Alla Goletta dal Cristo Nero

Attraversiamo il noto ponte di Loreto, incredibile struttura architettonica sospesa della Valle Argentina, e ci dirigiamo verso la piccola borgata di Cetta. Qui, per questa strada, la natura è rigogliosa e tende a fare capolino per la via.

Prima di giungere alla frazione che vi ho nominato possiamo vedere, sulla nostra destra, salendo, un piccolo spazio erboso e l’inizio di un sentiero segnalato.

Le classiche indicazioni di legno che arricchiscono la Valle si trovano anche qui, mostrando, ben evidenti diversi nomi di luoghi.

Si tratta di un sentiero che si inoltra nell’ombra e viene immediatamente voglia di vedere dove può portare.

Vi avevo già parlato di questo percorso in mezzo al bosco qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/04/25/da-loreto-al-colle-belenda-tra-castagni-e-betulle/ ma, quella volta, vi portai fin su a Colle Belenda mentre oggi andremo alla Goletta. Cioè ci fermeremo prima, andando a curiosare cosa propone la balconata di rocce che troveremo e che si affaccia sull’Alta Valle.

Una piccola Lucertola sonnecchiante ci osserva da una catasta di legna. Un riparo per lei, comodo e caldo, ma noi si va avanti verso quella che sembra essere una bellissima casa in mezzo al verde con un bel prato davanti.

Da qui, non sarà difficile essere anche seguiti da un piccolo gregge di Capre (quando sono presenti) le quali, curiose e instancabili, decidono di passeggiare assieme a noi.

Il bosco si fa sempre più fitto e, tra le chiome dei primi alberi, è possibile scorgere immagini di Triora che sembrano delle cartoline.

Gli alberi di cui vi sto parlando sono soprattutto dei Castagni ma non sono Castagni normali. Sono enormi, secolari, antichi, saggi. Meravigliosi.

Quella via continua in salita passando tra di loro come un serpente che si muove a zig zag. Non è faticosa ma la si può definire già una “bella passeggiata” per chi vuole farsi un’escursione degna di essere nominata tale. Una passeggiata che porta anche a Case Goeta (Case Goletta) che potete sempre vedere nell’altro articolo.

Si tratta di un pugno di ruderi, un tempo abitati, che oggi, bui e vetusti, sono diventati nidi ideali di Chirotteri, Serpi e Topolini. Insomma, sono assieme a tanti amici.

Continuiamo a salire dove la macchia diventa ancora più buia e, con il verde cupo del muschio, ricopre ogni cosa. Questi angoli si trovano dentro a delle piccole gole profonde del bosco, luoghi che offrono anche rii freschi dalle acque smeraldine.

Il loro gocciolio è l’unico rumore che tiene compagnia.

Proprio vicino ad una di queste piccole cascatelle d’acqua possiamo notare una diramazione indicata da un altro cartello di legno sul quale c’è scritto “Il Grande Castagno” del quale invece vi raccontai in questo post https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/10/12/gli-insegnamenti-del-grande-castagno/

Essendoci già stati proseguiamo dritti dove ora quella natura maestosa si dirada lasciandosi maggiormente baciare dal sole e mutando. Dalle piante grandi e alte passiamo agli arbusti profumati e più adatti a rocce aspre come il Timo e la Lavanda sui quali Api e Farfalle svolazzano libere e leggere.

Siamo passati dall’oscurità alla luce, una sensazione bellissima.

Alcune rocce fanno da ringhiera ma attenzione a sporgersi, potrebbe essere pericoloso anche se bellissimo. La vista che infatti offrono è meravigliosa. Un panorama che lascia senza parole.

Possiamo vedere bene il Monte Grai con il suo rifugio incastonato quasi sulla sua vetta e, sotto di lui, il Monte Gerbonte che manifesta le tinte più forti dei suoi Larici monumentali.

Possiamo vedere anche il paese di Creppo, più in basso, sulla strada, e anche quello di Bregalla, più in alto, sui monti, con le sue belle e ordinate coltivazioni tutto intorno.

Sembrano delle righe disegnate su quella alta collina.

Davanti a noi, la parte più alta della mia splendida Valle si lascia ammirare in tutta la sua bellezza.

Queste rocce si trovano su un abisso vertiginoso che scende tantissimo mostrando pietraie amate dai Camosci e tanta flora, esagerata, giù in basso la quale offre habitat a parecchi animali selvatici.

Per questo, a sorvolare su quegli alberi laggiù in fondo, è spesso possibile notare rapaci come Poiane e Bianconi pronti a individuare una preda da poter mangiare.

