Generosa Flora sopra Il Pin

Beh, che i fiori, in Valle Argentina, in questo periodo, siano i protagonisti assoluti non ci piove. Ed è giusto che sia così. Siamo in primavera, ormai alla fine, stiamo sfiorando l’estate ed è bellissimo vedere le loro forme davvero uniche e i loro colori.

Oggi però vorrei portarvi a vederne di particolari in un luogo altrettanto particolare. Si tratta di fiori che nascono nei prati, a bordo strada, ma anche su alberi e, insomma, creano un ambiente incredibile.

Andiamo dopo Realdo, dopo Borniga, oltre Il Pin, località così chiamata vista la grande presenza di Pini, salendo per andare verso l’inizio del sentiero che conduce ai Parvaglioni e possiamo godere di un luogo meraviglioso, pezzo di un paradiso unico.

Meraviglioso perché la natura qui dona il meglio di sé. C’è tanta vita soprattutto regalata dalla flora.

Ad accogliermi, dall’angolo di un grande prato, c’è una piccola comunità di alberi. Sono dei Larici. E’ curioso vedere come i più piccoli e giovani siano difesi da quelli più adulti e saggi che li circondano proteggendoli dal perimetro del boschetto. Sotto di loro è come essere dentro ad una capanna, un tepee indiano e l’ombra è così scura e fresca che sembra di aver oltrepassato un portale che porta in un’altra dimensione. Le loro fronde cadenti sono come tende vive e ci si sente accolti.

Esco da quella biocenosi dopo aver respirato il loro profumo balsamico e aver accarezzato i licheni che ricoprono quelle ruvide cortecce perché molto altro mi aspetta.

Sulla soglia un innocuo Orbettino (Anguis Veronensis) mi saluta e meno male perché quasi non l’avevo visto anche se è più lungo di me. Tranquilli, non è un serpente ma una Lucertola un po’ particolare che ha perso le zampe durante la sua evoluzione.

Riprendo a zampettare in su fino ad arrivare in un pezzo di strada che sembra dorata. Questo bellissimo colore è dato dalle cascate dei Maggiociondoli in fiore che, con i loro gialli grappoli, creano un portico suggestivo lungo la via. Si tratta di un albero tossico ma meraviglioso. E persino utile. Il suo legno, che si confonde facilmente con l’Ebano, soprattutto nei soggetti più anziani, era venduto un tempo al posto di quest’ultimo e ancora oggi infatti è conosciuto come “Falso Ebano”.

Passo sotto a quei numerosi e piccolissimi soli, in un mondo tutto giallo, e mi sembra di sognare. Non avevo mai visto tanti Maggiociondoli così assieme anche se, in Valle Argentina, ce ne sono davvero parecchi.

Mi viene in mente il Monte Pellegrino che, in questo periodo, è praticamente giallo!

Dopo aver percorso questo viale ritorno al grande prato e questa volta vengo rapita da un insieme di fiori di campo uno più bello dell’altro.

Persino i fiori, abbastanza classici, di Trifoglio qui sembrano ancora più belli, sono come grandi e morbidi pon pon che dal bianco arrivano alla tonalità fucsia e sono stupendi. Anche altri sembrano palline e assomigliano al Trifoglio anche se non lo sono. Quasi quasi me ne prendo due da mettere come cuscini nel mio guscio di noce.

Ma ci sono anche i Non ti scordar di me e la Veronica, conosciuta anche con il nome di Occhi della Madonna per via del colore blu intenso dei suoi minuscoli petali.

I campi sono completamente in fiore e tutta quella manna è una delizia per molti insetti.

Mi inoltro in un bosco che scorgo oltre il prato. I fiori non mi abbandonano. Ripensando agli insetti mi viene in mente che qui possono sfamarsi davvero quanto vogliono.

L’erba è alta eppure questi fiori sono così colorati e variopinti che spiccano in quel verde vivace. La parola “verde” deriva dal Latino “viridis” e significa “vivere”. Che bellissimo significato vero? Lo sapevate?

E infatti qui, chiunque ritroverebbe la vita. Si respira nuova vita. Perché tutto è vivo e palpitante.

