Caffè all’Anice a Badalucco

Perché qui, in Valle Argentina, non si è monotoni e privi di idee e, anzi, alcuni usi briosi diventano delle vere e proprie tradizioni che si tramandano e piacciono anche ai posteri.

Vi parlo del caffè che si beve nel paese di Badalucco e che i badalucchesi gradiscono maggiormente se… corretto all’Anice.

Una delizia che, col tempo, ha preso piede in tutta la Valle e ogni locale ha questo particolare liquore.

Il dolce e vivace sapore di Anice, mescolandosi al caldo aroma del caffè, crea una bevanda piacevole e graditissima che alcuni offrono persino ai bambini e che, in questo paese della Valle assume il significato di: casa, ricordi, bontà.

Vi sto parlando di un Anice particolare e considerata da tutti la migliore. Si tratta dell’”Anice Ranzini” la quale non la si trova nei supermercati e nemmeno nei vari paesi ma, in quel di Badalucco, la si può invece acquistare persino in bottiglioni da 2 lt. per farsi così la scorta!

Il caffè corretto Anice è talmente apprezzato in questo luogo che persino il giorno della Festa dedicata alla Madonna della Neve, il 5 di Agosto, la gente si ritrova nel cortile del Santuario, all’aperto, a gustare questa bevanda.

Nelle tane dei badalucchesi non manca mai una bella bottiglia di Anice ed è simpatico leggere sull’etichetta di codesto liquore, l’aggettivo “bevanda spiritosa” forse perché fatta con l’alcool chiamato anche – spirito -.

Io non sono astemia ma non bevo liquori o amari vari. Quando, tempo fa, mi è stato offerto il caffè con questa correzione ho ovviamente rifiutato, convinta che sarebbe stato per me imbevibile.

La mia cara amica, che quel giorno mi aveva ospitato, mi ha detto << Non sai quello che ti perdi! Te lo correggo io che conosco bene le dosi (soprattutto di chi all’inizio non ne vuole sentir parlare) e vedrai che elisir! >>.

Provai a rifiutare ancora, convinta di sputacchiare quella che per me sarebbe stata una bevanda disgustosa ma, alla fine, dovetti cedere alle insistenze benevoli di quella donna che sapevo essere una Maestra in cucina.

Mi offrì quella calda tazzina e già il profumo che si elevava nella stanza mi stava rapendo.

Avvicinai le labbra quel poco per toccare il liquido marrone e… e niente… era buonissimo! Non credevo alle mie papille gustative e non potevo credere al fatto che stavo bevendo un caffè corretto! Io?!?!

Ebbene Topi, vi assicuro che mi è sceso fino alla punta della coda! Era sublime, davvero gradevole.

Scalda e fa digerire, lasciando in bocca un sapore inimitabile che perdura a lungo.

Pensavo fosse solo un’abitudine della mia cara amica e della sua famiglia invece essa mi raccontò che per tutti i suoi compaesani funziona così.

Non si è certo obbligati a bere il caffè corretto se non piace, ma sono pochi quelli che, a Badalucco, il caffè lo bevono normale!

Bene, ora che sapete cosa ordinare se vi trovate in questo antico borgo, io vi saluto e corro a preparare un altro articolo per voi.

Fidatevi di me! Vi giuro che non sopporto i liquori, eppure… insomma, ha un gusto fantastico!

Un bacio gustoso a voi!

La Feijoa – scrigno di virtù

Topi, voglio farvi conoscere un frutto che non è autoctono della mia Valla ma la Valle Argentina gode di un clima talmente meraviglioso che può nascere e crescere in lei qualsiasi specie di flora. Anche quella tropicale.

Vi presento infatti una pianta dell’America Latina e si tratta di una pianta che dona frutti buonissimi dal gusto davvero particolare. Un sapore che sembra un misto tra fragola e ananas ma che dipende anche molto dal suo stato di maturazione. E’ comunque inferiore al profumo emesso che è invece dolce e intenso.

Si tratta della Feijoa o, scientificamente conosciuta con il nome di Acca Sellowiana capace di regalarci frutti, dal gusto fresco e estivo in pieno autunno e in inverno.

Ce ne sono diverse piante in Valle e fanno tutte dei fiori stupendi infatte vengono coltivate anche come piante da giardino.

I frutti maturano prevalentemente a inizio autunno e cadono da soli dalla pianta. Questo suggerisce che sono pronti per essere mangiati, altrimenti, la scorza spessa e verde che ricopre la Feijoa non permette di capire la maturazione del prodotto.

Una buccia in grado di difenderla.

Al suo interno, se tagliato a metà, il frutto grande come un Lime, presenta il disegno di una specie di stella e può quindi essere utilizzato anche per decorazioni di piatti in cucina.

