Il profumo di un Natale antico

Topi, ma voi lo sapete com’era vissuto il Natale di un tempo in Valle Argentina? No?! Allora bisogna rimediare. Insomma, per un motivo o per l’altro mi fate sempre lavorare, Santa Ratta! Ah… ma è proprio per questo che vi voglio così bene, in fondo.

Dai, venite con me e non fate i musoni, che oggi vi faccio conoscere le feste così com’erano ai tempi dei nostri topononni. Andiamo indietro negli anni, ad annusare il profumo di un Natale del quale oggi sono rimasti i malinconici e nostalgici racconti dei più anziani.

I giorni di festa di allora non erano come quelli odierni: erano vissuti e attraversati nella  povertà, non c’erano sfarzi né abbondanza e tutto era più pacato, semplice e frugale… ma c’era una ricchezza diversa, quella calorosa che si esprimeva dal cuore e che era in grado di arricchire ogni cosa. Là dove oggi abbiamo la frenesia di regali, addobbi e acquisti sfrenati, anni fa c’era raccoglimento e pace nell’animo, uniti alla convivialità che in questi freddi giorni di fine anno diventava particolarmente generosa.

Per rispecchiare l’idea di quel Natale e quei festeggiamenti che furono, anche le immagini con le quali ho corredato l’articolo sono semplici, dai colori tenui e mai troppo appariscenti, con soggetti tutt’altro che sfarzosi. Perché, in fondo, anche se lo abbiamo dimenticato, un tempo il Natale era così (per lo meno nelle zone montane e nei paesi costieri): povero, essenziale e modesto.

I nostri topononni non accendevano festoni luminosi nelle loro tane, né per le strade dei loro topo-borghi esistevano le luminarie che oggi abbelliscono viali, corsi e edifici.

Ma non fraintendetemi: le luci c’erano, eccome! C’erano le candele, tante anche, a rendere calda e dorata l’atmosfera, un ambiente unico e magico, che poteva essere respirato e percepito solo in questo periodo dell’anno. Ad arricchire i borghi erano gli auguri che gente si scambiava tra sorrisi e aiuti reciproci.

Oggi abbiamo meno candore intorno, le temperature si sono alzate rispetto a quelle degli inverni vissuti dai nostri anziani. E così ecco che la neve viene a trovarci più di rado, ma un tempo non era così: a Natale le nostre Alpi Liguri erano innevate e il Saccarello, insieme alle altre cime che tiene per mano in un girotondo di roccia, pareva proprio lo sfondo perfetto per un Presepe.

La coltre nevosa rendeva tutto ovattato e quieto e così anche i ritmi di vita, inevitabilmente, rallentavano. Le lunghe ore di buio si trascorrevano tra le mura domestiche, raccontando storie antiche davanti alla stufa o al camino, mentre si mettevano a essiccare le bucce degli agrumi che spandevano così il loro profumo festoso per tutta la stanza.

Nel silenzio che subentrava al calar della notte, si udivano riecheggiare dolci filastrocche e mentre gli adulti non smettevano di preparare buon cibo, i topini chiedevano storie riguardanti il Natale.

E in quelle sere gelide si apprezzava assai lo stare in compagnia, la famiglia riunita nel cuore pulsante della tana. Chi filava, chi ricamava, chi intagliava, chi si riposava dalle fatiche del giorno e chi si metteva in ascolto dei racconti degli adulti con gli occhi adoranti e le orecchie attente. Stare insieme era la ricchezza più importante e apprezzata, in quei tempi in cui si possedeva poco, anche se le necessità erano tante, e si ringraziava di avere i membri della propria famiglia accanto, ricordando quelli che, invece, non c’erano più e avevano lasciato grandi assenze.

In questo contesto, topi miei, persino i piatti che si cucinavano avevano sapori semplici, non si faceva gli schizzinosi né si andava tanto per le lunghe per decidere quali piatti avrebbero reso più gustoso il giorno della nascita del Bambin Gesù. Le pietanze corroboravano e ritempravano già solo con i loro profumi, arricchiti da una terra aspra dall’aria salubre e salmastra.

E c’erano, poi, i cibi che erano portati in dono da Babbo Natale in persona! Eh sì, cari amici, i regali d’un tempo erano questi. Anche perché niente aveva più valore del cibo per le genti povere delle valli e delle montagne, quando la fame si pativa e sfiancava il fisico e il cuore. E allora quel signore dalla barba bianca vestito di pelliccia portava in dono castagne secche e mandarini a tutti i topini, forse non riuscite a immaginare la loro contentezza e i sorrisi che gli allargavano le boccucce, ma vi assicuro che c’erano!

In pochi sapranno il perché di questi doni, che si scambiavano – e si scambiano ancora – in questo periodo dell’anno. Le radici di tale usanza si perdono nel tempo, ma regalare ai più piccoli della famiglia cibarie e leccornie era un gesto simbolico assai significativo: protagonisti erano spesso semi e frutti, che simboleggiavano la nuova vita che sarebbe rinata a Primavera. I topini rappresentano da sempre la speranza nel futuro, le piantine nuove della famiglia che un giorno fruttificheranno… e allora donar loro un seme, la parte più nutriente di una pianta, significava riporre fiducia nella rinascita, ma anche offrire forza e nutrimento a coloro che più ne avevano bisogno per diventare grandi e portare avanti la discendenza.