I perimetri delle falesie attorno a noi sono frastagliati. Sopra a quella verde morbidezza ci sono le rocche più pungenti e questo connubio fa di quel tutto uno splendore.

Al centro di questa specie di terrazzo naturale, chiamato appunto la Goletta, in quanto si affaccia su una grande gola, l’uomo ha posizionato la piccola statua di un Cristo color dell’ebano come a proteggere qualsiasi viandante che passa di lì.

Questo Gesù da’ la schiena al vasto panorama, essendo girato con il viso verso il sentiero che abbiamo percorso, proprio come ad accogliere colui che giunge. Il suo colore scuro spicca in mezzo al giallo dell’Iperico che qui cresce generosamente brillando sotto al sole.

Siamo in alto e il silenzio è tutto da godere. La pace, la vista… che luogo incredibile!

Da come avrete capito dagli altri articoli, da qui, volendo proseguire, si può arrivare a Colle Belenda ma anche a Colle Melosa e si cammina sempre in mezzo alla meraviglia.

Io però adesso me ne sto un po’ qua a godere di tanta estasi e, nel mentre, penserò al prossimo articolo da scrivere per voi.

Vi mando un bacio panoramico… sarà il centesimo bacio panoramico che vi mando. Ulteriore dimostrazione che, da tanti punti, la Valle Argentina, offre viste mozzafiato.

Alla prossima!

Il Ponte di Mauta

Che meraviglia, topi miei!

Qui nella mia Valle ci sono tantissimi ponti, sono antichi, veri e propri monumenti storici che resistono con tenacia allo scorrere del tempo, e spesso ve ne ho parlato.

Oggi voglio farvi conoscere meglio il Ponte di Mauta, proprio sotto quello gigantesco e colossale di Loreto.

ponte di mauta triora loreto

E’ romanico e il suo arco è lungo ben sedici metri. Sopra di esso svetta il capolavoro di architettura moderna che dal 1960 è divenuto uno dei simboli della Valle Argentina. Prima del ponte di Loreto, a essere usato era quello di Mauta, immerso nel bosco e invaso da rampicanti che lo incorniciano tutto, come fosse un quadretto. Sotto di lui scorre in gole profonde il torrente Argentina. Non si può descrivere la bellezza di questo luogo, il cuore palpita dall’emozione guardando in giù, affacciandosi dal basso parapetto per raggiungere con lo sguardo l’acqua scura che scende impetuosa a valle, con innumerevoli giochi d’acqua, curve e sfumature. L’Argentina pare contorcersi, è facile rassomigliarlo a un serpente che striscia via, lontano. La natura rigogliosa pare voler proteggere il ponte e il corso d’acqua, li abbraccia, impedendo di godere appieno della loro vista.

torrente argentina forra grognardo ponte mauta

Un tempo era temuto, questo luogo. Il bosco era ritenuto la dimora di creature malvagie, demoni e streghe. Qui la vegetazione si faceva – e si fa – più fitta e quel torrente scuro per via della luce del sole che fatica a sfiorarlo divenne con facilità il luogo prediletto per le congreghe delle bàzue. Più in basso del ponte di Mauta, dove l’Argentina si incontra con il Rio Grognardo, si forma una conca d’acqua celebre e conosciuta come Lago Degno. Ve ne ho già parlato altre volte, per cui non mi soffermerò a farlo ancora.

E’ un luogo suggestivo, uno dei più belli della mia Valle, non esagero! In questa stagione, poi, credo dia il meglio di sé in quanto a colori.

Qui convergono le mulattiere del Langan, in un antico sentiero che permette di raggiungere addirittura le Cime di Marta e il Monte Gerbonte. Fino agli anni Sessanta del Novecento – non molto tempo fa, quindi – il Ponte di Mauta rappresentava l’unico collegamento con Cetta e passaggio per raggiungere la vicina Val Nervia e la Francia. Sono percorsi ancora oggi praticabili, di cui il ponte è un crocevia. Risalendo il sentiero poco prima di esso, si può giungere a Loreto, tornare a Triora, oppure andare avanti per Creppo, Bregalla, Realdo e Verdeggia. Proseguendo, invece, si giunge a Cetta oppure a Molini di Triora.

