La Valle della divina Cloris

Ah, topi! In Valle Argentina non manca proprio nulla: storie di fantasmi, di spiriti, di amori travagliati e conti spietati. Racconti di streghe, di gnomi e di fate, di voci trasportate da secoli dal vento… Potevano forse mancare le divinità? Certo che no!

E allora oggi ve ne riporto una che forse non conoscete, state a sentire.

Glori

Nel cuore della Valle Argentina, nel territorio di Molini di Triora, si trova un piccolo borgo che negli ultimi tempi sta rifiorendo, amato e coccolato da abitanti giovani e volenterosi. Quello smeraldo incastonato nella corona montuosa che è la mia valle, ha un nome bellissimo e particolare: Glori.

Glori borgo

Badate, non ho scelto a caso lo smeraldo, perché Glori si trova in mezzo al verde traboccante di una natura generosa e rigogliosa, contornato da fitte e scoscese foreste, oltre che da acque cristalline che scendono in rivoli fino a valle. È uno scenario da fiaba, insomma, non si può non restare incantati e ammaliati da tanta bellezza e abbondanza.

vegetazione Glori

Si dice che il nome di questo borgo così bello, che nell’italiano corrente rimanda già a qualcosa di grande, epico e glorioso, derivi da un’antichissima divinità pagana, venerata dai nostri più remoti antenati: la ninfa greca Cloris.

A lei erano consacrati la Primavera, i fiori, i boschi, la crescita delle piante e della Natura tutta.

violette

Secondo la tradizione greca, la bella ninfa Cloris abitava nell’Eliseo, una terra irraggiungibile dai vivi. Era un regno paradisiaco al quale potevano accedere solo coloro che erano stati amati dagli dèi e che avevano abbandonato le loro spoglie mortali. Le anime di questi gloriosi vivevano in questo regno una nuova vita di beatitudine, nulla mancava loro. Lì tutto era accarezzato da brezze leggere, non esistevano il gelo tagliente degli inverni più rigidi, né l’infelicità e la carestia.

Glori paesaggio

Un giorno, tuttavia, Cloris fu portata via dall’Eliseo, rapita da Zefiro, dio che presiedeva al vento dell’Ovest. Egli si era perdutamente innamorato di lei e decise così di renderla una dea. I due si sposarono e Cloris cambiò il nome in Flora, divenendo la dea della vegetazione cara ai romani, legata anche alla fioritura dei cereali, alla crescita dei vigneti, degli alberi da frutto e di tutte le piante che danno alimento all’uomo.

Non è difficile immaginare il motivo che spinse le antiche genti che popolavano la Valle Argentina a intitolare il borgo alla ninfa Cloris, se la leggenda fosse vera come in effetti sembrerebbe.

Glori sentiero

Glori è un luogo di pace e beatitudine, che si avvicina bene alla descrizione del mitologico Eliseo. Sebbene si trovi a 593 metri sul livello del mare e sia distante circa 31 km dalla costa, la sua temperatura è mite, i suoi inverni mai troppo rigidi e tra i carruggi del paese si respira aria di armonia e serenità. I terreni che lo circondano sono davvero sinonimo di abbondanza: un tempo qui si coltivavano molto i cereali, che offrivano sostentamento a tutta la popolazione, e oggi gli orti e i frutteti sono carichi di delizie pronte per essere trasformate, proprio come se questi luoghi fossero ancora protetti dalla fiorente Cloris.

Glori orti

Ma Glori è anche luogo di fiori, e ce n’è uno in particolare che viene coltivato per il prodotto che se ne trae: lo Zafferano. Ed è prodotto per l’appunto da una giovanissima azienda, intitolata proprio a Cloris.

Insomma, non c’è da stupirsi se questo borgo ridente e pacifico fosse davvero consacrato a quell’antica dea che ancora oggi si rispecchia in un territorio che pullula di vita e abbondanza, che brulica d’amore e armonia.

Io ve l’ho detto, topi! La mia è una valle… divina!

E ora scendo dall’Olimpo (ehm… volevo dire dal Saccarello!) per scovare qualche altra storia da raccontarvi!

Un bacio glorioso a tutti.

Magie e misteri di Bajardo, il paese dei druidi

Topi, non vi ci ho mai portato, ma ne vale davvero la pena. Questo bellissimo paesino non si trova nella mia Valle, ma in una zona immediatamente limitrofa ed è un piccolo gioiello delle Alpi Liguri.

Bajardo

Bajardo (910 metri sul livello del mare), con i suoi carruggi tortuosi e a tratti ripidi conta poco più di 300 abitanti e una gran quantità di gatti, come capita in quasi tutti i borghi del mio entroterra. E’ un piccolo scrigno e, come tale, nasconde in sé antichi tesori, o almeno così si dice.

impronta gatto neve

La leggenda vuole che il borgo debba il suo nome al celebre Rinaldo, uno dei dodici Paladini di Francia del ciclo carolingio. Di questa figura hanno parlato Ludovico Ariosto nel suo Orlando furioso, Matteo Maria Boiardo nell’Orlando innamorato e Luigi Pulci nel Morgante, ma potrei elencarvene anche altri. Be’, fatto sta che questo Rinaldo, rivale in amore dell’eroe Orlando, avesse un cavallo molto particolare. E quel cavallo portava il nome di… Bajardo!

Parlando invece di notizie più storiche, il centro storico del paese esiste dal I millennio a.C. e pare che in quel periodo fosse un importante luogo di culto per i Druidi, pensate un po’ che roba!

Questi sacerdoti della natura hanno lasciato un segno profondo nella storia di Bajardo, tanto che ancora oggi alcuni eventi e festività si ricollegano ad attività druidiche.

Alcuni sostengono che a testimoniare l’esistenza dei Druidi siano gli obelischi di pietra che si possono osservare in giro per il borgo.

