Il Corbezzolo – Vivi e colora il tuo mondo

Poi qualcuno osa dire che l’Autunno è una stagione triste e spenta, poco colorata… Ma meno male che c’è qui la vostra Prunocciola, pronta a mostrarvi la Natura come la vedete di rado!

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Cari topi, in questo periodo dell’anno i monti e la Natura tutta si colora di tinte assai calde e accoglienti, complici anche le giornate ancora per lo più terse e molto tiepide. Ed è in questo momento che giungono a maturazione anche dei frutti coloratissimi, che inondano i sentieri offrendo ulteriore bellezza agli occhi, come se non fosse già tanta quella offerta dai generosi Castagni dalle foglie d’oro, dai colori bronzati dei Larici, dalle tinte solari e delicate delle faggete e di tante, tantissime altre piante che fanno i fuochi d’artificio pur di farsi notare.

Sto parlando del Corbezzolo, il cui nome scientifico è Arbutus unedo, pianta appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I suoi frutti paiono palline natalizie di colore giallo-arancio quando sono immaturi e rosso quando invece giungono a maturazione.

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La pianta è sempreverde e vanta la presenza in contemporanea di fiori e frutti sui rami. I suoi colori prevalenti (il verde delle foglie, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti) la assimilano alla bandiera italiana, e per questo motivo ne è divenuta il simbolo patrio. Fu nell’Ottocento che assunse il significato di unità nazionale.

Plinio il Vecchio, naturalista e filosofo romano, riteneva i corbezzoli talmente insipidi che a suo parere era impossibile mangiarne più di uno, ecco spiegata la derivazione del nome scientifico della specie – “unedo” -, che deriverebbe da “unum” (= uno) e “edo” (= mangiare).

I suoi colori vivaci lo accostano alla Vita, e infatti è una pianta assai longeva, tanto da poter divenire addirittura plurisecolare. Cresce anche rapidamente, e con questo Madre Natura ci vuole lanciare un messaggio importante: chi sa colorare la propria esistenza, chi guarda con gioia ai colori, alla positività, cresce (e vive) con più facilità.

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Il verde è il colore del cuore secondo le discipline orientali, è la tinta che più di ogni altra riguarda l’energia d’Amore Incondizionato che permea ogni cosa nel Creato. E, in effetti, è il colore di Madre Natura… chi sa amare più e meglio di lei? Qualcuno lo attribuisce anche alla speranza, ma una creaturina del bosco come me non conosce questa emozione: noi bestioline, insieme alle piante e a tutti gli elementi naturali, non siamo soliti sperare, semplicemente siamo, esistiamo e agiamo, senza aspettative. Ecco perché per me il verde del Corbezzolo – e di tutte le altre piante meravigliose della Valle e del pianeta – rappresenta la Vita, la gioventù delle tenere foglie appena spuntate sui rami e dalla terra.

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Che dire, poi, del bianco? E’ la Purezza per antonomasia, la pagina ancora bianca prima di essere scritta, il principio di ogni cosa, l’insieme di tutti i colori esistenti e la tinta attraverso la quale si esprime la Luce… e, ancora una volta, la Luce è… Vita!

Giallo, arancio e rosso sono invece colori legati al Sole, al fuoco, quello della creazione e del calore fisico, avvolgente e prorompente. Anche in questo caso sono tinte strettamente legate alla Vita. Ed ecco che allora il Corbezzolo, racchiudendo in sé tutti questi colori, non fa che rimarcare, evidenziare e sottolineare con allegra e sfacciata enfasi il suo essere così profondamente legato alla Vita gioiosa, all’esistenza terrena.

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A proposito di fuoco… è una pianta originaria del Mediterraneo, e la terra lambita da questo meraviglioso mare è battuta dal Sole e spesso viene investita da incendi. Ma tutto in Natura è perfetto, topi, per cui questa mamma amorevole su cui poggiamo tutti le zampe ha escogitato un modo efficace e geniale per far sopravvivere le proprie creature durante manifestazioni apparentemente così estreme e violente. Come il Cisto, infatti, il Corbezzolo possiede una “memoria” di fuoco. Cosa significa? Vuol dire che si infiamma molto facilmente e questo gli permette di far passare velocemente le lingue infuocate sopra le proprie radici, in modo tale da preservarle intatte. In pratica la parte alta della pianta si incendia e si incenerisce molto in fretta, e dunque le fiamme, non avendo altro da “mangiare”, passano oltre. Le radici restano integre e da lì a breve il Corbezzolo rigetterà, concimato dalle sue stesse ceneri come l’Araba Fenice, crescendo velocemente come solo lui sa fare! Una meraviglia, insomma! Se non è Vita questa…

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Il Corbezzolo ha dimensioni arbustive, arrivando a raggiungere però fino ai 10 metri di altezza. I suoi fiori a grappolo sono ricchissimi di nettare, particolarmente apprezzato dalle mie amiche api, soprattutto se quando la pianta fiorisce – ovvero tra ottobre e novembre – non sono ancora giunti i primi freddi a farle rintanare. Il miele di Corbezzolo, molto pregiato, aromatico e amarognolo, è l’ultimo a essere prodotto prima del riposo invernale.