Un ponte importante, insomma, anche se oggi è stato quasi dimenticato per il suo cugino più moderno. Eccolo qua, il contrasto tra i due: il parapetto di pietra del vecchio confrontato col cemento in lontananza del nuovo. Che strano effetto fa, non trovate?

ponte di mauta e ponte di loreto

Il Ponte di Mauta è conosciuto, invece, da chi pratica canyoning nei torrenti della Riviera dei Fiori, uno sport che consiste nella discesa a piedi di corsi d’acqua che scorrono in gole strette e modellate nella roccia, formando cascate. Da Loreto, infatti, un cartello  esplicativo sulla Forra Grognardo riporta tutte le regole e le caratteristiche del percorso torrentistico, segno della grande frequentazione del luogo da parte di appassionati.

Nei pressi del ponte è stata posta una lapide a ricordo di un giovane che qui perse la vita per via di una caduta accidentale che gli fu fatale. Per la precisione, su di essa si legge:

A Roberto Moraldo di anni 17 da caduta mortale decedeva il 14.09.1927. I genitori e parenti inconsolabili posero.

lapide ponte di mauta

Eh, topi, bisogna fare attenzione alle pendenze di questa zona, purtroppo. Lo strapiombo è notevole, non lo si può negare, intimorisce per la sua profondità. Un tempo non era sicuramente difficile che questi incidenti accadessero, ma oggi, per fortuna, sono facilmente evitabili e, con la giusta prudenza, possiamo godere del panorama mozzafiato che questo angolo di Valle Argentina offre ai nostri occhi.

Vi mando un vertiginoso saluto!

La vostra Pigmy.

 

Upega – cugina di I° grado

I ricordi che ho sigillato qui, dietro la porta dell’albergo Edelweiss sono tantissimi.

La festa in maschera, il passaggio del motociclista, la fontana e il lavatoio, i colpi alla pentolaccia, i gerridi e i girini, i racconti dell’orrore. Provo a guardare attraverso la finestra come a ritrovarli palpabili, concreti.

Edelweiss – Stella Alpina. Stella raggomitolata nel suo caldo burberry dalle tinte chiare. Stella di Upega. Dove, in inverno, la neve permette a tutti di riposare trasformando il paesino in un presepe.

Io invece, vivevo questo paese in estate, con gli amici, la topo zia, il pallone e il gioco del nascondino.

Mica si può andare sempre nei soliti posti. Cambiamo un po’. Andiamo a Upega.

Non c’è nulla a Upega; come potete pensare che una bambina possa divertirsi a Upega? Oltre la Gola, dopo Viozene, par non esserci più niente. Solo gli speleologi si sono avventurati e hanno scoperto Upega. Non appare nemmeno sulle vecchie cartine.

Vedi Pigmy, quei monti, davanti a te… lì è passato nonno, a piedi sai? -.

E quella mano tremante disegnava l’immaginabile profilo stagliato nel cielo tra le aspre falesie. Lì era passato suo fratello. Un pò di storia, di sentimento e poi via, a giocare, a rincorrere i cavalli selvatici.

Una bambina deve divertirsi a Upega. Può farlo, perchè in fondo c’è tutto quello che serve a Upega.

Upega, 1.300 metri sul livello del mare.

Upega, U con due punti sulla u. Pegau – Posizionato in alto. Questo il significato del suo nome. Oppure – Opaco -, dove non ci picchia il sole, chi può dirlo. Sono significati così anichi.

Upega, in provincia di Cuneo. Upega, terra brigasca. Ecco perchè cugina prima. La terra dei Brigaschi dove, anche la mia Valle, la Valle Argentina risiede, in su, verso la Francia, verso il Piemonte. La terra dei Brigaschi, la terra dell’Occitano, del Nizzardo, del Ligure, del Piemontese, insieme, a formare un’insolita tribù.

Con le sue tradizioni, il suo folklore, la sua cultura. Quel dialetto intemelio, particolarissimo.

Upega, pays brigasque, da poco riconosciuto come tale e d’inverno isolato dal mondo, con il suo Bosco Nero di Larici e Abeti e la sua Gola delle Fascette a preannunciarlo.

Con la – Sorgente della Salute -, della lunga vita, che sfocia da un tronco d’albero, fredda come i tre metri di neve che vengono a nascondersi dietro questi monti e danno il nome alla piccola Chiesa.

Upega, il Santuario della Madonna della Neve e i pascoli in fiore. Upega raccontata dalla rivista Ní d’áigura (Il nido dell’aquila). Rivista brigasca.

Upega, appoggiata nell’Alta Val Tanaro, ai piedi del massiccio del Marguareis, con le sue orchidee selvatiche e il profumo di Raschera che esce dalle baite montane. E le mucche e le pecore erano un’attrazione per noi bambini. E si giocava a fare i pastori credendo che obbidivano proprio a noi. E si portavano al di fuori del Bosco delle Navette, incuranti dei pericoli, della distanza da casa, delle voci che chiamavano, dell’abbaiar dei cani.

Arroccato alle pendici della lunga cresta del Ferà, godendo di tutti i piaceri della montagna, questo paese, appartenente al Comune di Briga Alta, è a soli 20 km dal mare e la strada che dall’Aurelia ci porta a lui è spettacolare; verde e tortuosa, panoramica e stupefacente.

E l’incontro dei suoi tre torrenti: il Negrone, il Corvo e il Znìge, che con le loro felci e le loro ninfee sono un palcoscenico da fiaba.

Upega, con il suo forno comune, il suo mulino comune, la sua grande Chiesa, la Chiesa di Sant’Anna, che risale presumibilmente alla seconda metà del XVIII secolo. Tutta in pietra e con un piccolo piazzale davanti a sè, essa ha sostituito una più antica cappella, ubicata dietro l’edificio del forno e adibita un tempo a cimitero, in comune anch’esso. Questo prima che venisse distrutta alla fine dell’ Ottocento.

Upega, oggi meta turistica, passaggio nascosto di Alpini e Partigiani, dai balconi di legno e dalle case caratteristiche in pietra con fienili sovrastanti l’abitato.

Case con i tetti in ciappe e uniti tra loro in un lungo susseguirsi come in una processione a coprire 25 abitanti che, un tempo, erano più di 400.

E oggi vi ho fatto conoscere Upega topi, nostra parente, parente stretta. Paesaggio tipico di un’antica terra. E, nella speranza di avervi reso la lettura interessante, vi aspetto per la prossima passeggiata.

Ora mi rilasso, chiudo gli occhi e immagino, ricordo, la vita all’interno dell’albergo Edelweiss. Del suo simpatico proprietario con le sopracciglia un po’ all’insù e sua moglie, ben pasciuta, che cucinava divinamente.

Un albergo avvolto dal verde ora. Un albergo che oggi, non esiste più.

M.

Il cuore della Valle

Se ieri vi ho mostrato la dolcezza di Bregalla e l’armonia del contesto che la circonda, oggi voglio farvi vedere su cosa si affaccia il paesino del quale vi ho parlato.

Dalla sua culla di monti si vede la parte più aspra e più austera, il cuore imperioso e risoluto della mia Valle. Le nude falesie hanno dimensioni mastodontiche, cadono a strapiombo sul torrente. Laggiù c’è un ponte, quello di Loreto, e sopra di esso troneggia il Colle Ventusu . Siamo a 700 metri circa sul livello del mare.

Gli alberi ricominciano a vestire le rocce come ogni anno, rendendo questa gola ancora più cupa. È come se ordinasse ai passanti il rispetto che merita. La strada, le piante, le casupole, i santuari, tutto è così piccolo da far sembrare queste montagne ancora più gigantesche. Gli uccelli sono pochi, ma di notevoli dimensioni; sono per lo più rapaci, li si può osservare mentre girano in tondo puntando la preda.

Lo scroscio dell’acqua che scende dai massi è perpetuo, il fiume è gelido in ogni stagione.

Il cielo qui è di un azzurro intenso, non inquinato dalle città, e l’aria è così pura da far quasi pungere il naso. Il vento fa suonare il suo soffio impetuoso sbattendo contro le pareti di roccia.

Se non li conosci, questi monti sembrano guardiani spietati. Lo scorrere del fiume risuona contro le rocce e solo gli appassionati di mountain bike, arrampicata, alpinismo, trovano il coraggio di sfidarle. A seconda delle stagioni e dei momenti della giornata, il sole scalda di più o non riesce nemmeno a penetrare nella gola profonda. Anche la primavera fa fatica ad arrivare. Il silenzio e il letargo invernale non vogliono abbandonare questi luoghi. Prima, nei villaggi più in basso, c’erano i fiorellini, i germogli e l’insetto che se ne cibava, ora, in questa zona che è considerata già Alta Valle Argentina, la presenza preponderante è quella delle poiane, dei lupi, degli allocchi.

Il profilo delle montagne si staglia contro il cielo. A bloccare la strada è il Monte Saccarello, là dove finisce la Valle Agentina e cominciano la Francia e il Piemonte. Le ombre dei rilievi montuosi si proiettano nella gola, là dove il ghiacci persiste fino a stagione inoltrata.

Guardando da qui questo mondo, mi sento minuta al cospetto della Natura, ma sono sazia: non ho bisogno di nulla. Sembra di riuscire a toccare questa atmosfera, non solo vederla. Mi avvolge come una calda coperta e mi sento serena, mi dona un senso di protezione.