Chi sostiene la presenza dei Druidi, afferma che a Bajardo convivessero un tempo i Celti, i Liguri, i Greci, gli Iberici e i Romani. Questi popoli costruirono a Bajardo i loro luoghi di culto, tra i quali spiccava un antico tempio dedicato al dio Sole, di cui oggi ci rimangono alcuni resti.

bajardo2

Sopra quello stesso tempio è sorta in epoca medievale la chiesa dedicata a San Nicolò, patrono del borgo e festeggiato il 6 dicembre, ma nel 1887 il violento terremoto che rase al suolo anche Bussana scosse l’intero paese, scoperchiando la chiesa e riportandola pressoché all’antico aspetto e mostrando quello che un tempo era il luogo di culto principale nella sua più totale e disarmante naturalezza.

chiesa san nicolò bajardo

Il monte su cui sorge Bajardo pare fosse consacrato ad Abellio, divinità solare degli antichi Liguri. Curioso, non trovate? Ma la cosa più curiosa sono i capitelli dei contrafforti della chiesa crollata, che raffigurano volti con tratti somatici orientali, qualcuno li definisce addirittura mongoli.

Sacro e profano a parte, la costruzione scoperchiata sembra quasi essere un nuovo inno al Sole e alla Natura, con la sua volta tutta celeste e cangiante a seconda del tempo meteorologico. Sotto quella volta si svolgono ancora matrimoni scenografici, conferenze, e gli eventi più disparati, perché è di una bellezza sconfinata, topi, credetemi. Quel che resta dell’edificio è visitabile senza alcuna difficoltà, io stessa ci sono stata più di una volta.  Si prova una grande serenità a camminare sul morbido prato circondato dai muri alti, spogli e dorati, con il sole sempre lì, alto nel cielo come un guardiano.

chiesa san nicolò bajardo2

E poi c’è la terrazza naturale a strapiombo sulla Valle, con un panorama mozzafiato e comode panchine dal quale osservarlo.

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Nella metà del 1200 il borgo passò sotto il dominio dei Clavesana e infine sotto la Repubblica di Genova. Bajardo, dunque, dovette rispondere alla podesteria di Triora e, come in altri borghi della Valle Argentina e zone limitrofe, anche Bajardo subì le accuse di stregoneria da parte dell’Inquisizione.

panorama Bajardo

I dintorni di Bajardo sono tutti da esplorare. Numerose sono le escursioni che si possono fare, come quelle che conducono a Perinaldo, Apricale, Monte Bignone o ancora il Sentiero degli Innamorati. Poi c’è la fontana, poco sotto il borgo, un luogo molto suggestivo che vi consiglio di visitare, se non lo avete ancora fatto.

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Insomma, dalle mie parti non manca davvero nulla! Tra streghe, druidi e spiritelli si può dire che ci sia materiale a sufficienza per decine di romanzi. Le mie Alpi sono magiche, e questi luoghi ne sono la dimostrazione.

Un abbraccio, topi, alla prossima!

 

 

Senti che profumo ha l’Origano

Il suo nome deriva probabilmente da Oros Ganos e significa “bellezza della montagna” anche se può essere tranquillamente coltivabile in vaso. E’ una pianta molto robusta. Definendolo “bellezza della montagna”, si dice già molto su di lui.

Immagino lo conosciate tutti. Assomiglia al Timo, ma le foglie sono diverse e ci permettono di distinguerlo; più tondeggianti quelle dell’Origano, più a punta quelle del Timo. E la mia Valle ne è piena sapete? Bhè, bisogna saperlo cercare e trovare ma, ci sono alcuni punti, come ad esempio i dintorni del paese di Andagna, che ne hanno molto da offrire.

L’Origano, vero nome Origanum, fratello della Maggiorana chiamata nel nostro dialetto “Persa” e che vi farò conoscere più avanti, è una buonissima e profumatissima pianta aromatica usata sia fresca che essiccata per insaporire cibi come pizze, pomodori, arrosti, frittate ma, forse non tutti sanno che, il suo utilizzo può essere esteso anche al benessere e alla “cura” della persone che decide di trattarsi con erbe officinali. L’Origano è tra le più pregiate piante officinali che le terre mediterranee possano darci.

Le sue proprietà terapeutiche sono l’essere: antalgico, disinfettante, antisettico, analgesico, antispasmodico, espettorante, stomachico, rinfrescante e tonico. Il suo olio essenziale è molto usato nell’aromaterapia e nella cura di alcune malattie. Attenzione però, solo sotto controllo medico. E’ molto potente. Ottimo anche come principio attivo contro la cellute. I suoi infusi sono consigliati contro la tosse, le emicranie, i disturbi digestivi e i dolori di natura reumatica, svolgendo una funzione antinfiammatoria. E grazie al suo buonissimo e meraviglioso profumo, esso risulta anche molto utile nell’allontanare fastidiosi insetti come le formiche, le tarme e i tarli. E’ difficile infatti vederlo intaccato da parassiti. Solo raramente si assiste ad attacchi da parte di cicaline o afidi neri, ma mai particolarmente gravi. E allora perchè, non tenerne a tal proposito, un rametto nell’armadio? Assieme alla Mentuccia, farà odorare di fresco tutta la vostra biancheria proteggendola dalle golose e insaziabili bestioline.

E l’Origano, che fa parte della famiglia delle Labiatae, per le sue caratteristiche, è considerata una pianta che dà conforto, sollievo e salute. Infatti, nella medicina tradizionale, esiste l’emblema dove una cicogna tiene nel becco un rametto di Origano. Questa è un’antica leggenda secondo la quale, quando questo uccello soffriva di stomaco per aver mangiato cibi nocivi, si curava con l’Origano. Il suo aspetto elegante e delicato lo lega al mondo femminile e, nell’antichità, le donne lo coltivavano non solo come spezia ma anche quando avevano patito una delusione amorosa per alleviare il dolore; così come si credeva che, se una pianta di Origano coltivata sul davanzale si seccava, voleva dire che ci sarebbero state delle delusioni d’amore in famiglia.

