1, 2, 3… Cetta!

Cetta è così, topi: un gruppetto di casette deliziose, così tanto da non averne mai abbastanza di tanta bellezza… E allora si va avanti e camminando si scopre che c’è una seconda Cetta, e poi una terza, e forse anche una quarta, una quinta…

Cetta

Un tempo ognuna di queste borgate rispondeva a un nome tutto suo, soprannomi che oggi si perdono un po’ nella memoria dei più anziani e di coloro che sono già scomparsi. Riecheggiano tra i muri di pietra, alcuni segnalati ancora da cartelli, come a voler ricordare questa dolce distinzione. Rielli, Cetta, Bacin, Poggio, Patatee, Fundu, Chiesa… così pare si chiamassero questi minuscoli centri abitati uniti dal bandolo di una stradina bianca di cemento.

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E tra uno scrigno di pietra e l’altro troviamo spazi aperti, mentre la stradina costeggia ora un vecchio lavatoio, ora una minuscola cappella, ora un’area giochi per i più piccini.

Cetta è così, non c’è niente da fare: bisogna gustarsela un sorso alla volta, pian piano, con la curiosità negli occhi di chi segue quella strada e non sa cosa troverà alla prossima curva, ma desidera vedere fin dove arriva, fin dove porta.

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Un luogo magico come molti della mia Valle, ma qui sono tanti i cartelli che ce lo annunciano senza pudore alcuno.

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Ci sono angolini curati, tenuti con un amore che si percepisce, nonostante non ci sia nessuno nei dintorni e le finestre siano tutte sprangate dalle persiane.

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Piccoli giardinetti dal gusto inconfondibilmente artistico costellano l’intero gomitolo di case, ci sono fiori dai colori sgargianti anche adesso che è inverno e la neve è scesa a ricoprire col suo candore i monti dei dintorni di Cetta.

Ci sono piante grasse a ogni angolo e ogni giardinetto ha il suo tratto distintivo, come accade anche con le case. Si nota la cura, si percepisce l’affetto.

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Trapela dai campanelli che assumono forma di ranocchi o di altre bestioline, dalle decorazioni con materiali di riciclo, trasuda dalle tende di pizzo alle finestre, che paiono merletti di brina.

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Siamo a 774 metri sul livello del mare, a due chilometri circa da Triora, di cui questa frazione fa parte. Sotto di noi scorre giocondo il Rio Grognardo, affluente dell’Argentina, tra gole strette e sinuose. Sopra di noi, invece, svettano i monti di Colle Langan, tutto è natura qui, tutto è pace e silenzio.

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Solo il vento osa parlare in certe giornate e gli rispondono i cardini cigolanti di vecchie finestre affacciate sul vuoto, i campanelli tintinnanti degli scacciapensieri appesi alle tettoie e il fruscio delle fronde ormai spoglie.

Ma qualcuno osa mostrarsi, persino in giornate gelide e taglienti come quella che vi mostro in queste foto. Son i gatti del paese, che ci accolgono come amici di vecchia data e ci accompagnano facendoci da veri Ciceroni, pretendendo in cambio di comparire in ogni scatto, e io li accontento.

E non ci sono solo loro, che come guardiani osservano dai punti più alti e strategici il nostro passaggio. Tanti sono i merli, affaccendati a procurarsi il cibo, e con loro le ghiandaie e altri piccoli pennuti che becchettano ovunque, alla ricerca di cibo per sopravvivere all’inverno rigido.

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Là, nei pressi della chiesetta, c’è una casa con le imposte e la porta d’ingresso tinte di azzurro. Rimango un po’ a guardarla, con il suo volto pallido.

porte azzurre partigiani - cetta

La colorazione turchese era un segno distintivo importante, nella mia Valle, in tempo di guerra. Indicava, infatti, tramite un codice sconosciuto al nemico, che in quella casa i Partigiani erano ben accolti. Quante cose hanno visto, queste pietre! Quante storie raccontano ancora…

E proprio lì, accanto alla chiesa e di fronte alla casa, c’è una parete di roccia sulla quale si aggrappano con tenacia alcune piante. E subito, all’istante, trovo l’analogia tra di essa e la mia terra, una terra aspra e all’apparenza ostile sulla quale riescono a mettere radici le piante più tenaci: gli uomini che per tanto l’hanno abitata, amata, coltivata.

