Al Ciotto: osservando tinte e arabeschi

Da più di tre anni, di tanto in tanto, mi dirigo al Ciotto di San Lorenzo.

Si tratta di un luogo a me molto caro, situato alle pendici del Carmo dei Brocchi e oltre ad essere un posto bellissimo se lo si sa ascoltare, parla con un’energia davvero profonda e unica.

Per arrivarci passo solitamente da Drego e da Passo Teglia, anch’esse zone della mia Valle senza eguali per il loro fascino remoto.

Una volta giunta all’arrivo mi piace soffermarmi a guardare ogni cosa, lentamente. Lo sguardo si appoggia piano, su tutto quello che addobba questo angolo della mia Valle per me dal sapore mistico e affascinante.

Mi piace contemplare, pensare, riflettere e guardare intorno a me tutta quella bellezza che mi circonda sentendomi davvero una Topina fortunata. Si tratta di una dolina tutta fiorita in estate e circondata da austere rocce, una faggeta fatata e abeti antichi che proteggono. Una radura a forma di conca nella quale talvolta si forma un piccolo lago o è prato in base al periodo dell’anno.

E’ proprio durante queste attente osservazioni che ho potuto notare come questo luogo si modifica di stagione in stagione.

I suoi cambiamenti sono in realtà molto evidenti e dati principalmente dai colori che lo abbelliscono ma se quando parliamo di colori pensiamo soprattutto all’autunno… beh… al Ciotto di San Lorenzo (chiamato anche il “Sotto”) le tinte regalano emozioni ogni mese.

E’ vero che, prima di aprire le porte all’inverno, i Carpini si vestono d’oro e i Larici delle nuances del tramonto. Com’è anche vero che i Faggi diventano color della terra bruciata e le capsule di semi delle Graminacee creano puntini neri sparsi qua e là ma quando la fredda stagione giunge del tutto è la Bianca Signora, la neve, a regnare rendendo tutto candido e brillante.

Il foliage, in questo luogo, è davvero attraente.

D’estate, invece, è il viola della Lavanda e del Cardo Selvatico a prevaricare su tutto. Il colore della magia, ed è quasi più presente addirittura del verde vivace, il vero padrone.

Lo stesso Cardo, terminato il periodo estivo, appare di un avorio lattiginoso e sfavillante.

Tra il profumo del Timo anche gli insetti contribuiscono a colorare il tutto ma ovviamente, il gradino più alto del podio spetta alle farfalle e le loro ali dipinte.

Per non parlare delle bacche. Tante tantissime e tutte diverse tra loro. Quelle color rosso fuoco si notano già da lontano.

Molte tonalità di grigio e di marrone vengono date anche dalla corteccia degli alberi che circondano l’antico Ciotto ricco di storia e leggende.

Osservando certi tronchi, dal basso verso l’alto non si possono non notare le diverse sfumature di queste alte piante e, una volta che ci si trova con il naso all’insù, un ulteriore spettacolo si apre davanti agli occhi agitati.

Un intreccio infinito di rami, sia spogli che ricchi di fogliame, si annodano, si avvicinano e si incrociano fino a formare strane forme di linee, degli arabeschi stupendi che sembrano disegnare il cielo.

Come dei centrini, posizionati all’incontrario, abbelliscono anche l’aria sicuri nel risultato di una meraviglia totale.

Via via che i giorni passano, andando verso il periodo del gelo, dopo il trionfo di vita e tinte forti, tutto si spegne divenendo sempre più pallido e mostrando il riposo.

Nonostante questo sonno color pastello, pare d’esser in un incanto, nella tela di un pittore malinconico e che ama i colori tenui. L’inverso della vivacità verde incontrata in passato.

Insomma, il Ciotto di San Lorenzo regala sorprese sempre. Non può non lasciar stupiti e grazie alla natura variegata che lo forma resta un punto assolutamente unico della Valle Argentina.

Io, sognante, vi mando un bacio colorato e vi lascio immaginare questa tavolozza. Vado a prepararvi un altro articolo!

La tomba di Chagall – il pittore dei colori del mondo

Vi ricorderete che un po’ di tempo fa vi portai a visitare una tomba? Era di un personaggio molto famoso che tutti conoscete ossia Charles Baudelaire, scrittore, critico e aforista francese (l’articolo in questione è questo, per la precisione: “Charles Baudelaire protagonista di diversi incontri”). Un personaggio davvero curioso. In quel tempo, girovagavo per Parigi, parecchio lontano dalla mia Valle, divenendo Topina di città per qualche tempo e anche oggi lo sono diventata per portarvi a vedere un’altra famosissima lapide e sicuramente più vicina ai miei luoghi.

Oggi, infatti, vi porto vicino alle mie zone, a Saint-Paul de Vence, dove già mi recai ma mai vi feci vedere dove venne seppellito il grande pittore Marc Chagall.

Marc Chagall, che gode ancora oggi di fama internazionale, fu fino al 1985, anno della sua morte, uno dei pittori più bravi a catturare la luce e a riportarla nei suoi dipinti insieme all’amatissima moglie che ritraeva in molte opere.

Nei suoi quadri infatti si scorge molta bellezza, colore e tanta voglia di vivere nonostante le oppressioni che subì, essendo di discendenza ebrea e precisamente di Vitebsk, allora sotto il dominio dell’Impero Russo.

