Questa ricchezza si traduceva anche in un’infinità di mulini, i quali funzionavano grazie allo scorrere del torrente Argentina e alla forza della sua acqua. Ora non esistono più, ma un tempo il grano veniva macinato nei numerosi mulini che hanno dato il nome al borgo di Molini di Triora, ma ce n’erano anche in altre località della Valle. Lì si macinava il grano che con fatica veniva raccolto e trebbiato, è in quei luoghi che avveniva la prima Trasformazione: dal chicco si ricavava la farina, e la farina è l’ingrediente essenziale di una pietanza che, come abbiamo già avuto modo di dire io e te, viene consumata quotidianamente.»

pane grano valle argentina

«Certo, il Pane!» ho esclamato.

«Oh, bene! Il Pane è la seconda Trasformazione.» A questo punto, ha spezzato la profumata pagnotta, sfoggiandone l’interno. Aveva lievitato proprio bene, perché l’impasto era ben forato e leggero. «Il Pane, per la gente di questi luoghi, era una ricchezza. Era ed è ancora un vanto, un simbolo di abbondanza e ringraziamento. Col Pane sulla tavola si rendeva Grazie a Madre Terra per il raccolto appena svolto, ma anche a Dio, che permetteva all’uomo di sopravvivere grazie ai doni della Terra che lui concedeva ai propri figli.»

spezzare il pane

«Nel Vangelo al quale gli umani si affidano si dice che Gesù spezzò il Pane e rese Grazie, dicendo che esso è il corpo del figlio di Dio offerto in sacrificio per l’umanità.» La Maga, con quel gesto, mi aveva ricordato le parole che ho udito tante volte recitare passando nelle vicinanze delle chiese. Anche se una topina come me non appartiene alle religioni degli uomini, non ho potuto fare a meno di notare l’analogia tra Gemma e le gestualità dell’eucarestia.

«Ecco, brava, hai fatto proprio una bella considerazione. Il Pane è il corpo della Terra, possiamo leggere così questo passo del Vangelo. E il corpo della Terra, come sapevano bene le antiche popolazioni, è anche quello di Dio, dell’Energia Universale che tutto pervade. E’ un corpo trasformato, poiché dal seme è stata tratta la farina per plasmare poi una forma nuova. E arriviamo così alla terza e ultima Trasformazione…» Mi ha offerto una metà di quel suo pane invitante e io l’ho preso tra le zampe tremanti di emozione. «Riesci a dirmi quale sia? Non mangiarlo, aspetta ancora un momento.»

pagnotte

«Credo… forse la terza Trasformazione avviene dentro di noi?»

«Bravissima! Con il gesto di portarci il Pane alla bocca, introduciamo in noi il frutto della trasformazione, dell’abbondanza e della gratitudine. Ecco la chiave per attraversare nel modo più giusto questo periodo dell’anno. Purtroppo non tutti lo sanno, ma sono sicura che tu saprai fare in modo di divulgare questa importantissima conoscenza. Mangiando il Pane con consapevolezza, possiamo portare dentro e fuori di noi la trasformazione che vogliamo vedere avverata. Ci poniamo nella condizione di ricevere abbondanza, ma possiamo ottenerla davvero nella nostra vita solo se utilizziamo l’ingrediente fondamentale: la Gratitudine. “Spezzò il Pane e rese Grazie”, dice il Vangelo. Se si è in grado di ringraziare per ciò che non si è ancora ottenuto, per ciò che si possiede già e, meglio ancora, ringraziare incondizionatamente, avverrà in noi la terza trasformazione. Come in alto, così in basso: i moti celesti hanno condotto la Terra e i suoi abitanti in questo periodo stagionale, e noi risentiamo delle sue energie. Come dentro, così fuori: mangiando il Pane, che è il frutto della trasformazione, possiamo trasmutare la nostra realtà interiore ed esteriore. Come l’Universo, così l’Anima: l’Energia di questo momento ci spinge a ringraziare e a godere appieno di quello che abbiamo conquistato con fatica. Ti è più chiara, ora, l’affermazione che ti avevo presentato all’inizio?»

«Sì, Maga Gemma, ed è veramente fantastica! Ora il Pane assume per me un significato nuovo, ancor più importante. Grazie per questa condivisione, ti sono profondamente grata.»

«Brava, vedo che ti sei messa sulla giusta lunghezza d’onda per la serata che avevo in mente. Mangiamo, ora. E ricorda: queste caratteristiche si protrarranno fino al periodo autunnale, quando ci sarà un nuovo simbolo trasformativo di cui parlare…»

«… il Vino!»

«Esatto. Buon appetito, piccola amica. E che la tua Trasformazione sia grandiosa!»

Con quelle parole, Maga Gemma ha toccato delle corde talmente profonde dentro di me da lasciarmi senza squittii. Il suo augurio, topi, lo rivolgo a voi quindi. Fate tesoro di quello che avete imparato fin qui, mi raccomando!

“Au Ciottu” di Corte

Ci sono luoghi della mia Valle che non sono accessibili a tutti, ma… io che sono Pigmy  posso andare dove voglio e sono sempre autorizzata, grazie alla miriade di topoamici che ho, sparsi qua e là, e che mi consentono di visitare le loro terre o i sentieri sbarrati ai più.

E oggi è proprio in un posto come questo che vi porto, “vietato”, cosicché possiate ammirarlo tutti voi.

