Dentro i Bunker di Marta – nella profondità della Terra

Cari Topi, probabilmente non ve l’ho mai detto ma a far da cornice alla mia splendida Valle ci sono monti assai importanti perché hanno conosciuto vicende umane non indifferenti.

Attraverso questo post, capirete che siamo davvero in un teatro storico che ha molto da raccontare ma, allo stesso tempo, dal punto di vista naturalistico, proprio dove la mano dell’uomo si è unita a quella di Madre Natura per compiere le proprie azioni, siamo in un luogo stupendo.

Una parte del lato a Ovest, e a Nord Ovest, della Valle Argentina è infatti delineato da montagne straordinarie, vissute tantissimo durante i più noti periodi di battaglia, le quali sono state trasformate in giganteschi pezzi di gruviera. Sapete perché? Perché al loro interno sono stati realizzati bunker di una vastità incredibile.

Oggi vi porterò a visitarli ma prima devo dirvi due nomi.

Siamo nella zona di Marta; è così chiamata per via di Cima Marta 2.138 mt, una delle montagne più alte che ci circondano. Vi indico l’altezza di questa vetta perché capirete, leggendo, quanto è stato protagonista il clima.

Siamo infatti in una zona dove un tempo nevicava tantissimo. Gli inverni erano molto più rigidi di adesso e la neve, la bianca signora, perdurava per diversi mesi. Questo è importante da sapere, Topi, perché oggi vi racconto di guerre, di storie militari ma, sopra ogni cosa, porto il vostro ricordo ai soldati che prima di tutto erano: uomini.

La maggior parte di essi si spostavano sugli sci. Dovevano essere abili sciatori e, ovviamente, non dovevano patire il freddo. Ma come era possibile a quelle temperature? Qui si era sempre sotto lo 0, il vento tagliava i musi e il ghiaccio regnava sovrano.

Davanti a Cima Marta, proprio di fronte a lei, un altro promontorio elevato, nominato “Balconi di Marta”, conserva al suo interno il più grande e vasto bunker di tutto il Vallo Alpino Occidentale (pur non essendo l’unico).

Si tratta di un bunker davvero impressionante che scende sottoterra quanto un palazzo di 45 piani, pensate!

Al suo interno, infatti, ben 500 gradini circa, portano sempre più giù e il buio è assoluto.

Se fuori, in mezzo a quei prati verdi e incontaminati, me ne sto con le maniche corte di una canotta ricavata da una foglia di Faggio, qui sotto mi devo mettere la giacca pesante! Un bel po’ di paglia me la porto dietro, perché non fa caldo per niente e non è suggestione.

Là sotto le correnti d’aria sono ghiacciate, mi chiedo come l’essere umano abbia potuto realizzare un’opera di quelle dimensioni in un luogo come quello: il ventre della terra.

Scusate se posso apparirvi patetica ma provo persino compassione per quegli uomini che hanno dovuto stare in queste condizioni nonostante fossero davvero ben organizzati e questo è ciò che più stupisce. Avevano la luce e persino il riscaldamento. Letti, telegrafi, materiale di primo soccorso…

Questi bunker, che dal 1947 appartengono alla Francia (siamo infatti in zona di confine) sono stati creati intorno alla fine degli anni ’30 del secolo scorso e, in realtà, sono un insieme di edificazioni sotterranee che si collegano tra di loro. Ce ne sono diversi, ma quello sotto ai Balconi, come vi ho detto, è il più esteso e il più profondo di tutti.

Nonostante l’oscurità e accompagnata dalla mia fida amica – Torcia – (non potete andare senza) riesco a riconoscere alcune stanze indicate da delle scritte originali dell’epoca. C’è la camerata, l’angolo delle latrine, la riservetta, il serbatoio della benzina… l’impianto elettrico è completamente arrugginito e alcune grosse schegge di ceramica sono un ammasso ossidato con il ferro.

Solo in alcuni punti la luce e l’aria arrivano dalle casematte che hanno l’apertura sulla quale veniva posizionata la mitragliatrice o il cannone.