Nacque e visse tra bombardamenti e razzie, ma nonostante tutto trasportava gioia sulle sue tele, anche se ammirandole e conoscendone la vita è facile osservarle con un senso di malinconia.

Naturalizzato francese, cambiò il suo cognome da Segal (il suo vero nome era Moishe Segal) a Chagall, ma prima di questa trasformazione divenne, per la Russia, Mark Zacharovič Šagal.

Visse fino all’età di 97 anni, morendo appunto a Saint-Paul de Vence dove si era trasferito e dove oggi, accanto alla sua tomba, regna un’atmosfera assai particolare, pregna di affetto da parte dei suoi ammiratori (soprattutto giovani) che lo ricordano come “il pittore dei colori del mondo”.

E’ un bellissimo cespuglio di rose rosa ad attrarre verso l’entrata del piccolo e ordinato cimitero. Chagall riposa eternamente proprio subito dopo aver varcato l’uscio, all’interno di una grossa tomba in cemento assieme alla seconda moglie Valentina detta “Vava” Brodsky Chagall e il fratello di lei Michel Brodsky.

Vava è stata meno amata rispetto alla prima consorte Bella, morta durante la Seconda Guerra Mondiale a causa di un’infezione virale, e fu proprio per sconfiggere la depressione che lo afflisse che per la vedovanza che Chagall si trasferì in Provenza, dove riuscì a ritrovare un po’ di serenità riportandola attraverso le tinte decise delle sue opere.

In Provenza ebbe anche un figlio prima di risposarsi con Virginia Edith Haggard, ma la storia tra i due durò per un tempo molto breve.

Chagall ora è qui. Ed è come se il suo manifestare un connubio tra il reale e il surreale esistesse ancora. Pare di percepirlo. I caratteri fiabeschi lo circondano anche adesso rendendo questo luogo quasi onirico. Tante le pietroline e i sassi disegnati e scritti, su questa lapide. Tante le frasi di chi lo ama e lo ha amato. Tanti i ricordi.

Una siepe, un grande angelo scolpito e lui: Marc Chagall, il pittore dei colori del mondo.

Un bacio, al prossimo tour topi! La vostra Pigmy.

La Cabotina: dove le streghe…

Par di vederle: eccone una china a raccogliere foglie di Menta. I suoi capelli color mandarino e quel velo nero sulla testa. Sembra triste, forse è solo assorta nei suoi pensieri.

E laggiù un’altra, accarezza il suo gatto nero passandogli le lunghe unghie in mezzo alle orecchie e gli occhi gialli del micio si aprono e si chiudono.

Una stà spazzando sull’uscio di casa, un’altra recita un rituale incomprensibile, un’altra ride, ad alta voce.

Sono le streghe. Le streghe della Valle Argentina. E questo è il loro quartiere, chiamato Cabotina. Un casolare, un piccolo spazio, delle pietre appoggiate con cura. Nella leggenda è considerato un luogo macabro. Qui vivevano le donne più spaventose sulla faccia della terra. Donne terribili che i trioresi descrivono così:

L’umile casolare della Cabotina e la sua prospiciente aia sono da sempre considerate, nella memoria popolare, dimora abituale delle streghe. Qui, le bazue, preparavano i loro allucinanti intrugli, le pozioni di erbe magiche, quali: Belladonna, Giusquiamo e Stramonio; sotto i cui deleteri effetti si abbandonavano ad osceni balli e ad orge sfrenate, accoppiandosi con i diavoli, a volte, sotto sembianze animalesche.

Tra questi muri nascevano formule segrete per rendere infelici quanti ostentassero serenità e benessere. Da quest’aia, in sella più ad un caprone che alla tradizionale scopa, spiccavano il volo verso il Lagudegnu, la Nuje, la fontana di Campumavue o la Rocca di Andagna, o addirittura verso più lontani lidi, spingendosi talvolta, sottoforma di uccellacci, verso l’isola della Gallinara.

Presso la Cabotina le streghe si trastullavano con le colleghe molinesi palleggiandosi i bimbi in fasce, trafugati alle madri che incautamente li avevano lasciati al di fuori delle mura dopo il suono dell’Ave Maria.

Nel buio del casolare si dividevano i compiti: qualcuna avrebbe reso disgustoso il latte materno, qualcun’altra si sarebbe occupata delle mucche inaridendone le mammelle, altre infine, sotto le spoglie di persone insospettabili, avrebbero propinato a chi le avesse in malo modo apostrofate intrugli a base di gatti, rospi, pipistrelli, serpi, scorpioni o altre bestiacce e di bava e materia di appestati e di quanto più immondo si potesse trovare.

Particolarmente perfide diventavano quando si innamoravano. Tramutatesi in zucche, attendevano che i giovani recidessero lo stelo portando a casa l’ostaggio per dare inizio ad un autentico incubo, che invariabilmente si concludeva con la pazzia o il suicidio“.

Capite adesso perchè delle Streghe ne pensano tutti male? Ma come vi ho spiegato nel post precedente, in realtà, spesso queste donne venivano in aiuto alla popolazione e molte volte si sacrificavano tanto per trovare soluzioni valide ad un determinato problema. Erano solo molto istruite e molto capaci. E molto molto sensibili. Diverse dagli altri. Forse era a causa di queste doti che mettevano paura. La natura era loro alleata. E proprio per questo, io le ammiro tantissimo.

Ciao streghe, la vostra Pigmy.

M.