L’Estate – il tempo dei frutti

Se la Primavera è il tempo dei fiori, l’Estate è quello dei frutti e, fortunatamente, nella mia Valle Argentina, le stagioni si distinguono ancora molto, offrendo ognuna le proprie meraviglie.

Il verde è il colore regnante, un verde acceso che ammalia e anche i doni di Madre Terra sono verdi, per il momento… o almeno quasi tutti.

Oggi vi porto a vederne qualcuno, sono bellissimi e golosissimi. Naturalmente, nella mia Valle si trovano ovunque, perché quelli autoctoni nascono selvatici nei boschi e nei sentieri.

Per conoscerli meglio andrò a trovare Maga Gemma, lei sa tutti i loro segreti e sono sicura che mi racconterà molte cose su questi straordinari regali della natura dei quali io sono ghiotta.

Inizio già a vedere alcune piantine che conosco, sento qualche dolce profumo e vedo le loro tinte sgargianti, che meraviglia! E’ tutto offerto dal pianeta… mi sento grata e ricca! Qui c’è da mangiare per mesi e mesi!

«Pigmy, cara!» esclama una bellissima voce femminile dietro di me. «E’ possibile che pensi sempre a mangiare?!» la maga mi sorride.

«Maga Gemma! Ma come hai fatto a capire che…»

«Oh! Pigmy, suvvia… sono una Maga…» sorride ancora.

Io sono sbalordita da tanta bellezza che mi circonda. Attorno alla casa di Maga Gemma, una stupenda dimora in mezzo al bosco, c’è qualsiasi ben di Dio e, curiosa come sono, inizio subito a gironzolare e a infilare il muso ovunque, rapita da tanto splendore.

«Quelli sono Piselli Pigmy. Tra pochissimo si potranno mangiare.»

Ma che meraviglia! Sono buffi e molto carini, delle piccole palline con le quali si possono realizzare minestroni, contorni, insalate, creme, zuppe…! Mi volto di scatto attirata da altre biglie. Questa volta sono colorate di un rosso fuoco e sono appese a un albero: «Le Amarene!» urlo raggiante.

«Esatto! Più aspre delle Ciliegie ma anch’esse ricche di proprietà.» mi rivela la Maga.

«Davvero?» sono una grande conoscitrice di piante e fiori, ma vorrei che Gemma mi dicesse qualcosa di suo. «Racconta!» la esorto.

«Beh…contengono melanina e quercetina, la stessa sostanza che trovi nelle Cipolle. pensa. Quindi sono antitumorali, ma rilassano e fanno dormire sereni. Ottime contro lo stress. Tu non ne soffri, ma i tuoi amici umani sì!». Ecco, questa cosa non la sapevo.

«Nel dialetto della Valle si chiamano “Agriotti”», dico. «Alcuni frutti assumono nomi davvero strambi. Le Fragole sono “Merelli” e le Albicocche “Miscimì”. Bah!» ridiamo entrambe e continuiamo la nostra gita tra erbe e alberi.

Ecco, una delle poche piante senza fiori e senza frutti, poiché sono invernali. E’ il Kiwi e, per ora, offre una gradevole ombra proprio davanti alla casa di Maga Gemma grazie alle sue foglie larghe e tonde. Il Melo, invece, ha già fatto nascere piccole melette ancora verdi. Saranno aspre anche quando saranno mature, ma succose e buonissime perché contengono un’acidità molto piacevole. Fanno proprio bene, tra l’altro! Queste sono le vere Mele che tolgono il medico di torno, se mangiate ogni giorno!

«Seguimi Pigmy, voglio farti vedere uno spettacolo» mi invita la Maga e, fiduciosa, mi avvio dietro di lei. Mi fa chiudere gli occhi, mi fa fare qualche passo e, quando spalanco il mio sguardo rimango allibita! Neanche qui i frutti ci sono ancora, ma quello che vedo è il loro preludio! Gli Ulivi, alberi quasi sacri per noi liguri, sono completamente bianchi perché ricolmi di minuscoli fiorellini che tra qualche mese saranno Olive, le migliori al mondo: la speciale Oliva Taggiasca. Sono un trionfo di candore, sembrano pieni di lana, di neve! Qui da noi si dice “con la panna”! Appena si sfiorano con le zampe, cadono lievi a terra, perciò è bene non toccarli troppo! Un affascinante manto bianco che incanta.

«E questa invece sai cos’è?» mi dice quella splendida donna. Riconosco il frutto, non sono mica nata ieri, in fondo: «L’Uva Spina!».

«Bravissima! Per chi soffre di problemi all’intestino, questa è un vero toccasana!»

«Oh, sì!» replico. «So che contiene anche tantissima Vitamina A e tantissima Vitamina C,ed è anche molto dolce.»

«Esatto. Ancora poco tempo e sarà pronta anche lei. Questa, come vedi, è la varietà bianca, ma c’è anche quella rossa o violacea.»

«Che splendore!» Ammiro tutto estasiata.

Non posso credere di essere circondata da tanta ricchezza. Neanche a dirlo mi sono fatta una bella scorpacciata di parecchie cose mentre quelle che devono ancora maturare sanno che dovranno attendermi, perché tra qualche giorno verrò ovviamente ad assaggiarle.

Saluto Maga Gemma, la ringrazio e me ne torno alla tana con un bel cestino pieno di tante prelibatezze e, nelle narici, il dolcissimo profumo dei Tigli che mi ha riempito i polmoni. Qualche Zucchino, due Albicocche, un po’ di Pomodori… posso sfamare un reggimento. Ora devo lavare tutto, cucinarlo e farmi un po’ di provviste, quindi vi saluto e vi aspetto per il prossimo tour nel bosco dove andremo a mangiucchiare altre squisitezze, tutte naturali.

A presto Topi! Preparate le dispense!

Caino e Abele nella Valle Argentina

Questa è la storia (vera) di due fratelli che vissero in Valle Argentina, precisamente nei pressi del borgo di Loreto, verso la fine dell’800 e i primi anni del ‘900.

I due fratelli, il cognome dei quali iniziava per L. ma non posso svelarlo del tutto, vivevano in due case di pietra in uno dei punti più rocciosi della Valle. Siamo in Alta Valle, oltre Triora e poco prima di Realdo, dove le lisce e alte pareti di roccia oggi permettono scalate a chi ama arrampicarsi.

Non c’era terra e le loro dimore erano state costruite su dei costoni che si affacciavano sul torrente.

Uno dei due, il più anziano, coltivava un piccolo pezzo di terra davanti a casa. Un appezzamento molto prezioso, in quanto di terra, in quel punto lì, non ce n’era per niente.

Un giorno, il fratello più giovane, passando vicino alla campagna del maggiore, permise alla propria capra di divorare un cavolo di quell’orto e questo fece arrabbiare così tanto il più grande che prese una grossa pietra e la scagliò contro il fratello più piccolo e irrispettoso, colpendolo proprio alla testa. Non lo uccise, ma si fece ugualmente circa otto anni di duro carcere. Una volta uscito di galera, tornò in quella casa e rivide il fratello. Per niente soddisfatto e ancora pieno di rancore, questa volta gli tirò una badilata sul viso, ma lo ferì solamente a un labbro e quindi non venne messo in gattabuia.

Viene subito da pensare che questo fratello maggiore fosse davvero una persona cattiva, violenta e rancorosa, ma io, senza giustificare né giudicare nessuno, vorrei porre l’attenzione su qualcosa che forse sfugge ai più, ma che riguarda tutta la mia Valle.

Partiamo dal presupposto che non si fa del male a nessuno, così evito eventuali incomprensioni. Come già sapete, sono contro la violenza di qualsiasi tipo e verso chiunque, però una cosa che al giorno d’oggi non riusciamo più a comprendere è l’immensa ed estenuante fatica che un tempo, soprattutto in certe zone della mia Valle e di tutta la Liguria, si compiva nel cercare di creare spazi pianeggianti atti alla coltivazione per evitare di morire di fame. La Liguria è una regione morfologicamente molto difficile da coltivare. La Valle Argentina è culla, inoltre, del monte più alto di tutta la regione (il Saccarello, 2.201 mt). Questo indica come la mia sia una Valle che, in pochi chilometri, dal mare giunge ad alte vette, quindi potete capire come sia aspra e scoscesa, seppure bellissima. Durante la costruzione di terrazzamenti e muri a secco, per creare le famose “terrazze liguri”, strisce di terreno nelle quali seminare ortaggi e grano, si faticava assai. Cumuli di terra e grosse pietre pesanti venivano trainati con sforzi disumani, in salita, per chilometri e chilometri o a braccia o con l’aiuto di muli che, spesso, sfiniti anch’essi, dovevano fermarsi a riposare. Una volta trasportato tutto il materiale in alto con sangue e sudore, si iniziava il lavoro: si disboscava o si spaccavano rocce e falesie (a mano!), si scavava, e non c’erano di certo le ruspe, si  ergevano muri e poi si procedeva al riempimento con la terra che veniva poi battuta e smistata (sempre a mano!).

Ora, nonostante con questa spiegazione sia impossibile concepire veramente la fatica di quegli uomini, potete credermi se vi dico che ogni dono della terra, nato in quelle sottili strisce, era un tesoro dal valore inestimabile che permetteva il sostentamento.

