Il Monte Pellegrino e il suo bosco magico

Il monte che voglio presentarvi oggi, e che appartiene alla mia splendida Valle, è un monte meno nominato rispetto ad altri più “famosi” di lui ma, chi non lo conosce, non sa quello che si perde.

Si tratta del Monte Pellegrino, non altissimo, 1.398 mt s.l.m. ma davvero particolare e con un Passo e un Bosco omonimi.

Lo si raggiunge da diverse zone della Valle, rimane abbastanza centrale, ma c’è un punto, esattamente sopra la zona di Gorda e cioè sopra l’abitato di Triora che ci permette di attraversarne il suo bosco fitto.

Un bosco che non ha niente da invidiare alle magiche foreste dei migliori film.

L’atmosfera che regna in questa macchia è surreale in ogni momento.

Con la nebbia, con la neve, in estate, quando persino i raggi del sole faticano a penetrare quelle fronde che ci abbracciano.

Per questo, una vita assai particolare, può trascorrere le sue giornate tra queste piante, le quali creano un habitat che poche volte si trova in natura.

E’ infatti un monte molto verdeggiante, a partire dalle sue pendici, che si attraversano passando proprio per questa foresta tagliata dal sentiero sterrato.

Ha poche radure e non è per nulla aspro.

In autunno mostra anche vari colori dati dal foliage dei suoi alberi e si presenta come una pietra preziosa e colorata in mezzo a tinte più spente che lo circondano.

A regnare sono le Conifere, soprattutto il Pino Nero, che conferisce la sensazione di protezione e oscurità, ma giovani Latifoglie insegnano la resilienza tra quegli aghi aguzzi.

Tutti quegli alberi donano un senso di mistero e permettono di respirare un’aria mistica fantasticando su figure incredibili che potrebbero spuntare da un momento all’altro. Per non parlare di quando la bruma si posa tra quei tronchi ritti. Sembra di entrare in dimensioni nuove, mai viste prima.

Come ho detto, non c’è un momento dell’anno in cui, questo bosco, non stupisca con il suo carattere e ciò che mostra. In ogni stagione riesce a lasciare tutti a bocca aperta.

La montagna che lo nutre la si può vedere sovente durante le escursioni in Valle, seppur più bassa di molte altre, spicca al centro, davanti alla Catena Montuosa del Saccarello e probabilmente intrattiene lunghi discorsi con Rocca Barbone.

Questo luogo è stato anche teatro di battaglie importanti, tra Francesi e Piemontesi, che videro come protagonista Napoleone Bonaparte. I confini vennero segnati al Monte Saccarello, soprastante, e fu molto il sangue che sgorgò e venne assorbito da questa terra oggi rigogliosa e lussureggiante di verde.

Una terra da proteggere perché assai ricca di piccola vita.

Nonostante un sottobosco pulito, molte sono le specie sia di flora che di fauna che qui abitano. Sono infatti innumerevoli i versi degli uccellini che tra questi rami hanno il nido e qui cresce persino la Pinguicula Comune che è, pensate, una pianta Carnivora! Ebbene sì, la mia Valle stupisce sempre, dal Macrocosmo al Microcosmo che la rappresentano.

Ora vado a lanciarmi in un’altra avventura e a preparare un nuovo articolo per voi!

Squit!

Accanto al Zimun per il Sentiero dei Piumisti

Il sentiero che facciamo oggi, chiamato “Sentiero dei Piumisti” è un anello che tocca la zona oltre il Bosco del Pellegrino, chiamata “I Cubi”, attraversa il Passo della Guardia, arriva al Ciotto de e Giaie per il Colle del Garezzo e poi scende, permettendoci di toccare U Zimun, Cà Botexina, Cà Gianca e tornare ai Cubi.

Naturalmente lo si può percorrere anche all’inverso, essendo appunto un anello, ma ora cerchiamo di vedere bene, tappa per tappa, questi luoghi magnifici che regala la mia Valle e che forse non avete ancora visto.

Oltrepasseremo ruscelli, saremo circondati da monti importanti, passeremo sotto a conifere di varie specie e noteremo come, questo bel percorso, non è assolutamente difficile o impervio e quindi adatto a tutti nel suo dolce saliscendi.

