Pigmy Jones e lo gnomo maledetto

Erano circa le nove e mezza di sera, quando arrivò Topo-amico, lo avevo invitato a cena. Da brava massaia, gli feci trovare un gustoso piatto fumante di orecchiette al sugo di panna e prosciutto e ci sedemmo al tavolo, lui a mangiare e io a parlare.

Topino si stava preparando lo zaino per la scuola dell’indomani e poi sarebbe andato a dormire, ma mancavano merenda e bottiglietta dell’acqua. Gli diedi la sua ciotola di fragole per lo spuntino, mentre sarei andata a prendere l’aacqua nel cestino, sotto la finestra.

A questo punto, dovete sapere due cose: la prima è che ho i capelli lunghi e porto sempre lo chignon, o cipolla, come volete chiamarlo, (da noi si dice “ciciuellu“), e la seconda è che ho uno gnomo di resina, grosso e grasso, che se ne sta su un’altalena, appesa sopra la finestra. Libero nell’aria, se lo tocchi ondeggia.

Mi chinai per prendere la famosa bottiglietta e con il mio ciciuellu agganciai e spinsi in avanti lo gnomo. Gli diedi una bella spinta e il suo dondolare potè diventare, quindi, ancora più vigoroso. Mi abbassai, presi l’acqua e mi tirai su proprio nello stesso momento in cui lo gnomo malefico stava tornando indietro, volteggiando a tutta birra dall’alto della sua altalena.

Sbam!

Con lo spigolo di quella sua stramaledettissima altalena arrivò, anzi, piombò dritto, dritto sulla mia fronte.

All’improvviso non vidi più niente. Con gli occhi chiusi, o aperti non ricordo, vedevo solo un alone blu scuro tutt’intorno a me. Il dolore fu indescrivibile, mi presi la fronte tra le zampe e tenni nel palmo il bernoccolo che spuntò immediatamente. Cullavo la mia povera zucca, cantandole la ninnananna.

Fu in quel momento che topino e topo-amico, accorgendosi della mia assenza e credendo fossi andata a prendere l’acqua direttamente alla fonte, vennero a vedere in cucina dove fosse sgattaiolata la loro topina. Mi trovarono raggomitolata con la fronte appoggiata al muro, gli occhi chiusi e le zampe contro la parete.

«Tua mamma sta facendo meditazione!» fu la prima cosa che uscì dalla bocca di quel pautasso del mio amico.

Topino osò un flebile: «Mamma…va tutto bene?».

Avrei voluto rispondergli come il suo amico bradipo Cyd de L’Era Glaciale: “Sto bene, sto bene… Sto per morire!”, ma non era il caso di traumatizzarlo.

«Sì, amore, tutto ok. Ho solo preso una botta e mi fa un pò male, tranquillo».

«Una botta? Non ho sentito niente, come hai fatto a prendere una botta?» chiese topo-amico, certo del fatto che una botta si debba sentire per forza anche dall’altra parte della casa. Niente rumore, niente botta! (Poi vi lamentate quando vi diciamo che avete un neurone solo e a senso unico…) Va be’, come San Tommaso, mi tolse la zampa dalla fronte e vidi la sua espressione cambiare completamente. Da ricercatore si trasformò immediatamente in traumatologo. La sua faccia parlava al posto suo, ma lui aggiunse: «No…. non hai niente Pigmy, adesso mettiamo il ghiaccio, anzi no: la bistecca. No, la bistecca va sull’occhio, forse è meglio se mettiamo il ghiaccio… Pigmy, mettiamo il ghiaccio, eh? Il ghiaccio, ok? Ehi, Pigmy, va bene, no, il ghiaccio?» (piccino…ma non diteglielo). In casa, la dottoressa sono io: ho sempre un rimedio e una soluzione e son sempre pronta ad agire velocemente, ma quando si tratta di me e sono gli altri a doversi muovere… be’, mi fanno una tenerezza indescrivibile.

«Il ghiaccio non lo voglio, mi brucia!» mi lamentai.

Ormai accertatosi del fatto che il ghiaccio era la soluzione migliore, topo-amico non ebbe pietà: «Pigmy, vieni qua, fai la brava. Devi tenerlo, sopporta!»

Se era vero che non avevo niente, perchè sopportare quel fastidiosissimo ghiaccio in testa?

Continuò: «No, dai, su che non hai niente, ma se non tieni il ghiaccio ti viene!»