La sua polpa è simile a quella della mela, anche se più pastosa, e stando all’aria si scurisce e diventa ancora più giallognola. Non matura però, come la mela, in un secondo momento una volta staccata dalla pianta madre.

Si tratta di un frutto ricco di proprietà benefiche. Contiene molto iodio e i suoi semini hanno una funzione antibatterica per noi. La polpa è un ottimo antiossidante e, in cosmetica, viene usata come tonificante ed emolliente.

Tanta la Vit. C e i Sali minerali che la contraddistinguono e che effettuano sulla pelle un incredibile effetto anti-age.

Ma le sue virtù non sono presenti solo nel frutto. Le sue foglie, molto adatte per calde tisane visto il periodo, rinfrescano, ammorbidiscono ed elasticizzano i tessuti.

La Feijoa è una bellissima visione che appare quando il mondo attorno a noi diventa grigio a causa dei temporali autunnali o bianco per via della neve. I suoi fiori rosa e i suoi frutti verde vivo, sembrano un toccasana per gli occhi e il cuore.

Si consiglia per questo di tenerne una sul terrazzo anche perché tanto è molto robusta e non patisce neanche il gelo.

Cosa ne dite Topi?

Ve l’ho fatta una bella sorpresa oggi vero? Un bacio ricco di virtù a voi!

La Cucina Bianca della mia Valle

Parlo spesso della Valle, dei suoi panorami mozzafiato, della sua rigogliosa vegetazione e degli animali che la abitano, ma mi soffermo troppo poco sull’aspetto culinario, sull’importanza di questa arte antica e apprezzata ancora oggi.

Quella delle Alpi Liguri e Marittime è definita “Cucina Bianca”. Infatti, a prevalere sono i colori chiari, ma la povertà delle tinte non si rispecchia nel gusto, che invece è ricco e reso unico dai prodotti che la terra offre.

Porri, aglio, cipolle, patate, cavoli, funghi, lumache, fagioli, formaggi, uova, castagne, farina… c’è tutto in abbondanza e le ricette sono antiche, testimoniano lo scandire del tempo di uno stile di vita ormai quasi perduto del tutto. È una cucina talmente preziosa che a essa è stato dedicato un percorso di 70 chilometri quadrati che coinvolge le valli Argentina e Arroscia, sconfinando persino in Francia e Piemonte.

strada della cucina bianca - alpi marittime

La Strada della Cucina Bianca – Civiltà delle Malghe, così è stata soprannominato il percorso, collega i comuni di Cosio di Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte, Pornassio, Triora, La Brigue (in territorio francese) e Briga Alta (Cuneo).

Come dicevo, i prodotti di questo tipo di cucina sono antichi, ma si possono gustare ancora oggi. Ricette della tradizione popolare sono sopravvissute allo scorrere del tempo grazie a pastori e contadini che hanno a cuore le loro radici, non le dimenticano, e resistono con tenacia alla modernità. Un tempo ci si doveva arrangiare: si trascorrevano molte ore sui pascoli alti, il lavoro era duro e c’era bisogno di piatti semplici e nutrienti da poter preparare velocemente.

Il formaggio della mia Valle ha i sapori e i profumi della montagna, grazie all’erba brucata dalle capre, dalle pecore e dalle mucche.

toma di mucca - formaggio ligure - cucina bianca - triora

E, a proposito di questo, nella zona si allevano ancora gli ovini di razza brigasca. È nato persino un presidio Slow Food per il sostentamento della produzione di tome a latte crudo di questa pecora. Insomma, non è una cucina da poco!

pecora brigasca presidio slow food

Continuando a parlare di formaggi, in Valle è da sempre molto usato il brüssu – o bruzzo – ottenuto dalla fermentazione della ricotta. È cremoso, spalmabile e ha un gusto molto forte, per questo non piace a tutti.

Si accompagna con fette fragranti di pane di Triora, prodotto ancora oggi con la ricetta di un tempo. Parlando di questo pane meraviglioso, mi vengono in mente tanti ricordi della mia infanzia, quando ero una topina e vivevo a casa dei miei topononni. Facevo colazione con latte e biscotti, poi mi preparavo per andare a scuola e topononno, non soddisfatto dal mio primo pasto mattutino, mi metteva in una zampina una fetta di “Pane del Nonno”, come lo chiamavo allora, e nell’altra un tocco di formaggio. E così affrontavamo insieme la strada verso la scuola, mentre io davo un morso ora all’uno, ora all’altro.

pane di triora

Il pane di Triora arriva fin sulla costa, dove è venduto anche nei supermercati. È richiesto, rinomato e apprezzato da tutti perché ha un sapore unico, antico e inconfondibile. Acquistato ancora caldo al panificio Asplanato di Triora, però, ha tutto un altro sapore! Camminando per le vie del borgo si può sentire il suo profumo invitante spandersi nell’aria e allora è doveroso entrare nel forno e acquistare una forma per assaporarla ancora fumante, facendo attenzione a non ustionarsi le zampe e la bocca. I segreti di questo pane sono molti e non possiamo conoscerli tutti, ma sappiamo che è realizzato con farina di tipo 1, meno raffinata e più integrale rispetto alla 00. L’impasto viene fatto riposare su un letto di crusca per non farlo attaccare, ma anche per dargli un sapore più rustico. La crosta è sottile, scura come la pelle di chi inizia ad abbronzarsi in estate, trascorrendo tante ore sulla montagna. È un pane nutriente, adatto a offrire la sua genuina energia a chi ne aveva tanto bisogno per il duro lavoro.