Innanzi tutto serve sapere che, in Valle, si chiama “I Cubi” quel luogo che, poco prima Passo della Guardia, è dotato di tavoli, panchine e barbecue per una sosta rilassante in mezzo alle montagne. Naturalmente quando non sono ricoperti di neve.

Da qui si parte verso il bivio Guardia/Collardente e, dalla Guardia, si prosegue per il Colle del Garezzo non senza prima lasciarci incantare dalla bellezza di Rocca Barbone, vestita di bianca bambagia, e che offre uno spettacolo meraviglioso.

All’incirca al di sotto del Monte Frontè, in un’apertura tra i monti chiamata Ciotto de e Giaie (Conca dei fiumi), si intravede un sentiero che scende lato mare e conduce a una montagnola tonda dal cocuzzolo fatto a fungo.

Si tratta di U Zimun (il Cimone) un piccolo monte che sovrasta il Poggio di Goina sotto di noi.

Prima di intraprendere questo cammino, che si srotola tra pascoli incontaminati, ora ricoperti di neve, è assolutamente doveroso fermarsi e osservare il panorama.

Dal Tunnel del Garezzo, che lo si distingue come un buco nero tra i monti, si possono riconoscere Cima dell’Ortica, Monte Bussana, Cima Donzella, il Passo della Mezzaluna e dietro di lui Pizzo Penna, Monte Arborea e Carmo dei Brocchi fino ad arrivare con lo sguardo al Monte Faudo che resta esattamente davanti al mare.

Spostandoci con gli occhi ancora un poco verso destra possiamo vedere anche Monte Bignone e il Monte Pellegrino del quale abbiamo toccato le pendici salendo.

Del secondo, possiamo distinguere chiaramente i molti alberi che lo ricoprono.

Dopo aver ammirato per bene quel panorama e aver goduto della presenza di Aquile, Camosci, Gracchi Alpini e Corvi Imperiali attorno a noi possiamo inoltrarci per il sentiero protagonista di questo articolo.

Intanto quei volatili e gli ungulati non si spostano.

Continuano a rimanerci attorno. E’ bellissimo.

Iniziamo a scendere quindi e giungiamo subito ad una piccola minuscola baita in pietra e legno, un rifugio privato con tanto di recinto in legno davvero caratteristico.

Lo sorpassiamo e continuiamo a scendere fino ad arrivare al Zimun che sembra un muffin ricoperto di zucchero a velo.

Svoltiamo a destra e proseguiamo per quella stradina ben delineata che, a tratti, taglia prati e radure per poi inserirsi tra rocce e radi boschetti di conifere.

Si toccano due Poggi ben conosciuti, prima Cà Botexina e poi Cà Gianca.

Durante il tragitto si passa nell’acqua fredda dei ruscelli e sotto ai grandi Abeti scuri che, di tanto in tanto, scrollano la neve dai loro rami aiutati dal vento.

Le loro fronde sono come affaticate.

Qui è tutto surreale. Verso i monti siamo protetti dalle pareti di terra e di roccia.

Par di essere dentro a un contenitore trasparente dall’atmosfera inimmaginabile.

La foschia tenta di abbassarsi con forza creando banchi spessi e, appoggiandosi alle creste che stiamo scavalcando, riesce bene nel suo intento.

Attorno, quindi, l’ambiente si fa bigio e affascinante, quasi mistico. Il silenzio è così assoluto da sembrare pesante.

Gli arbusti spogli sembrano scheletri che si stagliano tra le nubi basse, intenti in un’ascesa contemplativa verso il cielo.

In questo periodo dell’anno non ci sono fiori e nemmeno farfalle. Non ci sono colori e neanche rumori ma… quel mondo continua ad essere il mio mondo preferito. È assolutamente perfetto. È come deve essere. Sono in totale connessione con lui e mi sento io stessa natura.

Diverso gocce di neve sciolta si tuffano in picchiata verso il suolo.

Qualche secca spiga, colta di sorpresa da quei fiocchi di ghiaccio, è rimasta immobile come se per lei il tempo si fosse fermato e alcuni ciuffi d’erba sono gli unici a tingere, di un arancione bruciato, tutto quel perlato monotono.

Da qui si può vedere il sentiero del Garezzo sopra di noi.