Questo complesso fortificato, che riprende anche le caserme esterne (ben più antiche ma ristrutturate all’epoca per la Seconda Guerra Mondiale e riutilizzate) era prettamente – difensivo – ma capitava qualche volta di dover attaccare.

Molto prima di Cima Marta, verso Testa della Nava, e cioè più a Nord, gli inglesi facevano scendere armi e munizioni dagli aeroplani, all’interno di grandi casse di legno e di ferro, e queste dovevano essere trasportate fin là sotto. Che vita Topi! Per non parlare, naturalmente, del fatto che si era in guerra!

E’ come se non riuscissi a destarmi da quella sorta di incanto. Nonostante il ricordo negativo che trasportano con sé, queste realizzazioni in pietra e cemento incantano. Guardo quei cardini enormi, quelle putrelle… sono gigantesche. Come hanno potuto trasportarle fin qui, quando, per arrivare dove sono io ora, bisogna scendere gradini piccoli e stretti e umidi.

Nemmeno le stille, in alcuni angoli, osano far rumore andandosi a rompere al suolo. Alcuni anfratti sono letteralmente bagnati e si formano persino delle pozzanghere a terra. Bisogna fare attenzione, la pavimentazione è bagnata e in discesa. Penso che quelle mucillagini, che si sono formate con il tempo, siano l’unico cibo per delle zanzare che svolazzano su quell’acqua stantia. Ma non sono gli unici esseri viventi anche se può sembrare assurdo. Nessuna forma di vita potrebbe vivere là sotto eppure…

Mi colpiscono moltissimo delle Falene di colore nero. Sono davvero in basso e questi insetti non godono ne di luce, ne’ di aria… come possono vivere qui? Di cosa si nutrono? E come fanno ad orientarsi in quel buio scuro come la pece? C’erano già quando i soldati risiedevano qui dentro? Durante la notte le vedevano volare davanti alle loro fioche lampade e la loro ombra diveniva enorme sui muri bianchi? Quante domande mi frullano per il cervello, per questo, come vi dicevo, sono totalmente rapita da questi luoghi.

I muri… quei muri… freddi e un tempo puliti. Oggi sono molte le scritte che li pasticciano e, nel bunker più grande, c’è anche quella che indica l’”Uscita”. Beh, ci sta. Può essere utile, anche se, devo ammettere che non è così difficile riuscire ad orientarsi. E mi riferisco anche al bunker grande.

In lui, il lungo corridoio dritto è ramificato e queste diramazioni portano ad altre stanze ma si può sempre tornare in questo lungo corridoio principale. La parte iniziale è forse la più “complicata”, se così si può dire, perché porta anche alle quattro casematte dove c’era l’artiglieria ma è anche la più apprezzata perché permette di respirare da quelle aperture e vedere i pascoli e il cielo che circondano quell’incredibile opera.

Quei colori sgargianti della natura si apprezzano ancora di più stando là sotto.

Il volo dei Corvi Imperiali, liberi in quell’azzurro, fa davvero capire quanto sia importante la libertà.

Mentre un tempo, degli uomini, hanno vissuto segregati in quei luoghi oscuri, che sapevano di inferno, oggi la Natura continua a dare il meglio di sé trionfando con fiori ed erba nuova ogni anno.

Le marmotte saltellano tra una roccia e l’altra e le pecore dei pastori si nutrono di quella meraviglia.

Il vento accarezza le spighe che si muovono… si muovono senza legami, senza catene e quasi commuovono dopo aver visto tanta chiusura.

Un fascino davvero particolare amici. Un fascino da conoscere ma non adatto a chi soffre di claustrofobia.

Un’opera colossale, incredibile, ed è qui, a due passi da me.

Marta e la Guerra… quanto sangue è stato versato su quelle praterie immense che scendono fino all’infinito.

Quante riflessioni sono state fatte tra quelle pareti bagnate. Non c’è più nulla sotto a quella terra ma i ricordi sono pesanti come il marmo.

Vi mando un bacio malinconico ma non temete, non sono triste, sono più che altro rapita e affascinata, e tanti sono i punti interrogativi che danzano nella mia mente.