Il brüssu, però, non si accompagna solo al pane. Infatti, è protagonista di un altro piatto tipico delle mie montagne: i Sugeli.

Sono gnocchetti realizzati solo con acqua e farina ai quali, tramite le dita, viene data una forma simile a quella dell’orecchietta pugliese. Si “suggella” in questo modo la forma dello gnocco, forse è anche per questo che si chiamano così. Il loro nome, tuttavia, pare avere origine dall’omonima parola ligure “sügélu“, che indica uno strumento che serve per fischiare. Anticamente, infatti, i nonni forgiavano questi strumenti dalle canne o dal bambù e il pezzo che si introduceva in bocca per emettere il suono desiderato aveva proprio la forma che si dà allo gnocco, esattamente come quello della terza foto qui sopra.

I Sugeli, ad ogni modo, vengono conditi con la crema di brüssu e sono un piatto semplice da preparare.

Scendendo un po’ più verso valle troviamo altre squisitezze, come la Frandura (di cui vi ho parlato qui), una squisita torta di patate tradizionale di Montalto Ligure. Roba da leccarsi i baffi, cari topi!

Frandura

Proprio sotto Montalto esiste un’altra esclusiva della mia bella Valle: i Rundin di Badalucco, fagioli bianchi antichi e tipici baiocchi.

In tutto questo mordi e fuggi di antichi piatti e sapori, non vi ho parlato di un ingrediente essenziale della cucina montana: le erbe aromatiche. Sono onnipresenti e, senza di loro, i piatti sarebbero meno profumati. Timo, Maggiorana, Santoreggia, Lavanda, Ginepro, Rosmarino… ci si può davvero sbizzarrire, perché sui monti crescono spontanee e profumatissime, grazie all’aria pura e fresca.

A proposito di fresco, bisogna ricordare che un tempo non esistevano strumenti per la lotta a parassiti e insetti. L’unico modo che permetteva ai cibi di non deteriorarsi era proprio il freddo pungente delle montagne.

Avete notato che non ho parlato di carne? C’è un motivo, e ve lo spiego subito. Un tempo – e si parla soprattutto della popolazione povera di pastori e agricoltori – non era così frequente cibarsi di animali. Il bestiame serviva per la lana, il latte e i formaggi, mentre le galline venivano tenute per le uova. La macellazione di un animale avveniva raramente e in occasioni speciali e di esso si usava tutto, ma proprio tutto. Nulla andava sprecato. L’uomo delle malghe si cibava per lo più di farinacei, legumi, ortaggi e latticini, qualche volta mangiava il coniglio, ma molto raramente sacrificava un capo del proprio bestiame.

E qui possiamo parlare anche di un altro piatto della cucina ponentina ormai diffuso in tutto il territorio nazionale, il coniglio alla ligure. È arricchito dalle olive taggiasche e dall’olio che esse producono, unico e inconfondibile, oltre che dalle preziose erbe aromatiche e dal vino rosso.

Insomma, come vedete ce n’è per tutti i gusti, altro che cucina povera!

In Valle Argentina e nelle zone limitrofe che fanno parte della Strada della Cucina Bianca sono numerosi gli eventi legati alla gastronomia in cui si possono assaggiare i prodotti tipici, di seguito ve ne segnalo alcuni della mia Valle, ma ce ne sono un’infinità:

  • Sagra dei Sugeli – Verdeggia (inizio agosto)
  • Sagra della Frandura – Montalto Ligure (seconda metà di agosto)
  • La Sagra della Lumaca – Molini di Triora (inizio settembre)
  • Fungo nel Borgo –  Triora (fine settembre)
  • La Festa della Castagna – Andagna (seconda domenica di ottobre)

Non vi resta, dunque, che segnarvi tutto sull’agenda e venire a gustare da noi queste prelibatezze!

Ora vi saluto, con le zampe sporche di farina ho imbrattato tutto il computer, vado a finire il mio capolavoro culinario.

Un abbraccio farinoso,

la vostra Pigmy.

(Un enorme grazie a Gianna Rebaudo per il suo prezioso aiuto fotografico. Squit!)