I frutti, come già dicevo, hanno forma sferica tanto da apparire come colorate palline decorative, sono grandi circa due centimetri e sono molto carnosi, possiedono in superficie dei tubercoli che danno alla bacca la sembianza di una pralina ricoperta di granella. Maturano tra ottobre e dicembre e non tutti ne amano il sapore e la consistenza, come ricordava Plinio, eppure in molti lo apprezzano, soprattutto per l’utilizzo in diverse preparazioni, tra cui le confetture.

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Se non lo apprezzano gli esseri umani, altrettanto non si può dire delle bestioline! In particolare esiste una farfalla che adora nutrirsi dello zucchero presente nei frutti, ne fa grandi scorpacciate, e per questo motivo la bellissima Charaxes jasius è meglio conosciuta più semplicemente come farfalla del Corbezzolo.

Se ne ricavano, oltre alle marmellate, anche vini, liquori, acquaviti e dolciumi.

Un tempo le sue foglie, ricche di tannini, erano utilizzate anche per conciare le pelli.

Il Corbezzolo cresce in mezzo alla macchia mediterranea, motivo per cui è più facile trovarlo sui sentieri costieri o che si affacciano quasi sul mare. Personalmente ne ho visti davvero molti sulle alture di Sanremo, tra San Romolo e Monte Caggio, così come anche tra Verezzo e i Prati di San Giovanni. Ama ambienti semiaridi, a un’altitudine che va fino agli 800 metri sul livello del mare, e cresce tra i cespugli, nei boschi in cui domina il Leccio o anche nei sottoboschi di pinete litoranee.

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Un’antica leggenda latina narra del salvataggio di un neonato da parte della ninfa Carna avvenuto grazie a un ramo di Corbezzolo. Per questo motivo la pianta è divenuta una delle piante che si dice respingano le streghe, soprattutto nella notte di San Giovanni (24 giugno).

I toscani l’hanno addirittura adottata nel gergo come esclamazione di meraviglia: “corbezzoli!”, dicono. E in effetti, topi, io non riesco proprio a dare loro torto. E’ una pianta assolutamente meravigliosa!

Un bacio tricolore a tutti voi.

Velenosa e bellissima – la Tromba degli Angeli

Velenosa, ma meravigliosa (che fa anche rima) la Brugmansia, chiamata anche volgarmente “la Tromba degli Angeli”.

Questo nome gli è stato conferito a causa della forma dei suoi fiori, che oggi ho fotografato per voi e che sono di colore rosa, sebbene ne esistano anche delle tinte arancio, fucsia, bianco, rosso e bicolor. Esistono diverse specie di Brugmansia, alcune profumano addirittura di Vaniglia. Molti botanici la classificano con il nome di Datura, ma sembra non si siano ancora accordati tra la specie “erborea” e quella “erbacea”. In natura, inoltre, questa pianta non esiste più, o meglio non nasce più spontaneamente; per ricrearla occorre un clima tropicale.

Come ho detto, questa pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae  è molto velenosa, quindi bisogna trattenersi dal maneggiarla troppo, poiché si rischia di avvicinare le mani alla bocca o ad altre parti sensibili del corpo, come gli occhi. La sua tossicità, però, crea seri danni soprattutto se la pianta viene ingerita.

Pensate che alcuni indigeni dell’America del Sud, luogo di nascita di questa pianta, la usavano persino come veleno per la caccia, perciò fate davvero attenzione con lei. Gli Indios, invece, traevano dai suoi semi una sostanza stupefacente da consumare durante riti o feste particolari, ma ne conoscevano bene la dose, che poteva invece essere aumentata per renderla fatale al nemico. Oggi, gli esperti ne traggono un principio attivo molto potente, anche se tossico, che viene messo all’interno di alcuni antidolorifici.

Sarà forse proprio la sua tossicità mortale ad averle conferito anche un altro nome, quello di “Fiore del Diavolo” o “di Strega”. Ebbene sì, dal Paradiso, con tanto di angioletti che la suonano come una trombetta, si scende all’Inferno, dove Satana la fa sua narcotizzando gli ignari grazie alle sue proprietà dannose, che possono provocare anche forti allucinazioni, tanto potenti da condurre alla morte.

