Dal Tanarello al Saccarello – tra Pecore, Fiori e Montagne

Dopo un po’ di pausa, che mi è servita per andare in perlustrazione, l’escursione che vi porto a fare oggi è meravigliosa e non solo dal punto di vista panoramico.

Ecco, già vi sento che mi state accusando di essere ripetitiva ma cosa ne posso io se la mia Valle e i suoi dintorni sono di una bellezza unica? Giudicate voi stessi dalle immagini di questo articolo, noterete immediatamente che sto dicendo il vero!

Attraversando Passo Tanarello si giunge al Monte Saccarello, il monte più alto della Liguria (2.202 mt) e vetta imponente della Valle Argentina divisa con Piemonte e Francia. Ma prima dobbiamo arrivarci al Tanarello. Mi sembra ovvio.

Giungiamo in questo splendido luogo passando per l’Alta Valle dal piccolo paese di Realdo per poi proseguire verso Passo di Collardente e alla Bassa di Sanson.

Qui incontriamo un bivio. Siamo in un punto che ci permette di andare a Marta e quindi poi a Colle Melosa oppure al Passo della Guardia e al Garezzo ma noi, si va appunto, verso il Tanarello.

Si va quindi verso un valico delle Alpi Liguri che supera di poco i 2.000 mt s.l.m. un’ex strada militare totalmente sterrata.

Si può già vedere la nostra meta stagliarsi contro il cielo e, facendo attenzione, si nota persino la Statua del Redentore, verso destra, che sembra piccolissima da qui. Ebbene sì, dobbiamo arrivare fin lassù.

Sono le prime ore di una calda mattina e la rugiada non è ancora stata asciugata del tutto dai raggi del sole che la fanno brillare. Sembra di essere contornati da diamanti… queste sono le “ricchezze” della Natura.

Sono gli alberi a riparare queste goccioline dal tepore del sole e contribuiscono all’incanto.

Si tratta prettamente di Conifere attraversate dal sentiero che percorriamo, il quale poi diventerà uno sterrato dove è possibile anche passare con un’auto adatta.

Durante la primavera e l’estate il colore dominante è assolutamente il verde, non tanto degli alberi che si diradano sempre di più, ma soprattutto è il verde di una vegetazione florida e dei pascoli infiniti che si tuffano in discesa verso la Francia.

Il verde e il giallo dei fiori di campo. Un’immensità di giallo.

Nel periodo di giugno, questo verde è meravigliosamente contrastato dal rosa acceso dei Rododendri che formano come grandi laghi colorati e romantici su quei versanti incontaminati. I Rododendri non sono gli unici fiori presenti ma sono sicuramente quelli che più stupiscono vista la loro enorme quantità.

Anche le Orchidee selvatiche e i Non Ti Scordar Di Me sono numerosi e propongono varie totalità che non si incontrano sovente, senza tralasciare il viola vivo del Timo e le sfumature di tanti Funghi che, come pietre preziose, abbelliscono ulteriormente questo territorio.

Il colore dello smeraldo, dato da un’erba appena nata, mette in risalto il panna scuro delle pecore che brucano felici su quei prati.

Ce ne sono tantissime e ci sono anche Mucche e Cavalli per non parlare dei Camosci che si possono scorgere sulle creste più alte e più rocciose. Liberi e curiosi.

La Brigue si nota a fondo Valle e i monti che a sinistra vediamo, salendo, sono tutti francesi. Noi viaggiamo sul confine mentre, un tempo, questo era tutto territorio italiano che è stato poi diviso attraverso il Trattato di Parigi.

A perdita d’occhio si possono vedere profili montuosi dalla bellezza selvaggia e indescrivibile. Una meraviglia dalle punte azzurre e spesso baciate da nuvole dense.

La meta è vicina e continuiamo a salire fino ad arrivare in cresta. Una cresta dalla quale ora si può ammirare anche il versante ad Est e i paesi di Monesi e Piaggia. La divisione tra la Liguria e il Piemonte.

Tra le montagne meno aspre della Valle del Tanarello si distingue bene, bianca e serpeggiante, la strada che conduce ad una delle carrarecce più belle e conosciute d’Italia. Si tratta della Via del Sale, che congiunge le due regioni prima nominate e che su di sé ha visto passare soldati e mercanti.

