La Preghiera del Marinaio

Ad Arma di Taggia esiste un luogo dove non si dimentica. Un luogo che permette di ammirare, oltre che tornare indietro con la mente. E’ il posto dell’infinito, dove uomini determinati partivano per compiere lunghi viaggi.

Il luogo che non ha fine ai nostri occhi è il mare, gli uomini determinati e coraggiosi i Marinai, i nostri Marinai, liguri e di tutta Italia. Oggi vi porto in un angolo che li ricorda simboleggiato da quella che sembra una Madonnina ma è in realtà Santa Barbara, all’interno di una teca di vetro, posizionata su una colonna nella nuova Piazza – Caporale Tiziano Chierotti -, esattamente di fronte alla piccola chiesetta di San Giuseppe e di fronte all’ampia distesa blu.WP_20150226_004“AI CADUTI IN MARE” si legge chiaramente su una lastra di marmo del 1988. A tutti quegli uomini che, per scoperte ma soprattutto per la guerra, hanno lasciato la loro vita in balia di quelle onde che non le hanno più permesso di tornare a riva. La loro esistenza è rimasta là ma anche nei nostri ricordi.WP_20150226_003Marinai, e ancor prima naviganti. A battersi sull’acqua per proteggere la terra e ciò che essa custodiva.

Il mare splendente, in tutta la sua bellezza, è ciò che in sé trattiene: i corpi dei nostri cari. Uomini giovani, valorosi, che partivano per non fare più ritorno. Grazie a loro abbiamo immagini di tempi non conosciuti. Grazie a loro abbiamo individuato nuovi regni. Grazie a loro possediamo oggi ciò che ci circonda.

Qui, dove sorge questo monumento, uno spicchio di spiaggia è utilizzato come parcheggio per piccole imbarcazioni a vela. Minuscole barchette e catamarani assopiti ad aspettare l’arrivo della bella stagione, ad aspettare anch’essi, di potersi tuffare in quell’acqua cristallina.

I gabbiani e il vociar della gente contornano quel punto di silenzio.

E che bella la statua della Santa, pare in bronzo, e la sua espressione è dolce. Le sue braccia aperte.WP_20150226_009 Una lucetta la illumina anche di notte. E’ su, in alto. E dall’alto guarda tutti i passanti benedicendoli come ha benedetto i nostri Marinai prima dei loro lunghi viaggi. Una preghiera in loro onore è stata posizionata ai suoi piedi, una preghiera toccante, dedicata alla protezione di Dio sui Marinai e su tutti gli Ufficiali della Marina Militare Italiana. WP_20150226_006Incastonata invece tra mattoncini color vermiglio, risalta nel suo blu cobalto, la scritta riportante la testimonianza della Medaglia d’Oro al Valore Militare. Un glorioso sacrificio, a quanto si legge, di queste vittime di sistemi più grandi di noi. WP_20150226_005Le quattro stellette agli angoli e la cornice intorno sono dorate.

Ma in basso, contro questa colonna, non ci sono solo scritte. Un simpatico timone e una pesantissima ancora, verniciati di nero, sono la rappresentazione tipica della navigazione. Se ne stanno appoggiati lì, dietro ad una catena che li protegge. A farsi guardare. Ad aspettare chissà cosa. WP_20150226_007Sotto al sole e sotto la pioggia di fronte alla piccola e antica chiesetta di San Giuseppe anch’essa affacciata sul mare. WP_20150226_008Persino le persone amano starsene sedute sulle panchine in questo luogo pacifico. Rilassandosi, mentre i bambini giocano e i piccioni sono costantemente alla ricerca di qualche bricioletta di pane.

Non sanno mica, spensierati, cosa è successo in quel mondo azzurro che hanno davanti. Ma chi può saperlo? Solo i naviganti potrebbero raccontare ma, quelli ai quali tutto ciò è dedicato, non ci sono più.

Non fa niente, non importa, rimaniamo ugualmente qui a non dimenticare. Rimaniamo a rivolgere uno sguardo e un sorriso a questo luogo dedicato a loro, costruito nel nostro paese.

Un saluto topi, alla prossima!

M.

Il miraggio di Fata Morgana

Monte Ceppo, Valle Argentina, ore 16:30.

C’era una volta, tantissimi anni fa, qui nella mia Valle, una fata. Era una bellissima fata dai capelli lunghi e corvini, e dalle labbra rosse come i petali di una rosa.

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E questa splendida fata ballava, ballava. Passava le sue ore a danzare nel bosco, attendendo invano il principe della sua vita. La sua, era una danza malinconica; nessuno desiderava entrare in quella foresta scura. Nessun cavaliere, nessuna aitante guardia. Non c’era nulla di affascinante ad attrarre. Niente di particolarmente seducente nell’antro ombroso di quel suo nascondiglio. E allora la fata, che si chiamava Morgana, stanca di rimanere sola, decise di trarre con l’inganno un uomo accanto a lei. E, da quel giorno, iniziò a costruire la sua trappola, la quale, doveva assolutamente funzionare“.

Molte volte vi ho portato qui, in questo particolare angolo di mondo. La luce, la foschia, le nubi. Qui c’è la magia. Il sapore agrodolce della terra che entra nelle narici e si appoggia sulla lingua e una stranaA_7f76baa10d umidità che penetra nei vestiti.

La penombra dei Larici, il verde dell’erba perenne e il grigiore del cielo e della nebbia intorno a noi. S’innalzano e ci avvolgono il rosa e poi l’azzurro, e poi il fresco e l’aria che fa socchiudere le palpebre. Gli occhi lacrimano. Il clima?2012-11-16 17.04.29 Lo stupore? Chissà.

Utilizzo per descrivervi questo spettacolo, l’immagine che sanremonews ha dedicato a un mio articolo, (un caro regalo, che un giorno vi mostrerò) e una splendida foto che già conoscete, della mia amica Mirial (del blog: Sogni di una notte di Luna Piena).

E sapete di quale spettacolo vi sto parlando? Di quello chiamato – Il Miraggio di Fata Morgana -. Un nome magico come lui.

Conoscete tutti questo miraggio? E’ un miraggio particolare. Prende il nome dalla celtica fata che attirava a se marinai e guerrieri, un po’ come le sirene cercarono di fare con Ulisse.

Morgana (che a me invece piace credere amica di Merlino), riusciva a far vedere, ai malcapitati, luoghi inesistenti ma attraenti e condurli così a morte certa, attirandoli nella sua trappola, nella quale si perdevano senza via d’uscita.

Questo è il fenomeno. Si vedono cose che non esistono ma che sembrano vere e potete credermi! Io non so bene spiegarvi cosa accade scientificamente, ma so che è un insieme di curvature di luci, atmosfera e temperatura caldo/freddo a realizzarlo. E da qui, dal Monte Ceppo, a 1600 mt s.l.m., da dove si possono guardare i monti ma anche il mare, è facile, nel pomeriggio o all’alba (dipende dalla stagione), poter ammirare città che in realtà non ci sono di certo o vedere una Corsica, in quel momento invisibile, o troppo alta e troppo vicina per essere davvero lei! Oppure il mare, proprio lì, a due passi.

Insomma, se ne sentono di tutti i tipi e se ne vedono di tutti i colori. Quelli che hanno visto questo fenomeno, ne raccontano di ogni… Andando alla ricerca di questo miraggio, per potervelo spiegare meglio, ahimè invano, mi sono imbattuta in Wikipedia e ho scoperto che è molto frequente nello Stretto di Messina. Studiato quindi anche nelle terre vicine a noi, mantiene il nome di – Fata Morgana – anche all’estero. Se siete bravi scienziati, o fisici in gamba, questa enciclopedia virtuale vi potrà spiegare meglio di me in cosa consiste http://it.wikipedia.org/wiki/Fata_morgana_(ottica)

Uno spettacolo unico al mondo. E raro. Vederlo è una vera fortuna anche se ci sono luoghi in cui è più comune. Quello che usiamo fare noi della Valle Argentina, avvistato l’incredibile miraggio, è esprimere un desiderio. Siamo completamente circondati dalla natura più viva e, in quel momento, è bellissimo sognare. Palcoscenico suggestivo ed emozionante.

E voi, l’avete mai visto? Vivete anche voi in un luogo così incantato che offre certe visioni?

la prima foto è di forumalfemminile.com.

M.

Particolarità della Cucina Genovese alias la Cucina Ligure

Oggi, facendomi aiutare dalla sapienza della giornalista Laura Rangoni, vi voglio far conoscere meglio la nostra cucina.

Laura Rangoni s’interessa infatti di storia del cibo, dei rapporti di cibo e psicologia, di folklore e tradizioni alimentari e userò qualche suo scritto per raccontarvi di una cucina a mio avviso un po’ diversa dalle altre.

Bene, ecco vedete, innanzi tutto bisogna precisare una cosa: quando si parla di cucina Ligure, non si dovrebbe usare solo l’aggettivo “Ligure” bensì anche il termine “Genovese”. E’ un filo sottilissimo che le divide ma miliardi di cose le accomunano. Si potrebbe fare di tutta l’erba un fascio ma non è esattamente così. Non mi si chieda perchè. Forse perchè tutto è partito da lì, da questo capoluogo affascinante e dalla lunga e ricca storia.

E’ ovvio che le stesse ricette le si conoscono da Ponente a Levante, anzi, siamo proprio noi ponentini a fornire maggiormente castagne, nocciole, olive… ed è la città di La Spezia (Santa Teresa) a fornire i mitili ma, Zena (Genova), merita la nomina di questa particolarissima arte culinaria e,  probabilmente, essendo in posizione centrale, rispetto alla regione, è giusto così.

Par proprio che, da un estremo all’altro della Liguria, ci si riunisca nella Superba tutti insieme per poter inventare, preparare e gustare ciò che rende felice tutti i palati del mondo. Senza tralasciare che Genova stessa gode di ricette che non si trovano nelle altre provincie liguri.

Alessandro Molinari Pradelli, studioso e ricercatore di civiltà contadine ed enologia invece divide bene le due cucine lasciando a Cesare quel che è di Cesare e distanziandole tra loro; io però oggi vorrei coniugare una regione che dà al suo capoluogo così come esso dà alla sua regione.

E allora perchè questo tipo di cucina risulta così originale? Ve lo spiego subito: vi dice niente il connubio mare-monti? E i nostri marinai, pronti a scavalcare mari impetuosi per portare ingredienti da terre lontane? Ma andiamo per ordine perchè, anche questa storia, potrebbe essere letta come una bella favola ed è proprio per raccontarvela che mi farò aiutare dalla Rangoni così come mi hanno aiutato nonni, genitori e i segreti della mia stessa Valle con le sue mille piante ed erbe officinali.

Vedete, Genova ha una posizione geografica particolare rispetto alle altre città italiane e questo ha contraddistinto la sua cucina tradizionale. Come Guccini, verso Bologna, cantava che “… ha il seno sul piano padano e il culo sui colli…“, di Genova, potremmo dire, immaginandocela prona, che si bagna il viso nel mare e si fa accarezzare i piedi dalle fronde degli alberi prealpini. Che il nostro cantore De Andrè me la passi buona!

Questa splendida città è situata sul mare ma a ridosso delle colline, quindi, nel tempo, si sono potuti accoppiare, nelle ricette tradizionali, sia i prodotti derivanti dalla pesca, sia le verdure coltivate nelle strisce di terreno strappato alla roccia, aggiungendo poi al tutto anche l’universo di erbe aromatiche tipiche della Liguria.

Non mancano infatti i prodotti spontanei che si trovano nelle pinete e nei boschi tipo funghi e pinoli che hanno dato una nota originalità ad una cucina, nel suo complesso borghese e popolana, montana e marina assieme. Ma anche noci, castagne, olive ed erbe varie, denotano l’abilità di questi abitanti nell’inventare ricette gustose con ingredienti poveri e facilmente reperibili sul territorio.

Infatti, a causa della particolarità orografica, della scarsità dei pascoli per i bovini e di zone di coltivazioni estese di cereali e ortaggi, la Cucina Genovese ha sviluppato ricette con prodotti facilmente conservabili quali ceci e altri legumi utilizzati, ad esempio, nella Farinata e nella Mesciua, oppure cucinando stoccafisso e baccalà.

I Liguri sono maestri della conservazione. Hanno dovuto imparare per forza.

E non mancano nemmeno le suggestioni… Come vi dicevo prima, riportate in patria dai marinai che hanno visitato paesi lontani e hanno acquisito l’abitudine del preferire sapori forti, sinfonie di sapori sapientemente modulati con l’uso delle erbe. Il basilico soprattutto, conosciuto in tutto il mondo, contraddistingue questa cucina interpretata da raffinati intenditori. E non si tratta solo del Pesto. Quel Pesto che non è mai uguale a se stesso nonostante la semplicità della sua ricetta.

Un’altra regina incontrastata della Cucina Genovese, che ha reso nota tutta la regione, è la torta Pasqualina, accompagnata da altre torte di riso e/o verdura; ottima, pronta e completa per essere consumata nelle lunghe notti di pesca.

Anche la pasta ha una lunga tradizione. A ricordarlo anche l’Agnesi d’Imperia. I “Macarones”, pensate, compaiono citati in una fonte genovese del 1279. Probabilmente, i naviganti liguri, conobbero gli Arabi e provvidero a diffonderne l’uso già nel lontano Medioevo.

La pasta fatta in casa invece compare sulle tavole da sempre e trova la sua apoteosi nelle Trofie, ma anche nelle torte di riso, nelle sardenaire, nelle focacce citate già nei cinquecenteschi ricettari (come “Gattafure Genovesi”).

Non possiamo poi tacere sull’olio, il prodotto di quegli ulivi che sembrano sofferenti sferzati dal vento e bruciati dal sole. Un olio che risulta uno dei migliori d’Italia, profumato e delicato al tempo stesso e che costituisce il condimento essenziale dei piatti tipici liguri.

Zena, epicentro di una regione dai sapori ricchi, dai profumi intensi e dagli introvabili ingredienti come: i carciofi d’Albenga, i fagioli di Badalucco, i radicchi di Chiavari, i pomodori di Cervo.

Una cucina prevalentemente vegetariana che sfrutta le ricchezze del suolo e del suo sole perenne. Una cucina che ha saputo esaltare i sapori della sua terra con nobile maestria e che fortunatamente, io nella mia Valle, posso gustare ogni giorno.

E allora… che un buon appetito vi accompagni topi. Buona pappa a tutti.

M.

Il Nome della “Valle Argentina”

Con questo post, vorrei invitare chi vuole e chi sa, o chi immagina, a raccontare una curiosità inerente al nome della mia valle.

E’ da qualche mese che scrivo articoli su di lei perché sento di farne parte, perché sono luoghi che amo e perché merita di essere esplorata fino in fondo. Nonostante tutti i miei vari scritti però, ancora non vi ho detto perché questa mia vallata si chiama “Argentina”.

Ebbene cari topi, dovete sapere che le teorie a riguardo sono davvero tante, questo un po’ mi dispiace, perché apprezzerei conoscere l’origine di tale nome ma, allo stesso tempo, mi affascina tantissimo ascoltare le varie versioni, tutte, incredibilmente e possibilmente, valide.

La più attendibile e, se devo essere sincera, è per me anche la più bella e suggestiva, è data dagli Ulivi.

Questa valle, completamente ricoperta di tali alberi e spesso ventosa, si dice prenda il nome proprio dal colore argenteo delle foglie degli Ulivi che, mossi dal vento, mostrano il retro delle loro foglie, di un verde quasi madreperlato, luccicanti al sole. Le stesse foglie, brillano ancora di più se cullate dal torrente, in quanto, a contatto con l’acqua, rendono la Valle scintillante.

Questa versione la si trova anche su libri e vecchie scritture. Addirittura, per la maggior parte degli anziani essa è la giusta teoria ma, tra di loro, c’è anche chi afferma che, questo nome, deriva dal colore del torrente.

Un torrente limpido, che percorre un determinato percorso tra i monti e, in certi punti, baciato dal sole, tra alberi e rocce, si propone di un grigio fulgido proprio come l’argento quando brilla. E’ chiamato infatti Torrente Argentina. Mi da però l’idea che qualsiasi torrente possa assumere questo colore e quindi non so quanto ritenere valida questa affermazione anche se è vero che, tale rio, effettua un viaggio in una natura particolare.

Un’altra ipotesi, raccontata dagli anziani del posto, include come protagoniste le formiche argentine del Sud America. Le formiche che hanno invaso non solo la mia Valle ma tanti altri luoghi italiani. Trasportate fino a noi dal Nuovo Continente, con i barconi di un tempo, si sono presto costruite dimora in tutta la Valle, moltiplicandosi negli anni, e diventando tra i primi abitanti di boschi, campagne e città. Dopo essere arrivate qui insieme a pirati, mercanti e guerriglieri che solcavano i mari, si sono adeguate ad un clima diverso ma senza la minima fatica.

Ora ditemi, ne conoscete per caso altre di versioni? Avete mai scoperto chi ha dato il nome a questa vallata e perché?

Comunicatemelo se vi va, sono curiosa e trovo divertente conoscere tutte le supposizioni. Questi che vi ho elencato sono quelli che ho scoperto io. Mi chiedo quali altri possono esserci.

Vi lascio con questo dilemma e, a tutti, auguro un buon inizio di settimana.

La vostra Pigmy.

M.

Messaggio in bottiglia

Si, così, semplicemente. Tutto è nato da un messaggio nella bottiglia.