Per alcuni sostenitori della divisione delle due specie, infatti, il significato cambia tra il male e il bene delle due piante (Datura e Brugmansia), dove la prima è quella considerata infernale, mentre la seconda sarebbe quella paradisiaca. Questo perché il termine Datura deriverebbe etimologicamente da “mela spinosa” e, quindi, pungente e urticante, perciò malefica. Tutti, però, su una cosa sono d’accordo: per via della sua bellezza poco duratura, simboleggia l’estetica esteriore che ha poco valore e, per via del suo essere anche nociva, simboleggia l’incertezza, la preoccupazione e la magia.

Non è autoctona della mia Valle, come ho detto, ma non manca in nessun giardino. E’ molto ornamentale quando fiorisce e può raggiungere dimensioni notevoli persino in vaso. Si adatta abbastanza bene in qualsiasi tipo di terriccio, pur prediligendo il calcare, e ama il sole. Se messa in piena terra si consiglia assolutamente la potatura durante la primavera.

I suoi fiori sono grandi e le sue foglie una prelibatezza per le lumache che, evidentemente, non la patiscono. Vederla evolvere in tutto il suo splendore è una meraviglia!

E voi Topi? Ne avete, di Brugmansie? O Dature? O Trombe degli Angeli? O…. Oh mammatopa! Quanti nomi!

Un Bacio! Alla prossima!

Una Tana davvero particolare

Nei due articoli “La storia delle Api e del Miele I° e 2° parte” scritti tempo fa, vi avevo ben spiegato la vita di questi insetti meravigliosi. Così importanti per la natura e per noi da far esclamare al saggio Einstein la frase – Se le Api si estinguessero, all’uomo resterebbero solo 4 anni di vita -.

In effetti, il loro lavoro è molto utile a tutti essendo che, oltre a creare il dolce Miele, grande toccasana naturale, si preoccupano dell’impollinazione dei fiori e permettono quindi un rinnovo costante della flora. E’ un po’ come se il mondo vegetale esistesse grazie a loro e, di conseguenza, ne possiamo godere anche noi.

Instancabili insetti. Laboriosi fino allo stremo e, oggi, posso dimostrarvelo avendo visto di persona una parte del loro lavoro e della loro quotidianità. Mi trovavo nella periferia di Arma, nella tana di campagna di alcuni cari topoamici. Dopo pranzo ci accorgemmo che, dentro a delle fessure di plexiglass, che rivestivano una porta per renderla più resistente alle correnti d’aria fredda, alcune Api stavano creando qualcosa di veramente fantastico: il loro alveare. Che design moderno!

Sì. Tanti mucchietti, color ocra, divisi ordinatamente da delle righe nere, riempivano queste fessure che sembravano essere state fatte apposta per loro. Ma cos’erano questi mucchietti gialli? Nettare. Potevamo vedere bene le Api affaccendate, entrare giuste giuste nella loro grandezza dentro a questi tubicini vuoti e, completamente sporche del goloso polline, iniziare a pulirsi meticolosamente rilasciando cadere la polverina magica che poi pressavano in un mucchietto compatto.

Dapprima si vedeva arrivare una piccola nuvoletta color del sole che poi, scuotendosi e accarezzandosi, perdeva il colore e mostrava l’insetto che c’era al suo interno. All’inizio si puliva bene il muso e le zampe anteriori, poi, piano piano si voltava e si girava, si puliva la parte dietro e iniziava a pressare la polverina persa in basso contro il blocco già esistente.

Una volta raggiunta la misura ideale della “celletta” creava un ulteriore strato con saliva, feci e terriccio, dal colore scuro, che serviva come divisore tra una culla e l’altra prima di iniziare la costruzione della cella seguente. Una striscia di grumi neri. E prima di formare questa divisione, studiava bene la situazione! Indietreggiava, controllava, osservava probabilmente se la grandezza andava bene e poi – Si, ok, posso chiuderla e passare alla prossima! -. Incredibile.

E pensare che per formare un pezzettino di giallo, grande circa un centimetro quadrato, faceva avanti e indietro come minimo 20 volte per andare a sporcarsi nuovamente di polverina. Che dedizione e…. che voglia! Non oso immaginare quanto tempo abbiano impiegato a fare tutti questi che potete vedere nelle immagini! Ma tali scomparti, sono formati solo da polline? No.

Se guardate attentamente noterete in uno di essi un po’ di vuoto e un piccolo ovetto biancastro, semi trasparente. Lo avete visto? Nella riga più bassa dell’alveare. Ebbene, ogni cella ne conteneva uno e, vederli, era veramente emozionante. Uova che poi diventeranno larve e infine piccole, nuove Apette. Per me, aver potuto vivere questo avvenimento è stato davvero bello.

Sono stata fortunata grazie alla trasparenza della location scelta e ho potuto osservare per bene ogni cosa senza perdermi nulla. Ciò che maggiormente mi ha colpito è stato il loro duro lavoro. Come vi ho spiegato, facevano avanti e indietro in continuazione. In continuazione.