Questa informazione, la trovate nel sito http://www.elicriso.it e, l’ho voluta citare perchè, le streghe della mia Valle, hanno sempre usato molto l’Origano quando si trattava di creare intrugli per l’amore e pozioni magiche verso l’amato (…o sfortunato?). Oh già… era una delle prime piante raccolte e messe nel gran pentolone. Nulla aveva la sua potenza. Quella sua profumazione, così forte, così indisponente e invadente da tener lontani diavoli e vampiri andava dritta dritta dov’era stata spedita. E il destinatario era ovviamente un poverello che, soffrendo di solitudine e credendo di aver annusato chissà cosa, si sarebbe lasciato fare qualsiasi angheria pur di non rimanere solo. L’Origano, persistente, cocciuto, ha proprio questo significato: non mollare mai. Essere persistente. Anche la sua vita è così.

Spesso nasce, dove tutto prima è morto; sulle rovine, i resti e alcuni ricordi di grandi e antiche civiltà. Regalate, a chi non deve cedere, un rametto di Origano, servirà a fargli capire che lo state aiutando a tenere duro e, siete assieme a lui, nella sua battaglia. Un profumo così buono che si dice sia stato creato dalla Dea Afrodite che ne aveva il giardino di casa pieno. E della Dea Afrodite c’è da fidarsi!

L’Origano è quella pianta che non manca mai in una casa e, il suo esserci, è così sentito, che le cuoche più raffinate diranno – Poco Origano, si sente troppo! E’ amaro! -. Io non potrei farne a meno. Quel suo sapore selvatico mi fa impazzire. Rende tutto più buono. Non datemi pizza senza Origano e nemmeno bruschette al pomodoro senza la sua presenza! E’ amaro quando è più vecchio; se troppo maturo, le sue foglie sono di un verde scurissimo.

Solitamente è una pianta che troviamo attaccata alle nostre rocce e non supera quasi mai i 50 centimetri d’altezza, in realtà, può raggiungere il metro ma è molto raro, inoltre, è meglio quello piccolo, è più tenero e meno forte come sapore. Dai piccoli fiorellini bianco-rosato, l’Origano arriva ad essere anche una bellissima pianta ornamentale per prati, pascoli e monti proprio come dice il suo nome. Chi l’ha detto che solo i fiori grandi abbelliscono?

Sapevate inoltre che Greci e Romani lo utilizzavano per rendere più belli i campi dei loro amanti? Ebbene sì e, per dirla tutta, anche i camposanti. Ci tenevano alle anime dei loro cari e pretendevano stessero in un luogo il più paradisiaco possibile anche qui, su questa terra. Era l’Origano che li accontentava. Era lui con la sua bellezza.

E allora topini, cosa volete di più? Oggi vi ho presentato il bello e il buono, un connubio che dura dai tempi dei tempi. Chiunque ne ha fatto uso. Volete per caso essere voi i primi a rifiutare tanto ben di Dio? Non credo proprio. Buon utilizzo allora.

Vi aspetto alla prossima puntata, la vostra Pigmy.

M.

Malva, non solo per ammorbidire.

Il nome di questa pianta, Malva Silvestris, appartenente alla famiglia delle Malvaceae, deriva proprio dal termine latino “mollire” che vuole appunto intendere “rendere morbido”, non per niente è la pianta dalle capacità emollienti più potenti chSONY DSCe ci sia in natura. Lo sapevano bene già Ippocrate, Plinio e tutti i Greci che la chiamavano Mallachè, morbida. appunto. Anche le sue foglie vellutate e i suoi delicati fiori sono morbidissimi. E’ una pianta delicata. Vi sieteSONY DSC mai chiesti come mai sia usata per dentifrici o detergenti intimi?  E’ ricca di vitamina A, B e C, mucillagini, tannini, flavonoidi e malvina, la sostanza più lenitiva che possieda. Viene utilizzata anche per le sue doti lassative e idratanti per l’intestino. Malva è così gustosa e utile che per i poveri divenne un cibo quotidiano. Ancora oggi, credetemi, è ottima se lessata nelle minestre o cruda nell’insalata. Calmerà i vostri nervi, se quel giorno li avete a fior di pelle! E’ talmente delicata da poter essere utile, senza abusarne, anche per la stitichezza, quasi sempre presente durante una gravidanza, per esempio. E poi ha un’altra proprietà che tutti conosceteSONY DSC: disinfiamma. Non l’avete mai messa sulle gengive o su un dente dolente? Quante volte avete pregato perchè potesse prendere il posto del dentista? Bene, noi topi la mettiamo su qualsiasi tipo di ferita, infiammazione o infezione. E, credetemi, funziona! Non fa miarcoli, ma funziona, davvero.

Quanta Malva ho raccolto per tutta la famiglia! E’ molto usata nella mia Valle. Spesso la si vede appesa fuori a essicare raccolta in grossi mazzi. Mettetela all’ombra, però.

La Malva combatte, rinfresca e attenua anche le piccole infiammazioni della pelle del viso, come l’acne, l’herpès, un brufolo e naturalmenteSONY DSC le punture di insetti. Malva è una pianta che non arriva a un metro d’altezza, a volte con foglie larghe come una padella, altre piccoline, ma sempre protette da sottilissimi peletti. Le foglie piccine usatele tritate, fresche o secche, da mettere nei decotti o nelle tisane, tanto non sono abbastanza grandi da fasciare una parte dolorante.

Volete anche la ricetta di un buon té serale? Fate bollire le foglie e i fiori di Malva per 10-15 minuti. L’acqua diventerà verde e ve la berrete, bella calda e senzaSONY DSC zucchero, dopo averla filtrata. Lo zucchero fermenta e visto che, come vi dicevo prima, è ottima contro i disturbi intestinali e gastrici è bene farla lavorare senza interferenze. Non buttate via ciò che avete strizzato nel colino! Se accanto a voi c’è qualcuno con un disturbo alla schiena, un dolore reumatico, un nervo infiammato… mettetelo su una garza e fategli un impacco di Malva cotta.