Oggi sono i ciclisti, i centauri e gli escursionisti ad attraversarla e il panorama che offre è splendido.

Ma anche la vista che godiamo da qui non è niente male e, davanti a noi possiamo nuovamente notare la vetta del Saccarello simboleggiata da un obelisco in cemento. Siamo decisamente più vicini ora.

Un emblema però meno “sentito” rispetto alla vicina statua del Redentore conosciuta ovunque.

Chi lo desidera può ristorarsi al Rifugio “La Terza”, qui presente, e aperto durante la calda stagione.

Può rifocillarsi con tante squisitezze proposte oppure… per chi invece preferisce fare un pranzo al sacco… beh… lo spazio non manca di certo.

Si è contornati da monti e valli, ci si sente come in cima al mondo e gli occhi si affrettano a guardare tutto come se quel tutto dovesse finire da un momento all’altro.

Stando sulle creste adiacenti al Saccarello occorre fare attenzione a non sporgersi più di tanto. I dirupi sono davvero esagerati. Quel mondo va in discesa per presentare, laggiù in fondo, piccoli piccoli, i paesi di Verdeggia, Realdo e Borniga.

Sembrano finti visti da qui. Tutti quei tetti di grigio antico e quelle case incastonate tra gli spazi delle montagne. Come siamo alti…

Continuando più avanti, verso Passo di Garlenda, una cima che colpisce è quella del Monte Frontè con la sua Madonna Bianca a vegliare su quell’angolo di paradiso. Sembra vicino visto da qui, in realtà, per raggiungerlo, occorrerebbe fare una passeggiata per niente breve.

Noi abbiamo raggiunto questo luogo a piedi ma, ovviamente, si può salire anche in auto (con un’auto adatta) e quindi volendo si può poi decidere di proseguire per altre mete zampettando.

Un tour che consiglio a tutti, il quale può offrire una spensierata giornata familiare o una ricerca più tecnica del territorio o, per chi semplicemente ama la natura, un momento di relax e stupore. Le possibilità che regala sono diverse, quindi affrettatevi che l’estate sta per finire!

Io vi mando un bacio dalle più alte cime liguri e vi aspetto al prossimo articolo!

Continuate a seguirmi! Squit!

Fronté, Garlenda, Garezzo… che tour!

Ai confini di valli meravigliose, in mezzo a pascoli e pietraie, tra animali e fiori, respiriamo un’atmosfera magica e la bellezza esagera, quasi incontenibile, davanti ai nostri occhi.

Avete letto il titolo di questo articolo, avete letto nomi, avete letto di un tour… un’escursione che ora faremo insieme e, attraverso la quale, potrete conoscere un mondo che forse solo Heidi ha visto (oltre a me!). Io sono assieme a Topo amici, la compagnia giusta non manca mai e, assieme, ci divertiremo sicuramente.

Cosa sono il Frontè, il Garlenda e il Garezzo?

Il Frontè è un alto monte della mia Valle, come già vi avevo raccontato qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/08/15/ancora-in-alto-sul-monte-fronte/ e oggi sarà per noi il punto di partenza perché, cari Topi camminatori, una volta raggiunta la sua splendida vetta e aver goduto del panorama che regala bisogna preoccuparsi anche di scendere e tornare in tana.

Non occorre dispiacersi perché si potranno vedere ulteriori scenari meravigliosi che la Valle Argentina regala in ogni suo angolo.

Con lo sguardo possiamo abbracciare anche la Valle Arroscia, dirimpettaia dell’Argentina, i suoi paesi come Monesi e Piaggia ma possiamo scorgere anche il noto Monte Saccarello e la maestosa e conosciutissima statua del Redentore.

Persino il Rifugio Sanremo è visibile.

Non solo. È piacevole osservare attentamente ciò che rimane di diverse strutture Napoleoniche. Si capisce anche da qui che sono grandi e servivano da caserme. Ce ne sono su diversi crinali e, oggi, di loro, rimangono soltanto le pareti laterali e divisorie.