Io, al loro posto, alla seconda celletta ero già stanca morta. E che precisione! Che ordine! Non c’era uovo più scomodo di un altro. Lo spazio doveva essere uguale per tutti e tutti dovevano poter avere la giusta considerazione. Nessun privilegio. Ma dov’era l’Ape Regina? Ogni alveare ne ha una. Notammo che alcune fessure entravano all’interno dello stipite della porta e quindi probabilmente Sua Maestà, se ne stava comoda in qualche nascondiglio lì dentro.

Ebbene amici, la mia Valle è anche questo. Il mostrare scenari meravigliosi che non sempre è possibile vedere in prima persona o in primo topo come me. Poter conoscere i mondi che convivono paralleli al nostro ai quali spesso non badiamo e non facciamo attenzione. Eppure esistono e sono davvero pieni di vita.

Vi è piaciuta questa tana? Bene, allora vi farò conoscere anche le prossime che troverò in futuro. Sperando di poterne scoprire ancora.

Un bacione, buon week end!

M.

Tutto un mondo di Limoni!

SONY DSCCarissimi, potevo secondo voi non dedicare un post a questo elemento importantissimo e protagonista della natura e delle case di tutti noi? Certo che no.

Il Limone – che nonostante il suo gusto acre, aspro e pungente, piace a tutti. Sarò banale, ma vogliamo parlare della strafamosa Limonata, o dell’acqua e Limone che forse troppo spesso dimentichiamo di farci? Eccola qui.SONY DSC Semplicissima ma… buonissima e preziosissima! Adatta soprattutto all’estate! Rinfresca, disinfiamma e, tenetevi forte, brucia i grassi! Oh si!

Disinfettare però: questa è la sua prima qualità.

Da piccoli, quando eravate topini e avevate il mal di gola, non vi hanno mai dato il ghiaccio tritato con il succo di Limone? Era molto adatto come toccasana e donava sollievo. Il Limone, il cui vero nome è Citrus,SONY DSC è una pianta che appartiene alla stessa classe delle Magnolie e da qui se ne capisce la sua bellezza. Sì, perchè il suo fiore è bianco e meraviglioso anche se molto piccolo. Il bocciolo invece è di un viola molto tenue. Anche l’alberello in se è simpatico, può raggiungere fino agli otto metri d’altezza, ma bisogna fare attenzione, e questo non tutti lo sanno, alle sue lunghe e acuminate spine. SONY DSCIl Limone lo si può bere, mangiare, succhiare e con lui vengono preparati sciroppi, tisane, liquori (come il famosissimo Limoncello). Nella mia Valle, di prodotti al Limone, ce n’è l’imbarazzo della scelta e, oltre a quelli alimentari, è facile trovare: saponi, oli essenziali, profumi, detersivi, essenze, tutte cose che donano alla nostra casa, e al nostro corpo, una fragranza fresca e gradevole.

Il Limone, subito dopo suo cugino Cedro, è stata una delle piante più conosciute fin dal tempo dei Romani e appare molte volte anche raffigurato nei mosaici di Pompei. Era chiamato “Pomo di Persia” perchè arrivava da questa terra Mediterranea e, ancora oggi, il nostro meridione, prima fra tutti la Sicilia, ne è il maggior produttore.SONY DSC Pensate che già Aristotele lo usava e insegnava ai suoi allievi a trarne moltissime qualità. Esso è un agrume e si smercia molto bene non solo perchè è tanto amato ma anche perchè di questo frutto si possono usare tutti i suoi componenti, dalla buccia, per fare i canditi e le torte o i liquori, ai semi per creare antibiotici naturali.

Il succo, la parte più usata, è un ottimo antiemorragico e assorbente per non parlare della gran quantità di vitamina C che contiene. Mille proprietà benefiche. Il suo significato però è un po’ più amaro, anzi, “aspro” direi per rimanere in tema. E come è aspro lui, aspre son le cose di cui è simbolo, nel senso che sta a significare le situazioni che non riusciamo a digerire, quelle pesanti, che non ci fanno stare a nostro agio.SONY DSC Nonostante il suo bellissimo, caldo, solare e luminoso colore giallo appartenga all’intelligenza della persona, e alla sua istruzione, il frutto in se’, fa capire come l’individuo più educato e più diplomatico, a volte debba sopportare troppo un momento a lui sgradevole e subire così una vera frustrazione.