Continuiamo accompagnati dal battito di quel cuore attutito da nebbia e ovatta. Tante le curve ma poche salite. Un sentiero semplice ma stupendo.

L’unico pezzo più a “rampa” è la fine, quando si giunge nuovamente ai Cubi e l’animo e pieno di gioia colta strada facendo.

Una passeggiata da fare e ricordare e che mi auguro vi sia piaciuta.

Vi mando un bacio tra la bruma ma vi giungerà.

Alla prossima Topi!

Dai Cubi al Garezzo sul manto nevoso

Con il termine “I Cubi”, in Valle Argentina, si intende la zona dal Passo della Guardia fornita di panche e tavoli atti a ricevere persone che hanno voglia di fare un bel pic nic godendo di un’atmosfera meravigliosa, immerse totalmente nella natura.

In questo periodo però è difficile poter godere di queste comodità, essendo ch’esse sono completamente ricoperte dalla neve.

Si prosegue pertanto, sopra a quel manto bianco, soffice e luccicante.

Si prosegue fino al Colle del Garezzo arrivando al Ciottu de e Giaie (Ciotto dei Torrenti).

Sembra di essere dentro ad una di quelle palle di vetro piene d’acqua, omini e puntini di polistirolo che si muovono dolci, se si scrolla quella sfera trasparente.

I rumori sono ovattati e sopra ogni cosa regna lei: la candida Signora.

Tutto ha un altro aspetto. Nuovo. Dalle sfumature cangianti.

I fruscii dei pezzi di neve ghiacciata che cadono dai rami diventano tonfi sordi al suolo.

Alcuni fili d’erba sono completamente immersi nel ghiaccio e, assieme all’acqua divenuta solida, formano strane figure bizzarre. Anche le gocce che cascano dai profili rocciosi sono adesso stalattiti fredde.

Rocca Barbone sembra il teatro di una fiaba. Il suo cappello è bianco e la severa falesia che la distingue appare ora ancora più aspra, colorata da quel grigio scura che risalta maggiormente.

Ancora pochi passi, percorro gli stessi metri fatti dai Camosci prima di me e posso godere di un panorama mozzafiato.

In primo piano vedo il Monte Pellegrino, meno imbiancato rispetto alle montagne alle quali do la schiena e, dietro di lui, si staglia davanti ad un mare color oro e azzurro Monte Bignone, solo e snello.

Zampetto per quella strada innevata senza sentire alcuna fatica, è tutto così bello che mi sento leggera come un piccolo insetto.

Il sole, prima dell’arrivo della foschia, scalda e brucia la mia coda ma è gradevole lasciarsi baciare da lui a quelle temperature.

Tutto è assolutamente bianco attorno a me. Alcuni riflessi azzurri delineano strane forme a terra.

Cumuli formati da neve, erba e vento sembrano il suolo di un altro pianeta e si immaginano extra-terrestri avanzare. Invece no, è sempre la mia splendida Valle Argentina che sa regalare scenari incantevoli e ogni volta diversi.

Sopra la mia testa volano indaffarati tantissimi Corvi Imperiali e Gracchi Alpini.

Sono così numerosi che mi par strano, tra loro, distinguere anche una coppia di aquile che subito si allontana.

Sono vivaci, forse affamati. Totalmente neri eppure riflettono così tanto la luce della Grande Stella da sembrar color argento.

Mi rendo conto di essere circondata anche da diversi Camosci.

Le mamme con i loro piccoli hanno formato un gruppetto che, tranquillo, si gode il sole su un prato bianco.

Alcuni invece passeggiano alla ricerca di cibo.

Altri ancora sbucano curiosi e un po’ impauriti dalle rocce e dai cespugli spogli mostrando a malapena il muso. 

E poi c’è chi sceglie comode postazioni per un riposino in totale relax, senza voler essere disturbato da nessuno. Davanti a me, intanto, si apre un nuovo scenario.

Il Poggio di Goina sovrastato da U Zimun (il Cimone) candido e tondo.

Dietro di loro, alla mia sinistra, lo splendore è dato da Alpi Liguri alle quali sono molto affezionata. Il noto Passo della Mezzaluna, completamente avvolto dal mantello immacolato, racchiuso tra Cima Donzella e Cima Arborea e, poco oltre quest’ultimo monte, l’adorato Carmo dei Brocchi. Alto, possente, austero e bianco anch’esso.

