Domenico Giordano – le Pipe di Badalucco

Buongiorno Topi!

Oggi sono entusiasta perché vi porto a conoscere una persona davvero speciale che svolge una professione speciale anch’essa. E’ antica, molto, ma soprattutto è originale e ormai quasi introvabile in Italia. Mi piace raccontare di cose belle e quando queste  prendono vita nei miei luoghi, nella mia Valle, mi fa ancora più piacere parlarne. E’ proprio qui, infatti, nella splendida Valle Argentina e precisamente ai margini del paese di Badalucco, che possiamo incontrare Domenico Giordano, un artigiano d’eccezione che ha fatto della sua più grande passione il proprio mestiere.

Un uomo ospitale, affabile e disponibile che ama parlare del suo lavoro e al quale s’illuminano gli occhi mentre mostra le sue splendide creazioni.

Il signor Domenico, dalla gentilezza disarmante, mi ha accolta nel suo laboratorio dove crea con la radica delle pipe meravigliose.

Lo definiscono l’ultimo maestro dell’arte della creazione della pipa; realizza pezzi unici, completamente fatti a mano e di incredibile bellezza. In tutta Italia sono rimasti in pochi a eseguire quest’arte, pare si possano contare sulle dita di una mano.

Nel suo laboratorio, illuminato da una luce al neon e adiacente a un grande magazzino, l’odore di legno persiste e penetra nelle narici, soprattutto dove un grande mucchio di pezzi di radica viene bollito per eliminare i tannini e rimane bagnato fino al momento della lavorazione.

La radica è la parte basale del fusto di alcune piante e comprende le radici stesse. Grazie alla sua nodosità, alla sua resistenza e alle sue sfumature risulta perfetta per diversi oggetti e, per le pipe in particolare, quella di Erica arborea è l’ideale.

Si tratta, infatti, di un legno duro e pregiato. L’Erica è una pianta, a mio avviso stupenda, considerata in tempi antichi ricca di magiche virtù e dimora delle fate. Con i suoi rami si creavano scope (il suo nome deriva proprio dal termine greco Kalluno che significa “spazzare”) capaci di spazzare via non solo la sporcizia, ma anche tutte le negatività delle case, come vi ho già raccontato altre volte. Una pianta purificatrice che, arsa, allontanava gli spiriti maligni.

Le sue venature creano affascinanti fantasie su ogni pezzo e Domenico ne esalta il disegno e il colore soprattutto attraverso la levigatura, sicuramente la parte più lunga, ma anche quella più spettacolare del suo lavoro, dove non solo l’oggetto si liscia e prende forma, ma mostra tinte naturali che seducono soprattutto gli appassionati e i grandi intenditori.

In realtà, sono pezzi talmente belli che ammaliano anche chi se ne capisce poco come me. Ci sono pipe molto grosse, tozze, pesanti.

Altre, invece, sono più fini, delicate, dalla forma longilinea. Ce ne soo di più scure, di un mogano intenso, mentre le più chiare sono quasi color della sabbia. Tutto dipende dal tipo di lavorazione. Diverse hanno anche forme buffe e particolari rappresentando animali o altri oggetti.

Alcune hanno la zona di combustione molto larga, altre invece piccola e stretta, potrebbe starci un Toscano; ci sono individui che amano fumare il sigaro lì dentro, soprattutto per non sprecarne l’ultimo tratto.

Ci sono pipe curve e dritte, pesanti e leggere, dalla testa tonda o cubica, per tutti i gusti e tutti gli stili, da quello più elegante a quello più rustico.

Domenico mi ha fatto vedere come usa i suoi attrezzi, che sono tanti, ognuno per uno scopo ben preciso e tutti fermi ad attendere la sua abile mano pronta a realizzare qualsiasi cosa.

A me ha fatto questa magnifica seggiolina in soli due minuti. Ma grazie! Da un semplice pezzo di radice, ecco uscire fuori un carinissimo complemento d’arredo. E’ comodissima, nella mia tana mancava proprio! Un piccolo trono degno di una Regina come me.

Con una grande lama circolare ha tagliato e intagliato il tocco di legno rigirandolo da varie parti… et voilà, un mobile tutto mio, per me che non fumo la pipa, ma potrei sempre imparare… me ne farò fare una fashion.

Conosciuto non solo in tutto lo Stivale ma anche in diverse zone del mondo, il signor Giordano ha realizzato pipe davvero per chiunque, persino per noti personaggi che da lui hanno acquistato pezzi di grande valore.