Limone sta per discrezione. Tornando al colore della sua buccia, non voglio però dimenticare una chicca mitologica che son sicura vi piacerà. Il giallo, colore accomunato all’oro, era anticamente destinato sempre e solo agli Dei. Ebbene, Gaia, la Dea Terra, donò a Zeus e a Era, come dono di nozze, proprio dei Limoni. E gli stessi Limoni, appartenevano già, conosciuti come “pomi dorati”, al corredo della bella Giunone-Era.SONY DSC Erano così preziosi da meritare, nel giardino degli Dei, persino dei guardiani e, a proteggere questi pregiati frutti, furono chiamate le Esperidi. Zeus ed Era, gli sposi, ci tenevano troppo ai loro Limoni. E dalla mitologia passiamo alla poesia. Non potevo non nominare Montale, poeta genovese che, trattando della sua amata Liguria, accennò molto spesso ai Limoni. Toccate di pittore. Pennellate che si distinguono tra l’azzurro del mare e il verde dei monti. Ecco cosa si legge in questo testo di apertura di “Ossi di Seppia” da Wikipedia:

-I Limoni-, umile pianta, diventano simbolo della poetica di Eugenio Montale che canta povere e semplici cose e tende a instaurare un rapporto diretto con gli oggetti e le piante. L’apertura della poesia ha un tono polemico: Montale rifiuta i “poeti laureati” che hanno falsato la realtà rappresentandola con uno stile aulico, per avere onori e gloria. Egli ama il linguaggio comune, familiare, per descrivere il paesaggio aspro e brullo della sua Liguria, ama le stradette che conducono ai fossati, le “pozzanghere mezzo seccate”, dove i ragazzi ” agguantano qualche sparuta anguilla” e le viuzze che portano agli orti ravvivati dal giallo dei limoni dove hanno tregua il conflitto di sentimenti e delle sofferenze distratte dal loro profumo.

LIMONI

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Io vi abbraccio topini. Vado a sorseggiare un po’ di questo buon succo e vi aspetto per il prossimo post. Mi raccomando, non rimanete mai senza Limoni in casa. Vi basterà addentarlo, in caso di nausea, e tutto passerà anche se lo so che vi stanno venendo i brividi! Ciao!
M.

La Salamandra, colei che resiste al fuoco

Niente di più falso amici topi. La Salamandra, poverina, non può resistere al fuoco nonostante la bassa temperatura del suo corpo e il suo “sangue freddo” in tutti i sensi.

Anzi, il solo stare troppe ore lontano dall’acqua, le potrebbe far seccare la pelle al punto da ucciderla. Essa ha bisogno dei luoghi umidi, ha bisogno si di terra e di aria ma, l’acqua, è fondamentale per la sua sopravvivenza.

La storia che narrava come la Salamandra resistesse alle fiamme era solamente una credenza mitologica del passato essendo essa fredda come il ghiaccio. Ma conosciamo meglio questo affascinante animale.

Cari topi, oggi vi presento una cara amica che popola la Valle Argentina in ogni suo angolino. E’ la Salamandra, un simpaticissimo anfibio.

E’ timida, si fa davvero fatica riuscire ad osservarla ma non è così raro poterla vedere, soprattutto se si frequentano i suoi habitat naturali.

Purtroppo, l’unica foto che ho di lei è una foto mossa e nella penombra quindi devo utilizzare le immagini di qualche amico virtuale che le ha messe a disposizione. Eh si, salamandraperchè volevo che la guardaste bene. Guardate che colori che ha.

Ora, non è incredibile che la natura possa arrivare a tingere una bestiolina in quel modo? Di giallo… un giallo che spesso può tendere all’arancio e di nero. Meravigliosa. Un’ape umida!

E che sgargianti questi due colori! Inoltre, le macchie gialle, non saranno mai uguali tra gli esemplari. Le Salamandre sono come iSalamandra salamandra salamandra fiocchi di neve, nessuna è uguale all’altra.

Ma, come mai, un animale paludoso come lei, ha questi colori? Per distinguersi parecchio dal fango, la melma o il verde bello ma semplice delle ninfee? Parecchi anfibi godono di tinte forti e vivaci e il motivo è semplice: devono indicare il loro essere velenosi. Se non del tutto, almeno abbastanza tossici, e i loro predatori, vengono avvistai di fare attenzione.

Bella, così lucida, così viscida. Pensate, il luccichio della pelle che notate, non è altro che una mucosa prodotta da ghiandole che si trovano sparse sul suo corpo e guai se le venisse a mancare questa secrezione. Come dicevo a inizio post, la povera nostra amica, morirebbe, secca e asciutta.

Fin dalla nascita, la Salamandra, vive grazie all’acqua. Mamma Salamandra è lì che depone le sue uova. Uova che impiegano circa 2 o 3 settimane a schiudersi e far uscire i piccoli che cresceranno appunto in acqua. Quando le loro zampe saranno abbastanza lunghe essi potranno camminare anche sulla terra. Alcune di loro impiegano circa un mese e mezzo per diventare adulte, ad altre invece, credetemi, occorrono ben cinque anni! E una volta grande la Salamandra può scegliere se vivere nascosta sotto ad un sasso, o tra le foglie in riva a uno stagno, o in un tronco d’albero, purchè il luogo sia fresco e buio. E non troppo piccolino! Questo anfibio può arrivare ad essere lungo anche 25 cm. Mi riferisco ovviamente ai nostri esemplari.

