Tante bellezze dalla Mezzaluna al Praetto

Oggi parto da un luogo meraviglioso.

Sono nel bel mezzo della mazzaluna, conca disegnata dal Monte Arborea e Cima Donzella, conosciuto appunto come Passo della Mezzaluna o anche Colle della Mezzaluna e mi dirigo verso i Prati di Corte.

Sono arrivata qui passando per la bellissima e mistica foresta di Rezzo, una faggeta che lascia senza fiato e sa di misterioso e fiabesco, chiamata anche “Bosco delle Fate”.

Giunta sul posto è soprattutto Carmo dei Brocchi a darmi il benvenuto in tutta la sua bellezza. Da una parte mostra il bosco e dall’altra il prato, apparendo così come mezzo capelluto e mezzo calvo. Forma un tutt’uno con Monte Arborea e appartiene anch’esso al disegno del Passo protagonista. So che sotto di lui c’è il Ciotto di San Lorenzo, luogo al quale sono affezionata e che ho vissuto molto, e quindi sorrido.

Intraprendo un sentiero stretto e pulito con attorno prati, pascoli e pietraie sulle quali non è difficile notare Camosci, come non è difficile poter osservare un panorama fantastico che mi permette di vedere tantissimi altri monti.

Il Toraggio, il Pietravecchia, il Grai, il Gerbonte, Carmo Gerbontina e anche il Bego, verso la Francia, con ancora la neve a coprirlo.

Non ho neanche iniziato la mia escursione che due Camosci decidono di salutarmi in un modo alquanto insolito. Venendomi quasi addosso in pratica. Li vedo scendere veloci dalla cresta di un montagna e dirigersi verso fondo valle. Mi passano a pochi metri di distanza, piccola come sono, per fortuna non mi hanno investita, altrimenti mi avrebbero fatta arrivare ad Arma nel giro di un baleno. Dovrebbero calmare la loro enfasi ma li capisco… sono sempre molto felici di vedermi. Io, comunque, mi sono emozionata tantissimo ma tanto proprio. Muovevano l’erba come un vento impetuoso e il fruscio era forte, impossibile non sentirlo.

Questa passeggiata, al di sotto di Località Sciorella, è adatta a tutti e porta verso una piccola radura chiamata “Praetto” circondata da un verde vivace che lascia abbagliati.

In questo periodo dell’anno sono tantissimi i fiori spontanei che rendono ancora più suggestivo questo luogo e tanti i canti degli uccelli: Passeriformi, Galli Forcelli, Cuculi… è difficile ma divertente provare a riconoscerli dal canto.

Dopo essere passata sotto a Noccioli, Faggi e Carpini il panorama si apre ancora e mi mostra i paesi di Andagna, Triora, Molini, Cetta e Corte incastonati sui colli con i loro cimiteri e i loro santuari.

Ora, alla mia destra, una catena montuosa che si snoda verso Nord-Ovest, mi consente di osservare Monte Monega e la sua croce simbolica ma anche il Colle del Garezzo.

Tutto qui è florido e lussureggiante. Si vedono i Casoni nei Prati di Corte, antichi rifugi ancora oggi utilizzati, e la Località più bassa chiamata Case Loggia.

Il sentiero sul quale zampetto è comodo e accessibile a tutti basta avere scarpe idrorepellenti, in quanto, può capitare di dover attraversare rii o sorgenti in base al periodo.

Incontro sulla mia strada una bellissima Mucca tutta bianca. È un po’ spaventata dalla mia presenza e quindi, anche se incuriosita, decide di andarsene per poi fermarsi e guardarmi da lontano. Un Topino che fa scappare una Mucca! Questa devo proprio raccontarla.

Non si possono non ammirare i fiori che vi nominavo prima. