A Rocca delle Penne sopra la Foresta dei Labari

E’ l’alba di una spettacolare mattina di gennaio quando giungo a Case Loggia, sopra il paese di Corte.

Le sfumature rosa e arancio di questa aurora, preludio di una giornata che sembra primaverile, mi permettono di vedere la Corsica che si staglia sopra al mare, avvolta dalle nuvole, laggiù in fondo, oltre il Monte Faudo. “Come inizio non c’è male” mi vien da pensare.

Mi trovo dove un tempo, un gruppetto di case formava una piccola borgata. Ora ne sono rimaste pochissime sotto strada, mentre una frana ha devastato questo territorio che però non ha perso la sua bellezza.

Se mi guardo attorno, infatti, posso vedere la magnificenza dei miei monti, crinali incredibili e spettacolari e distese di pascoli infiniti sui quali non è difficile scorgere Caprioli, Camosci o Mucche a brucare quell’erba che riveste, come velluto, quei monti che sembrano finti. Sono i Prati di Corte.

La strada che mi ha portato sin qui è uno sterrato che si prende dopo aver sorpassato la sbarra per la via che porta anche a Vignago. Occorre infatti conoscere qualcuno che abbia le chiavi, non a tutti è concesso di passare in questa zona se non a piedi. Sono andata in auto per evitare troppi chilometri, dal momento che molti me ne aspettano, per raggiungere un dente roccioso della Valle che mi consente una visuale splendida.

La mia meta è Rocca delle Penne e, da dove sono, posso già vederla in lontananza sporgere dal monte in modo pronunciato e sovrastare l’ampia Foresta dei Labari che vedrò dall’alto.

Da qui, prima di partire, posso vedere anche un’altra tappa che raggiungerò per poter poi arrivare alla Rocca. Si tratta di un altro spunzone roccioso, molto caratteristico ma del quale non si conosce il nome.

Dapprima si staglia contro il cielo terso che si sta schiarendo solo ora ma, con il passare delle ore, si mostra in tutta la sua bellezza con quei colori appisolati che gli donano un aspetto rude e particolarmente selvaggio allo stesso tempo.

M’incammino a salire scavalcando diversi rii d’acqua e sorgenti.

E’ faticoso questo percorso non delineato. Si sfruttano i gradini formati dalla montagna stessa poggiando le zampe su ciuffi d’erba o piccoli spazi pietrosi.

Non c’è un sentiero ma quello che, dalle nostre parti, viene definito “sbrego” cioè un passaggio che, più di una volta, lo si inventa sul momento provando a capire dove è possibile passare.

Occorre far attenzione a non scivolare data la pendenza e un suolo, a tratti, formato da schegge di simil ardesia rossiccia, assai frantumabile.

Spesso bisogna aiutarsi con le mani, aggrappandosi a grandi massi o ad arbusti. Bisogna essere accorti però a cosa si utilizza come aiuto, in quanto la maggior parte dei cespugli che si incontrano sono spinosi, mentre i rami, in questa stagione, sono secchi e fragili pertanto non è bene fidarsi di loro.

Il Maggiociondolo ha abbandonato già in autunno i suoi splendidi grappoli gialli e fioriti e si è trasformato in un grande mucchio di dita aguzze che pendono verso il basso. Lo scenario è proprio invernale anche se il sole ora scalda molto e sembra di essere nel mese di maggio.

La fatica continua. L’ascesa è ripida e difficoltosa ma il mio sguardo viene appagato dal panorama che mi circonda e che diventa sempre più ampio.

Di quell’infinita bellezza mi colpisce subito il trio più famoso della Valle Argentina in fatto di vette. Ecco infatti, presenti e austeri come sempre: il Monte Toraggio, il Monte Pietravecchia e il Monte Grai affacciarsi da dietro i monti più bassi e mostrandosi in tutto il loro splendore.