Anche questa volta spero di avervi fatto cosa gradita portandovi con me a vedere tanta bellezza ma ora dobbiamo lasciarci perché un nuovo articolo mi aspetta tutto da scrivere.

Vi mando quindi un bacio floreale e vi aspetto per il prossimo tour.

Racconti da osservare nella forma delle rocce

Avete mai fatto caso a come ci parlano le rocce Topi? Sicuramente utilizzano uno dei linguaggi più antichi di Madre Terra.

Le rocce appaiono tutte uguali per chi non sa osservarle ma non è assolutamente così. Ognuna ha il suo passato, ha visto e vissuto cose, situazioni, persone. Alcune hanno assunto col tempo forme strane e certe sembrano persino avere una personalità. Ma venite con me, andiamo a vederle da vicino e proviamo a fare la loro conoscenza.

Occorre prima di tutto sapere che in Valle Argentina si incontrano prevalentemente l’Arenaria e l’Ardesia ma molte altre pietre e altri minerali formano questo angolo del pianeta e, tutti, sono qui da tanti tanti anni.

Qualcuna forma gigantesche e severe montagne, altre, più umili invece, ma utili anche loro, sono oggi rocche o piani o poggi.

Se si va al Pin e ci si inoltra verso la Foresta del Gerbonte, le rocce che si incontrano e ci sovrastano sono così grandi e austere da farci sentire piccoli come insetti. Tra di loro passa l’aria della nostra voce e non è difficile godere del fenomeno dell’eco.

Sono rocce vecchie, sagge, padronali. Vere e proprie montagne che si sono formate a causa dell’orogenesi che c’è stata tantissimi anni fa, più precisamente tra i 90 e i 40 milioni di anni fa.

Si tratta di rocce contenenti anche materiali oceanici, come molte altre d’altronde, e diversi fossili ancora presenti soprattutto nei calcari argillosi e sabbiosi.

Sono alte falesie che godono di una vista mozzafiato su tutta la parte dell’Alta Valle Argentina.

Ad incutere timore, visto il loro aspetto severo, sono anche le pareti del Monte Pietravecchia così alte e massicce che dal basso non si riesce a vedere la loro fine e sembra riescano a toccare il cielo.

Accarezzarle significa ascoltare una voce profonda che esce dal cuore della terra e dopo la meraviglia iniziale si china il capo colmi di rispetto.

Queste rocce così possenti sono molto diverse da quelle fatte a guglia del Monte Toraggio, meta ideale di Gracchi Alpini.

Impertinenti e affilate svettano verso l’alto col quel fare presuntuoso. Forse perché sanno di essere su un monte maestoso e amato da tutti.

Di lui ne formano anche il profilo del viso di un uomo che, se visto da lontano, pare addormentato. Briose come le farfalle e le cicale che gli svolazzano attorno.

Restando in questi paraggi e andando verso la Gola dell’Incisa, proprio di fianco ad una parete del Toraggio, non si possono non notare i Flysch cioè stratificazioni di rocce sedimentarie che formano delle linee indicanti le alternanze cicliche.

Sembrano serpenti in rilievo in un moto ondulatorio. Dal Passo della Guardia a Verdeggia esiste un sentiero chiamato proprio “Sentiero dei Flysch”.

Prima di Verdeggia, subito dopo il Ponte di Loreto, grandi rocce chiare sono usate anche come palestra di arrampicata, si tratta di una falesia soleggiata chiamata appunto “Rocce di Loreto” alta circa 700 mt. a strapiombo sul Torrente Argentina.

Si tratta di rocce che hanno visto molta disperazione. Il Ponte di Loreto, per molti anni il ponte più alto d’Europa, è stato teatro purtroppo di diversi suicidi e non oso immaginare ciò che queste rupi hanno vissuto.

Verso il Passo del Garezzo, dove alcune pietre danno i natali al Torrente in un punto chiamato “Ciotto dei Fiumi”, si percepisce più dolcezza. Il Muschio e il Capelvenere conferiscono loro morbidezza e colore.

L’umidità delle frizzanti goccioline rende quel tratto di strada più allegro e alcune pietre sono più arrotondate consumate dal passaggio dell’acqua.