Cetta è così, topi: un tuffo tra il verde del bosco e l’azzurro del cielo che ispira poesia. Ve ne parlerò ancora, la nostra gita non finisce qui, ma per oggi è tutto.

Un poetico squit a tutti!

Velenosa e bellissima – la Tromba degli Angeli

Velenosa, ma meravigliosa (che fa anche rima) la Brugmansia, chiamata anche volgarmente “la Tromba degli Angeli”.

Questo nome gli è stato conferito a causa della forma dei suoi fiori, che oggi ho fotografato per voi e che sono di colore rosa, sebbene ne esistano anche delle tinte arancio, fucsia, bianco, rosso e bicolor. Esistono diverse specie di Brugmansia, alcune profumano addirittura di Vaniglia. Molti botanici la classificano con il nome di Datura, ma sembra non si siano ancora accordati tra la specie “erborea” e quella “erbacea”. In natura, inoltre, questa pianta non esiste più, o meglio non nasce più spontaneamente; per ricrearla occorre un clima tropicale.

Come ho detto, questa pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae  è molto velenosa, quindi bisogna trattenersi dal maneggiarla troppo, poiché si rischia di avvicinare le mani alla bocca o ad altre parti sensibili del corpo, come gli occhi. La sua tossicità, però, crea seri danni soprattutto se la pianta viene ingerita.

Pensate che alcuni indigeni dell’America del Sud, luogo di nascita di questa pianta, la usavano persino come veleno per la caccia, perciò fate davvero attenzione con lei. Gli Indios, invece, traevano dai suoi semi una sostanza stupefacente da consumare durante riti o feste particolari, ma ne conoscevano bene la dose, che poteva invece essere aumentata per renderla fatale al nemico. Oggi, gli esperti ne traggono un principio attivo molto potente, anche se tossico, che viene messo all’interno di alcuni antidolorifici.

Sarà forse proprio la sua tossicità mortale ad averle conferito anche un altro nome, quello di “Fiore del Diavolo” o “di Strega”. Ebbene sì, dal Paradiso, con tanto di angioletti che la suonano come una trombetta, si scende all’Inferno, dove Satana la fa sua narcotizzando gli ignari grazie alle sue proprietà dannose, che possono provocare anche forti allucinazioni, tanto potenti da condurre alla morte.

Per alcuni sostenitori della divisione delle due specie, infatti, il significato cambia tra il male e il bene delle due piante (Datura e Brugmansia), dove la prima è quella considerata infernale, mentre la seconda sarebbe quella paradisiaca. Questo perché il termine Datura deriverebbe etimologicamente da “mela spinosa” e, quindi, pungente e urticante, perciò malefica. Tutti, però, su una cosa sono d’accordo: per via della sua bellezza poco duratura, simboleggia l’estetica esteriore che ha poco valore e, per via del suo essere anche nociva, simboleggia l’incertezza, la preoccupazione e la magia.

Non è autoctona della mia Valle, come ho detto, ma non manca in nessun giardino. E’ molto ornamentale quando fiorisce e può raggiungere dimensioni notevoli persino in vaso. Si adatta abbastanza bene in qualsiasi tipo di terriccio, pur prediligendo il calcare, e ama il sole. Se messa in piena terra si consiglia assolutamente la potatura durante la primavera.

I suoi fiori sono grandi e le sue foglie una prelibatezza per le lumache che, evidentemente, non la patiscono. Vederla evolvere in tutto il suo splendore è una meraviglia!