I prezzi di alcuni elementi sembrano stratosferici, ma se si pensa alla lunga lavorazione che c’è dietro a ogni singola pipa, nessuna cifra può equiparare l’attenzione, la fatica e la fantasia che vivono dietro queste realizzazioni. Ovviamente, nel suo studio si possono trovare pipe per qualsiasi tasca e si possono naturalmente ordinare come più si preferiscono, anche se sono comunque già molte quelle in esposizione e tutte belle e caratteristiche.

Sempre col sorriso sulle labbra, Domenico, dalle origini meridionali ma ormai abitante della Valle Argentina da quando era bambino, si presta a raccontare anche diversi aneddoti. Racconta anche di come negli anni, attraverso le varie richieste, il suo lavoro si sia modificato. Ci rivela cosa si richiedeva un tempo e cosa, invece, si preferisca adesso.

Per lui non ci sono né problemi né differenze: da quando era solo un ragazzo gli basta creare ed esegue opere d’arte. Sulle pipe conosce davvero tutto, è piacevole starlo ad ascoltare. E’ buono e generoso, per niente avaro, soprattutto in fatto di consigli.

Riuscire a trasformare quella che può essere una grande passione, o un hobby, in una lunga avventura che dura una vita è il sogno di molti e l’augurio per tutti. Occorre accendere e mantenere attiva quella luce che ognuno di noi ha dentro, ma che sovente si soffoca per timori o ritenendo impossibile realizzarla. L’energia è alla base delle scelte, più della mente e, nel caso particolare di Domenico, anche se può essere sembrata la testa la padrona con il potere decisionale in mano, accompagnata da tanta voglia, a dire l’ultima parola è stato, ed è tuttora, il cuore.

Buon lavoro Domenico e grazie ancora! E un bacione a voi Topini!

Una Tana davvero particolare

Nei due articoli “La storia delle Api e del Miele I° e 2° parte” scritti tempo fa, vi avevo ben spiegato la vita di questi insetti meravigliosi. Così importanti per la natura e per noi da far esclamare al saggio Einstein la frase – Se le Api si estinguessero, all’uomo resterebbero solo 4 anni di vita -.

In effetti, il loro lavoro è molto utile a tutti essendo che, oltre a creare il dolce Miele, grande toccasana naturale, si preoccupano dell’impollinazione dei fiori e permettono quindi un rinnovo costante della flora. E’ un po’ come se il mondo vegetale esistesse grazie a loro e, di conseguenza, ne possiamo godere anche noi.

Instancabili insetti. Laboriosi fino allo stremo e, oggi, posso dimostrarvelo avendo visto di persona una parte del loro lavoro e della loro quotidianità. Mi trovavo nella periferia di Arma, nella tana di campagna di alcuni cari topoamici. Dopo pranzo ci accorgemmo che, dentro a delle fessure di plexiglass, che rivestivano una porta per renderla più resistente alle correnti d’aria fredda, alcune Api stavano creando qualcosa di veramente fantastico: il loro alveare. Che design moderno!

Sì. Tanti mucchietti, color ocra, divisi ordinatamente da delle righe nere, riempivano queste fessure che sembravano essere state fatte apposta per loro. Ma cos’erano questi mucchietti gialli? Nettare. Potevamo vedere bene le Api affaccendate, entrare giuste giuste nella loro grandezza dentro a questi tubicini vuoti e, completamente sporche del goloso polline, iniziare a pulirsi meticolosamente rilasciando cadere la polverina magica che poi pressavano in un mucchietto compatto.

Dapprima si vedeva arrivare una piccola nuvoletta color del sole che poi, scuotendosi e accarezzandosi, perdeva il colore e mostrava l’insetto che c’era al suo interno. All’inizio si puliva bene il muso e le zampe anteriori, poi, piano piano si voltava e si girava, si puliva la parte dietro e iniziava a pressare la polverina persa in basso contro il blocco già esistente.

Una volta raggiunta la misura ideale della “celletta” creava un ulteriore strato con saliva, feci e terriccio, dal colore scuro, che serviva come divisore tra una culla e l’altra prima di iniziare la costruzione della cella seguente. Una striscia di grumi neri. E prima di formare questa divisione, studiava bene la situazione! Indietreggiava, controllava, osservava probabilmente se la grandezza andava bene e poi – Si, ok, posso chiuderla e passare alla prossima! -. Incredibile.