Le guardo incuriosita immaginandomi soldati e battaglie su quelle distese infinite che oggi, fortunatamente, parlano solo di quiete e gioia.

Appena si inizia a scendere ci si imbatte felici in un branco di cavalli selvaggi dai colori del manto assai rari. Uno sembra d’argento, luccica quasi. Altri sono biondi ed eleganti, altri ancora sfoggiano delle tonalità di un marrone che poche volte si vede se non in natura.

Alcuni di loro mi si avvicinano, mi annusano le zampe anteriori. Sono grossi, muscolosi, non altissimi ma robusti. Hanno lo sguardo dolce e curioso allo stesso tempo.

Dopo qualche scatto a tanta meraviglia si decide di proseguire e uno di loro ci segue per qualche metro.

Ci avviciniamo al Passo di Garlenda (2015 mt) e i monti di fronte a noi palesano un ambiente stupendo. Pascoli in discesa di un verde vivace, massi bianchi, gruppi di alberi che sembrano posizionati da mano sapiente, quella del creato ovviamente.

Per raggiungere Colle del Garezzo, là dove siamo diretti, dobbiamo prendere un sentiero tra sassi e ciuffi d’erba che scende parecchio.

 Se fatto a salire bisogna essere allenati.

Alcune pietre hanno forme e posizioni buffe;  rare sono le zone d’ombra esistenti grazie a qualche “custo” e piante solitarie.

È sotto una di queste piante che uno dei miei amici decide di fermarsi per scattare qualche foto al panorama. Si allontana da me ammirando le ricchezze del suolo come i colorati fiori e quello che lo circonda.

La sua passione per le foto lo trattiene diversi minuti e mentre lo aspetto decido di osservare attentamente alcuni insetti bizzarri che si nutrono del nettare di quei fiori.

È in quel momento che vengo attaccata anch’io, come i cavalli incontrati prima, da un Tafano sbruffone che decide io sia la sua colazione. Maleducato e indisponente.

Avendo però già raccontato questa mia disavventura qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/08/22/la-topina-e-il-tafano-vanaglorioso/ tralascerei tale nefasto ricordo e andrei avanti sia nel racconto sia fisicamente, a scendere, per raggiungere l’ambito Colle.

Avendo scollinato siamo ora davanti ad un altro spettacolo: quello dei profili dei miei monti e possiamo godere di tanto verde in questa stagione incontrando altri nuovi amici.

Continuiamo a scendere facendo attenzione a dove mettiamo le zampe. I lunghi e resistenti fili d’erba, coriacei come spighe, e le pietre nascoste, possono castigare.

Una volta raggiunta la strada sterrata e più grande, ossia siamo arrivati al Garezzo, si va verso Passo della Guardia dove abbiamo lasciato la macchina per poter così raggiungere Triora e tornare al Mulino.

Questo sentiero che abbiamo appena fatto lo si percorre all’incirca in un’ora e un quarto a salire. A scendere, ovviamente, molto meno.

Essendo giunta non mi resta che salutarvi lasciandovi ammirare le immagini che ho scattato per voi e che forse non rendono giustizia al luogo ma posso assicurarvi che è come vivere un sogno.

Un bacio dal Colle Topi! Vi aspetto per la prossima escursione.

Ancora in alto – sul Monte Frontè

Placido e imponente, il Monte Frontè (2.152 mt), se ne sta tra la Valle Argentina e la Valle Arroscia simboleggiato da una Madonna bianca a grandezza naturale.

È un monte che offre ospitalità a diverse specie di flora e di fauna, ben visibili, percorrendo il sentiero tra i pascoli che lo taglia e conduce alla sua vetta.

Una vetta tra le nuvole…

Io appartengo alla Valle Argentina e quindi partirò da qui. Da Triora. Arriverò al Passo della Guardia, oltrepasserò il Colle del Garezzo e il suo tunnel e, subito dopo questo, voltandomi a sinistra, noto il percorso che mi permetterà di raggiungere la cima di questo monte chiamato un tempo Monte Frontero.

Vi parlo di una cima ben visibile già da altri luoghi della mia Valle e che tutti conoscono.

Appartenendo alla Catena Montuosa del Saccarello lo si può notare spesso, stagliato contro il cielo, in mezzo ad altri profili montuosi.