Malva è perenne, dal portamento cespuglioso, spesso eretto, ma talvolta decide di sdraiarsi sui prati in cui nasce formando una specie di morbido tappeto. I fiori, che spuntano all’ascella delle foglie, sono di colore rosa-violaceo con striature più scure. Colorano i prati. Malva, così delicata eppure così forte, è fragile ma tenace.

Nel linguaggio dei fiori simboleggia la forza dSONY DSCella giovane madre. Essendo riconosciuta fin dall’antichità come una panacea di tutti i mali, la si è potuta paragonare alla protezione totale e affettuosa che solo una madre sa avere nei confronti del proprio figlio. Attualmente il linguaggio che esprime è quello di una calma pacatezza e di un amore materno ricco di dolcezza, saggezza e caparbietà, doti da lei conquistate già nei primi anni dell’800 grazie agli studi effettuati da monaci, medici e signorotti.

E, come una madre, non smette di agire finchè non vede guarigione. “Malva vuol bene all’organismo umano”, si è detto. E vuol bene anche all’amore! Potete immaginare le gentildonne di un tempo che, credendola altamente afrodisiaca, ne legavano alcuni pezzi di radice ai genitali del nobile consorte? No, non me lo sono inventato. Forse era iIl viagra di un tempo, perchè no?

Pensate che, invece, nel Medioevo, soprattutto tra le streghe, la reputazione di Malva era esattamente l’opposto e veniva usata per l’effetto contrario, ossia per pozioni volte a inibire il desiderio sessuale dell’amato che, probabilmente, aveva ahimè scelto un’altra fiamma con la quale amoreggiare. Devono esssersi resi conto solo in seguito che queste pozioni non funzionassero e che un mazzetto di Malva appeso ai “gioielli” del partner avesse, in realtà, una grande efficacia in mabito riprouttivo.

Torniamo alle cose serie, anche se queste non sono bazzecole. Oggi, vi sto descrivendo un’erba fantastica. Carlo Magno la definì addirittura come “pianta obbligatoria” nella sua ordinanza “Capitulare de Villis”. Pianta eliotropica, come il Girasole, orienta i suoi fiori verso il sole. E’ una pianta dolce, amata da tutti gli insetti. Il suo profumo tenue non dà fastidio – mi duole dirlo – nemmeno alle zanzare. Fiorisce durante l’estate e l’autunno, perciò i nostri amichetti alati possono farne grandi scorpacciate. Anche i nostri topini andrebbero trattati con detergenti o prodotti alla Malva, perchè sono i più delicati e, inoltre, le sue mucillagini riducono le proprietà schiumogene di alcuni tensioattivi.

Che altro posso raccontarvi, di lei? Penso di avervi detto tutto, ma spero di avervi reso partecipi di alcune proprietà di Malva che magari non conoscevate ancora. Vi mando un bacino e vi aspetto per il prossimo appuntamento nel magico mondo della flora… ops, quasi dimenticavo! Malva, il mercoledì, ha un profumo più intenso rispetto agli altri giorni della settimana, ma non chiedetemi il perchè: misteri della natura!

Baci.

M.

L’urticante Ortica

Nel bosco di Andagna questa pianta nasceva ai bordi del sentiero. La ricordo bene. Adora le zone ombrose, il sottobosco e i casolari abbandonati, ma nasce ovunque le pare e piace.SONY DSC Con zia la raccoglievo per farla bollire e farne un delizioso ripieno per i ravioli. Prendevamo solo i germogli, le punte, le foglie più tenere. Tenere, sì, ma comunque urticanti ed eravamo senza guanti, fa anche rima. Come fare, quindi? Semplice. Bastava sfregare forte le dita sulla testa, contro il grasso del cuoio capelluto: SONY DSCesso protegge e Signora Ortica non può fare alcun male, possiamo raccoglierne quanta vogliamo in questo modo.

Per quanta possiamo raccoglierne, il mondo non rimarrà mai senza questa pianta! Ce n’è tanta, ovunque. Nasce spontanea e fiorisce durante l’estate. E comunque, a parte il titolo scherzoso di questo post, il suo nome inizia in verità per U: Urtica Dioica. Ha tanti nomi in tutta Italia: UrtigaArdica, Lurdica, Ortiga Garganella, Pistidduri, Pizzianti Mascu, Rittica… I suoi utilizzi sono davvero incredibili e numerosi. Come vi ho già svelato a inizio post, è una pianta alimentare. Ricca di vitamina C e vitamina A, azoto e ferro, può essere usata come alimento; i germogli, così come le foglie, sono impiegati nei risotti, nei minestroni, nelle frittate, nelle zuppe, nei ripieni, nelle frittelle… Insomma, è una pianta antipatica, ma deliziosa. Leggete di seguitp questa ricetta ligure:

Pesto di ortica

Potete rendervi conto? Sia chiaro: il pesto al Basilico è il migliore e non si discute, Però….

Ingredienti:200 g. di foglie di ortiche cotte, 1 spicchio di aglio, 10 nocciole tostate, 1 cucchiaio di mollica di pane tostata, olio extravergine di oliva q.b., sale e pepe.

Preparazione: Tostare le nocciole, e la mollica, pulire e lavare le ortiche e lessarle senza aggiungere acqua, scolarle SONY DSCe strizzarle. Tritare nel frullatore, o meglio  pestate nel mortaio tutti gli ingredienti aggiungendo a filo l’olio, fino a ottenere una salsa relativamente densa. Aggiustare di sale e pepe. Questo pesto potrà essere usato come ripieno per delle verdure da gratinare, ed è buonissimo per condire la pasta aggiungendo un paio di cucchiai di acqua di cottura (da lericettedellanonna.net).

E dire che questa pianta, della famiglia delle Urticacee, nemmeno la rispettiamo sufficientemente. Con tutte queste proprietà può essere usata anche in ambito estetico. La nostra pelle ci ringrazierà quando la depureremo e rinfrescheremo con l’Ortica ben SONY DSCbattuta e privata così del liquido ricco di istamina, che ci punge e ci fa prudere. E, inoltre, previene e arresta la caduta di capelli, eliminando anche la forfora.

Utilizzata già come pianta medicinale dagli antichi Greci per le sue proprietà antidiarroiche, diuretiche, cardiotoniche e antianemiche, era raccolta e lasciata seccare in grossi vasi di terracotta. Nel Medioevo, invece, si impiegava fresca per curare, con il “veleno” dei suoi peli urticanti, i reumatismi e la gotta, la famosa “malattia dei ricchi”. Sempre nel Medioevo, veniva inoltre battuta e sfibrata per tessere stoffe, come la ramia, simili alla canapa o al lino e che ben s’impregnavano di liquido verde. Grazie alla clorofilla che contiene in grandi quantità, può servire infatti a colorare i tessuti delicati: le foglie tingono di verde, mentre le radici di giallo. E chi aveva le galline nel pollaio, insieme al pastone, dava alle bestiole un po’SONY DSC di Ortica, che aumentava la produzione di uova.

Lo sapete che Ortica può anche essere molto utile contro l’enuresi notturna dei bimbi che tanto dispiace alla maggior parte delle mamme? Una preparazione gradita anche dai più piccoli può essere consumata con successo. Vi basteranno 15 gr. di semi di ortica pestati, 60 gr. di farina di segale, acqua e un po’ di miele. Impastate sei tortine e cuocetele al forno: mangiandone una ogni sera per 15-20 giorni prima di andare a nanna, pare funzioni.

Nella mitologia germanica era l’erba sacra al Dio Thunar, Dio degli Dei, una sorta di Giove. In tutta l’Europa del Nord questa pianta è sempre stata venerata e amata, considerata spesso sacra, forse perchè faticava a crescere con il freddo, ma, nonostante tutto, esisteva e regalava i suoi benefici; pensate che fino a pochi anni fa i bambini di Novgorod, in Russia, festeggiavano il Solstizio d’Estate saltando i cespugli d’Ortica. Nel nostro Nord, invece, nelle regioni più fredde, i contadini anziani indossano, in tasca, alcune foglie di Ortica o bacche di Ippocastano per proteggersi dai malefici e dai raffreddori, e gli stessi contadini la usano per preparare un macerato da spruzzare sulle piante per combattere i parassiti nocivi alla crescita degli ortaggi. E’ un pesticida naturale!

Nel linguaggio dei fiori essa parla al posto della donna spiegando in modo chiaro: “Sono sorda alle tue promesse e alle tue galanterie“. Poveri maschietti!

E ora vi saluto, nella speranza che questa descrizione vi sia piaciuta. Io vado a raccogliere un pò di quest’erba fantastica. A presto.

M.

Il Leccio, lunga vita e dignità

Il Leccio. Il Quercus Ilex. A far capire subito che di Quercia si tratta.

E infatti, il Leccio, come la Roverella, è una specie di Quercia ben presente nella mia Valle.

Robusto, sempreverde. Circonda e arricchisce tutta questa bella terra mediterranea. E il significato di questa pianta è presto detto. Lunga vita, perseveranza, dignità, maestosità, e forza. Tanta forza.

Vedete, uno stemma della Repubblica Italiana ha proprio come simbolo un ramoscello di Ulivo per identificare la pace e un ramoscello di Leccio per simboleggiare la forza. Una forza buona. Una forza che lavora per la pace.

La Quercia è il re degli alberi e, il Leccio, ossia la “Quercia Verde”, non è da meno.

Sacro, persino a Zeus, potete capire da soli la sua importanza.

Ma purtroppo, a causa della sua forma sinistra e austera, presto venne considerato adatto solo a riti funesti e religiosi. Associato ai “cattivi” potenti, venne presto anch’esso ritenuto negativo e fatale. Le stesse Parche, figlie della notte, dalle quali dipendeva la vita degli uomini, si cingevano la testa di rami e foglie di Leccio. Sempre il Leccio, venne accusato di tradimento nei confronti di Gesù, in una leggenda, in quanto accettò di offrire il suo legno per la costruzione della dannata croce quando tutte le altre piante del regno si erano invece rifiutate. Ma San Francesco non ci mise molto ad innalzare di nuovo la beltà e la bontà di questa pianta e il suo vero significato. E, come il Santo, anche altre importanti istituzioni del tempo. Il Leccio offrì il suo legno semplicemente perchè capì che doveva sacrificarsi per la redenzione così come lo stesso Cristo. Ridivenne presto così importante che, alcune città italiane, iniziarono a litigarsene il nome ma ce l’ebbe poi vinta Lecce che cambiò il suo nome da Lupie (lupa) a Lecce appunto. Lo stemma di questa città infatti è una lupa che avanza sotto ad un Leccio o stà in agguato.

Di grande importanza anche per Greci e Romani, il Leccio, era considerato sacro da questi popoli che lo inserivano in un elenco di piante “…che recano buoni auspici” e, seppur in terre diverse, spesso i loro allenamenti bellici avvenivano proprio dentro a boschetti di Lecci e, sempre con un ramo di Leccio bagnato in un particolare olio, ungevano i loro guerrieri prima dell’incontro.

Ma erano soprattutto i Celti i grandi estimatori di quest’albero. Essi, utilizzavano la corteccia e le sue ghiande a fini terapeutici. Una loro credenza popolare, pervenuta sino ai nostri giorni, racconta che dentro ai tronchi cavi del Leccio cresca una particolare erba magica che, dopo essere stata attivata con particolari riti altrettanto magici, cotta e mangiata, aveva la capacità di rendere gli individui invisibili. Inoltre, i Celti, non eseguivano nessun sacrificio se non in presenza di un Leccio, albero che, dai druidi, veniva piantato in ogni loro paese.

Ci sono alberi di fronte ai quali, le nomenclature della botanica cedono il passo alle suggestioni della favola: alberi mitologici, carichi di simboli, che appartengono alla leggenda prima che alla realtà. E il Leccio è un po’ questo.

Potrei stare qui ore a descrivervi la sua morfologia, le sue foglie semplici e dentate dalla forma lanceolata, le sue ghiande color verde pisello raggruppate in cima ai rami, la sua altezza che può superare i 20 metri e che ci fa sentire piccoli, il suo colore cupo, severo, profondo… ma tanto non sono questi i significati che ci fanno riconoscere il Leccio come pianta sacra, ricordata e benvoluta. Ne’ il suo legno, duraturo, ben lavorabile. Ne’ la sua corteccia ricca di sali minerali e utile per i nostri intestini.

Il Leccio è una pianta amica, che non ci abbandona. E’ sempre lì, ogni volta che la cerchiamo. Così imponente, così possente. Spesso di forma cespugliosa, come un grande arbusto, sembra proprio voler avvolgerci ancora di più e, sotto a quei suoi bassi rami, ci sentiamo tutti circondati e protetti.

Dedico questo post al giovane Alpino, Caporale Tiziano Chierotti che, nei ricordi di tutti i suoi compaesani, non smetterà mai di vivere.

Vi aspetto per andare a conoscere la prossima pianta.

M.

Il Trifoglio, la pianta della fertilità

Si cari topi, il Trifoglio, ha come significato proprio quello della fertilità e sapete perchè? Perchè fa sul terreno un po’ quello che s’impegna a fare il Rovo come vi avevo raccontato in questo post – il-rovo-lintelligenza-del-bosco -.

Esso nasce infatti per creare una sorta di rotazione della coltura in quel dato suolo che può essere la stessa di prima o cambiare del tutto. Questo perchè le sue radici sono ricche di batteri. Tranquilli, non sono batteri cattivi, sono colonie di batteri buoni che rinnovano appunto la terra, un pò come i nostri lactobacilli.

Non abbiate paura del Trifoglio, anzi, stiamo parlando di una delle piante più medicamentose e ricche di proprietà che la natura ci ha regalato. Sapevate che ad esempio esso è ricco di calcio, flavonoidi, vitamine e sali minerali? E che un thè fatto con le sue foglie e i suoi fiori essiccati, risulta essere indispensabile per una buona digestione? Ricco di estrogeni, aiuta anche le donne nei problemi mestruali o inerenti alla menopausa ed è così potente da essere considerato, in natura, il fitoestrogeno più importante. Con controindicazioni, tra l’altro, nei confronti di ipertensione, allattamento o gravidanza. Ciò significa che è proprio potente. Inoltre, depura l’organismo a livello epatico e intestinale e dona vigore ad una pelle spenta, invecchiata precocemente e disidratata. Oggi se ne fanno capsule e fiale da vendere in farmacia, un tempo invece, se ne servivano tramite decotti e tisane.

Oltre a tutte queste caratteristiche curative, il Trifoglio è anche molto buono da mangiare. I suoi fiori, ad esempio, potete tranquillamente metterli in insalata, crudi, condirli e gustarli. Sono buonissimi, dolci e vi faranno molto bene. Oppure, potete farne delle frittelle con la pastella. Sono fiorellini fatti a palla, a batuffolo, e possono essere di diversi colori: bianchi, porpora, rossi, rosa. Da noi, il più comune è questo che vedete nelle immagini, dal color violetto chiaro che tinge i prati di romantiche tinte ma è chiamato Trifoglio Rosso.

Si topi, il Trifoglio nasce nei prati, ai bordi dei sentieri o nelle aiuole ed è così particolare che il latte e il burro ricavato da animali che hanno brucato il Trifoglio assumono un gusto particolare, diverso dagli altri.

E lui se ne stà lì con la Melissa, l’Ortica, il Tarassaco, tutti insieme.

Simbolo dell’Irlanda è conosciuto però in quasi tutta Europa e significa, oltre che a fertilità e quindi nascita, anche famiglia e unione.

Nel Cristianesimo simboleggia la Trinità, la dottrina che unisce Dio Padre, suo Figlio e lo Spirito Santo. Tre entità unite, come tre sono le sue foglie.

E quando di foglie il Trifoglio ne ha quattro? Beh, si dice porti tanta fortuna in quel caso ma, purtroppo, è una tipologia da trovare davvero rara. In questo caso assume il nome di Quadrifoglio ed è semplicemente un’anomalia genetica ma, a tutti noi, fa ben pensare che sia di buon auspicio e così ben venga.

Ma, questa pianta, non è solo simbolica e salutare. Pensate che per gli antichi Greci e gli Egizi serviva anche da meteorologo. Ebbene sì, quando stava per piovere infatti, le sue foglie si rizzavano verso l’alto mentre, normalmente, sarebbero state aperte a ventaglio, orizzontalmente, intorno ad esso.

Fa parte della famiglia delle Leguminose e si dice che di esso ce ne sono addirittura più di 250 specie diverse.

Infine, tra i Celti, e più precisamente tra i Druidi, si riteneva che il Trifoglio fosse il cibo preferito dagli Elfi.

Il più comune che vi sto facendo conoscere, scientificamente, è nominato Trifolium Pratense. E’ perenne e sempreverde. Nella mia Valle ce n’è tanto anche nei pascoli e fiorisce da Maggio a Ottobre, fino a che il freddo non arriva.

Quando i suoi tocchi di colore andranno via, rimarranno le verdi foglioline a riparare un terreno che, nel mentre, si prepara per il prossimo anno.

E sarà meglio che iniziamo a prepararci anche noi mi sa. Inizia proprio a far freddino!

Prima di lasciarvi, anche se non c’entra nulla con il Trifoglio, vorrei però ringraziare e farvi conoscere la mia amica Cuky (Sonia – della quale un giorno vi parlerò sicuramente in modo più approfondito perchè lo merita) dal blog, direi buonissimo e goloso ma anche dettagliato e ricco di foto http://ideeintavola.wordpress.com/  la quale ha vinto e mi ha

automaticamente assegnato il “Wonderful Team Member Readership Award“. Grazie mille Sonia per avermi nominata, con tutto il cuore! Ed è un piacere per me condividere questo, con te innanzi tutto, e con tutti gli altri amici blogger con i quali, ogni giorno, possiamo approfondire tanti argomenti.