E pensare che per formare un pezzettino di giallo, grande circa un centimetro quadrato, faceva avanti e indietro come minimo 20 volte per andare a sporcarsi nuovamente di polverina. Che dedizione e…. che voglia! Non oso immaginare quanto tempo abbiano impiegato a fare tutti questi che potete vedere nelle immagini! Ma tali scomparti, sono formati solo da polline? No.

Se guardate attentamente noterete in uno di essi un po’ di vuoto e un piccolo ovetto biancastro, semi trasparente. Lo avete visto? Nella riga più bassa dell’alveare. Ebbene, ogni cella ne conteneva uno e, vederli, era veramente emozionante. Uova che poi diventeranno larve e infine piccole, nuove Apette. Per me, aver potuto vivere questo avvenimento è stato davvero bello.

Sono stata fortunata grazie alla trasparenza della location scelta e ho potuto osservare per bene ogni cosa senza perdermi nulla. Ciò che maggiormente mi ha colpito è stato il loro duro lavoro. Come vi ho spiegato, facevano avanti e indietro in continuazione. In continuazione.

Io, al loro posto, alla seconda celletta ero già stanca morta. E che precisione! Che ordine! Non c’era uovo più scomodo di un altro. Lo spazio doveva essere uguale per tutti e tutti dovevano poter avere la giusta considerazione. Nessun privilegio. Ma dov’era l’Ape Regina? Ogni alveare ne ha una. Notammo che alcune fessure entravano all’interno dello stipite della porta e quindi probabilmente Sua Maestà, se ne stava comoda in qualche nascondiglio lì dentro.

Ebbene amici, la mia Valle è anche questo. Il mostrare scenari meravigliosi che non sempre è possibile vedere in prima persona o in primo topo come me. Poter conoscere i mondi che convivono paralleli al nostro ai quali spesso non badiamo e non facciamo attenzione. Eppure esistono e sono davvero pieni di vita.

Vi è piaciuta questa tana? Bene, allora vi farò conoscere anche le prossime che troverò in futuro. Sperando di poterne scoprire ancora.

Un bacione, buon week end!

M.

Meteorologia ligure – intervista al Capitano Lidio Lanteri

Cari topi, tempo fa, scrivendo un articolo qui sul mio blog nel quale mi lamentavo del brutto tempo (essendo io amante del caldo e del sole) e nel quale pregavo il buon Giuliacci di darmi buone notizie, ricevetti qualche giorno dopo, una bellissima mail da parte di un meteorologo di Milano, Capitano dell’Aeronautica Militare, e amico proprio del nominato Colonnello.

Tale persona mi spiegò simpaticamente come invece avrei dovuto essere felice del clima che potevo fortunatamente vivere, non solo nei confronti della stragrande maggioranza di italiani ma addirittura persino nei confronti di chi vive la Liguria di Levante.

Ebbene, cari topi, la sorpresa ancora più grande è stato scoprire che questo meteorologo era anche originario proprio della mia Valle, e precisamente del paese di Corte che qui vi ho fatto conoscere https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/09/10/tutti-a-corte/ e forse, proprio per questo, seguiva sempre il mio blog.

Topini, vi sto parlando del Capitano Lidio Lanteri.

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Qui, in questo documento che mi ha inviato, potete vedere la situazione climatica che vi spiegavo inerente alla Liguria e capire come, davvero, possiamo ritenerci così fortunati noi abitanti della meravigliosa Valle Argentina perchè viviamo in un angolo di paradiso.

E secondo voi, io potevo forse farmi scappare l’occasione di intervistare questo mio convallese per altro molto gentile e molto disponibile? Certo che no, e quindi, qui di seguito, eccovi le sue risposte alle mie curiose domande.

Buona lettura e buone nozioni sul nostro clima!

– Ciao Lidio, raccontami qualcosa di te, non sapevo di avere come convallese un meteorologo!

– Ciao Pigmy sai che mi metti in difficoltà? 🙂 Bhè, sono andato via da Corte nell’ottobre del 1947. I miei genitori si sono trasferiti nel primo paese della Valle, sul mare, Arma di Taggia e io, che avevo iniziato la V° elementare a Corte, ad Arma l’ho poi continuata e terminata con il maestro Carletti. Son partito volontario per andare nell’Arma dell’Aeronautica Militare nel 1954 e dopo ho fatto un corso per “Marconista Operatore” a Caserta. Nel 1955, finito questo corso, sono stato trasferito a Bergamo all’aeroporto di Orio al Serio, all’epoca sede del “Secondo Stormo Intercettori Diurni”. Successivamente trasformatosi in “Seconda Aerobrigata”, si andò tutti a Cameri-Novara. Sia qui che dov’ero prima, il mio compito era aerologista, cioè facevo osservazioni meteo sull’aeroporto. Nel mentre studiavo e riuscii a prendere prima la maturità e poi la laurea presso la Cattolica a Milano. Nel 1970, anno del mio matrimonio, ho vinto un concorso per Sottotenente in SPE (Servizio Permanente Effettivo) e venni inviato a frequentare l’ottavo corso di specializzazione in “Fisica dell’Atmosfera” a Roma dove, nel 1972, è nata mia figlia oggi mamma dei miei due splendidi e cari nipotini.