E voi Topi? Ne avete, di Brugmansie? O Dature? O Trombe degli Angeli? O…. Oh mammatopa! Quanti nomi!

Un Bacio! Alla prossima!

E’ americana ma cresce spontanea anche nella mia valle

Oggi vi parlo di una pianta che sicuramente avrete visto milioni di volte.

La Phytolacca Americana, infatti, cresce in quasi tutte le regioni d’Italia. Cresce spontanea, anche ai margini del bosco, e può raggiungere l’altezza di 2 metri.

E’ bellissima e la sua bellezza è dovuta soprattutto ai colori che possiede, vivi, forti e che si distinguono tra gli altri. Un bel verde intenso per le foglie, un bel fucsia vivace per i ramoscelli e un nero violaceo per le bacche. Il suo nome, che comunemente è Fitolacca (ma anche Uva Turca), deriva dal greco e significa “lacca vegetale“. SONY DSCQuesto è dovuto proprio ai suoi acini scuri che, se schiacciati, rilasciano un liquido nerastro che macchia intensamente. Quando ero piccola usavamo le parti di questa pianta non solo per creare le ciliegine sulle torte fatte con la sabbia ma, con il suo inchiostro, disegnavamo sui fogli bianchi che ci davano i nonni. Con lei e con il Gelso creavamo delle vere opere d’arte. Povere nonne poi però a lavare le magliette che non venivano più pulite! SONY DSCMa noi si era artisti e nessuno poteva soffocare il nostro estro!

Rischiando, oltretutto, dal momento che queste bacche sono lievemente velenose, ma da bambini si sa, non si patisce niente.

Che poi gli esperti, comunque, la utilizzano in omeopatia nonostante la sua tossicità. E’ considerata infatti una pianta dotata di azione emetica, purgativa e depurativa e, alcune sue parti, se essiccate, diventano antiinfiammatorie. Attenzione però, perchè di Fitolacca, appartenente alla famiglia delle Phytolaccaceae, ce ne sono anche più di 20 specie! La Dioica, ad esempio, è un simbolo per l’Uruguay e l’Argentina e la sua chioma è molto utile, grazie alla larghezza delle foglie, perche’ offre protezione e riparo dal sole e dalla pioggia.

Tornando però al discorso della tinta che lascia è doveroso dire che, in passato, c’è stato chi si è servito del suo colore per pitturare in modo vegetale i tessuti. No, io e i miei amici non siamo stati i primi a inventare questa pratica. La Clorofilla e la Fitolacca erano tra la flora più utilizzata per questo scopo e, nel 1700, importata fino alle nostre coste e coltivata in Sardegna, veniva adoperata anche per il colorante rosso scuro usato in particolar modo per tingere le ostie chiudi-lettera.SONY DSC La Fitolacca, con quei suoi grappoli pendenti e quella leggerezza grazie alla quale si muove ad ogni venticello, è una pianta bellissima soprattutto durante la sua fioritura che avviene solitamente da luglio a ottobre ma, ovviamente, tutto dipende dal clima. E’ un meraviglioso arbusto ornamentale e, spesso, la si può trovare nei giardini delle case della mia vallata.

Simile per certi versi alla Belladonna, la Fitolacca veniva anche usata dalle dame di corte come oggetto di bellezza. Un accessorio vero e proprio che solitamente veniva posizionato sulle tese dei grandi cappelli, accanto alla cupola, o lavorato nelle acconciature principesche.

Così bella; bella da morire. C’è addirittura chi afferma sia proprio la Fitolacca la causa della morte del giovane Ampelo. Ampelo, giovane mito, era amato da Dionisio (Dio della linfa e del vino in quanto liberatore di sensi ed emozioni) e lo corrispondeva.SONY DSC Morì, accidentalmente, cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito sul quale era salito per cogliere un grappolo d’uva, frutto adorato da Dionisio. Quell’uva era la più bella che lui avesse mai visto, però, non era uva. Nella prima variante, invece, riportata da Nonno di Panopoli, poeta bizantino del V secolo, si legge che Ampelo fu in realtà trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino. Insomma, poverino!