Ora risalgo in superficie e mi godo una delle zone più spettacolari della mia Valle. O meglio, dei suoi confini. Un punto panoramico eccezionale.

Alla prossima Topi.

Nel Ciotto di San Lorenzo tra storia, natura e misteri

Sarà un lungo articolo questo che descrive uno dei luoghi da me più amati in Valle Argentina. Voglio parlarvi del Ciotto di San Lorenzo e, per elencarvi tutto quello che propone agli occhi e al cuore, ho bisogno di molte parole.

Il Ciotto, chiamato anche “Sotto”, lo si raggiunge dal Passo della Mezzaluna oppure da Passo Teglia camminando in mezzo ad una splendida faggeta, la Foresta di Rezzo, per poi giungere in questa radura fatta a conca, definita persino dolina, sormontata dal Carmo dei Brocchi.

La Foresta è così bella da essere soprannominata “Bosco delle Fate”.

Qui, dove d’estate regnano indisturbate le Marmotte, la storia racconta che un tempo, intorno al 245 d. C., ha vissuto il giovane eremita Lorenzo ucciso poi a Roma, per volere dell’Imperatore Valeriano, e venerato in seguito come Santo dalla Chiesa Cattolica.

Si fermò qui per circa due anni vivendo da solo con l’unico contatto della natura e, di lui e del suo passaggio, oggi resta solo un rudere nel quale alloggiava e pregava. Le rovine di chi dice essere stata una piccola chiesa e chi invece afferma essere stata una semplice dimora.

San Lorenzo si affacciava su questo prato bellissimo circondato da Abeti, Larici ma anche da grossi massi e osservando attentamente queste bianche pietre ci si accorge che alcune sono disposte a cerchio. Si parla di cerchio sacrificale, punto in cui venivano bruciate le streghe durante il periodo dell’Inquisizione.

Non si sa se siano leggende o realtà ma questo luogo ha da raccontare molto anche riguardo un tempo precedente alla caccia alle Streghe.

Si parla di popoli antichi e di costruzioni che restano lì, immobili, da tantissimi anni.

Al Ciotto, e nei suoi paraggi, infatti, si possono scoprire in un grande complesso megalitico: dolmen, menhir, pietre sacrificali e molto altro. Ogni cosa meriterebbe un post a sé.

L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno. Mentre il Dolmen poteva essere una tomba e la pietra sacrificale è dotata di coppa di scolo ben visibile.

Qui tutto è ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

Siamo a circa 1.400 mt s.l.m. e il verde vivo è incontaminato e splendente. Una coppia di Corvi Imperiali vola in cerchio sopra alla radura e sembrano essere i guardiani di questo luogo mistico. Mi piace pensare che siano gli amici delle donne che qui hanno trovato la morte per volere dell’Inquisitore.

Salendo sulle selle attorno al prato si può godere di una vista magnifica e si vede anche il mare.

So che però, oltre ai Corvi, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi.

Lorenzo, dalle origini spagnole, poteva godere di una stellata magnifica passando le notti in questo Ciotto. Qui, dove i monti si aprono permettendo di godere di un firmamento unico; non c’è inquinamento luminoso e tutto pare come avvolto dalla magia.

Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda.

Il suo aspetto cambia ad ogni stagione ma resta sempre magnifico.

L’Agrifoglio e l’Aquilegia si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia e il Cardo Selvatico ne descrive la resistenza al tempo. Tutto è perfetto.

 In questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante.

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che accade a me ogni volta che ci vado. Sarà la mia sensibilità da animaletto.

Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

E’ un luogo, questo, colmo di ricordi ed emozioni.

Qui l’amore di Madre Terra ti abbraccia e ti fa suo. Qui, anni or sono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità.

Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

E’ un luogo splendido vero Topi? Un luogo che esige rispetto come ogni zona in fondo.

Spero tanto che sia piaciuto anche a voi come a me. Se è così, vi lascio sognare ancora un po’, io corro a prepararvi un’altra fantastica escursione.