In Giappone, ad esempio, esiste una razza di Salamandra che può raggiungere addirittura la lunghezza di un metro e mezzo. Ecco, forse questa specie darebbe fastidio anche a me incontrarla sui miei passi. L’intero sedile posteriore di un’auto! Ve la immaginate?

In Italia vivono un po’ ovunque, ne è leggermente sprovvista la Pianura Padana perchè non offre i luoghi più consoni alla loro procreazione ma, per il resto, vive ovunque, come in gran parte d’Europa tra l’altro.

La Salamandra, che ha questa “doppia vita”, ossia la capacità di vivere in due luoghi completamente diversi tra loro come il bagnato e l’asciutto, ha dato vita a diverse credenze e diversi significati. La sua virtù si esprime da un lato come energia utile e benefica e, dall’altro, come forza distruttiva e quindi negativa. Inoltre, si dice che il suo nome in greco significhi “vita da entrambe le parti“, il che spiega il significato di trasformazione che le viene associato; questo è creduto particolarmente nei Paesi Arabi e nell’Europa del Sud. Esistono molte credenze e detti popolari legati alla Salamandra. Gli antichi erano convinti infatti che Francesco I la scelse come simbolo delle sue armi pronunciando il motto: “Vivo nel fuoco e lo spengo”.

Come i Tritoni, anche le Salamandre possono rigenerare, oltre alla coda, anche le zampe e gli occhi. Ancora più attive delle cugine Lucertole quindi! Immaginatevi, da questa peculiarità, cosa non ci si sia inventato sopra. Vero o falso che sia, un dato è certo, a causa del suo “ricrearsi”, la Salamandra è simbolo indiscusso del Risorgere. Per questo è considerata, dalla Chiesa, animale di Gesù.

Un’altra particolarità di queste simpatiche bestioline è l’andatura ondeggiante a causa del movimento delle zampe che vengono sollevate in maniera alterna. Come un piccolo orso! Buffa.

Mi spiace tantissimo che questo animale purtroppo è attualmente a rischio a causa della progressiva distruzione dei suoi ambienti naturali. Fortunatamente, qui nella mia Valle ancora si salva, ma anche qui ce ne sono comunque una quantità minore rispetto a un tempo. A pensarci questo è un gran peccato perchè, cibandosi di invertebrati, in particolare: lombrichi, molluschi, insetti e miriapodi, la Salamandra, mantiene un microcosmo equilibrato nel sottostante terreno. E pensate, topi, che averla tra noi è una vera fortuna! Si, perchè questo animale, depone le uova solo in corsi d’acqua per nulla inquinati! Significa che i miei torrenti sono perfetti!

Inoltre che strana vita conduce; come quella dei miei cugini criceti. Ha una vita infatti molto discreta e, normalmente, è attiva solo durante le ore notturne. Al contrario di noi roditori però, la Salamandra, adora un clima piuttosto piovoso e umido, diventando in queste giornate uggiose, gioiosa e piena di cose da fare. Contenta lei!

Beh topi, che dire ancora, sono molto contenta di avervi presentato quest’altra amica. Siate bravi e fate amicizia con lei. E non siate scontrosi, è timida e insicura come vi ho detto.

Io vi saluto, vado in cerca di altri amici nella Valle. Un bacione!

M.

foto prese da summagallicana.it

La buona Milla

Milla, Millina… chi non la conosce? A chi non piace? A pochi. La ingurgitiamo da che siamo piccoli cuccioli.

La Camomilla, signori topini, è una delle piante più conosciute, più ricche di proprietà e più usata al mondo.

Della famiglia delle Asteraceae, la Matricaria Chamomilla, ha già di suo un nome veramente particolare e che la dice lunga. Un insieme di termini in un solo nominativo come: Utero, Mela, Terra; sì, essa profuma come la Mela, calma i dolori mestruali e le contrazioni uterine ed è una delle figlie del terreno più antiche.

Questa bellissima pianta aromatica è diffusa principalmente in Europa ed in Asia ma è ormai naturalizzata anche negli altri continenti.

E il suo profumo è importantissimo: nell’aromaterapia, questa pianta, viene impiegata per armonizzare il quinto chakra o, più adeguatamente, il chakra della gola, perché il colore azzurro-blu di quest’essenza è intenso come il colore di questo centro d’energia ed è ottimale per infiammazioni alla gola, tonsilliti e raucedine ma, nella psicosomatica, risulta in grado di far parlare con tranquillità, senza trattenere dentro cose che potrebbero nuocere, con la giusta diplomazia ed eleganza. Non si farà così alcun male a chi le riceve (se questa può essere una preoccupazione) e non si farà del male a se stessi buttandole fuori.