In quei pressi ci sono rocce più piccole a dare protezione e regalare un habitat naturale ai Camosci.

Sorvolate dall’alto da Aquile, Nibbi e Gheppi offrono nascondiglio anche a diversi animaletti spesso prede dei nobili rapaci.

Queste rocce mostrano l’apertura della Valle in tutto il suo splendore e sembrano formare una cinta difensiva. Se quelle che abbiamo visto prima potevano ricordare Alpini e Partigiani, queste rivelano le giornate di Pastori e Commercianti.

Al Ciotto di San Lorenzo, invece, si incontrano massi bianchi dalla forma cubica che hanno una lunga vita da raccontare piena di vicissitudini e misteri che riguardano popoli antichi e persino streghe.

Su di loro venivano sacrificati animali e il loro essere tozze e quadrate permetteva la costruzione di ripari, tombe e altari.

C’è anche Rocca Barbone, il dente anomalo della Valle. Col suo fare solenne spunta prima della Catena del Saccarello e sembra voler dire alle montagne più alte dietro di lei << Non mi volete tra di voi? E io sto qui lo stesso! >>.

Sul suo cocuzzolo un bel prato è il giaciglio perfetto per Caprioli e diverse specie di uccellini. Le sue pareti sono nude e aspre ma la sommità è un verde tappeto.

E poi, ovviamente, non posso non ricordarvi della mia dolce e materna Nonna Desia, la mia antica e saggia Nonna in Ardesia, che spesso vi ha raccontato al posto mio storie arcaiche della Valle e anche adesso è qui con me.

Vero Nonna? << Scì me belu ratin >> (Si, mio bel topino).

Prima di concludere questo articolo, però, ho voglia di farvi vedere ancora una cosa particolare e cioè le forme bizzarre che a volte le rocce della Valle Argentina possono assumere.

Guardate queste immagini. A sinistra, una parte di roccia che forma il Poggio del Foresto, dopo il paese di Corte, sembra avere la forma di un rapace, mentre a destra, sotto al paese di Borniga un’altra roccia sembra una Cicala. Non lo trovate buffo?

E voi avete mai notato altre strane figure tra le montagne di questo luogo magico?

Aspetto le vostre foto e intanto sgattaiolo a prepararvi un altro articolo interessante.

Un bacio granitico tutto per voi!

Dal Pin a Creppo seguendo Rio Infernetto

Rio Infernetto è un ruscello che rotola giù per il Monte Gerbonte andandosi poi ad unire con il Torrente Argentina nei pressi di Drondo, antico e minuscolo abitato di un tempo, nei dintorni di Creppo.