Si ritorna sempre a un grappolo e, questo grappolo, era particolare. In realtà la Fitolacca non ha nulla a che vedere con questa bevanda tanto amata ma così fu. E’ vero che la forma dei suoi fiori è a grappolo e che il suo colore può indurre a sbagliare, il suo nome comune poi, è proprio quello dell’uva ma, in verità, è una pianta completamente diversa.

Voi topi, datemi retta, accontentatevi dello splendore che i suoi colori potranno portare nei dintorni di casa vostra. Vi lascio le sue immagini e vi auguro una buona giornata, al prossimo post!

M.

Una giornata alla Villa Ephrussi de Rothschild

Cari topi,index oggi vi porto con me in un luogo fantastico e che ci rimanderà indietro nel tempo. Andiamo a trovare una baronessa. La baronessa Beatrice Ephrussi de Rothschild. Lei, una splendida ragazza, malinconica ed esigente, viveva in questa meravigliosa casa che aveva fatto costruire da quaranta architetti ed è una casa enorme, piena di stanze con anche una bellissima sala nella quale riceveva gli ospiti.

Oggi, questa casa, è una delle dimore più belle della Costa Azzurra, si trova nella baia più suggestiva del Sud della Francia, a Cap Ferrat e, in solo un’ora di strada, mi è possibile raggiungerla.