Vi mando un bacio spirituale! Smuck!

Ancora in alto – sul Monte Frontè

Placido e imponente, il Monte Frontè (2.152 mt), se ne sta tra la Valle Argentina e la Valle Arroscia simboleggiato da una Madonna bianca a grandezza naturale.

È un monte che offre ospitalità a diverse specie di flora e di fauna, ben visibili, percorrendo il sentiero tra i pascoli che lo taglia e conduce alla sua vetta.

Una vetta tra le nuvole…

Io appartengo alla Valle Argentina e quindi partirò da qui. Da Triora. Arriverò al Passo della Guardia, oltrepasserò il Colle del Garezzo e il suo tunnel e, subito dopo questo, voltandomi a sinistra, noto il percorso che mi permetterà di raggiungere la cima di questo monte chiamato un tempo Monte Frontero.

Vi parlo di una cima ben visibile già da altri luoghi della mia Valle e che tutti conoscono.

Appartenendo alla Catena Montuosa del Saccarello lo si può notare spesso, stagliato contro il cielo, in mezzo ad altri profili montuosi.

Immediatamente, tra quei pascoli infiniti e incontaminati si notano mucche e vitelli ma anche diverse marmotte, affaccendate e attente si muovono su quei prati.

Che grasse sono! Se immobili, si possono facilmente scambiare con i massi chiari di quel territorio ma quando si muovono sono buffissime con tutta quella ciccia che ballonzola su e giù ad ogni loro passo.

In questa stagione il Monte Frontè è ricoperto da un verde sgargiante e su questo morbido tappeto smeraldino possono nascere fiori di rara bellezza e tanti colori che, dolcemente, accolgono svariati insetti e piccoli uccellini.

Pare impossibile pensare che un tempo, tanti tanti anni fa, era un ghiacciaio.

Ho persin avuto la fortuna di immortalare un bellissimo Culbianco e signora.

Guardate che vanitoso: si girava di qua, e poi di là, e poi mostrava il retro. Voleva essere fotografato da ogni parte senza sapere quale fosse il suo lato migliore.

Continuando a camminare su questo sentiero adatto a tutti, anche se l’ultimo pezzo si presenta un po’ in salita, si può ammirare un panorama splendido. Si può vedere tutta la Valle Argentina e tutti i suoi monti dal primo all’ultimo.

Molte volte, in questo luogo, capita di trovarsi davanti ad uno spettacolo singolare e cioè quello di essere al di sopra delle nuvole e sentirsi sopra al mondo.

Siamo a 2.200 mt d’altezza e pare proprio di vivere l’atmosfera di Avalon dove un mare di nubi sovrasta la vallata ma se si guarda in su si può vedere un cielo terso totalmente azzurro.

E’ bellissima, vista da qui, Rocca Barbone. Se ne vede bene la cima e si vede anche la strada che abbiamo percorso a piedi.

Com’è suggestiva da quassù in alto! Con quegli alberelli sopra che sembrano soldatini.

Ancora pochi passi e si raggiunge l’ambita Madonna, costruita nel 1953 e con lo sguardo rivolto verso il mare.

La sua espressione è dolce ed è innalzata su muri di pietra che l’avvicinano ancora di più al cielo.

Attaccate a quei muri sono diverse le memorie di chi ha realizzato tale capolavoro a quell’altezza.

Il riposo è meritato prima di scendere e si può godere di una pace incredibile e un panorama meraviglioso che raddoppia in quanto, giunti qui, si può ammirare la Valle Arroscia, i paesi lontani di Monesi e Piaggia e il Monte Saccarello preceduto dalla nota statua del Redentore.

Alcuni cavalli selvatici dai colori singolari e splendidi rendono il tutto ancora più meraviglioso.

Firmo sul quaderno dei ricordi protetto all’interno del muretto da una copertura in latta. Voglio poter dire che anch’io sono stata qui e simboleggiare questo evento. Dopodiché mi preparo a scendere.

Passerò dal Passo di Garlenda e raggiungerò nuovamente il Colle del Garezzo facendo così un percorso ad anello e osservando altre meraviglie ma tutto questo vi aspetta in un altro articolo.