Questo, lo ribadisco, non vuole giustificare l’atto del fratello maggiore, ma, proprio da chi è sangue del mio sangue, io non mi aspetterei un gesto così poco rispettoso come quello di far mangiare il mio cavolo a una capra che aveva ettari interi di bosco e brughiera nei quali sfamarsi.

Il gesto del fratello più grande, ripetuto poi attraverso la vanga, è sicuramente imperdonabile, ma non badiamo a lui per un attimo. L’importante, secondo me, è osservare con gli occhi dell’ammirazione e dello stupore quello che, oggi, nella Valle, ci circonda.

Quando notiamo le nostre montagne e le nostre colline trasformate in enormi gradini, soffermiamoci a pensare alla portata del lavoro di gente che ha sfamato anche i nostri nonni e i nostri padri. Se ci pensate bene, guardando questo territorio, ha davvero dell’incredibile.

Un caro saluto, Pigmy.

E’ Natale

E’ inutile: continuiamo a dire che ormai non si sente più, che è solo una festa consumistica, che non è l’unico momento in cui si devono fare doni e bla, bla, bla però, a parer mio, credenti o meno, non possiamo negare il fatto che nei giorni vicini al Natale, ci sia un’atmosfera diversa. Probabilmente il nostro paesino, stanco e ormai scoraggiato, non ci crede più, il nostro Comune è rimasto senza soldi e noi senza luminarie, il nostro vicino di casa non appende più la ghirlanda alla porta… ma nell’aria c’è. Si percepisce.

Apro un blog e parte la musichetta natalizia, ne apro un altro e scendono i puntini bianchi a simulare la neve, un altro ancora e brilla la stella di un abete decorato, il famoso puntale, che da piccola pretendevo di mettere senza mai riuscire ad arrivarci.

E allora ho deciso di farvi i miei auguri, quelli più affettuosi, per voi che mi seguite. L’anno scorso, cari topi, vi ho cantato una canzone che amo molto, intitolata “Buon Natale”. Quest’anno, invece, ho deciso di dedicarvi una filastrocca molto carina:

E’ NATALE

E’ Natale, è Natale,

chi sta bene e chi sta male.

Chi si mangia il panettone,

lo spumante ed il torrone:

ed invece in qualche terra

i bambini sono in guerra.

Caro mio bel Bambinello

fa che il mondo sia più bello

e con gli uomini in letizia

tutti in pace e in amicizia.

Ad ognuno fai trovare

ogni giorno da mangiare.

Della neve ogni fiocco

tu trasformalo in balocco

che poi cada lì vicino

ad ogni piccolo bambino.

Manda a tutti il proprio dono

e fammi essere più buono.            (T.W.)

Cosa ne pensate? Ho scelto una filastrocca sufficientemente tenera da raccontarvi? Mi sembra proprio di sì. E allora, con tutto il cuore, BUON NATALE, amici topi!

La vostra Pigmy.

M.

Il grande Libereso

Ah topi, sedetevi tranquilli perchè oggi voglio parlarvi di un uomo. Si, si è un umano! Un umano molto particolare e mi auguro vogliate conoscerlo perchè, datemi retta, ne vale la pena.

Voglio parlarvi di un grande botanico, un umanista, un amante della natura. Voglio parlarvi del giardiniere di Italo Calvino. Lui è Libereso Guglielmi.

Prima di cominciare, vi segnalo questa splendida pagina che parla di lui http://www.trafioriepiante.it/infogardening/poltrona/LiberesoFioreBocca.htm. Leggete questa bellissima intervista. Grazie alle sue stesse parole e al lavoro svolto da Paolo Cottini, possiamo conoscere meglio questo personaggio.

Libereso vive vicino a me, in un giardino di San Remo. Ovviamente non sa nemmeno chi sono ma, a me, piacerebbe tantissimo incontrarlo. Mi piacerebbe ascoltarlo, rubargli un pò della sua saggezza e della conoscenza che ha sulle piante.

E’ insegnante, ricercatore, scrittore, pensatore. Della flora conosce ogni segreto. Conosce la pianta terapeutica e quella alimentare. Conosce come vivono e perchè esistono. Ne conosce l’intelligenza e lo scopo.

Si nutre egli stesso di quei fiori che, il suo più grande maestro, Mario Calvino, gli ha mostrato.

Il suo modo di dire “Mangiare il Giardino” è molto affascinante e, per chi vuole provare a cucinare qualche particolare ricetta, può acquistare il libro “Oltre il Giardino – le ricette di Libereso Guglielmi” a cura di Claudio Porchia.