La baronessa Beatrice era un’amante dell’arte e dei giardini e queste sue passioni, non si possono non notare. Amava molto anche viaggiare e spesso, si soffermava sulle terrazze del suo immenso parco, ad ammirare le navi che passavano su quel mare azzurro e che si confondeva con il cielo, godendo di uno dei panorami più affascinanti che il Mediterraneo può offrirci. Venticinque erano i suoi giardinieri e, ogni giorno, lei controllava che svolgessero il suo lavoro al meglio. La casa invece,SONY DSCvenne costruita in sette anni e, a predominare, come potete vedere, era il colore rosa, il preferito dalla ragazza, un po’ eccentrica e un po’ romantica. Un colore che tinteggia non solo le pareti ma anche diversi oggetti all’interno della casa come: orologi,SONY DSC lampade, drappi. Beatrice nacque a Parigi nel settembre del 1864 e morì in Svizzera nell’aprile 1934. Morì giovane e il cognome Ephrussi lo prese dal marito Maurice. Il suo nome da nubile era infatti Charlotte Beatrice de Rothschild. Era una grandeSONY DSC collezionista di opere d’arte ed essendo figlia di un famoso bancario poteva godere di grandi somme di denaro grazie anche alla sua nobiltà. Nella sua casa si respira ancora il suo animo sognatore, la passione di dipinti e statue, come i putti che adorava e la musicaSONY DSC che amava ascoltare. Oggi, al centro del grande parco, in suo onore, diverse fontane si muovono schizzando fiotti d’acqua a tempo di musica. Vivaldi, viene interpretato dall’acqua fresca che si tuffa nelle vasche e tutto sembra un trionfo di gioia. Intorno, quei giardini bellissimi, SONY DSCpermettono di vivere diversi stili e diverse sensazioni. I giardini sono infatti sette e ognuno è particolare. Si passa da quello spagnolo al giapponese, dal fiorentino al francese, realizzato per assomigliare al ponte di una nave (la baronessa obbligava i suoi SONY DSCventicinque giardinieri a indossare vestiti da marinai), fino al giardino dell’amore, in cui appunto le fontane musicali si attivano ogni 20 minuti. E poi quello delle pietre, più aspro e primitivo e quello provenzale. I roseti e, lassù, a dominare,SONY DSCla statua della Dea Venere, dea dell’amore e della bellezza. Ma dei giardini parleremo meglio un’altra volta, oggi, vi farò entrare in questa splendida villa. Il portone di accesso ci permette di metter piede in un grande salone e, da qui, si smistano i vari locali.SONY DSC Primo fra tutti, il salone per ricevere gli ospiti che, come altre stanze, si affaccia sui giardini di un verde smagliante. Le poltrone, imbottite e lavorate, mostrano l’usura degli anni ed è facile immaginare la giovane donna, seduta a chiacchierareSONY DSC con amiche o artisti. Poco più in là, si può accedere alla sua stanza. E’ una camera da letto che da sul rosa. Un rosa tenue, dolce e, meraviglia delle meraviglie, possiamo vedere su una sedia, il suo abito delicatamente sistemato, le sue piccole SONY DSCscarpette bianche ed eleganti e un vassoio d’argento contenente le tazze per il tè e la teiera. Il letto è grande e sembra comodo. Il copriletto, lavorato minuziosamente. E i suoi guanti, il suo specchio, la sua spazzola. Come una principessa. E che bellezzaSONY DSC gli affreschi sulle pareti, sul soffitto, a volte alternati da arazzi enormi, costruiti a mano, e mosaici originari di Pompei. Anche il pavimento del primo piano, è in realtà un vasto mosaico. Tutto è sontuoso ma senza strafare, c’è un tocco di delicatezzaSONY DSCe buon gusto che regna ovunque. Questa casa è ricca di suo. Ricca di storia, di arte, ma anche di finezza. Un patrimonio per tutta la Riviera della Francia del Sud. E quanti regali da tutto il resto del mondo ha ricevuto la nostra baronessa! Soprattutto dall’Oriente.SONY DSCA parte le statuette in giada e quarzo, guardate queste piccolissime scarpette. Venivano usate dalle donne e più avevano il piede piccolo, più venivano considerate affascinanti. Molto lavorate così come i vestiti. Tutti doni per Beatrice, SONY DSColtre a oggetti preziosi acquistati direttamente da lei. E cosa dire dei suoi set? Ricchi di ogni utile oggetto. Il set da bagno, con tanto di acqua di rose e acqua di colonia, e il set da safari; immagini che fanno sognare. Sognare quella BaronessaSONY DSC di Rothschild nella giungla africana trasportata da elefanti e uomini di colore e con l’ombrellino sulla testa, non pensate anche voi? Una vera nobildonna. Frustino, cannocchiale, zanzariera. E anche tutte le sue collezioni di porcellane sono da nobildonna,SONY DSCper non parlare della sala da pranzo, imbandita da tanto valore e dove, sopra a un caminetto, regna un grosso orologio anch’esso rosa. Tutto quello che vediamo appartiene oggi all’Accademia delle Belle Arti francese ed è di estremo valore. E’ stata