Effettuo una breve sosta per riposarmi. Sotto i crinali di una zona chiamata “i Confurzi” (ad indicare acqua che confluisce) vedo Camosci correre a perdifiato verso fondo Valle. Sono troppo lontani, non li posso fotografare e quindi mi accontento di ammirarli attraverso il binocolo chiedendomi cosa li abbia spaventati così tanto. Mentre cerco risposte, i miei occhi si fissano su una sagoma in cima al crinale, sopra agli ungulati, e ha proprio le sembianze di un grosso rapace. E’ sicuramente un’Aquila della quale vi metto un immagine che ho dovuto tagliare e ingrandire parecchio per mostrarvela. Perdonate quindi la qualità della foto ma era lontanissima.

I Camosci scampano il pericolo lanciandosi in basso in un modo che mi chiedo come sia possibile vista la pericolosa discesa. Come possono non ruzzolare giù nel dirupo… sono davvero fantastici ed è affascinante osservare quelle loro movenze agili e veloci.

Finito quello spettacolo (per loro sicuramente poco piacevole) continuo la mia escursione grazie alla quale posso anche vedere Triora adagiata su un profilo montuoso che le fa da poltrona.

Giungo alla prima Rocca anonima di cui vi parlavo. Anche qui si apre ai miei occhi uno scenario bellissimo. Vedo la strada che ho percorso con la topo-mobile per arrivare fino al luogo di partenza e tutti i monti che mi circondano.

Mi siedo un attimo per riprendere fiato, guardarmi attorno e vivere quella quiete. Sono seduta su diverse pietre nascoste da ciuffi inariditi di Timo e Lavanda. Anche il Ginepro è molto presente e non mi ci vuole molto a capire che, in estate, questo dev’essere un luogo meraviglioso pieno di colori vivi, profumi e animaletti che svolazzano su quell’altura.

Sicuramente ci sono anche parecchi rettili, lo comprendo dalla conformazione del territorio e, durante la calda stagione, bisognerà di certo essere prudenti.

Ora invece tutto dorme. Anche i piccoli uccelletti, da sempre compagni delle mie avventure, sono rari.

Dirigendomi verso Rocca delle Penne passo attraverso una natura riarsa dal gelo. L’erba sembra paglia e il verde che addobba alcune Conifere è tenue. Solo le bacche di Rosa Canina si distinguono in quel sonno con il loro rosso acceso che spicca.

Per terra noto molto Quarzo. Siamo in una zona prettamente rocciosa e quel Quarzo brilla sotto ai raggi del sole.

Rocca delle Penne mi è vicino e, per raggiungerla, devo scendere facendo sempre attenzione a non scivolare. La zona è sempre impervia ma ho finito di salire.

Voglio passarle sotto raggiungendo quello che è un sentiero (finalmente) e mi consentirà di tornare a Case Loggia ma prima mi fermo sulla sua cima.

Una distesa, a perdita d’occhio, di alberi spogli, riempie lo spazio sotto di me. E’ la Foresta dei Labari, ora grigia, fitta e selvaggia. Una meraviglia. Sembra un enorme tappeto.

Scendo, aggiro la Rocca che si mostra in tutta la sua bellezza mostrando una roccia viva dai toni salmone e mi ritrovo su Costa dei Labari. Da qui posso vedere Rocca della Mela di fronte a me e sono all’interno di un boschetto, periferia della nota Foresta.

L’atmosfera è cupa, è come essere nel cuore pulsante di un organo propulsore di vita nonostante la quiete che avvolge.

Questo percorso, roccioso anch’esso ma pianeggiante e facile, mi porta al punto di partenza. Eccomi infatti dopo qualche metro e qualche nuovo ruscello scavalcato a Case del Passo e di nuovo a Case Loggia.

Ho potuto vivere un territorio aspro ma che mi ha dato tanto, dove la vita non si mostra facilmente ma è da scovare. Ancora più intima, ancora più segreta.

Spero che questo giro sia piaciuto molto anche a voi. Ora vado a riposare le stanche zampette e a scrivere un altro articolo.

Un bacio selvaggio a voi.