Oggi percorriamo più o meno la sua strada, incontrandolo di tanto in tanto sul nostro cammino, ma costantemente accompagnati dalla sua voce vivace.
Decidiamo infatti di vivere il Gerbonte e i suoi magnifici boschi andando in discesa, verso valle, partendo dal Pin, località dell’Alta Valle Argentina situata sopra Borniga, per arrivare fino al paese di Creppo vicino al ponte di Loreto.
Ci serviranno circa due ore di cammino o anche di più se si è appassionati, come me, di fotografia e di osservazione.
Si inizia questo meraviglioso percorso da un sentiero scavato tra le rocce nude dove la vegetazione, accanto alle nostre zampe, scarseggia.
Un sentiero che vi avevo fatto conoscere qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/15/alla-conquista-del-monte-gerbonte/ e che, come ripeto, è adatto a chi è esperto vista la mancata protezione a valle, il profondo dirupo sul quale sorge e il suo essere molto stretto in alcuni punti.
Un sentiero un po’ ostico ma preludio di un bosco fatato che diventa, a metà percorso, una via comoda, pianeggiante, larga e morbida. È la via che ci condurrà a destinazione.
Si esce, pertanto, dai bastioni rocciosi – porte imponenti di questo castello incantato – che prima abbiamo visto dall’alto e adesso invece attraversiamo, e ci si inoltra in un bosco vissuto soprattutto da faggi incredibilmente grandi e contorti, bizzarri, fiabeschi.
I loro tronchi assumono varie forme e ci si chiede come abbiano potuto addirittura dividersi per poi riunirsi in quello che è più di un abbraccio eterno. Attraverso loro si possono facilmente immaginare figure, cose, mondi… mondi impenetrabili ma che ci concedono il passaggio come se fossimo dei prescelti. Non sto esagerando, ci si sente davvero fortunati e tutta quella maestosità, nella quiete di quel creato, permette di sentirsi particolarmente appagati e felici.
Guardandosi indietro si vede il territorio più brullo che abbiamo oltrepassato e, da qui, sembra più florido potendo vedere di lui anche la parte retrostante sopra Borniga, l’incantevole villaggio.
Rimanendo su questa comoda strada si scorgono anche prati all’ombra di faggi più giovani e di noccioli.
Risulta ovvio immaginare Caprioli brucare quel verde vivo nascosti tra i rami e l’erba alta. All’imbrunire, in quelle radure così magiche, sono certa che qualche strega arriva a danzare attorno a quegli alberi connettendosi a Madre Natura.
Caprioli però non ne ho visti, in compenso, non mi sono mancati i simpatici Camosci che, con il loro sguardo languido e il muso un po’ inclinato, osservano incuriositi mantenendo la distanza.
Anche più varietà di fiori iniziano a fare capolino e, tra questi, la pigra Lavanda che ancora non ne vuol sapere di sbocciare la si nota con il suo verde spento e argenteo. Il Timo, invece, tronfio e pomposo, si presenta vittorioso e lilla sulle pietre aride.
Solo il muschio si presenta ovunque, nemmeno fosse prezzemolo. Le sue mille sfumature ricoprono come arazzi di velluto la strada, le rocce e il legno degli alberi.
Continuando a scendere, ogni curva riserva una sorpresa. Ogni tornate si apre su un palcoscenico diverso da quello precedente: la pietraia, la brughiera, la gola di ginestre, la distesa d’erba, la macchia più fitta.
Tra queste pietre, d’estate, non manca certo la presenza di alcuni rettili. Da una di queste aperture si vedono bene Creppo e il ponte di Loreto. Così piccini da quassù! Abbiamo ancora tanto da camminare.
Più in giù, quando si giunge al ponte di Drondo e alla fine di Rio Infernetto, che qui forma un piccolo lago stupendo, un tempo vidi persino una biscia d’acqua spaparanzata sopra ad uno scoglio.
Oggi invece sono i gerridi a mostrarsi allegri, piccoli ragni d’acqua molto presenti lungo tutto il Torrente Argentina.
Prima di arrivare all’acqua, però, si passa attraverso i ruderi di Case Costa, una borgata che assieme a Case Drondo e Case Bruzzi formava piccolissime frazioni attorno al paese nostra meta.
Come ho detto, ora sono solo ruderi e muri a secco ma trasformano il paesaggio ulteriormente.
Il ponte che ci permette di attraversare quello che è diventato il Torrente Argentina, nel quale Rio Infernetto si unisce, è piccolo e in pietra. Bellissimo. Intimo.
Circondato da un verde che più verde non si può. Accanto a lui una piccola edicola contenente la statua di una Madonnina e, da qui, inizia un altro ombroso sentiero, classificato “sentiero n°9”, più breve di quello che abbiamo appena percorso, questa volta in salita, ed è spettacolare.
Spettacolare perché si passa sotto a Castagni secolari enormi. Magnifici. Si sente il desiderio di inchinarsi al loro cospetto. Sembrano dei Re immobili che, silenziosi, osservano il procedere di quella vita naturale.
La loro grandezza ti fa sentire piccino ma sanno di buono e di saggezza.
Dopo aver preso un po’ di sole, scendendo, ora ci stiamo rinfrescando sotto la loro larga chioma. L’ambiente appare più cupo e umido.
Solo qualche sprazzo di giallo lo colora e ancora si sente il cantare dell’acqua che fin qui ci ha accompagnato.
Adesso va via, verso fine Valle, mentre noi saliamo ancora raggiungendo l’asfalto, Creppo e la topomobile. Soddisfatti e pieni di energia.
Ho appena vissuto un’altra avventura splendida.
Un bacio secolare a voi!