Cresce spontaneamente nei prati, in aperta campagna e soprattutto nella mia Valle ma non supera quasi mai i mille metri sul livello del mare e, spesso, quando nasce vicino agli orti e ai bordi dei sentieri, può essere infestante.

Essa ha un ciclo di vegetazione che è primaverile o estivo a seconda del clima, con fioritura in tarda primavera e nel corso appunto dell’estate. È una specie rustica che si adatta anche a terreni poveri, moderatamente salini e acidi.

Fortunatamente è molto forte e non patisce quasi nulla cosicchè possiamo usufruire di tutte le sue doti, in qualsiasi momento dell’anno.

Oh già, la Camomilla, si presta benissimo ad essere essiccata mantenendo tutte le sue proprietà di Regina tra le piante officinali.

Io non posso elencarvi tutti i suoi principi, sono davvero molti, sappiate però che è adatta ad una pelle sensibile e anche a quella dei bambini. E’ principalmente decongestionante, antinfiammatoria, antispasmodica, antimicrobica, antiulcerogenica, cicatrizzante e antifebbre. E potrei andare avanti all’infinito.

Ebbene sì, potete notare come non sia solo la pianta conosciuta come la pianta della “Buonanotte“, anzi, la definirei la pianta che, per eccellenza, aiuta a digerire e a rilassare tutto il nostro apparato digerente. E se n’erano già accorti in tempi antichi. Oh sì! Nel papiro di Ebers, del 1.500 a. C., è documentato il suo uso fin dai tempi degli Egizi che la dedicavano a Ra, il gran Dio del sole e viene descritta costantemente negli antichi erbari tramandati sino a noi.

E’ stata utilizzata anche da Ippocrate, Aristotele, Socrate, il medico Galeno e così via, sino ai nostri giorni. Le nostre streghe, ne hanno fatto largo uso. I Greci la coltivavano non solo come uso medicinale ma anche per difendere le loro piantagioni da eventuali malattie o parassiti aumentando il turgore della loro frutta e verdura. Nel Medioevo, invece, veniva usata per schiarire i capelli e, ancora oggi, in erboristeria, possiamo trovare ottimi shampoo che donano alla nostra capigliatura, se già è di chiare tonalità, delle sfumature ancora più dorate. Per non parlare di chi acquista gli schiarenti alla Camomilla nel cercare di rendere quasi invisibili antipatiche pelurie. Attenzione, diventano sì chiari i peli ma duri come setole! In questo la Milla non dev’essere molto aggraziata probabilmente. O saranno gli altri componenti dell’emulsione ma vi consiglio di non esagerare.

E che bella è quando tinge di giallo e di bianco i campi assieme ai tocchi rossi dei Papaveri! Come pennellate qua e là.

Ma qual’è il suo senso? Il suo significato? Nella simbologia dei fiori quest’erba è la rappresentazione della forza contro le avversità, quindi, oltre ad essere dolce e amorevole, la pianta dona la giusta forza per combattere contro le ostilità della vita quotidiana. E infatti, non si abbatte facilmente. Perchè? Ma perchè Milla vi insegna la calma, vi mostra la pazienza, le vere forze della vita. Forze che spesso perdiamo ma, grazie a lei, possiamo ritrovare. E’ la pianta dei veri valori per così dire.

La Camomilla, così campestre ma anche così romantica. Molto simile alla Margherita ma con un nettare più sporgente e dei petali più piccoli, più corti.

La Camomilla, il sole dei fiori, quel calore sorridente che mette allegria. Quieta ma allegra. Un simpatico fiorellino. E di quanta ne avremmo bisogno in questi periodi di vita così frenetica e senza stop!

Usatene quanta ne volete, anche per prendere un buon sonno e per fare un ottimo risveglio, da riposati, l’indomani. Non abusatene se già siete persone più che tranquille però! E prendete l’abitudine, dopo una cena magari troppo pesante, di bervi una bella Camomilla, amara e molto calda. Provate e vi sentirete subito meglio. Inoltre, rilasserete i vostri organi che hanno tanto lavorato.

Un bacione a tutti, la vostra Pigmy.

M.

Le scarpette della Madonna

Probabilmente solo il mio amico Pani potrà dirmi il vero nome di questi fiori, dopo aver spulciato i suoi archivi. Sono fiorellini piccoli, ma bellissimi, di un giallo intenso ,e i loro minuscoli petali hanno la forma di un sacchettino.

Nella mia Valle sono conosciuti con il nome di “Scarpette della Madonna” e dipingono tutti i prati, i boschi e i sentieri con la loro calda tinta. Non sapendo nulla di loro, non potrò svelarvi i loro segreti e le loro proprietà, posso solo dirvi che sono prelibati per le farfalle e che sono davvero numerosi, qui da me. Sono diventati un fiore simbolico.