E ora, buona fortuna da signor Trifoglio, buon appetito dalla cuoca Cuky e un forte abbraccio da me. Ciao!

M.

La storia delle Api e del Miele – II° Parte

Bene, rieccoci qui, pronti a parlare del volo dell’Ape.

L’avevamo lasciata mentre imparava a fare quello per il quale è nata: volare. Le sue piccole alette trasparenti che si sono distese e lisciate, sono 4 e le permettono di compiere un volo davvero particolare. Eh sì, vi siete mai chiesti come può un corpo grande come quello dell’Ape essere sostenuto per così tanto tempo da due ali tanto piccole, molto più di lei e così fragili? Il paragone corpo-ala è davvero discutibile. Ebbene, topi, stiamo parlando di ali minuscole, ma che grazie a dei muscoli ai quali sono collegate, possono effettuare ben 230 battiti al secondo, creando un particolare vortice di aria sotto di esse che permette all’insetto di compiere un semplice volo, insieme a prodezze a quote vertiginose.

E non è finita qui: durante il volo, l’Ape può raggiungere la velocità di ben 25 km all’ora. Capirete, quindi, che non sarà difficile per colei che finora era una Sentinella, diventare presto una Bottinatrice. Le Api Bottinatrici, da come avrete capito, sono quelle che vanno alla ricerca di cibo e lo portano all’alveare. Il nutrimento – prevalentemente nettare – che queste Operaie recapitano nella loro tana e che viene suddiviso, rimane custodito dalle Api Ventilatrici. Sono Api che ronzano e sorvolano su di esso, sbattendo le loro ali. Lo fanno per mantenere una temperatura ambientale al di sotto dei 38°, altrimenti le Api andrebbero come in tilt, si surriscalderebbero e rischierebbero di morire. Inoltre, questo loro comportamento permette di disidratare e asciugare il nettare portato. Essicandolo e rendendolo come liofilizzato, non può marcire. Che lavoraccio! Sono Api che spesso muoiono di stenti e fatica. La fase dell’Ape ventilatrice, infatti, è l’ultimo stadio vitale di un’Ape Operaia.

Avete visto quanti ruoli e che ordini ben  precisi devono seguire? Pensate che, addirittura, quando sono delle Bottinatrici non portano a casa il cibo che vogliono. Ci saranno quelle che si occuperanno di trasportare acqua, quelle che si poratre Propoli, quelle adatte al nettare e, infine, le raccoglitrici di polline. Che organizzazione affascinante!

Come faranno a distinguere così bene tutto ciò che le circonda? E’ stato persino studiato che, per un’Ape, ogni fiore ha un sapore diverso da un altro. Pensate! Be’ ma stiamo parlando di un’insetto con occhi e antenne particolarissimi. Gli occhi sono come 5.000 faccette che guardano in ogni direzione, mentre le antenne, che fungono anche da naso e lavorano insieme alla ligula per assaggiare, sono utilizzate pure per comunicare. Il polline rimane attaccato ai microscopici peletti delle loro zampe e si stacca solo all’interno del favo, quando l’Ape, passando da porticine grandi appena quanto lei, se lo scrolla di dosso. Il favo è una struttura pazzesca. Le Api sono veri e propri geometri o architetti. Sono riuscite per istinto a creare quella che ancora oggi, da vari studiosi, è considerata la costruzione geometrica perfetta. E’ formato dalla famosa Cera d’Api, un prodotto naturale e vergine composto solo di acqua ed escrezioni ghiandolari. L’Ape usa questa cera per costruire l’apparato architettonico del suo favo, le celle che accudiscono le larve, così come le celle nel quale viene immagazzinato il cibo. E com’è buona da masticare! Esce fuori tutto il succo del miele.Forse saprete che era il chewing-gum dei nostri nonni. Senza molto gusto, riesce a essere masticata più volte, essendo gommosa e leggermente elastica. I detergenti, inoltre, sono a base di cera d’Api e ottimi per pulire, con questa cera si possono fare mille cose, come le candele.

E ora veniamo ad altri preziosi regali che le Api fanno anche a noi altri esseri viventi; abbiamo nominato il Propoli, che utilizziamo costantemente sotto forma di pasticca effervescente o di sciroppo o in gocce. E’ amarissimo, ma molto salutare. Poi c’è il famosissimo Miele, prodotto dalle sostanze zuccherine di piante e fiori delle quali le Api si nutrono. Esso, infatti, a seconda di dove le Api hanno casa, può essere di diverse tipologie: di millefiori, di castagno, di acacia, di agrumi, di timo… Deriva dalla Melata, la sostanza prodotta e rigurgitata dopo aver ingerito il nettare, e viene poi lavorato in uno speciale macchinario chiamato smielatore, da qui si ottiene il termine di smielatura, ossia l’ottenere il Miele. Quest’ultimo è costituito da polline, glucosio, acqua e fruttosio ed è dolcissimo. Si riconosce che è maturo e si può utilizzare quando le Api Ventilatrici lo hanno prosciugato circa dell’80% dei liquidi in eccesso. Il miele è anche elemento protagonista dell’Ambrosia, la bevanda prediletta dagli dèi.

Infine, ecco la Pappa Reale, uno dei prodotti più pregiati delle Api. Mica crederete che solo la futura Regina può farne uso per tutta la vita! Oh no, anche noi! E quanto ci fa bene! Le Api Operaie, invece, possono assumerla solo per i primi tre giorni di vita, mentre il Fuco non la vede passare neppure da lontano. Attenzione, però: essendo considerato un prodotto vivo e dall’importante valore nutrizionale, è bene conservarlo in frigorifero e assumerne pochissimo al giorno. E’ molto nutriente e può far ingrassare. E’ prezioso perchè per produrne solo mezzo chilo – il massimo che possa arrivare a produrre un favo ben avviato – necessita tutta l’estate di tempo. E’ utile per chi si sente stanco, per i cambi di stagione e per i bambini in crescita.