I giorni che si avvicinavano al Natale erano anche giorni di intense preghiere, qui in Valle Argentina come altrove. Molto sentita è sempre stata la festa dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre, in cui si onorava in grande stile la Madonna con l’accensione di fuochi purificatori. Si sgranavano rosari, si partecipava alle funzioni religiose e si ricordava la Vergine Maria in ogni parola e in ogni gesto.

Che il culto mariano sia molto sentito  dalle mie parti ve l’ho già detto altre volte, e lo dimostrano gli omaggi dedicati a Maria nelle statue, nelle edicole e in tutte le rappresentazioni sparse qua e là per tutta la vallata.

La si correlava molto anche all’acqua come se fossero state due Madri benedette.

Quando poi giungeva la sera della Vigilia, si giocava e si chiacchierava sgranocchiando noci, fichi secchi e uva passa.

E poi? E poi, topi cari, si andava a dormire col cuore colmo di gioia che già assaporava i doni e le sorprese del giorno a venire… la stessa gioia che mi auguro proviate anche voi nell’attendere un altro mio nuovo articolo.

Un bacio di pan di zenzero a tutti voi!

Il mio Albero di Natale

No, no, no topi, non sto gareggiando contro la mia amica Miss (non mi permetterei mai visto il risultato) è solo che lei domanda e io eseguo….. scherzo!

Mettendo da parte le burle… sì, mi da ottimi spunti devo dire ma, per ammettere tutta la verità, volevo condividere con voi quello che è uno dei momenti più belli dell’anno.

Eh, lo so, sono una topina, impavida toporeporter, scopritrice di luoghi affascinanti, battagliera nei confronti dell’ingiustizia, protagonista di mille avventure, per la maggior parte comiche, e disavventure ma… sono anche una mamma e una zia. Ormai lo sapete. E ora ditemi, cosa vuol dire pronunciare ai topini, la magica frase – Oggi, facciamo l’albero di Natale! -?

Ebbene, tutto questo significa prendere la scala e arrampicarsi fino al soppalco tra le loro grida di gioia e i loro salti a zampe unite.

Significa tirare giù gli scatoloni e le borse di palline, srotolare i fili luccicanti e soffiare via i brillantini dalle ghirlande e loro, zitti, con gli occhi sbarrati, ti guardano aspettando che esca dal cestino la prima pallina. E stanno lì buoni buoni, con gli oggetti che sberluccicano per tutto il tempo in cui tu discuti con altri topi dicendo che bisogna prima mettere le stelle filanti mentre un altro insiste che devono essere messe prima le luci, che poi, con le stelle filanti davanti non le vedi più.

I piccoli topini danno il permesso a mettere il puntale ma le palline…. no! Quelle spettano solo a loro. Le cercano, fanno a gara a chi tira fuori la più bella, le mettono dove vogliono e si alzano in punta di piedi per addobbare i rami più alti.

Poi, sotto l’abete colmo di decori, posizionano la capanna del presepe e mettono in ordine le statuine. E’ a quel punto che il loro vociare si fa più insistente.

Il più grande spiega all’Arcangelo Gabriele, che continua a picchiare sul pavimento, di stare fermo sul tetto della stalla, ma metterlo tra la paglia e la stella cometa è davvero un’impresa.

La più piccola invece, inizia la solita nenia di tutti gli anni, appena finito di sistemare la Sacra Famiglia – Dov’è Gesù Bambino? Dov’è Gesù Bambino? Dov’è Gesù Bambino? Dov’è Gesù Bambino? – e puoi spiegarglielo in mille modi che stò povero Gesù Bambino ancora deve nascere che tanto… non ci sono ragioni.

Per non impazzire bisogna chiedere gentilmente a Maria di partorire prematuramente il suo piccolo e mettere così a tacere la mia. E tutti gli anni, la Vergine Santa ci allevia gentilmente di tanta sofferenza.

Dopodichè eccoli tutti e due con il naso all’insù ad ammirare la loro opera d’arte e sorridere al gioco di luci che s’intravede, vagamente, tra le fronde della conifera.

Guarda che bella quella palla lì! L’ho messa io! -, – E io ho messo il regalo gommoso! -, – E quella? Guarda come brilla! -. Sono entusiasti.

Ogni anno componiamo l’albero con oggetti diversi: i cartoncini pitturati, le fette d’arancia essiccate nel forno, la frutta secca, i tappi di bottiglia colorati ma, le palline, quelle non devono mancare mai e, anche quest’anno, sono state le incontrastate protagoniste.

E’ guardando tutto questo che, per me, vale la pena definirlo un capolavoro quindi, vi saluto, felice di avervi reso partecipi di una giornata pre-natalizia nel mio Mulino.

Buona serata a tutti.

M.