Il Ranuncolo – il bottone d’oro della Liguria

Lo so, sono in ritardo a scrivervi di lui ma ho trotterellato da parecchie parti in questo periodo, conoscendo prospettive nuove della mia Valle e non sono riuscita a mostrarvelo prima. Di chi sto parlando? Beh, lo avrete sicuramente già capito dalle immagini… del Ranuncolo! Anzi… dell’elegantissimo Ranuncolo!

Un fiore sicuramente emblema della Bassa Valle Argentina e della Liguria di Ponente. Molte sono le coltivazioni nella mia terra, prevalentemente sulle coste, che lo vedono protagonista e non si può non incantarsi davanti ad un così vivace tripudio di colori. Sgargiante e abbagliante, che lascia stupefatti.

E, a parer mio, anche il suo significato lascia piacevolmente stupiti.

Il Ranuncolo infatti, con il suo essere, suggerisce la bellezza malinconica, l’importanza del ricordo, il – non dimenticarmi mai -. Il suo nome deriva dal greco “Batrachion” cioè “Piccola Rana”, non solo perché ama le zone paludose e le colora con le sue tinte forti, ma anche perché, proprio le rane, pur nascondendosi risultando invisibili, si fanno sentire con il loro canto. Fanno sentire la loro presenza. Sempre, anche quando sembrano non esserci. Da qui, la dolcezza del ricordo.

Un ricordo a volte languido che, il Ranuncolo, cerca di ravvivare con i suoi toni.

Si dice, nella tradizione popolare, che fu Gesù ad inventare e creare i Ranuncoli.

Voleva strabiliare sua madre, Maria, con un dono davvero particolare. Un fiore che, con i suoi petali, potesse riflettere la luce del sole e infatti questa è proprio una qualità del Ranuncolo. I raggi del sole brillano su quei petali lucidi.

Prese così delle stelle nel cielo e le trasformò in questi fiori, donando loro tinte appariscenti e sfavillanti perché potessero essere visti sempre e in ogni ambiente.

Per questo, si usava in tempi più antichi, regalare alla propria mamma dei Ranuncoli.

Il Ranuncolo (Ranunculus) conosciuto nell’Est asiatico, dove ha origine, come “Erba scellerata” a causa della sua tossicità, è invece chiamato da noi, in Occidente, “Botton d’Oro” in quanto viene raccolto quando ancora un bocciolo dalla forma a pallina.

La Liguria, e soprattutto la Liguria di Ponente, nominata anche Riviera dei Fiori, ha sempre coltivato e venduto molti Ranuncoli, tra altre specie di flora, e ancora oggi, essi, sono un sostentamento per diverse famiglie che ne fanno crescere pezzi di terra a perdita d’occhio. Un occhio ben felice di perdersi tra tanto splendore!

La sua corolla intrecciata raccoglie le gocce d’acqua e, anche loro, diventano luccicanti come il sole sopra a quei colori.

Si pensa che il Ranuncolo giunse in Europa durante il periodo delle Crociate ma, in Francia, c’è chi giura sia stato specialmente Luigi IX in persona, di ritorno dalla Terra Santa, a portare questi fiori per adornare il suo castello. Se ne era, letteralmente, innamorato.

E devo dire che me ne sono innamorata anch’io, ora che ho potuto vederli da così vicino. Li conosco da quando sono solo una piccola topina, ma poter toccare, con zampa, tutta questa meraviglia, è un’altra cosa. Decisamente! Un incanto.

Grazie a Topo Marco per avermi permesso di scattare queste splendide foto dei suoi Ranuncoli. Belli, sani, tronfi e che hanno colpito molto me medesima.

Un bacio floreale a voi! Al prossimo fiore Topi!

C’era una volta

Piccun, dagghe cianin… sun tuti coerpi deiti in sciù u me coe….” (Piccone, fai piano… son tutti colpi dati sul mio cuore).

Così recitava una vecchia canzone genovese. Vi è mai capitato di assistere all’abbattimento di una casa o di un edificio significativo del vostro paese? Oppure di svegliarvi un mattino, passare da una strada che da parecchio non percorrete e accorgervi che non c’è più quella struttura che regnava sovrana da che eravate bambini?