– Cavoli quanta strada Lidio! Complimenti! Hai praticamente iniziato giovanissimo e non c’era assolutamente la tecnologia di oggi. Negli ultimi anni, possiamo dire che siete arrivati ad ottenere una precisione incredibile sul clima. Quanto è utile l’utilizzo di mezzi tecnologici nel vostro lavoro? Possiamo usare il termine “indispensabili”?

– Per fare le previsioni è necessario saper assemblare una quantità enorme di informazioni come: temperatura, umidità, pressione, direzione e intensità dei venti e tanti altri fattori sia del suolo che in quota e, di conseguenza, alle varie quote di altitudini, informazioni che si stanno verificando nello stesso istante su una parte di continente. Pertanto, solo con la pratica, l’esperienza e la capacità, esse possono essere mediate e si può così proporre poi le previsioni. Certo, la tecnologia oggi aiuta enormemente, soprattutto aiuta nella tempestività, nella conoscenza, nella precisione, ma è l’uomo ad essere in possesso di studi competenti che lo portano a previsioni serie ed attendibili.

– Infatti, non sbagliavano nemmeno i detti dei nostri nonni vero Lidio? “Rosso di sera, bel tempo si spera” ad esempio… Anche i tuoi t’insegnavano così?

– Mio padre, uomo di montagna ma assai saggio, mi diceva: “chi si occupa del tempo diventa bugiardo” ma, si 🙂 alla fine della fiera…. rosso di sera!!!

– Che rapporto c’è tra te e il simpaticissimo Colonnello Mario Giuliacci? Raccontaci un aneddoto se puoi.

– Dopo il corso che ti spiegavo prima, trasferito all’aeroporto di Milano-Linate, incominciai a fare i turni in coppia con l’allora Tenente Mario Giuliacci, il mio maestro! Vedi, io sapevo tutto sulla meteorologia teorica ma fare le previsioni è un’altra cosa e, da Giuliacci, imparai molto come ovviamente anche da altri colleghi. Come ricordo ho il flash di quando venni messo in punizione con tre giorni di CPS (Camera di Punizione Semplice). Dovetti praticamente dormire per tre notti su un duro tavolaccio perchè mi avevano scoperto mangiare scomposto a tavola, ossia con i piedi incrociati 🙂 pensa te! Che tempi! Non c’entra con Giuliacci ma pensando a lui mi sono venuti in mente quei periodi e mi sono ricordato di come bisognava comportarsi…

– Tempi davvero diversi, hai ragione. Il tuo lavoro, se non erro, è legato all’Arma dell’Aeronautica Militare. Ad un giovane che oggi vorrebbe seguire i tuoi passi, cosa consiglieresti quindi? Quali sono i lati più belli e quelli più negativi del tuo lavoro?

– Ad un giovane, che posso dire? Di laurearsi in matematica o in fisica se vuole seguire queste orme, oppure, addirittura in medicina, non sai Pigmy quanto è importante l’incidenza della meteorologia sul fisico dell’uomo! E poi ovviamente, deve frequentare i corsi che credo ancora l’Aeronautica Militare bandisce. La cosa più brutta….. mmmhm… non saprei, la cosa più bella, beh, la nostra divisa!

– Ecco perchè sono meteoropatica! Ora ho una scusante! Correggimi se sbaglio: da un po’ di tempo si usa dire, quasi come fosse un motto ormai “Non ci sono più le mezze stagioni“, riferendosi alla primavera e all’autunno. A me non sembra. Forse tutto si è spostato senza basarsi su nomi di mesi o su date che ha assegnato l’uomo e non la natura. Sbaglio? Tu cosa ne pensi?

– Guarda, qualsiasi cosa accada, posso dirti una sola verità: “Dopo il cattivo tempo, arriva sempre il bel tempo”! E’ poco, è vero, ma provare per credere!