Per quei militari, era probabilmente uno dei pochi svaghi che potevano concedersi” pensò lei.

Lui era alto, magro, biondo, sembrava un attore dei film in bianco e nero. Porgeva servizio in Marina, era un soldato con il ruolo di fotoreporter. Immortalava combattimenti, truppe, momenti atroci, attimi di pace della vita di chi combatteva ogni giorno, a volte, anche sorrisi.

Lei, mora, con gli occhi color del cielo e un enorme sorriso. Lavorava presso il Banco di Sicilia a Genova. In famiglia ricordiamo ancora le bottiglie di amaro “Averna” che portava nelle vacanze di Natale.

Non si sa bene come andò ma dapprima, fu solo uno scherzo. Facendole credere di aver trovato un messaggio in una bottiglia, una sua cara amica, la obbligò ad andare al posto suo, ad un appuntamento; una favola. E lei così fece, in fondo, poteva anche essere divertente.

L’appuntamento era con mio zio, fratello di mio nonno e lei… divenne mia zia.

S’innamorarono a prima vista e si sposarono poco dopo. Giovani. Giovanissimi. Nelle foto del loro matrimonio, ridono come matti.

Bello come il sole, mio zio era arruolato sulla Corazzata “Littorio”, marinaio, foto-giornalista.

Era in quel periodo che, sbarcando spesso a La Spezia, all’Arsenale o nel Porto di Genova, per lavori di manutenzione alla nave, poteva godere dei momenti felici con la sua giovane sposa che andava ad incontrarlo.

Quando la guerra fosse finita, avrebbero potuto passare insieme ogni giorno.

Il 6 settembre del 1943 lo trasferirono sulla Nave da Battaglia “Roma”.

L’8 settembre del 1943, giorno dell’armistizio, alle ore 15:40, la sua nave venne colpita dalla prima Ruhrstahl SD 1400, una bomba razzo. Alle 15:52, una seconda bomba l’incendiò. Nella foto, trovata su internet, potete vedere l’imbarcazione colpita. Dopo pochi minuti affondò del tutto. Si salvarono 622 marinai. Ne morirono 1352, ustionati o annegati, tra i quali, mio zio. Essi, furono le prime vittime, per mano dei tedeschi, dopo la dichiarazione dell’armistizio.

Guardare le foto che oggi possiamo trovare grazie alla tecnologia, mi lascia un senso di malinconia addosso.

Mia zia era incinta. Mia cugina, non conobbe mai suo padre. Un addetto, davanti alla porta della chiesa, nominò tutti i deceduti e i dispersi e lei, si sedette sui gradini di quel Duomo. In due, dopo qualche giorno, in divisa, bussarono alla porta di quella giovane sposa per le dovute condoglianze e, il suo pancione, era già in evidenza. Pieno di vita.

Con la morte nel cuore, fu proprio il respiro che portava nel ventre a farla andare avanti.

La Nave da Battaglia “Roma” è ancora là, sotto le acque del Mediterraneo, sotto le bocche di Bonifacio e, qualcuno, che dal Cacciamine “Vieste”, grazie a un sommergibile ha visto cos’ha tenuto dentro di sè, ha dichiarato – Andiamocene e lasciamo riposare in pace i nostri morti -.

Di mio zio rimangono tanti ricordi e il nome sul monumento dei caduti del mio paese, nella mia valle.

A Ibiza, un altro monumento, riporta tutti i nomi dei marinai della nave. Non si sa perchè proprio lì, forse perchè i naufraghi, ai tempi, i sopravvissuti, furono portati in Spagna.

Una nave massiccia, possente, con corazze laterali in acciaio di ben 60 cm l’una e, a differenza di tutte le altre costruzioni, era protetta ulteriormente da piastre verticali. Una nave con un equipaggio tra i più numerosi all’epoca, che finì il suo tragitto dopo aver navigato per 2.500 miglia. Una nave che trasportava grandi uomini.

Di lui rimangono le foto in bianco e nero in cui sembra un personaggio da film, con la sua faccia pulita, quella di un ragazzino. Foto che mia zia rimirava e rimirava assieme a sua cognata, sorella del nostro eroe, ogni volta che veniva a trovarci. Di lui rimane una stirpe che sempre lo ricorda.

Mia zia, non si è mai più risposata ma ha continuato a considerarci la sua famiglia e, durante i Natali, passati insieme con l’amaro Averna sul tavolo, sentivo che mio zio, in quel momento era lì con lei, era lì con noi.

M.