Quanti mondi diversi mi offre, questa ruga del pianeta! E ogni giorno è sempre più bella.

Un abbraccio innamorato dalla vostra Pigmy.

M.

Bregalla, il paese delle fiabe

Guardatele bene le foto che vi posto oggi: non vi sembra di essere in un racconto dei fratelli Grimm?

La legna accatastata, le casette in pietra, i mandorli in fiore, i balconi di travi di castagno, il sentiero in mezzo al prato… Nemmeno il più grande scenografo di Walt Disney potrebbe arrivare a tanto. Sembra un luogo fantastico, invece è tutto vero ed è qui, nella mia valle, sotto un grande spicchio di cielo.

Siamo a Bregalla e le casette in questa frazione sono tante quante le lettere che ne compongono il nome, non una di più.

Bregalla è considerato un punto panoramico fantastico. Da qui si vede tutta la gola della Valle Argentina, quella delle falesie, delle rocce sporgenti, austere, del suo lato aspro, rude, maestoso. Siamo oltre il ponte di Loreto, passato colle Ventusu. Ci troviamo prima di Realdo e, salendo sulla destra, due curve ci portano in questo angolo di paradiso.

Non c’è nessuno. Come mi aveva consigliato la signora Vilma, cerco Bruno, colui che degli orti fa delle vere opere d’arte. Tuttavia il signor Bruno non c’è e di lui e delle sue capacità, purtroppo, non posterò nulla. Voglio farmi raccontare le sue storie, i suoi consigli e voglio fotografare il suo lavoro in sua presenza.

Gli abitanti di Bregalla sono solo 18. Io ne ho visti solo 3, prendono il sole beati nel loro giardino di margherite. In tutto il resto del paesino regna il silenzio più assoluto. Siamo a circa 840 metri sopra il livello del mare. É una borgata che appartiene al comune di Triora e il suo nome deriva probabilmente dal termine “bregallare” che voleva dire belare, in onore delle pecore e delle capre che un tempo vivevano su questi monti. Sono luoghi di pastori, di contadini. Nella nostra zona, però, c’è un termine che usiamo spesso per indicare il “fare tante cose” che è proprio Bregare, per indicare qualcuno che non sta mai fermo: “È sempre che fa, disfa e brega…” diciamo. Mi chiedo se questo modo di dire abbia qualcosa in comune con il nome di questa località.

A meritare un sopralluogo a Bregalla è anche il lavatoio, ancora funzionante, pulito e ben tenuto, se non erro è stato costruito con la pietra Arenaria. E poi c’è la chiesa, anch’essa molto carina e con la particolarità di avere “tre tetti”.

Esattamente! In un solo Santuario, guardate, ritroviamo due tetti di tegole rettangolari e un tetto di ciappe semi-rotondo disposti tutti a scala rimanendo uno più basso e gli altri più alti.

Sopra al campanile poi, un simbolo che non manca mai, c’è infatti una piccola croce di ferro.

La flora che circonda questo villaggio lascia senza fiato. Si nota addirittura la presenza di altissimi bamboo! Sembrano formare una piccola foresta orientale incastonata nella macchia mediterranea e, tutt’intorno, i nostri occhi possono vedere il verde cupo degli abeti e dei pini che colorano le alte montagne. E guardate dove nasce la salvia! È lì in quel tronco, la vedete?

Tante sono le spezie: salvia, timo, basilico, origano e intere cornici di rosmarino profumato che, fiorito proprio in questo periodo, colora il paesaggio di azzurro e violetto. E che profumi! Tra le pietre dei terrazzamenti troviamo altri colori, altre tinte offerte dai fiorellini di campo: iIl bianco, il giallo, il fucsia, il rosa, il turchese. Io sono convinta che se un pittore venisse a visitare Bregalla, non se ne andrebbe più.

E voi, ditemi, avete mai visto un posto più bello di questo? Guardatele bene queste foto, topi, e sognate: oggi siete in una fiaba. Siete in un luogo fuori dal mondo, dove anche i pochi ruderi rimasti (perchè qui le casette sono state tutte rifatte come gioiellini) hanno un contorno tanto bello da sembrare irreale. Affascinante e suggestivo, il borgo permette di essere visitato tramite piccoli sentieri a scalini, ponticelli e prati in fiore. Non dimenticate di passare di qua se venite nella mia valle, vi perdereste qualcosa che potrebbe davvero appagare i vostri occhi.

Un abbraccio,

la vostra Pigmy.

M.