– Mi facevi notare, a seguito di un mio post e grazie al tuo documento: “Alcune gocce di meteorologia spicciola“, quanto siamo fortunati, meteorologicamente parlando, noi di questa parte della Liguria (di Ponente). Spiegaci meglio il perchè.

– Per ciò che riguarda la Liguria, quello che ho scritto sul documento, oggetto della presente chiacchierata, è verissimo. Le ragioni per le quali invece si forma una zona di bassa pressione sul Mar Ligure? Si sono fatte e si fanno tante ipotesi: le più diverse, le più fantasiose, fatte anche dall’illustre studioso italiano Dott. Ermini, mio caro amico. Ma ipotesi spesso contrapposte….!

– Quindi per questo ci sarà da studiare ancora un po’. Grazie Lidio, sei stato gentilissimo.

– Ciao Pigmy è stato un grande piacere. Evviva la Valle Argentina!

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Caro Lidio, io ti ringrazio infinitamente, è stato molto bello poter parlare con te e scoprire tutte queste cose. Grazie per avermi concesso quest’intervista e complimenti per il tuo amato lavoro. Grazie anche per la bella foto che mi hai inviato.

In questa immagine cari topi, potete vedere Lidio durante il giuramento di fedeltà alla Repubblica, in presenza del Capo del Servizio Meteo Generale A. Serra.

Che altro posso aggiungere? Che vivo in un angolo di paradiso, non posso proprio lamentarmi, ora, è più che confermato!

Un bacione a tutti, la vostra Pigmy.

M.

L’arte dei muretti a secco

La Liguria, come ogni altra regione, ha diverse particolarità che sono sue personali. Che non ha nessuno, solo lei. Una tra queste, è il metodo della coltivazione. Diverso, particolare.

La Liguria è una regione lunga e stretta, questo si sa. Non si ha lo spazio di evadere in immensi campi coltivati a perdita d’occhio, come sono invece le meravigliose piantagioni del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia o della Toscana, che sono qui, tutte intorno a noi. E quindi, ci voleva un metodo nuovo. Cosa contraddistingue questo metodo particolare e meticoloso, sono le famose terrazze. Fasce di terra lunghe, delimitate da muretti di pietra che non sono solo semplici muretti ma vere opere d’arte. Mi piace usare questo nome. Il perchè è presto detto: riuscireste voi a far star insieme tante pietre, una sull’altra, per anni e anni, e senza l’utilizzo di collanti? Ebbene sì, questi particolari muretti, appartenenti ad un’architettura prettamente rurale, stanno su senza l’aiuto di nessun sostegno. La bravura è solo in quelle mani che riescono a far mantenere alle pietre una giusta solidità e un equilibrio al solo posizionarle.

E stiamo parlando di pareti, alte solitamente un metro o due, che reggono benissimo quintali di terra. Reggono quintali di terra sotto la pioggia, contro il vento, inaridendosi al sole cocente. Non solo, recintano anche il raccolto e, spesso, esso risulta molto ordinato e ben suddiviso.

Il sito della Riviera dei Fiori, la parte della Valle Argentina che si affaccia sul mare, ci può fornire una dettagliata spiegazione di quello che sono queste opere d’arte realizzate dai nostri antenati, in quanto si occupa di tutto il nostro territorio e grazie al loro studio e a qualche vecchietto che ha voglia di parlare, posso raccontarvi qualcosina inerente a questo simbolo prettamente ligure.

I muretti a pietra fanno parte del patrimonio ambientale e umano della Liguria oltre che, naturalmente, della stessa Valle Argentina. Le colline, che degradano ripidamente verso il mare, con la presenza improvvisa di monti austeri dietro di loro, non avrebbero certamente lo stesso fascino se l’uomo non le avesse rese coltivabili grazie alle cosiddette fasce. E non si tratta solo di bellezza territoriale ma anche di utilità vera e propria.

Purtroppo,  questa pratica è in disuso e, spesso, gli antichi terrazzamenti vengono abbandonati, oppure i muretti sostituiti con i molto più invasivi muri in cemento che sono davvero “pugno in un occhio” anche se costruiti con precisione e dedizione.

A parer mio, non hanno lo stesso valore. Per fortuna c’è ancora chi, animato da una forte passione, ma non sono più molti (ahimè), tenta di far sopravvivere questa pratica alle nuove tecnologie e all’incombere del tempo.

Ed è proprio l’artista che ci svela alcuni segreti di quest’arte, non solo per la bellezza del creare dal nulla ma anche perchè l’arte viene mostrata anche quando uno di questi muretti è semplicemente da riparare in un punto. E, credetemi, non è per niente semplice.

