La Chiesa di Santa Caterina e i suoi antichi e misteriosi significati

Cari Topi,

oggi, per venire con me, dovrete aver voglia di fare un salto nel passato, in un mondo per un certo senso sconosciuto e sentire la brama di voler comprendere significati che, per molto tempo, sono restati occulti.

Vi porterò alle rovine dell’antica e misteriosa Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, appena fuori l’abitato di Triora, e finalmente, grazie a vari studiosi e ricercatori, possiamo leggere e capire quel che resta di questo importante santuario.

Purtroppo non rimane molto di lei ma la storia si è tramandata consentendo, oggi, a noi curiosi, di conoscere cosa si cela dietro la realizzazione di questo edificio che risale al XIV secolo e riedificato nel 1390. E sì, avete letto bene, XIV secolo e 1390… quanti secoli! Siamo in pieno periodo medievale e, la sua riedificazione è stata voluta dalla Famiglia Capponi.

La struttura appare dopo aver intrapreso un sentiero che ci consente di ammirare molti monti della mia Valle e i paesi di Corte e di Andagna adagiati sui crinali di montagne vestite con tinte più spente in questo periodo.

Il panorama è meraviglioso, andando ancora oltre con lo sguardo consente di vedere persino il Monte Faudo abbracciato da spesse nubi.

Accanto a me, una natura semi addormentata vuole comunque mostrare tutta la sua bellezza attraverso qualche ciuffo fiorito che sembra bambagia, qualche ramo che forma strani disegni contorti contro il cielo e qualche pizzico di colore rimasto dall’autunno appena terminato.

Per arrivare si qui, si può passare da centro paese, per Via Dietro La Colla, oppure da inizio borgo, salendo verso il Cimitero, osservando il sentiero Beato Giovanni Paolo II a diversi metri dall’incrocio per Goina.

Dopo una dolce curva eccola spuntare in tutta la sua arcaica bellezza. Il suo pallore, dato dalle pietre con le quali è costruita, quasi si mimetizza con il resto del luogo in questa stagione e sembra aspettare che qualcuno vada a farle visita in quel accentuato silenzio che l’avvolge.

A causa della direzione della strada, sembra stagliata nel bel centro della via. In realtà, scendendo, rimane sulla sponda destra, affacciandosi sulla gola della Valle.

La prima cosa che si nota sulla sua facciata principale, che è la parte più integra dell’edificio, è un grosso cerchio forato; all’esterno incorniciato dentro a pietre messe a rombo, mentre, all’interno, altre pietre rettangolari, sono sostenute tra loro a incastro formando anch’esse un cerchio.

La stessa lavorazione vale per le volte di quelle che un tempo erano delle grandi finestre e i massi che le formano si trattengono tra loro in un unico arco.

Per mostrarvi questa lavorazione sono entrata all’interno delle mura.

Ho abbandonato il piccolo cortile esterno che accoglie, circondato da un muretto anch’esso in pietra e dotato di sedute e ho abbandonato un terreno a praticello e ghiaino per poggiare le zampe su larghi e rettangolari lastroni di ardesia che un tempo erano l’umile pavimento della costruzione.

Ho voglia di alzare lo sguardo e osservare cosa mi circonda ma la mia attenzione viene rapita da un’ara quella che doveva essere l’altare.

Un grande rettangolo, sovrastato da un piatto e spesso lastrone, si trova al centro di quella che sicuramente era la navata principale ma che oggi non esiste più. Con un dito lo accarezzo e immagino funzioni predicate accanto a lui e ritrovi di fedeli.

Lo squadro per bene da ogni suo lato e, finalmente, dopo aver appagato la mia curiosità dedicata a lui, posso alzare la testa.

Pareti non altissime ma comunque austere mi guardano dall’alto. Sono diroccate e i loro profili si stagliato contro il cielo celeste e terso. Le parti in cui si percepisce la loro mancanza permettono agli occhi di osservare i miei amati monti, la Catena Montuosa del Saccarello e gli alberi più prominenti che circondano la Chiesa.

Alcuni perimetri raccontano a loro modo di crolli e le loro silenziose parole pervadono di un senso di malinconia che permette di immaginare come potevano essere in passato. Sono come spezzate ma mantengono un senso sinuoso nonostante le schegge aguzze che restano sospese.