Sembrano molto delicati, invece presumo siano robustissimi, perchè riescono a vivere anche in zone impervie e crescono tranquillamente sotto i rovi e tra le sterpaglie. Quale difesa possono avere? Non penso proprio siano tossici, né sono forniti di spine.

Il loro nettare ha una protezione eccellente: racchiuso tra quei petali ricurvi, non si offre generoso agli insetti, pur essendo delizioso. Oh sì, anch’io li ho assaggiati, sapete? E’ proprio vero, i topini hanno sempre un angioletto in più a proteggerli. Da piccola mangiavo tutto quello che trovavo in un bosco. Le loro foglioline sono di un verde brillante e, a lisca di pesce, ricoprono tutto lo stelo. Nei recipienti posti davanti alle Madonnine che s’incontrano per le stradine di montagna, non mancano mai insieme alle Margheritine e ai Non ti scordar di me. La mia topozia mi raccontava sempre la stessa fiaba…

“Perchè ce ne sono così, tanti zia?”

“Perchè, quando arriva, la Madonna è sempre scalza: è molto povera, e allora s’infila due petali di questi nei piedi per camminare senza sentire dolore”

“Ma non può infilarli! Sono troppo piccoli! Che numero porta di scarpe la Madonna?”

“La Madonna, quando li infila, riesce a calzarli perfettamente. Loro diventano grandi quanto è grande il suo piede. E le calzano a pennello, come la scarpetta di Cenerentola!”

Se era andata così per Cenerella, sicuramente poteva riuscirci anche la Madonna, pensavo io, e questa storia penso che tutti la conoscessero, perchè il loro nome è da sempre stato questo.

Quante volte ho aspettato in silenzio di vedere la Madonna che arrivava e si infilava quelle scarpette dorate! Quelle scarpette che per anni hanno addobbato la mia casa come centro tavola, come mazzolino nel bagno e addirittura ne coglievo due da mettere sopra i cuscini, uno per me e uno per mia zia. E ogni sera, quando era ora di andare a nanna, vedevo sempre il suo sorriso nell’avvicinarsi al letto.

Questi fiori mi piacciono tantissimo, suscitano in me molti ricordi, ma al di là di questo, li trovo splendidi. Danno un senso di umiltà e di gioia, di tenacia e educazione. Chissà come si chiamano!

Un bacio profumato dalla vostra Pigmy.

M.

Benvenuta Primavera!

Si. E’ arrivata. In silenzio, discreta, senza nemmeno farsi sentire. Non ha fatto nemmeno un rumore. Ma non rimane nascosta, invisibile. Non può. Ciò che porta con sè esplode. In un tripudio di colori, di delicatezza, di armonia. Un trionfo alla gioia, alla luminosità. Chiunque la festeggia. E noi topi, la vediamo in ogni cosa. Anche nel verde più rigoglioso delle foglie.

Un verde più estroverso, meno gentile, meno pallido di un mese fa. Ma è inutile, anche a noi, come a voi esseri umani, ciò che colpisce più di tutto sono gli alberi in fiore e i loro colori.

Piante, arbusti, cespugli che si vestono a festa per onorare questa stagione.

E allora eccoli i Mandorli, i Peschi, i Ciliegi, i Susini tutti fioriti!

Fiori di una delicatezza incredibile. Basta guardarli che, i loro petali, si staccano e cadono dolcemente sul terreno da tanto che sono delicati. Basta un piccolo soffio di vento che passa a trovarli.

Allo stesso tempo però hanno una forza indescrivibile e sapete perchè? Perchè quando erano ancora solo piccoli germogli sono riusciti a sopravvivere al gelo. Un gelo importante quest’anno. Si sono aggrappati alla vita con i loro butti teneri e pelosetti e, da lì, non si sono più mossi.

Instancabili, tra poco, ci daranno anche i loro frutti.

Tra di loro, nella mia Valle, spiccano tantissime ed enormi piante selvatiche di Mimosa. Il loro giallo acceso le fa distinguere da tutto il resto e, passarci sotto, sembra volersi far piovere addosso piccoli pallini di cotone colorato. Come si può rimanere insensibili a tanto fascino? Come si può passare e non notare tanta meraviglia?

Anche i fiori dei prati e dei campi sembrano cantare un inno di felicità mostrandoci tinte forti che colpiscono. C’è il viola cupo, l’arancio intenso, il blu ciano e il rosso carminio.

Ci salutano le Primule che torneranno il prossimo inverno e lasciano il posto ai fiori selvatici.

E’ come se la natura dovesse andare ad un importante ricevimento. E’ come se volesse farsi ascoltare, farsi vedere. E per me è tutto. E’ come una divinità.

Rimango estasiata da tanta bellezza.

E allora, visto che proprio in questo periodo possiamo notarla meglio, impariamo a rispettarla di più questa natura che ci circonda.

Benvenuta Primavera! Sono felice che tu sia arrivata. La tua Pigmy.

M.