La Foresta di Gerbonte

Oggi vi porto a visitare un posto che non vi ho mai mostrato come protagonista, topi miei. Siamo in alta Valle Argentina, nel territorio del Comune di Triora. Qui, solo a una ventina di chilometri di distanza dal mare, si trova una foresta imponente e importante, quella del Gerbonte, che per la sua vicinanza alla costa presenta caratteristiche difficili da trovare altrove in Italia. Pensate che privilegio!

foresta di gerbonte

La Foresta di Gerbonte è frutto della collaborazione tra uomo e natura e, una volta tanto, questo merito va riconosciuto all’essere umano. E’, infatti,  di origine antropica e fu piantata per avere sempre a disposizione legna per le provviste senza dover necessariamente sottrarre spazio ai pascoli, che pure servivano alla sopravvivenza e al sostentamento.

Questa particolare Foresta ha un’estensione superiore ai 600 ettari, un gigante verde, insomma! E’ possibile raggiungerla in diversi modi: seguendo l’Alta Via dei Monti Liguri, per esempio, oppure partendo da Creppo o ancora da Colle Melosa, il Monte Grai e Cima  Marta. Insomma, scegliete l’itinerario che più vi aggrada, preparate lo zaino e percorrete il sentiero perché non rimarrete delusi. Io ho seguito quello proposto qui, dal sito Munta e Chinna, che spiega in modo chiaro come arrivare.

Monte Gerbonte2

Trae il proprio nome dall’omonimo monte (1727 metri sul livello del mare) ed è un Sito di Interesse Comunitario (SIC), nonché Zona a Protezione Speciale (ZPS).

Fu teatro di una moltitudine di vicende di interesse storico, come il contrabbando di sale, le dispute tra francesi, liguri e piemontesi per definire i confini alla fine del Settecento, nonché per gli scontri della Seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi la parte occidentale della foresta definisce il confine italo-francese. Il Monte Gerbonte, inoltre, era un crocevia fondamentale che serviva a collegare le comunità di pastori con i centri abitati del fondovalle.

Foresta di Gerbonte

C’è un sentiero che si snoda tra le sue pendici che passa tra le radici di Abeti plurisecolari e monumentali, io ci sono stata, e posso dirvi che è stata un’esperienza emozionante. Nella Foresta del Gerbonte gli Abeti Bianchi e Rossi resistono da secoli, nonostante quello delle Alpi Marittime non sia l’habitat a loro più congeniale. Eppure qui sembrano trovarsi bene. Sono alti, così tanto che si fatica a concepirne la fine del tronco alzando il muso all’insù. Creano un bosco ombroso, a tratti cupo, ma molto suggestivo. Tra le radici di quegli alberi anziani brulica la vita in tutta la sua piccola, grande immensità. Quante formiche, su quel terreno! Corrono come impazzite, affaccendate nel loro lavoro di rifornire il formicaio.

Una delle caratteristiche che rendono suggestivo questo luogo sono i Larici, che dipingono la Foresta di colori indescrivibili nella stagione autunnale. Nella tarda primavera, invece, le loro foglie sono di un verde brillante, tenere e leggere, e sui rami  sbocciano i fiori di un fucsia intenso.

gemma di larice

Tra le altre specie presenti nel sottobosco, troviamo cespugli rigogliosi di Rododendro, Mirtillo, Ginepro, Lampone, ma anche Primule, Viole e Genziane. Sul Gerbonte non si trovano solo conifere, ma anche latifoglie, tra le quali il Maggiociondolo, il Sorbo degli uccellatori e il Faggio, quest’ultimo dalle dimensioni monumentali così come accade anche nel Bosco di Rezzo.

ecomuseo biodiversità bosco di larice Foresta Gerbonte

In questa Foresta meravigliosa sono numerose le tracce del Lupo, è impossibile non notarle, ben visibili sul sentiero. Sembra quasi di vedere i suoi occhi d’ambra sbucare dagli alberi. Qui abitano anche Camosci e Caprioli, non è difficile fare il loro incontro e sorprenderli mentre sono intenti a cibarsi delle tenere leccornie del sottobosco. Tra questi alberi abitano anche la Martora e la Lepre Alpina, la quale però fa spesso la preziosa, è molto difficile scorgerla.