In mezzo al Passo svetta con un piglio di simpatica superbia persino Pizzo Penna.

Di fronte a me, dopo il Monte Faudo, una distesa azzurra e brillante indica il mare ed è impressionante vederlo da qui, stando con le zampe in mezzo alla neve, su questi alti monti.

Ora sono sotto al Monte Frontè.

Posso vedere la Madonna ricoperta dai fiocchi gelidi. Un forte contrasto con tutti quei pennuti neri, come il carbone, che le volano attorno.

Alcuni punti di questo tragitto possono risultare pericolosi in questo periodo dell’anno. Piccole o grandi slavine possono cogliere di sorpresa e alcuni pezzi di roccia possono spaccarsi e cadere nel vuoto. Occorre quindi evitare di stare sotto agli speroni di roccia e portarsi dove gli ambienti si aprono mostrando un territorio che gli occhi faticano a credere vero da tanto che è bello.

Le zampe scendono in quell’ovatta di 20 o 30 centimetri ed è bene avere un’attrezzatura adatta come scarponi e pantaloni impermeabili e ghette.

Si potrebbe anche ciaspolare ma non è così alta, ci si cammina dentro tranquillamente.

Le zampe fanno nuovi movimenti. È ovviamente diverso avanzare su questo terreno, meno stabile rispetto a quello estivo, ma è comunque piacevole.

Noto che anche il Gallo Forcello, del quale vedo le orme, la pensa come me. Dev’essersi divertito qua.

Era da parecchio che non vedevo il Colle del Garezzo con questo abito.

La neve, la vera protagonista, è bellissima, e riesce a far risplendere ulteriormente un mondo che già trovo affascinante di per sé.

Spero sia piaciuto anche a voi in questa sua nuova veste, così vi saluto sapendo di lasciarvi una graziosa visione.

Ma le mie avventure con la bianca Signora non sono finite qui. Aspettatemi perché ve ne racconterò e mostrerò delle altre.

Per adesso vi mando un bacio candido e vi aspetto per sgattaiolare ancora, assieme a voi, in diversi palcoscenici gelidi ma affascinanti della mia Valle.

Vignago – il borgo antico

Oggi, Topi, concedetevi un po’ di tempo per seguirmi perché si va a visitare una piccola perla della Valle Argentina.

Il tempo non vi servirà solo per arrivare in questo luogo che si trova sopra al paese di Corte ma anche per immergervi in un altro tipo di tempo che oggi non esiste più ma, in qualche modo, ha saputo lasciare qualcosa di sé, persino il suo profumo e la sua voce.

Attraverso gli oggetti, gli angoli caratteristici, i carrugi, le finestre e l’atmosfera, il – passato è ancora presente – anche se sembra una frase assurda da recitare ma vedrete che dico bene se verrete con me.

Andiamo a Vignago, il borgo piccolo e antico. Il borgo sotto la Rocca.

Il nucleo centrale di questo paesino, infatti, è chiamato – Rocchetta -. Questa protagonista si trova esattamente sopra ai tetti delle vecchie abitazioni.

Per arrivare a Vignago si passa nel bosco e il paese stesso è circondato da Castagni e un’infinità di Roverelle. Un tappeto di ghiande viene calpestato dalle nostre zampe mentre giungiamo ad una delle prime costruzioni importanti.

La macchia diventa meno fitta, alcune rocce si sporgono sulla vallata mostrando Triora che domina di fronte e un’edicola ci aspetta presentando la meraviglia che stiamo per vedere.

Le giro intorno; è piccina, un tempo conteneva la statuetta di una Madonna.

Attraverso una delle sue aperture si nota Monte Pellegrino (1.521 mt) che, in questo periodo mostra anche un foliage spettacolare oltre le radure che lo contraddistinguono.

Davanti a lei, un grande albero di Alloro, ritto e austero, sembra consentire l’accesso al sentiero che scende e porta alle vecchie abitazioni.