Mio figlio, invece, fu molto più palese: «Uh mamma! Hai un bernoccolo della miseria! Sei anche tutta rossa!»

«Be’, ma insomma, ci dici dove hai picchiato? Come hai fatto?»   chiesero in coro.

E la stessa cosa la chiesero l’indomani le persone che mi videro.

E io, in tutta la mia sincerità, rispondevo: «Niente, uno gnomo che andava in altalena mi è picchiato dritto, dritto, in fronte!»

Vostra Pigmy e… permettetemelo, un grazie e un bacio a topo-amico e topino.

M.

Il Monastero del Carmelo

Carissimi topini, in questo periodo, come avrete visto, sono un pò latitante. Ebbene, dati alcuni giorni di vacanza dai vari impegni di studio e di lavoro che ho, ne ho approfittato per andare un pò in giro e, la prima meta che ho deciso di intraprendere, è stata quella di fare una bellissima visita al Monastero delle Suore Carmelitane di San Remo.

Ho fatto questo e, con immenso piacere, per prima cosa, per fare una sorpresa, un regalo, alla persona che so che mentre sta leggendo questo post sarà felice, (visto che poverina stava aspettando da tanto tempo) e poi, se proprio ve la devo dire tutta, credetemi, è stata una scoperta davvero affascinante.

Esso è una vera e propria opera d’arte dell’architettura dell’età contemporanea.

Dopo essere giunta davanti ai due cancelli che ci sono, per ben tre volte (c’era sempre la messa e non si poteva disturbare), sono riuscita a farmi aprire da una suora, all’inizio un pò titubante e sulle sue, refrattaria a fornirmi qualche spiegazione, poi però, vedendomi davvero interessata, mi ha concesso qualche minuto del suo tempo.

Purtroppo non ci ha permesso di entrare nei locali delle monache, ne tanto meno di scattare foto, quindi perdonatemi se non avete immagini inerenti all’interno (tranne una o due che ho rubato) ma proprio non ce l’hanno concesso.

Quel giorno poi, essendo il giorno dell’Immacolata, erano probabilmente molto prese.

Quello che alla fine però mi ha raccontato, mi ha lasciato davvero di stucco.

Questa costruzione fu realizzata negli anni 1958-’59 dal famosissimo architetto contemporaneo Giò Ponti, per chi non lo sapesse, sarebbe colui che ha realizzato il “Pirellone” di Milano.

Quest’opera, si dice, sia stata per l’architetto la sua migliore riuscita.

Ci teneva tantissimo a costruire, prima di morire, un edificio sacro e religioso, era il sogno della sua vita e, infatti, appena la Madre Superiora dell’epoca, Jean Marie Bernard, lo chiamò, lui rispose immediatamente e affermativamente.

La bellezza e la particolarità del luogo, tolto il meraviglioso parco che lo circonda, ordinato e pulito, sta proprio nella chiesa.

Pensate, questo grandissimo designer l’ha realizzata in modo tale che, dall’entrata, guardando l’altare, intorno si vedono solo pareti, ma se dall’altare, si guardano i fedeli, si vedono solo vetrate immense e nemmeno un muro.

La suora, ridendo, confessa che, tenerle pulite è un vero sacrificio.

Questo perchè la pianta dell’edificio ha la forma come di un abete stilizzato, in cui la parte laterale dei rami rappresenta le vetrate e la parte inferiore degli stessi rami invece, i muri bianchi. Muri e vetri si alternano praticamente.

Ok, lo so, perdonatemi, non sono una giornalista di riviste di architettura. Credetemi però che è davvero uno spettacolo. Accade quindi che, chi ascolta la voce del Signore, non può venire distratto da nulla, mentre invece, chi la pronuncia, può espanderla a tutto il cosmo. Questo è il significato di tale forma. Tanta luce, tanta luminosità.

Inoltre sono stati sapientemente usati due colori fondamentali, il bianco e l’azzurro e c’è un perchè. Il bianco è il colore della Madonna, mentre l’azzurro è il colore della meditazione, essendo, l’ordine di queste suore, un ordine contemplativo. L’azzurro lo si può trovare anche nelle piastrelle rettangolari di ceramica di Faenza, completamente dipinte a mano, con pennellate orizzontali e sfumature blu e azzurro intenso, che rivestono tutta la sacrestia e il dormitorio delle monache. L’azzurro, in certi luoghi, non si era mai visto e dovettero stipulare una conferenza vera e propria per far accettare a tutti una tinta così originale. Solo il parquet della sala del coro è color legno chiaro ed è stato simpatico scoprire che, tale pavimento, apparteneva ad una pista da ballo che lo ha regalato a loro quando hanno costruito questa struttura. Esse poi, lo hanno levigato e reso lucido come uno specchio.