Il verso del Cuculo è quasi onnipresente, ma non è l’unico abitante alato di queste zone. Il Fagiano di monte è osservabile in primavera, quando si esibisce nelle sue danze nuziali. Poi ci sono il Gallo Forcello, la Cincia dal Ciuffo, il Picchio Nero, diverse specie di Falco, l’Aquila Reale e persino il Gufo Reale. Quanta biodiversità, topi!

E’ un luogo selvaggio e, il fatto che in Inverno non sia transitabile per via della neve che scende copiosa, ha favorito la conservazione e il ritorno di alcune specie che, altrimenti, non potremmo vantarci di avere in queste zone della Valle.

La Foresta del Gerbonte è un vero patrimonio, raramente si trovano luoghi in grado di eguagliarla sul territorio nazionale, considerando proprio la sua vicinanza al Mar Ligure.

E’ un altro gioiello della mia Valle, topi! Voi ci siete stati?

Un boscoso abbraccio a tutti voi.

Dalla radura ai Cianazzi

I Cianazzi, topi, sono un insieme di grandi prati pianeggianti (“cian” nel nostro dialetto vuole appunto  piano) che si trovano sopra il paese di Ciabaudo. Da lì, praticando una stretta strada non asfaltata che passa in mezzo a un bosco, possiamo raggiungerli in auto, ma io vi ci voglio portare a piedi e quindi partiremo dalla radura del Monte Ceppo. In questo modo, non solo avremo un maggior feeling con la natura, ma godremmo anche di un panorama meraviglioso.

Partiamo allora. Siamo nello spazio contornato da un viale di Pini da una parte e da una catena di Alpi dall’altra, dalla quale si scorge, come già vi avevo detto, persino il Monviso. Qui si può cucinare. Sono sette le pietre messe in cerchio che permettono di cuocere la carne e di contenere le braci e il fuoco. Ci sono le panchine, l’erba, i tavoli e l’aria pura. Da qui parte un sentiero sempre pulito e aperto. Solo nell’ultimo tratto si passa in mezzo al bosco di noccioli e si possono trovare anche buonissimi funghi. In estate questo sentiero è ricco di fiori di ogni tipo, ma adesso, dato che qui fa ancora freddo, troviamo soltanto Crocus bianchi e rosa, che sono stupendi, e altri fiori dai colori sgargianti. Siamo a 1.600 metri e, anche se può sembrarvi impossibile, ma da qui si vede persino il mare. A seconda della stagione, si può vedere anche la Corsica! Non sono esclusi dalla vista panoramica i paesi marittimi della Valle Argentina: Riva Ligure, Pompeiana, Cipressa.

Oggi il mare è a pecorelle. Si distingue perfettamente la schiumetta bianca delle onde che s’infrangono ancor prima di aver toccato gli scogli. La pace è assoluta, a rompere il silenzio ci pensano soltanto gli uccelli, spesso rapaci, e qualche cicala che prova a uscire, timida, per vedere se il sole ha deciso di iniziare a scaldare oppure no. Prima del mare, si mostrano davanti ai nostri occhi un’infinità di monti. Belli, verdi, sembrano panettoni spumeggianti e morbidi, ma questi bizzarri aggettivi non intendono sminuire la loro austerità.

Le lucertole si godono i primi raggi e poche farfalle svolazzano in cerca di qualche nettare dolce da succhiare. Non è ancora periodo, l’inverno sta per uscire di scena, ma all’imbrunire il freddo si fa ancora sentire. Siamo a maggio, eppure in qualche curva è rimasta della neve dura che non vuole sciogliersi, e il termometro segna solo 7°C. Non si può fare  a meno di ammirare il cielo azzurro, gli alberi grandi che ombreggiano la nostra stradina e i piccoli Pini appena nati, che avranno sì e no un anno di vita. Tra poco, la tenera erba che ricopre questo luogo verrà rosicchiata da tante caprette e mucche. Il Monte Ceppo in estate è pieno di questi animali che i pastori portano a far pascolare. E’ un luogo incontaminato, meraviglioso. Un leggero venticello fa muovere i boccioli del Maggiociondolo e si sente la nostra voce che si allontana seguendo il vento e, piano piano, si arriva a destinazione: il prato.