Immediatamente, tra quei pascoli infiniti e incontaminati si notano mucche e vitelli ma anche diverse marmotte, affaccendate e attente si muovono su quei prati.

Che grasse sono! Se immobili, si possono facilmente scambiare con i massi chiari di quel territorio ma quando si muovono sono buffissime con tutta quella ciccia che ballonzola su e giù ad ogni loro passo.

In questa stagione il Monte Frontè è ricoperto da un verde sgargiante e su questo morbido tappeto smeraldino possono nascere fiori di rara bellezza e tanti colori che, dolcemente, accolgono svariati insetti e piccoli uccellini.

Pare impossibile pensare che un tempo, tanti tanti anni fa, era un ghiacciaio.

Ho persin avuto la fortuna di immortalare un bellissimo Culbianco e signora.

Guardate che vanitoso: si girava di qua, e poi di là, e poi mostrava il retro. Voleva essere fotografato da ogni parte senza sapere quale fosse il suo lato migliore.

Continuando a camminare su questo sentiero adatto a tutti, anche se l’ultimo pezzo si presenta un po’ in salita, si può ammirare un panorama splendido. Si può vedere tutta la Valle Argentina e tutti i suoi monti dal primo all’ultimo.

Molte volte, in questo luogo, capita di trovarsi davanti ad uno spettacolo singolare e cioè quello di essere al di sopra delle nuvole e sentirsi sopra al mondo.

Siamo a 2.200 mt d’altezza e pare proprio di vivere l’atmosfera di Avalon dove un mare di nubi sovrasta la vallata ma se si guarda in su si può vedere un cielo terso totalmente azzurro.

E’ bellissima, vista da qui, Rocca Barbone. Se ne vede bene la cima e si vede anche la strada che abbiamo percorso a piedi.

Com’è suggestiva da quassù in alto! Con quegli alberelli sopra che sembrano soldatini.

Ancora pochi passi e si raggiunge l’ambita Madonna, costruita nel 1953 e con lo sguardo rivolto verso il mare.

La sua espressione è dolce ed è innalzata su muri di pietra che l’avvicinano ancora di più al cielo.

Attaccate a quei muri sono diverse le memorie di chi ha realizzato tale capolavoro a quell’altezza.

Il riposo è meritato prima di scendere e si può godere di una pace incredibile e un panorama meraviglioso che raddoppia in quanto, giunti qui, si può ammirare la Valle Arroscia, i paesi lontani di Monesi e Piaggia e il Monte Saccarello preceduto dalla nota statua del Redentore.

Alcuni cavalli selvatici dai colori singolari e splendidi rendono il tutto ancora più meraviglioso.

Firmo sul quaderno dei ricordi protetto all’interno del muretto da una copertura in latta. Voglio poter dire che anch’io sono stata qui e simboleggiare questo evento. Dopodiché mi preparo a scendere.

Passerò dal Passo di Garlenda e raggiungerò nuovamente il Colle del Garezzo facendo così un percorso ad anello e osservando altre meraviglie ma tutto questo vi aspetta in un altro articolo.

Continuate a seguirmi quindi, sono persino stata punta da un tafano… non vorrete certo perdervi una cosa così?

Un bacio altissimo, purissimo e levissimo a tutti voi.

Il Redentore

Cari topini, oggi andiamo in un posto dal panorama fenomenale. Anzi, dai tanti panorami. Sì, perché saliremo su, in cima alla Valle Argentina, e da lì potremo vedere ben tre vallate: una ligure, una piemontese e una francese.

Partiamo ancora una volta da Triora, ma, anziché continuare dritto, prendiamo a destra per Monesi, una strada sterrata b-e-l-l-i-s-s-i-m-a. Ci ritroviamo immediatamente circondati da roccia e prati, sembra quasi che gli alberi si siano offesi e se ne stiano tutti nel versante ovest. In realtà questo accade perché siamo già alti di quota, circa 1500 metri d’altezza, dove la vegetazione si adegua all’ambiente.

Ci stiamo dirigendo alla statua del Redentore, una scultura di bronzo rappresentante il Signore che domina, dalla cima di una montagna, tutto il mondo! Esatto, sembra davvero che sorvegli tutta la Terra.