Attivo dal mattino alla sera e, arzillo più che mai, pur essendo una persona molto tranquilla, dopo essere stato capogiardiniere all’Università di Londra e botanico per la famiglia Calvino appunto, oggi, pur di non star fermo, mantiene conferenze ovunque e, a San Remo (IM), insegna ai bambini delle Scuole Elementari a disegnare i fiori, la sua più grande passione. E pensate che è nato nel 1925. Da non credere. E’ meraviglioso.

Ma tutte queste cose topi, sono indizi su di lui che potete trovare tranquillamente anche sul web. Io invece vorrei comunicargli la mia stima personale e credere che, un giorno, passerò con lui un intero pomeriggio. Si, sarebbe nulla, ma a me già basterebbe. Sarebbe l’uomo che potrebbe farmi passare una delle giornate più belle della mia vita. Pensate che, per molti miei amici, Italo Calvino è lo scrittore preferito e mentre io invece, adoro le piante e tutto il grande mondo in cui vivono del quale se ne conosce solo una minima parte. Libereso, a questo mondo, ha dedicato la vita intera.

Ti abbraccio forte Libereso e spero davvero un giorno, di poterti guardare, mentre con quella tua voce pacata mi spieghi tutti quelli che, per me, sono ancora segreti. Spero anche di poter passeggiare con te che, con il tuo bastone, mi indichi le piantine commestibili da raccogliere e assaggiare. Tua Pigmy.

Foto presa da genova.montelocale.it

M.

Red Carpet alla Cipolla!

Ieri sera Mamma Topa ci chiama invitandoci a cena.

Quando Mamma Topa chiama, perchè ha fatto da mangiare, si va. Non si fanno domande. Si va. Senza indugiare.

Aveva cucinato un insieme di piatti (fantastici) appartenenti ad un’altra epoca, ma davvero buonissimi. Ora, lei insiste nel dire che le sue ricette appartenevano al ‘500, a me invece sono sembrate quasi medievali e, ad essere sincera, la parola medievale mi piace di più.

Comunque sia, Mamma Topa, che ne sa sempre una più del gatto, prendendo spunto da qualche programma culinario, e aggiungendo un pò di sana fantasia, ha creato una cena intera dedicando ogni piatto a Princess Onion ossia… la cipolla! Ma finitela di storcere sti nasi! Non sapete cosa vi siete persi; ma la cosa più bella è che ha usato più o meno tutto quello che c’era in quell’epoca, rendendo buonissimo il tutto, senza utilizzare cose strane.

Tanto per iniziare, la tavola era bandita di tutto punto e, nei bicchieri antichi, c’erano i tovaglioli di stoffa, anzichè le solite foglie di mais. Quando vedete i tovaglioli di stoffa, a casa di Mamma Topa, tenetevi forte e aprite le pance.

Allora, antipasti non ne ha fatto (e meno male, altrimenti saremmo letteralmente scoppiati), di primo invece ha preparato dei gnocchetti belli sodi, come piacciono a me, conditi in modo particolare. Da notare che i gnocchetti non erano girati sulla forchetta ma lasciati a cubetti. Ciò che li accompagnava era un insieme di quadratini di melanzana, sfoglie di cipolla e pinoli. E la prima parte di baffi è stata leccata.

Per secondo, oltre ad aver reso gai i nostri palati con un assaggio di coda in umido con patate e fagioli, ha fatto una torta di salsiccia e cipolla. Se uso il termine – buona – per questa torta la offendo, infatti, era non buona ma… meravigliosa. La gellata agli altri baffi è partita spontanea.

Ad affiancare questo tortino di pasta sfoglia, udite udite… cosa sono quei cerchietti nella foto? Da non credere, dischi di cipolla fritta con prezzemolo e non so quale altro intruglio che li ha resi spettacolari.

Come dolce, una semplice fetta di una specie di torta Margherita ma, Mamma Topa, ha ricoperto con crema e crema al cioccolato fatte da lei.

Un mangiare davvero povero se osservate gli ingredienti ma è riuscita a fare un figurone.

Tutto era davvero eccellente, credetemi, e la cipolla, che tanti non digeriscono, o che a certi può non piacere, rimane in realtà ben cotta e ottiene sapori che erano, per me, finora sconosciuti.

Insomma, ad un certo punto avevo la coda che strisciava a terra, non avevo la forza di alzarla e, il mio pancino, era così colmo che anzichè zampettare, rotolavo.

Ho mangiato divinamente e la dedica alla cipolla e l’atmosfera… medievale… han reso tutto davvero particolare.

Ora, visto che di epoche e periodi ce ne sono parecchi, mi auguro che Mamma Topa, abbia voglia di provare a farceli vivere tutti. La trovo innanzi tutto una splendida idea e soprattutto un passatempo carino e fuori dalla retorica. Fatelo anche voi con parenti e amici! Uno squit a tutti!

Mamma Topa?… Mi senti?… Mamma Topa?…

M.