Una manciata di case completamente in pietra. Una pietra oggi abbandonata. Nessuno vive più qui ma un tempo c’era persino la scuola. Pare che i bambini fossero una decina e gli adulti più numerosi ma, durante il dopoguerra, questa gente decise di trasferirsi in altre zone.

In effetti, salendo per il sentiero che parte dalla località Molini di Pio, dopo Molini di Triora, e quindi dalla parte bassa che conduceva ai paesi più forniti, non è per niente semplice arrivare qui eppure, un tempo, si percorreva questa strada ogni giorno per poi tornare su, superare i primi capanni e raggiungere una delle case più grandi.

Se invece arrivate da Corte e dal bosco di sopra, introdursi in questo borgo è un’esperienza fiabesca e par quasi di sentire una vocina cantare “A mille ce n’è…”…

Si nota subito come in certi tratti la natura, una meravigliosa natura, abbia preso il sopravvento ma non sembra presuntuosa anzi, sembra voler proteggere quel luogo immerso nel silenzio.

Solo qualche lieve fruscio si percepisce, ogni tanto, provenire da dentro i ruderi. Sono i miei cugini Pipistrelli, si saranno sentiti disturbati dalla mia visita, sono dei dormiglioni!

Dopo quel che rimane di qualche casa raggiungiamo una fontana sulla quale una minuscola targa recita queste parole: “Con la unione di tutta la popolazione di Vignago sorge la fontana dell’acqua potabile 12 – 5 – 1951”.

E’ situata in una piccola piazzetta ora ricoperta da erba alta e si trova nel mezzo della striscia di case.

Vignago è infatti un insieme di dimore che costeggiano l’unico carrugio accessibile.

Alcune di loro non hanno più nemmeno il tetto, altre invece riportano una copertura ancora in ciappe di ardesia, altre sono pericolanti, mentre qualcuna è piena di ragnatele al suo interno.

Se le travi e le solette fossero più resistenti penso che un regista, una volta giunto qui, pensi d’essere arrivato nel suo set cinematografico preferito!

Tutto è da guardare, da osservare, da contemplare. Tutto ha tanto da dire. Se ci si ferma con lo sguardo sopra ai vari particolari si notano cose mai viste prime, si può sentire un’antica narrazione e si può immaginare ciò che non si è mai vissuto.

Ho così tanta voglia di portarmi tutto in tana che faccio foto a non finire.

Questa piccola frazione di Corte, e quindi di Molini di Triora che fa Comune, fino al 1903 appartenne al territorio di Triora distaccandosi poi assieme ad altre frazioni vicine ancora oggi abitate.

Alcuni punti ombrosi sono umidi e bui. Capisco perché i Chinotteri qui si trovano bene tra le braccia di Morfeo ma, attraverso alcuni pertugi, la luce del sole entra e i suoi raggi rendono tutto ancora più affascinante donando un bagliore quasi argentato a quei resti circondati da una natura florida.

Travi di legno massicce, lastre incise, porte pesanti e sedie tarlate. Tra le pietre dei muri escono chiodi enormi, arrugginiti, in grado di sostenere il peso eccessivo.

Ci sono finestre chiuse da persiane di legno mentre altre sono oggi solo buchi dalla forma quadrata che permettono di vedere il mondo.

Siamo a circa 700 mt s.l.m. ma potendo vedere, attorno a noi, nei pressi di questo borgo, alcuni degli alti monti della mia Valle, pare di essere ancora più vicini al cielo. Siamo in un punto alto, aperto, che gode di aria buona e tanto sole.

Il panorama è stupendo e obbliga a spalancare gli occhi ma anche le piccole creature accanto a noi non sono niente male.

Insetti, fiori, funghetti, frutti… c’è davvero di tutto qui. Tantissima vita in un luogo che, a prima vista, sembra parlare soltanto di staticità.

E’ vero, il tempo in effetti sembra essersi fermato ma, nonostante il passare di molti anni, un’energia movimentata continua a imperlare tra queste mura.

Non vorrei più andarmene. Mi piacerebbe vivere quest’atmosfera durante le varie ore del tempo ma i miei lavori in tana chiamano e se non torno indietro voi rimanete qui a Vignago senza altri articoli.

E’ bene ch’io rientri quindi ma prima vi mando un bacio antico e vi aspetto per la prossima avventura.

Buon proseguimento Topi!