I due colori predominanti sono anche stati usati per realizzare le immagini della Via Crucis e il magnifico dipinto che descrive la storia e la vita del Profeta Elia. Stessa cosa per i due grandi dipinti che raffigurano i due fondatori di quest’ordine: San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila. Pensate che questi quadri sono stati degli esperimenti; si, perchè essendo stati fatti su ceramica e su ferro, non si sapeva come avrebbero reagito i colori, infatti, il velo di Santa Teresa, che doveva essere nero, è poi risultato viola.

Anche la Madre Superiora di oggi, suor Anna, è un architetto e ha contribuito all’allestimento di questa sua “casa” riprendendo anche la vita passata dell’ordine al quale appartiene.

Nel 1901, ad esempio, tutte le monache sono state mandate via dalla Francia per stabilirsi in questa vallata ma prima hanno subito tantissime persecuzioni religiose e vennero addirittura tenute prigioniere dentro a delle celle sotterranee. Ebbene, una di queste grate, originale dell’epoca, che racchiudeva le sue sorelle, Suor Anna l’ha voluta come oggetto d’arredamento e l’ha fatta posizionare sul presbiterio, proprio dietro l’altare. – Per non dimenticare – mi racconta la suora che ci ha fatto da Cicerone, spiegandomi anche come hanno sempre vissuto in povertà anni addietro, nonostante il lusso che si può riscontrare in questi locali.

Mi spiega infatti che Papa Pio XII ha vietato loro di chiedere l’elemosina. Possono ricevere le offerte ma, se vogliono guadagnare soldi, devono contribuire e non chiederli. E’ per questo che, grazie all’agrumeto dietro all’edificio, che curano con tanto amore, realizzano ottime marmellate. Di tutti i gusti ma, quella all’arancia, si dice sia la migliore. Queste confetture, vengono vendute nello spaccio del Convento e anche nei negozi della provincia, dai quali, queste suore tecnologiche, ricevono gli ordini tramite mail. Ridendo, ci spiega che si sono dovute adeguare ai tempi.

E’ parlando di tutto ciò che mi porta davanti all’affresco della Madonna, a grandezza naturale, che era un tempo rinchiuso nel corridoio delle loro celle. Hanno voluto trasportarlo dietro all’altare e metterlo in bella mostra, davanti a tutti i pellegrini, per omaggiare la madre di Gesù ringraziandola del miracolo concessogli. Infatti, nel Medio Evo, le Carmelitane si sono salvate dalla peste proprio grazie a Maria che le guidò fuori la pandemia e via dalla pestilenza.

Mentre racconta questi episodi, alla nostra suora si illuminano gli occhi chiari.

E’ piccolina, magra, il velo le arriva fino al fondoschiena ma si capisce che è un tipetto tosto.

Purtroppo non può trattenersi ancora con noi e quindi mi lascia ancora ammirare la sua chiesa ma, per non disturbare più di tanto, me ne vado salutandola e ringraziandola.

Lascio questo posto accogliente e ricco di storia, nonostante la modernità con il quale è stato costruito.

Questo monastero si trova in collina, prendendo la Via Padre Semeria che porta all’autostrada, e gode di una vista mozzafiato. Si affaccia sul mare e domina su tutta San Remo.

Ad aiutarmi a rompere il ghiaccio con la monaca che mi ha aperto, infatti, sono state proprio le musiche che giungevano fino lì, dal Luna Park sottostante ed è stato comico, entrare in un luogo, dove c’è scritto “silenzio” ovunque, accompagnata da musiche “tunz tunz“.

Saluto il Pastore Tedesco che mi abbaia dal cancello e me ne vado.

Quel luogo mi ha comunque regalato pace e mi ha fatto scoprire una tecnica dell’architettura che stupisce davvero.

Mi auguro di avervi portato in un altro bel posto anche oggi.

Vi mando un forte abbraccio a tutti ma, alla mia dolce amica Miss Fletcher, questa volta, un pò più stretto. Ciao, Pigmy.

M.