Il pascolo d’alta quota è un simbolo della Valle Argentina. Anche qui, infatti, incontriamo le nostre amiche pecore, tipica fauna del luogo. Tuttavia, posso assicurarvi la presenza di tassi, molto difficili da fotografare: sono paurosi e molto timidi, un po’ come noi topini. Potremmo, inoltre, ritrovarci circondati da lepri variabili selvatiche, marmotte e, più avanti, scendendo e attraversando il bosco prima di Monesi, anche la pernice bianca!

Per vantare qualche pillola ornitologica, vi posso dire che tra i passeriformi, è possibile notare in questi luoghi il Culbianco, il Luì piccolo e lo Spioncello. Sono uccellini sempre in movimento e dai nomi davvero originali.

Anche le mucche e i cavalli sono presenti. Se ingrandite questa foto potete ammirarli durante il riposo e, nel mentre, notare dove vivono i pastori in questa valle, isolati completamente, ma in un paesaggio fantastico.

È in queste cascine che producono latte e formaggi a volontà. Come vedete, il terreno sta per diventare più verde,  ma dobbiamo prima attraversare la galleria del Garezzo, da noi chiamata comunemente, du Garesu. È una galleria lunga solo 60 metri e sarà lei a introdurci nel bosco che vi dicevo prima.

Per ora, l’unico fiore che vediamo è la lavanda profumata.

In questo momento siamo a 1795 metri, ora scenderemo un po’ per poi risalire fino al cielo!

Eccoci sotto le fronde finalmente.

Nonostante l’altitudine, il sole c’è e si sente. Non c’è luogo migliore per abbronzarsi e un po’ d’ombra ci fa piacere.

Qui possiamo apprezzare la flora, drasticamente cambiata.  Nel bosco, attraversabile in auto, possiamo trovare la rosa canina, bacche di ginepro e lamponi, arbusti che riescono a sopravvivere grazie alla lontananza dei pascoli: gli ovini, infatti, fanno piazza pulita ovunque!

Gli alberi che ci circondano sono il maggiociondolo alpino, l’acero di monte, il sorbo montano, il sorbo degli uccellatori e, ovviamente, non possono mancare i più comuni frassino e nocciolo. Il sole che prova a penetrare dai rami ci regala lo spettacolo di righe trasversali luminose che attraversano le piante ma, nonostante tutto, il manto del sottobosco è umido e costituisce un’ideale culla per funghi buonissimi. 

Sorpassato questo tratto, chiamato Case Penna, eccoci a Monesi, un piccolo paesino di 1310 metri d’altezza. Come vi preannunciavo, siamo scesi, ma non preoc-cupa-tevi: torneremo su! Di fronte a Monesi c’è un altro piccolo borgo chiamato Piaggia, e voi non potete immaginare quanti ricordi mi si affollano nella testa, avendo trascorso in questi luoghi due mesi, un’ estate, quando ero più piccola.

Pur essendo apprezzati nei mesi estivi, questi due paesini vengono popolati soprattutto d’inverno dagli appassionati di sci. Gli impianti sciistici, che ora vedete come immensi prati, li ritroveremo anche al Redentore e, se fossimo in gennaio, in un contesto completamente diverso, sarebbero coperti di candida neve. Tutto il verde che vedete dovete immaginarlo di un bianco argentato che ricopre ogni cosa.

Sorpassiamo Monesi tramite tornanti e ritorniamo nei pascoli, ricominciando la nostra salita. Dopo poche curve, ecco un puntino, lassù, sulla punta del monte. Ci fa capire che manca poco.

Sulla cima che sembra disegnata e colorata con i pastelli, si staglia la microscopica, per ora, figura della statua, la nostra meta (mi sa che dovrete anche qui, ingradire la fotografia, questa valle è così immensa che gli spazi sono davvero infiniti).

Siamo già così in alto da poter vedere, nel versante ligure in fondo alla valle, una chiesetta solitaria in miniatura posta dietro una grande abetaia, ma questo è ancora niente! Invece,  girandoci verso destra, possiamo ammirare la vallata francese e giù, giù in fondo, il paese di La Brigue, al centro della valle.