E allora, topini, vi è piaciuta questa storia sulle Api, sui loro prodotti e su quanto siano indispensabili per noi e per la natura? Questo è quello che ho imparato a conoscere, ma il mondo delle Api è un tuttora studiato da ricercatori di ogni parte della Terra e ancora oggi si scoprono segreti che solo loro, le Api, conoscono. E’ un insetto che convive con noi dai tempi più antichi, che ha soddisfatto gli Egizi così come i Romani. I Greci pensavano che quando un’Ape entrava nella bocca del defunto, sarebbe potuto resuscitare. Sapete cosa diceva Albert Einstein dell’Ape? “Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”.

Instancabile lavoratrice, impollinatrice d’eccezzione, grande produttrice, simbolo di casati nobiliari e dal significato altrettanto importante: la Natura sotto ogni sua forma. Colei che fa, disfa e rifà. Proprio come lei, l’Ape. Penso che non si arriverà mai a svelare completamente quest’universo a sè, ma spero comunque di avervi dato utili informazioni.

Buona giornata a tutti, alla prossima!

Presuntuosa Cipollina

Solo Niky, a mio avviso, poteva avere nel suo orto, un’erba Cipollina così bella e rigogliosa.

Guardatela, sembra un insieme di eleganti fiori da bouquet. E si, devo svelarvi un segreto sulla mia amica: è una bravissima cuoca e tutto quello che può servire per preparare ottimi pranzetti lei deve averlo a portata di mano.

L’Erba Cipollina immagino sia tra i suoi ingredienti preferiti, in quanto, questo vegetale rende i piatti gustosi e particolari. E’ una spezia davvero fuori dalla norma!

E’ per questo che, signora Cipollina, si vanta un pochettino nel suo mondo di piante aromatiche e si crede di essere chissà chi, ma tutti i torti non ce li ha.

L’Allium Schoenoprasum, questo il suo vero nome, difficilissimo, fa parte del genere delle Amarillidacee e della famiglia delle Liliaceae ed è innanzi tutto antichissima. Come lei, anche la Cipolla, l’Aglio e il Porro, appartenenti allo stesso genere, erano conosciuti fin dai tempi dei Romani e dei Greci.

Il suo nome deriva da “irritante” e direi che questo termine le si addice in tutto per tutto. Persino il suo profumo è pungente.

Nasce da un bulbo, i suoi fiori sono a ciuffo e di colore viola. Uno splendido violetto chiaro.

Ha bisogno di parecchia acqua. I suoi delicati tronchetti, al loro interno, sono vuoti, proprio per poter fare rifornimento di liquidi. Ama infatti le zone umide e le regioni più a nord. Nasce un pò ovunque però e, nella mia Valle, abbiamo anche quella di specie alpina, un pò più delicata di quella più comune.

Le sue proprietà sono tantissime, lo sapete che ve le cito sempre. Tra le più importanti, posso dirvi che è antisettica, ipoglicemizzante, cardiotonica e, per la sua azione disinfettante, risulta anche essere un ottimo vermifugo e funghicida. Inoltre essa è parecchio ricca di sali minerali. Ne contiene davvero tanti e in grande quantità.

Io la chiamo il “Prep” del prato, proprio come la pomata. Quella pomata che ha più anni di me ma la si usa ancora. E’ ideale infatti da passare su scottature solari e punture d’insetti. E provate anche a usarla se avete l’acne, vi darà delle soddisfazioni! E’ semplice, ne pestate un pò dentro ad una ciotola e poi, l’intruglio ottenuto, ve lo spalmate sul viso. Se sentite bruciare in modo troppo fastidioso però, sciacquate subito.

Il significato del suo nome indica “qualcosa di caldo” ossia, che si sente, che c’è e infatti, l’erba Cipollina, indica armonia ed equilibrio. Quando ci sono queste due cose tutto è perfetto! E la signora Cipollina crede di essere altrettanto praticamente!

Ma parliamo anche di cucina perchè c’è una ricetta che vi vorrei svelare davvero sfiziosa! La salsa di erba Cipollina! E’ molto semplice, dovete triturare l’erba e farla rosolare con un cipollotto tagliato fine fine e la noce moscata. Aggiungete farina e acqua quanto basta per ottenere la giusta densità. Latte e burro. Salate e pepate. Una volta fredda, aggiungete, solo se vi piace, dello yogurt. E’ buonissima! Adatta per le insalate, da spalmare sul pane o da usare come la maionese.

L’Erba Cipollina topi, nasce spontanea, non stupitevi quindi se nel vostro giardino ieri non c’era e oggi si. Anzi, consideratevi fortunati! Ad esempio, se viveste in qualche nordico paese, sareste addirittura considerati dei privilegiati. I folletti buoni sapete, portano sempre con loro dell’Erba Cipollina per sconfiggere quelli più pestiferi! Secondo me potreste provare anche voi se si avvicina qualche impertinente! Addirittura c’è chi la trita e la lascia poi cadere davanti alla soglia di casa. Tiene lontani gli spiriti maligni e poco desiderati.

L’Erba Cipollina è buona da usare fresca, appena colta, oppure secca e sbriciolata. Ottenerla così non è difficile. Una volta raccolta fatene dei mazzi, legateli e appendeteli a testa in giù al sole. Niente forno e niente sacchetto di carta, datemi retta! Così facendo avrete tutto l’anno a disposizione dell’ottima erba cipollina da usare quotidianamente.

Anche per fare il bagno ad esempio! Si! Riempite la vasca e fate poi cadere nell’acqua, i pezzettini della vostra erba ottenuti, un pò come se fossero sali da bagno. Quando uscirete vi sentirete più freschi e più profumati e… sentitevi anche tranquilli, non puzzerete di cipolla! Un bacione!

M.