Ci vuole circa una mezz’oretta, è una passeggiata abbastanza breve. Lo vedete quel piano laggiù? Quello è il primo grande prato dei Cianazzi, dove in estate viene fatta anche una bellissima festa e si mangia e si beve tutti in compagnia, giocando con i bambini al tiro alla fune e alla corsa nei sacchi.

Corro a rotolarmici in mezzo, topi! Vi saluto e vi lascio promettendovi di portarvi presto a fare qualche altra passeggiata. Questa è tra le più belle che offre la mia Valle, ma ovviamente non è l’unica. Alla prossima!

M.

Monte Ceppo, i pini e i boschi di faggi

Quando si ha voglia di prendere la macchina e di andarsene in un posto tranquillo per stare in pace con se stessi o con chi ci è più caro, la foresta del Monte Ceppo è uno dei luoghi ideali.

Per arrivarci prendiamo la strada che porta ai Vignai e saliamo, saliamo. Passiamo sotto una piccola e corta galleria, continuando a salire fino a 1600 metri. Questa è solo la cima di questo enorme monte verde.

La vegetazione cambia in fretta e mostra tutto il suo splendore. Tanti sono gli alberi e gli arbusti che caratterizzano la foresta demaniale, numerosi gli ontani, i carpini e i castagni, ma i raggi del sole cercano di penetrare attraverso immensi boschi di faggi che circondano la nostra strada.

Le loro fronde, non ancora del tutto ricche di foglie e illuminate dalla luce solare, creano uno spettacolo unico. I loro tronchi chiari si sfogliano al solo soffio del vento e, sotto di essi, la tipica erbetta cresce in praticelli incantevoli che si arricchiscono di funghi.

E poi eccole, ancora più bianche, qua e là, le betulla. Sapete che prendendo un pezzo di legno di questo albero e portandolo a casa, esso continuerà a rinnovare la sua corteccia, desquamandosi di quella vecchia? Il loro nome deriva da betu che in celtico, vuole appunto dire “albero” e il nostro clima è per loro l’habitat più adatto.

Guardate che ambiente meraviglioso. Ma non avete ancora visto tutto. Voglio portarvi ancora più su a scoprire questa volta la magia dei pini e degli abeti.

Nella mia valle, di pini ce ne sono di tantissime qualità. C’è il Pino Nero, il più elegante, il Pino Silvestre che purifica l’aria e la rende più fresca, il Pino Mugo dal fogliame più ricco e rami carichi di aghi e pigne e tanti, tanti altri.

 

Ammirate come anche loro disegnino il paesaggio. È una perfetta cornice per stradine, prati e per sottolineare una sfilata di monti, ancora innevati, tra i quali, che ci crediate o no, spicca anche il Monviso, tra il Torraggio, il Grai e la Cima del Diavolo. E Monte Ceppo è anche una fantastica e tranquilla radura, è un gruppo di mucche al pascolo nella stagione meno fredda.

10 sono i gradi di temperatura, di differenza, dal mare a salire fin quassù.

Monte Ceppo è sinonimo di fiori, di malghe, di erbetta verde brillante e appena nata, di panorama mozzafiato dal quale si può vedere anche la Corsica.

Il Monviso e la Corsica… ma vi rendete conto? 70 ettari di splendore. Il sottobosco, umido e ombroso è ricco di piante stupende come il Biancospino, il Maggiociondolo e il Sambuco, ma anche tanti animali si sono fatti la tana tra queste meraviglie.

Lo Sparviero primo fra tutti e lo si può sentire urlare alto nei cieli. Il Tasso, il Ghiro, u Rattu Sciuettu (lo Scoiattolo!)…. io qui, ho un mucchio di parenti. E tutti lavorano per il bene di qualcun’altro. L’ape per far riprodurre i fiori, il Pioppo, che con la sua presenza favorisce il successivo sviluppo della Roverella, il Brugo che dice al bosco fin dove può arrivare…

E allora topi, datemi retta, guardate questi luoghi, poi chiudete gli occhi e fatevi una passeggiata in questo posto idilliaco insieme a me. Io, vi lascio sognare…. alla prossima!

M.