Osservo alcuni ciuffi d’erba nati tra quelle piccole rocce e scavalco una ringhiera arrugginita che probabilmente ora serve come balaustra protettiva.

Da qui, verso Valle, ho un’altra prospettiva ancora. Scendo di poco i gradini del bosco adiacente e ora l’edificio sembra più alto.

Come a svettare verso il cielo. Lo aggiro e mi ritrovo di nuovo di fronte alla facciata principale. E’ tutta da osservare con molta attenzione perché ha tanto da dire.

Inizio dalla grande porta, che adesso è solo un vuoto con un gradino alla base da scavalcare, ma sopra di lei c’è il portale che regge il resto della parete.

Al centro del grande architrave, un’effige in rilievo, scolpita nell’ardesia a caratteri onciali, riporta una lunga scritta per me totalmente incomprensibile. In mezzo uno stemma, quello della Famiglia Capponi, che par mostrare due figure uguali, assai consumate, le quali si guardano una di fronte all’altra.

Per la traduzione della scritta devo per forza ricorrere all’utilissimo cartello posto davanti al santuario dal Comune di Triora:

Lo sguardo sale ancora vedendo un semicerchio formato come le volte dei finestroni e poi continua più in su dovendosi però poi dividersi.

Due colonne, permettetemi di chiamarle così anche se colonne non sono, le due colonne principali ai lati della facciata mostrano qualcosa di davvero singolare. Quella a destra della Chiesa permette di vedere una specie di leone alato… forse… non si capisce bene, è corroso dal tempo e dalle intemperie. Ma su quella di sinistra si può ammirare facilmente un simbolo meraviglioso e dai vari significati. Si tratta della Stella a sette punte con al centro un fiore.

Innanzi tutto bisogna sapere che il numero Sette era considerato un numero molto importante in alcune filosofie, arti, pensieri e religioni del passato come ad esempio il Paganesimo o l’Alchimia ma anche per il Cristianesimo, che ha voluto la realizzazione di questo santuario, aveva un’importanza fondamentale perché, avendo esso raccolto le usanze più antiche, considerava questo numero come il numero che rappresentava la totalità dell’Essere Umano data dai Sette Doni dello Spirito Santo: l’Intelletto, la Forza, la Saggezza, il Consiglio, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio.

La Stella a Sette punte, chiamata anche Ettagramma (simbolo sacro a Venere, Dea della bellezza e dell’Amore) rappresentava anche la totalità dell’Universo, riflessa nella completezza dell’Uomo, poiché le punte corrispondevano ai pianeti del sistema solare e ai giorni della settimana che tornavano ciclicamente ma rappresentavano soprattutto i Sette Elementi: Acqua, Aria, Terra, Luce, Magia, Fuoco e Vita.

Mi incanto davanti a quell’emblema e inizio a comprendere quanta storia c’è in alcuni segni della mia Valle che non è solo natura ma è stata anche sede, un tempo, di significati ben precisi esposti laddove venivano realizzati templi di ritrovo per specifici scopi. Segni che possono passare inosservati mentre, un tempo, dichiaravano rappresentazioni ben specifiche. Chissà cosa, la mia terra, ha visto e vissuto!

Rientro dentro alle tre pareti rimaste e mi guardo ancora attorno, per un’ultima volta. E’ bellissimo stare qui. L’atmosfera è surreale. Niente osa rompere quel silenzio ovattato, neanche un uccellino.

Man mano che il crepuscolo si avvicina al suo giungere, quei perimetri sembrano divenire più scuri mentre i monti dietro si incendiano di un color rosa pastello.

E’ arrivato il momento di rintanare e quindi me ne vado ma non riesco a togliermi dalla testa immagini di persone dentro a questa Chiesa. Vedo mani giunte, calici alzati, sguardi fissi su quelle rocce. Riti, messe e voci nel bel mezzo di quella natura, fuori paese, dove il sole fa poca sosta.

Fortunatamente mi viene in mente di riportarvi tutte queste sensazioni e, di conseguenza, ricordo che ho molti altri articoli da scrivere. Perciò me ne vado, dedico un’ultima occhiata alla Chiesa di Santa Caterina, giovane egiziana di Alessandria d’Egitto martirizzata e poi decapitata per volere dell’Imperatore Massimino Daia, e vado a preparare altri post.

Un bacio arcano a voi.