la stessa Beatrice a donare tutta la sua dimora all’Istituto attraversoSONY DSC il testamento del 25 febbraio del 1933, un anno prima di morire. E tutto è stato mantenuto come allora, con la stessa cura e la stessa gelosia che aveva lei. Le tappezzerie di queste stanze, e i tendoni, arrivano dal Vaticano e sono preziosissimi e imponenti. Sfavillanti di ogni colore, SONY DSCattorno all’orologio rosa, fanno pensare a un tempo che si è fermato tanti anni fa e tutto, è rimasto come allora. Qui, in questo salone, il pavimento è composto da un elaborato parquet. Lo stile Impero dei mobili è stato prettamente deciso da un tocco femminile, su questo non c’è dubbio. GliSONY DSCarchitetti uomini, hanno probabilmente pensato a tutto il resto. Ora, possiamo andare al piano superiore dove c’è la sala dei Putti. Da quaggiù, la si può intravedere attraverso la balconata sorretta da colonnine di marmo e che splendore, tutto SONY DSCda guardare il soffitto! In legno, intagliato e rivestito da ritratti di personaggi illustri. Sembra quasi che la Baronessa non sapesse più dove mettere le sue opere d’arte alle quali teneva particolarmente. Una scalinata di marmo ci porta al pianoSONY DSC superiore, topina è felicissima di poter far finta di essere una principessa e, salendo, continua a lanciare occhiate a quegli abiti protetti da teche di vetro. Quanto vorrebbe indossarli e uscirci per farli vedere alle sue amiche senza dover per forzaSONY DSC aspettare il carnevale! Degli uccelli di bronzo si affacciano e guardano di sotto accompagnando il nostro cammino che si è nuovamente riempito di curiosità. Molti sono gli specchi, antichi, che allargano e ravvivano il corridoio. Molti i busti e iSONY DSC tappeti, anch’essi, inutile dirlo, cucini completamente a mano. Qui, c’è ancora una camera da letto e una stanza dedicata alla lettura dotata di comodo divanetto. La camera matrimoniale invece, chiamata “stanza blu” è composta da due letti ricopertiSONY DSC da un tessuto blu scuro, profondo, e con testiere importanti e rivestite di velluto. Dagli spiragli delle persiane leggermente aperte s’intravedono i giardini, curati nei minimi particolari, non vedo l’ora di scendere e andare a vederli più da vicino. SONY DSCE la baia di Cap Ferrat, meravigliosa. Laggiù, una villa a ridosso del mare, ha persino un porticciolo privato; possono usare la barca come noi usiamo l’auto, ci pensate? Giro l’angolo. Prima di poter scendere ho ancora molte cose da vedere. SONY DSCMi colpisce il tavolo da backgammon o tavola reale che dir si voglia. Un gioco anticchissimo, si dice sia nato addirittura 5.000 anni fa ma mi fa sorridere pensare a dei nobili intenti a queste attività ludiche. Anzi, ci sono delle SONY DSCricamate sedie tutt’intorno e questo significa che si facevano gare importanti e con tanto di pubblico! Sopra a questo tavolino, che si può aprire e chiudere, due grossi candelabri in argento. E poi, ancora statue, ancora sculture, ancora regali: SONY DSCorientali, fiamminghi, africani. Delle lavorazioni che lasciano di stucco. E poi, tappeti enormi, grandissimi. Non avete idea della loro immensità; riescono a riempire un salone intero. Bene, ora finalmente posso andare a scorrazzare nel parco. SONY DSCNon vedevo l’ora anche se, dettagliatamente, ve lo racconterò in un prossimo post perchè merita un articolo tutto suo e, inoltre, non voglio tediarvi troppo. Passo prima al piccolo chiosco chiccoso della villa, a bere un fresco cocktail e m’inoltro. SONY DSCI barman sono gentilissimi e tutti vestiti con elegante divisa. Ve l’ho detto che Villa Ephrussy è anche location per matrimoni? Sposarsi in questo contesto dev’essere incredibile per le spose che amano fare le cose in grande e sentirsi delle vereSONY DSC principesse quel giorno! E ora perdonatemi ma devo proprio andare, non resisto più, quei meravigliosi giardini mi chiamano e sta per iniziare la musica e quindi le fontane inizieranno a danzare. Che spettacolo divertente. Andrò aSONY DSC sedermi su quelle panchine in cemento per ascoltarla meglio e rilassarmi. Villa Ephrussy non è piccola, ho già camminato tantissimo! Non mi resta altro che augurare anche a voi una felice giornata e ovviamente consigliarvi di venire aSONY DSC visitare questa dimora se vi capita di passare da queste parti. Passerete un pomeriggio fantastico e vi conviene farlo durante la bella stagione per poter godere anche dell’esterno. Questa casa è sempre aperta e, in estate, lo rimane ogni giorno finoSONY DSC alle ore 19:00. Potrete anche sedervi sulle ringhiere bianche in muratura e lasciarvi ammaliare dal panorama vasto e azzurro che vi si presenta davanti e vi fa sognare. Un bacione topini, io vi aspetto per la prossima avventura. La vostra Prunocciola. M.SONY DSC