Osservando il lavoratore si può cogliere, innanzi tutto, tanta maestria e tanta precisione. Il primo passo consiste nel ripulire il vuoto che si crea dopo la frana (sbalanca), separando le pietre dalla terra. Successivamente, si preparano le fondamenta con uno scavo di circa mezzo metro, disponendo le pietre in modo che non scivolino in avanti e che possano sostenere il peso della parte in elevazione. Si procede, quindi, selezionando le pietre migliori, ossia quelle ben squadrate e di dimensioni maggiori, che costituiranno e andranno a sostenere il primo piano del muro. Una delle parti più importanti. Gli altri massi, di qualità e dimensione inferiore, saranno sistemati sul retro, come riempimento degli interstizi, pressati bene col martello. Ricordatevi, sempre senza cemento, ne’ colla, ne’ stucco.

Livellato il primo piano, si passa ai piani superiori, facendo attenzione a posare le pietre due o tre centimetri più indietro, rispetto alla fila sottostante, in modo da dare la corretta inclinazione al muro che deve pendere verso i monti (per capirci) e appoggiarsi contro terra, diminuendone lo spessore man mano che il muro cresce in altezza, tenendo sempre presente che è importante poggiare una pietra grande su almeno due sottostanti perché il muro risulti più resistente. Si continua così a salire fino ad ottenere l’altezza che vi dicevo prima.

Non sono altissimi quindi ma lunghi, molto lunghi. Quanto lavoro se si pensa che tutta questa regione è coltivata in questo modo. La mia Valle ne è piena. Anni di duro e duro lavoro e tanta passione. Oggi godiamo di queste strutture del passato ma c’è stato chi le ha costruite e, spesso, ci camminiamo sopra senza rendercene nemmeno conto.

Con questo post mi sembrava come di complimentarmi con chi ha sudato tanto, e con chi ancora lo fa, perchè è proprio grazie a queste costruzioni che possiamo avere oggi, nella nostra terra, un’agricoltura che ci permette anche di sopravvivere.

E costruire non significa solo posizionare. Vuole anche dire trasportare, spesso a mano, pesi indescrivibili. Teniamone da conto. Non dimentichiamoci mai di questo gran lavoro che è stato capace di contraddistinguere un’intera terra e un intero popolo.

Io vi mando un abbraccio e vi aspetto per il prossimo post.

Vostra Pigmy.

M.

Filastrocca di San Carlo

Topoli, perbacco! Questa volta per voi ho una vera chicca!

Una filastrocca. Si ma…. struggente eh! Di quelle che raccontano del vero amore! Oh già!

“Di San Carlo vi canto la scena, dei due amanti vi voglio parlar / che mai nessun li potrà separar, perchè eterno era in loro l’amor.

Giulio Binda era giovane e bello, era figlio di ricche persone / ed appunto dirò la ragione, di sua vita finita così.

Egli amava una cara fanciulla, che a vederla sembrava un tesoro / lei campava del suo proprio lavoro, perchè orfana al mondo restò.

Sulla tomba dei suoi genitori, “tu sei ricco ed io povera sono, non ho padre, ne madre lo sai / ed un giorno così sposerai, una ricca si al pari di te”.

Giulio allora abbracciando Maria,  disse lei “non dir tali parole / io ti giuro che se mamma non vuole, io son pronto a morire con te”.

Era un vago mattino di festa, la sua mamma era andata alla messa / i due sposi entraron in salotto, l’orologio suonava le otto, “oh mia cara uniti sarem”.

Giulio allora impugnava quell’arma, che doveva troncar l’esistenza / e con lieta e tranquilla apparenza, all’amante un colpo sparò.

Quando a terra la vide cadere, l’abbracciò e la baciò sul bel viso / esclamò “sol lassù in paradiso, oh mia cara uniti sarem”.

Rientrava la mamma a casa, i due colpi sentì rintonare / quando ella allor fa per entrare, la tragedia ai suoi occhi le appar.

Si strappava i capelli la donna, nel vedere il cadaver del figlio / bagnò di lacrime e pianto quel ciglio, e si mise a gridare “son io la cagion!”.

Essi scrissero due lettere sole, invocando perdono sincero / e che almeno lassù al cimitero, gli recassero corone di fior”.

Che vi dicevo? Vi siete commossi?

Io si…. sniff! Ora vado a soffiarmi il muso e poi vi scrivo un altro articolo…

M.