Continuate a seguirmi quindi, sono persino stata punta da un tafano… non vorrete certo perdervi una cosa così?

Un bacio altissimo, purissimo e levissimo a tutti voi.

U Ciottu de e Giaie – l’acqua dell’Alta Valle Argentina

Oggi andiamo in un punto abbastanza conosciuto della Valle Argentina e si tratta di un luogo importante che si trova sopra al paese di Triora.

Un luogo conosciuto sì, ma forse non tutti sanno che si chiama così. Almeno per noi.

Andiamo dove molti ruscelli prendono vita, dove fonti sgorgano, dove i ghiacci si sciolgono, dove gocce iniziano percorsi e cascatelle si tuffano vivaci… insomma, dove l’acqua è la protagonista. Un’acqua che, in mille modi diversi, va poi a formare e incrementare il nostro Torrente Argentina.

U Ciottu de e Giaie, nome dialettale, significa “Conca dei torrenti” (“conca” intesa come depressione) e non è certo difficile sentire gocciolii ovunque che accompagnano il mio cammino.

Questa zona è splendida da conoscere attraverso passeggiate che arricchiscono la mente e il cuore. Come anche altre zone della mia Valle è bella in qualsiasi stagione.

Regala varie tonalità di verde, dal cupo allo smeraldo, in estate, e si ricopre di bianco quando arriva l’inverno che quasi soffoca, con il suo dolce peso, i ciuffi d’erba dei pascoli.

Sono al Passo della Guardia e mi dirigo verso il Colle del Garezzo e il suo tunnel. U Ciottu de e Giaie si trova nei pressi del Monte Frontè (2153 mt) al di sotto della strada che percorro. Il Monte Frontè, con la sua Madonnina, è una delle cime più alte di tutta la Liguria e mi permette di ammirare un panorama bellissimo che amo molto.

Si possono vedere le cime dei monti più verdi, alcuni più dolci, altri più aguzzi, mentre, dietro di me, ci sono quelli più aspri con le loro falesie taglienti, rocce umide e qualche fiore.

Più sotto, la croce di Goina che osserva la gola della Valle e tutto U Zimùn del dente roccioso che la ospita (Zimùn da Zima, cioè “Cima” nel nostro dialetto).

La strada è sterrata, aperta, e si può percorrere anche in auto ma se si viene a piedi, d’estate, è consigliabile l’uso di una crema solare e acqua da bere. I raggi del sole, qui, abbagliano ogni cosa.

E’ naturalmente sconsigliabile percorrerla in auto durante il periodo invernale. Le slavine, il ghiaccio e la mancanza di protezione a valle, la rendono molto pericolosa. In certi tratti, non si possono oltrepassare i cumuli di neve che si formano neanche a piedi. Ci sono punti in cui sembra un falsopiano ma è per lo più una delicata salita.

Sottostrada, poco più avanti, si vedono i ricoveri dei pastori che durante la bella stagione portano il loro gregge a pascolare e sono invidiabilmente circondati da una natura incontaminata.

Questo percorso provinciale, che continuandolo permette di raggiungere anche Monesi e il Monte Saccarello, e quindi la Valle Arroscia di conseguenza, è stato creato dagli Alpini e s’interseca con altre Strade Marenche verso il Piemonte e la Francia. Tale strada viene infatti definita ex rotabile militare a fondo naturale. Allargata, in certi tratti, nel dopoguerra.

È facile vedere rapaci e camosci in questi luoghi tranquilli dove Madre Terra è adatta a loro e, in tarda primavera, qui, iniziano a svegliarsi anche le marmotte.

Possiamo considerarlo anche questo un luogo magico. Mi direte che sono retorica ma così è.

Il silenzio è profondo e pieno e tutto intorno aleggia un’atmosfera fresca, pulita e ricca, che riempie l’anima.

Beh, si sa, in fondo, acqua e sole formano la vita e qui, la vita, si percepisce tantissimo.

Una cascata di baci a voi!