Due falchetti si rincorrono in voli circolari, ma riuscire a centrarli con l’obbiettivo è quasi impossibile. La catena montuosa più chiara che circonda questa vallata è il primo tratto delle Alpi Marittime. Fa caldo, ma la l’aria così fresca e pulita fa prudere il naso ed è come se entrasse a raffreddare la fronte.

Su questi monti si possono trovare i bucaneve e le stelle alpine. Sì, cari topini, a proposito di alpini, devo dirvi che ritroveremo, vicino al Redentore, rifugi e ruderi inerenti alla guerra, oggi considerate opere in memoria delle Alpi. È qui, sul Monte Saccarello, 2200 metri, dove vedete quel pilone sulla cima, che esiste una vera e propria batteria. È la batteria del Monte Saccarello, con tanto di casermette, postazioni e ben quattro cannoni. Fu realizzata nel 1900 per controllare il Monte Bertrand e Collardente. Dietro alle barbette si trovano ancora la riserva, il ricovero per i soldati e la casetta di legno che riparava le polveri dall’umidità. Era attrezzata più per la difesa che per l’attacco, collegata ad altre numerose caserme a ridosso del crinale nel tratto Passo Tanarello – Passo di Garlenda. Per chi ama queste rovine è il luogo ideale.

Si tratta di una bella scarpinata, oggi non abbiamo tempo di visitare con attenzione questo posto, quindi continuiamo il sentiero sulla nostra sinistra, sterrato ma più breve, che ci porterà – eccola laggiù! – alla nostra statua.

Passiamo di fianco al rifugio San Remo, una piccola baita di assi di legno sulla strada.

Siamo arrivati. Il Redentore si erge davanti a noi, che lo guardiamo con il naso all’insù. Alla sua base ci sono tante targhe, ma quella che vi ho postato mi sembra la più significativa.

Tale immensità lascia tutti senza fiato e questa volta, ad arricchire il tutto, abbiamo il cielo di un azzurro intenso, senza nemmeno una nuvola.

Ecco a voi Il Redentore! Questa statua è stata costruita il 5 agosto del 1901 e ogni anno, in quella data e da 110 anni, si rinnova l’appuntamento per la festa del Redentore che vede come protagonisti innumerevoli alpini, oltre che,  ovviamente, tantissima gente che arriva da ogni dove. Questa statua rappresentante il Cristo si trova esattamente tra la provincia di Imperia e quella di Cuneo.

Era il 1900 quando papa Leone XIII, durante la messa della vigilia di Natale in San Pietro, dichiarò di voler dedicare il XX secolo proprio al Redentore. Fu così che ogni regione italiana si preoccupò di rappresentare, sulle proprie vette più alte, statue, croci o monumenti che lo rappresentassero. Con la forza delle braccia e con l’aiuto dei carri, trainati da buoi, costruirono la nostra, nel ponente ligure. Chi ha scolpito questo viso l’ha fatto in modo così preciso e accurato da riuscire a renderlo espressivo, ma… cosa vedono quegli occhi? Ve lo mostro subito.

I panorami sono vasti e variegati, la valle, poi, è incantevole. La bellissima Valle Argentina si trova esat-ta-mente davanti al suo sguardo. Se fino ad ora ve l’avevo fatta vedere dal basso verso l’alto, questa volta potete notare come si mostra all’inverso. Anzi, vi presento anche da qui una chicca: uno dei paesini più graziosi, visto dall’alto della mia valle, Verdeggia, con tutti i suoi tetti in “ciappe di ardesia”, sembra proprio un presepe ed è abitato, nella stagione fredda, da una sola famiglia e dal gestore dell’albergo.

Ora, da questo posto magnifico, dobbiamo scendere e tornare nella nostra tana, prendendo un’altra strada.

Passeremo da San Bernardo di Mendatica e faremo il Col di Nava, ma questa è una sorpresa per la prossima volta e sarà anch’esso un post con immagini spettacolari come queste, che mi auguro tanto, vi siano piaciute.

Buon divertimento e buona passeggiata a tutti, cari topini!

Vostra Pigmy di montagna.

M.