 

Giornata a Costa

Costa. Dalla strada principale della Valle Argentina, dopo Badalucco, giriamo a destra verso Carpasio ma, a metà strada, un’altra via nei boschi, che ha un qualcosa di magico, sempre alla nostra destra, ci porterà a Costa.

Esso è un piccolo paesino di 18 anime, circondato solamente da pace, rumori della natura e, ogni casa, è rigorosamente costruita in pietra naturale tagliata in conci di diverse dimensioni. Guardate che spettacolo. Non vi sembra un paesaggio incantato e abitato da gnomi e folletti? Sembra finto e in miniatura, invece, è tutto vero, ve lo assicuro!

La strada che ci porta in questo piccolo borgo è, in questa stagione, completamente ricoperta da foglie cadute lievemente al suolo che la tingono di colori caldi e opachi come il beige e il marrone. Sono principalmente foglie di Castagni ma sono presenti anche molti ricci.

Il sole fa zig zag tra i rami spogli e, in alcuni punti, al di sotto della montagna, alcuni ruscelli, passano veloci per tuffarsi poi nel torrente Argentina. Solo in quei punti si nota umidità e bisogna porre maggior attenzione quando scende la neve e ghiaccia. Sono curve che rimangono all’ombra tutto l’anno. Per il resto, in tutto il suo percorso, la strada è luminosa e, lo stesso paese di Costa è baciato dal sole ad ogni ora del giorno.

Il sole, sembra di riuscire a sfiorarlo, siamo in alto e all’aperto.

Davanti alle case non si ci arriva in macchina, bisogna lasciare l’automezzo in una piccola piazzetta dove le nonnine passano le giornate  a raccontarsela sedute su una panchina all’ombra di un maestoso albero.

Questa zona della Valle Argentina è chiamata Val Carpasina e la sua particolarità è la netta divisione tra gli Ulivi, coltivati nelle tipiche terrazze liguri più a valle e i Castagni che padroneggiano la parte più alta dei monti. Gli Ulivi che si abbronzano e si lasciano scaldare dal sole e i Castagni che prediligono invece il fresco ma, senza la calda luce, non potrebbero vivere. Sono entrambi alberi particolari e molto significativi nella mia Valle ma, Costa, è circondato prevalentemente dai secondi e sarà di questi che vi parlerò.

Pensate che, i primi Castagni, come ci racconta saggiamente la tavola che si trova all’inizio del paese, sono stati piantati già in epoca medievale e, velocemente, hanno ricoperto tutte le miniere di carbone presenti e numerose negli anni lontani. Grazie a questi alberi, la popolazione poteva sfamarsi sostituendo i più cari cereali e sono divenuti la più importante fonte di sostentamento.

Oggi, il sottobosco è incolto e ha ricoperto gli essicatoi e le zone in cui un tempo le castagne venivano lavorate a seconda del bisogno.

Incamminandoci a piedi, verso le case, passiamo davanti ad una splendida cappelletta e simpaticissima è la frase scritta sopra ad una lamiera su di essa: “Oh Passante che passi per la via, leva il cappello e saluta Maria“. Anche qui, non si stona, il ricordo della Madonna è perennemente presente.

La prima casa che incontriamo è una struttura davvero particolare. Pensate, siamo davanti al Museo della Resistenza della Valle Argentina. Purtroppo non possiamo entrare in questo periodo, è chiuso, ma non importa, avrà presto un post dedicato interamente a lui.

Oggi, vero il protagonista, deve essere questo splendido paesino ma due notizie sul Museo ve le darò ugualmente.

Innanzi tutto, il nucleo che lo racchiude, è originario degli anni della guerra e propone un’intero capitolo di storia di questi posti come la distruzione nazifascista e la tremenda lotta partigiana.

All’interno si possono ammirare cimeli, documenti personali, oggetti della vita quotidiana e non solo di soldati ed esercito ma anche di civili, di persone che, con tutta la forza che avevano, hanno aiutato “i nostri” ad avviarsi verso la liberazione, anche solo proteggendoli o nascondendoli dal nemico.

Davanti al Museo, due cose m’incantano e rapiscono la mia attenzione: la prima è la sgualcita bandiera italiana, il nostro tricolore, del quale è rimasto solo il verde a sventolare seguendo la direzione della brezza ma mantenendo una certa dignità.

Mentre, la seconda, è una stupenda, piccola campana in ferro battuto, ossidata dal tempo e posizionata su un muretto di pietra e suonata da chiunque passi di lì.