Sì, lo so che in natura non dovrebbero esserci divieti, ma così è e, nel mondo degli umani, ci si deve adattare. Io sono comunque lieta di aver visto una meraviglia che ancora non avevo ammirato e ringrazio di cuore chi mi ha permesso di godere di tanta bellezza e di tanto appagamento.

Andiamo sopra il paese di Corte, precisamente al Ciotto di Corte. Un tempo, in questa depressione erbosa ricca di Noci e Castagni, venivano raccolti i frutti di questi alberi e portati per la vendita fin giù a Taggia o a Corte stessa. I mestieri di una volta si possono ancora vivere attraverso l’immaginazione e l’atmosfera di queste zone.

La strada è sterrata, ma larga e comoda. Sale senza essere ripida e ci porta fino a trovarci di fronte al Carmo dei Brocchi che sovrasta un altro Ciotto, quello di San Lorenzo. La vista è magnifica, una meraviglia si apre agli occhi e permette al cuore di respirare.

Mi accompagnano le farfalle, molto numerose in questa stagione, che si posano sui fiori. Ognuna ha un colore diverso dall’altra e si posano anche su alcune pozzanghere per bere, presumo. Ci sono la Ginestra, il Pisello selvatico, e le rocce attorno sono coperte di Timo e Lavanda.

In certi punti si può ammirare il paese di Corte dall’alto, tutti quei tetti rossi sembrano appiccicati tra di loro e più in giù, sul Torrente, c’è Molini di Triora  “il Paese dell’Acqua”, chiamato così proprio perché costruito sulle sponde dell’Argentina e del Rio Capriolo.

In alto, invece, c’è la stessa Triora e, dall’altra parte, a sinistra di fronte a noi, ecco Andagna con il suo bosco nel quale si intravede il sentiero che porta alla chiesetta di Santa Brigida.

Sono partita dal Camposanto di Corte, piccolo, intimo e ben tenuto e, percorrendo questa strada, ho seguito anche un pezzo di sentiero che, fino a qualche anno fa, veniva utilizzato anche come pista per la Corsa Podistica che si teneva durante la festa in onore alla Madonna dell’8 di settembre.

Una festa importante, per gli abitanti di Corte, molto sentita. Da qui si può anche raggiungere la Palestra Naturale di Arrampicata “Rocca di Corte” per gli amanti scalatori. La Falesia di Corte, che prende il nome proprio dall’omonimo paese, si offre in tutta la sua verticale bellezza per essere scalata da climbers esperti, essendoci punti pericolosi e su strapiombi.

La sbarra che blocca la strada è il preludio della magnificenza. Non avevo mai visto la mia Valle da questo lato. Posso ammirare i pascoli laggiù in fondo, le vette, alcune dolci altre più aspre e, oggi, alcune nuvolette le contornano come un ricamo.

Le More non sono ancora mature. Se lo fossero, ci sarebbe da mangiare per tutto il tragitto. Ce ne sono tantissime e non mancano nemmeno le Ciliegie e le Prugne.

Questa strada porta anche a una piccola frazione di appena una manciata di case, chiamata Vignago e sono davvero pochi a conoscerla. Sarà però una prossima meta perché è davvero distante e oggi non riesco a raggiungerla. Mi chiedo, però, come si potesse vivere così lontani dal paese un tempo, eppure…

Arrivati al Ciotto, l’atmosfera è stupenda. Grossi tronchi aspettano di essere tagliati e bruciati per riscaldare durante l’inverno ed esorcizzare la temperatura rigida della stagione più fredda, rendendo l’ambiente domestico più confortevole.

Il prato è bellissimo, sotto l’ombra di Noci e Castagni secolari ed enormi che sono ancora lì e ancora donano i loro frutti. Tutto attorno c’è il bosco, più fitto in questo punto, ma comunque suggestivo.

Ci imbattiamo in un casone, dove un tempo si stipavano i frutti della terra e gli attrezzi, e una piccola chiesetta conosciuta come “la Chiesetta du Ciottu”, piccola, ma molto carina, con il tetto in ciappe di Ardesia e il portale dello stesso materiale. Come già vi ho detto più volte, santuari, chiese e edicole religiose non mancano mai nella mia Valle.

Da qui si può osservare molto bene la Valle nel suo termine stesso. Nel senso che si vede chiaramente il vallone compreso tra le due catene montuose che la circondano. Si possono notare anche alcuni piccoli affluenti del Torrente Argentina, che adesso sono in secca, nonostante le numerose piogge di quest’anno. Sembrano grandi arterie dei monti con il loro beige che si staglia in tutto quel verde. Un verde onnipresente.

Questa strada, infatti, è percorribile anche in piena estate, a differenza di altre della Valle, perché offre zone d’ombra nelle quali ristorarsi. Ci sono molti alberi, cespugli e arbusti ai suoi lati. Non è aspra e glabra come l’Alta Valle dei pascoli e degli alpeggi.

Sono tanti, infatti, anche gli uccellini che accompagnano la nostra passeggiata con il loro canto. Qui possono costruire i loro nidi. Si sentono cinguettii di vari tipi e, tutti assieme, formano un coro armonioso.

Come vi ho detto, la strada continua, sale molto più su, ma adesso io mi fermo qui. Mi riposo e mi godo questa natura eccezionale che dona le sensazioni migliori. Sedetevi anche voi accanto a me e ascoltate… osservate… in silenzio… il Tutto.

Vi aspetto per il prossimo tour Topi, a presto!