A me è successo. Ho assistito all’eliminazione del Cinema del mio paese. Una piccola palazzina come se fosse di tre piani. Era il Cinema in cui mio padre, quando ero piccola, mi portava a vedere le favole di Walt Disney: “Red e Toby”, “Cenerentola”, “Il Libro della Giungla”…

Era come un monumento, era un punto di riferimento.

– Ok, dal cinema alle quattro! -, dicevamo da ragazzini nei pomeriggi caldi in cui incontravamo gli amici.

Quando lo hanno abbattuto, ho assistito pensando che quel luogo non l’avrei mai più rivisto. Ho osservato commossa. Vederlo sventrato mi ha colpita. “Ecco cosa c’era sotto di me quando mi sedevo su quelle poltrone di velluto rosso”, “Ah pensa, di bagni ce n’erano tre, io ne avevo sempre visto uno solo!”, “Il gabbiotto del bigliettaio…”, ecco iniziare a sentire il cuore in gola.

Era proprio lì che mio papà, oltre al biglietto, mi acquistava anche, immancabilmente, il sacchettino di pesciolini di liquirizia per 100 lire. Era lì che non arrivavo nemmeno al bancone e, il bigliettaio, si sporgeva per guardare se potevo entrare con il ridotto o no. Era lì che, issandomi con le braccia e in punta di zampe, scrutavo quell’uomo con pochi capelli, controllavo che i biglietti ce li desse veramente, poi mi giravo e dovevo subito consegnarli all’uomo vecchio vecchio, che stava davanti ai tendoni più pesanti di me e dicevo nella mia testa “Ma come? Lo ha visto che li abbiamo pagati, perchè deve controllare?” ma era il suo lavoro, l’unico che gli rimaneva, e lo faceva con una disciplina incredibile.

Ecco cosa c’era dietro a quel gigantesco schermo bianco e sotto a quel palco, ma sinceramente, avrei preferito non vederlo. Io e la mia amica, ormai donne, stavamo lì come inebetite a guardare senza poter far nulla. Così avevano deciso e, nessuno, probabilmente se ne è lamentato.

Ora, al suo posto, sorgono due palazzine rosa di tre piani dove regnano sovrani studi di avvocati, commercialisti, medici, notai e, un bellissimo e curato giardino, fa da contorno a quelli che sono tra gli edifici più belli del mio paese, con le colonnine bianche, con il nome scolpito su una targa dorata, con il videocitofono… ma quel Cinema, il mio Cinema, che quando è stato abbattuto non era nemmeno un rudere, aveva molto più fascino.

Ogni week-end, da topini, andavamo a vedere attaccato al pioppo dinanzi, quale film proponevano e, solitamente, una favola fantastica, per noi, c’era sempre. Quello era il Cinema dei topini. Un altro, stava più verso il mare e proponeva qualsiasi novità. Parlo al passato perchè ora hanno chiuso anche lui. Forse, oltre alle caramelle, con qualche pop-corn, qualche bibita, qualche gadgets, gli occhiali 3D e un bel rinnovo, avrebbe potuto sopravvivere e invece siamo rimasti senza nemmeno un Cinema nel mio boschetto. Siamo rimasti senza casette, che hanno lasciato il posto ad alti palazzi e, ogni giorno, col passare del tempo ne sparisce una. Siamo rimasti senza la vecchia officina, la vecchia centrale, la vecchia fabbrica dove lavoravano il rame, senza cortili o spiazzi di terriccio, tutti posti in cui si andava a giocare, ci costruivamo le nostre “basi” e quelle dei nemici, si andava ad aiutare, o semplicemente ad ammirare, gli artigiani al lavoro, si andava a correre con il pallone perchè non c’erano auto che potevano impedircelo. Ora ci sono i palazzoni, i grattacieli, quelli con la luce rossa sul tetto per essere notati anche di notte dagli elicotteri. Enormi forme di cemento dalla strana architettura e il bizzarro design.Palazzi completamente vuoti, con il mega cartello “VENDESI” sempre attaccato lì, da anni.

Non un fiore a ravvivare quei balconi, non una tapparella tirata su a mostrar la vita, non un lume acceso attraverso i vetri, ma soltanto loculi su loculi, tutti uguali. Ma così è e nessuno può farci niente.  A noi, non rimane che il dispiacere.

M.