Continuiamo a salire, in questo gruppetto di case la strada è in salita, sembra di essere in un bosco pulito e arranchiamo tra erbetta e sassi.

Guardate come sono le stradine che serpeggiano in Costa. Incredibili. Percorrendole si arriva a tutte le case e si visita ogni angolo. Li visiteremo volentieri ma c’è ancora qualcosa da ammirare.

Il cielo è terso e il verde dell’erba, nonostante i mesi autunnali, si staglia contro l’azzurro intenso.

Ad accompagnarci, alcune lucertoline che fuggono veloci qua e là e qualche insetto. I più temerari non si staccano da noi. Forse ci annusano. Sembra però non siano gli unici esemplari di fauna qui.

Guardandoci intorno, scorgiamo infatti una piccola tana di scoiattolo su un albero, bellissima, sembra disegnata. Non flashamo il piccolo roditore con la macchina fotografica, è già in letargo, e io so quanto può essere fastidioso sentirsi disturbati durante il riposino invernale. In fondo, non è l’unica tana della zona.

Possiamo adocchiarne un’altra ma, questa volta, fortunatamente, il rifugio nell’albero è vuoto. Trattasi infatti della modesta casetta di un cinghiale. La vedete? Giù, in basso, contro l’erba, verso le radici, e dovreste vedere com’è scavata dentro, ma non mi fidavo molto a irrompere in casa di qualcun altro.

Ho scoperto anche una chicca grazie alle notizie sul Museo; pensate che nel tronco cavo di questo castagno, durante la guerra, trovavano riparo ben 7 persone! Quanti anni ha quest’albero? E’ davvero grande.

Continuiamo la nostra passeggiata, per ora, ancora in salita.

Costa si trova a 675 m d’altitudine ma qui, se continuiamo a salire, non so a che altezza arriviamo! Beh, è tutto così bello che non sentiamo la minima fatica.

Ci stiamo dirigendo verso un posto davvero particolare, per gli abitanti del luogo, direi addirittura simbolico. Il forno. Questo forno è usato da tutti. E’ poco distante dalle case e accessibile a tutti gli abitanti. Intorno è colorato da un bel praticello.

Le casette sparpagliate di Costa, sono realizzate in pietra locale anche internamente e soprattutto nelle pavimentazioni mentre il sottotetto è costruito con il legno. E’ davanti a questo splendido forno comunale e all’aperto che vediamo le indicazioni di Costa che sono originalissime scritte su tavolette di legno scolpite per intonarsi alla natura circostante.

Questo paese, forma infatti un triangolo con i paesi di Arzene e Carpasio, tutti quanti situati sopra al più conosciuto Montalto. Questi “segnali stradali”, spiegano anche quanto sono alti questi paesi sopra il livello del mare che, ognuno su un cucuzzolo diverso, si guardano l’un con l’altro. Ognuno offre le sue bellezze e ognuno ha una storia da raccontare. La sua storia. Indicano le strade più comode da percorrere in auto e quelle tra i boschi, le mulattiere, da percorrere volendo, a piedi, regalandosi una panciata di pura montagna. Quello che si può vedere in questi borghi, raramente lo si può scorgere dove la vita corre più frenetica. Qui la gente ha più tempo e forse più passione di mantenere i suoi luoghi più curati, abbellendoli anche con oggetti lavorati con le loro stesse mani.

La fontanella in ferro che vi mostro, ad esempio, è uno di questi. Realizzata da un signore del posto, dopo ore e ore di lungo lavoro.

Qui, il sabato e la domenica soprattutto, quando non si sa cosa fare e sono considerati questi, giorni di festa, la gente si mette al lavoro per allargarsi un pò la casa, per crearsi i gazebi o i porticati che hanno sempre sognato, per riparare gli infissi in legno prima del freddo inverno, per creare una zona ai figli cittadini che ogni tanto vengono a trovarli, e allora ripristinano le grondaie, piantano fiori in grossi vasi davanti a casa e si occupano, nonostante la festività, anche del terreno, che nonostante l’autunno, non può mai essere abbandonato. Hanno un vero culto per questo tipo di lavoro.

E’ infatti in questi luoghi che si può costantemente vedere gente al lavoro, per l’amore che provano nei confronti della propria terra. E si lavora ancora usando gli stessi mezzi di un tempo, primi fra tutti, le proprie braccia.

Questa è la vita a Costa e nella maggior parte della mia valle.

Vi mando a tutti un grande abbraccio Pigmy.

M.