La prorompente eleganza dell’Ortensia

Sono tanti i suoi colori. Il rosa, il fucsia, l’azzurro, il bianco, il verde… tanti e tutti meravigliosi. Non saprei quale scegliere.

L’Hydrangea, questo il suo vero nome, proprio grazie alla sua forma particolare, alle dimensioni che raggiunge e ai colori, è spesso la protagonista di belle opere in giardini e parchi.

Coltivarla infatti non è difficile ma ci vogliono alcune accortezze che, tra l’altro, ne determinano appunto il colore. La coltivazione in piena terra richiede clima fresco durante l’estate e sempre la mezz’ombra. Esige terreno di brughiera con aggiunta di terriccio di foglie e sabbia, neutro o acido. L’acidità del terreno, influenza appunto il colore dei fiori: il blu indica un terreno più acido.

Non dimenticate poi che essa ha i gambi vuoti al loro interno e può quindi far rifornimento d’acqua. E’ per questo che non dovete esagerare nel darle da bere o la farete marcire.

L’Ortensia, anche nome proprio di persona, significa voler fuggire, evadere, essere freddi ed altezzosi. Avere una spocchia sopportabile ma pur sempre esistente. E’ per questo che è stato usato spesso per i nobili come nel caso di Hortense Eugeniè Cècile Bonaparte, figlia di Giuseppina e figliastra di Napoleone e, in seguito, consorte di Luigi I, fratello sempre di Napoleone.

Oppure Ortensio, al maschile, personaggio della commedia cinquecentesca –La Bisbetica Domata – di William Shakespeare. Esso però, non era un nobile ma un gentiluomo.

Chi porta questo nome, non sta mai fermo. E’ un sognatore. La sua è una continua lotta per raggiungere una meta e, una volta soddisfatto il proprio desiderio, ne cerca un altro e si rimette in moto.

Seconda regina del giardino, invidiosa probabilmente della sua rivale Rosa, porta il nome della Dea Venere e, la radice del suo nome significa proprio “che sta nell’orto”. Dato ciò, si sente probabilmente in diritto, di poterci e volerci star da sola.

E’ così superba da essere addirittura tossica. Se ne sconsiglia quindi l’uso in cucina ma, in antichità, se ne beveva un thè preparato mettendo a macerare le sue foglie durante matrimoni e riti funebri per poter così evadere con la mente e mettersi in contatto con gli spiriti.

Mi fa sorridere pensare che anche i fiori hanno, per così dire, un loro “carattere”. Una personalità.

Si dice comunque, o meglio, alcuni ne sono convinti, che abbia proprietà diuretiche e antimalariche. Non lo so, vi riferisco semplicemente ciò che alcuni studiosi come, Carl Peter Thunberg, dicono di aver scoperto.

L’Ortensia è coltivata ovunque, come vedete dalle immagini, ce l’abbiamo io, la mia amica Niky che mi ha fornito le sue foto, mio nonno, mio padre e tutti quanti, sia sul terrazzo che in giardino ma la sua origine è orientale e asiatica. Sono infatti la Cina e il Giappone i suoi “genitori”. Le patrie nelle quali è spuntata per la prima volta.

Sono piante molto antiche ma, nonostante ciò, di loro, non si conosce ancora molto. Anche catalogarle in una famiglia è difficile. Facendo una ricerca, noterete che ognuno, la colloca in una famiglia diversa. Facciamo attenzione quindi. Magari usiamola solo a scopo estetico che direi essere l’ideale. Soddisfa pienamente le nostre esigenze da questo punto di vista. I suoi fiori, a forma di ombrello, possono formare composizioni davvero pompose. E’ meravigliosa a mio parere anche se un pò scorbutica a quanto pare!

M.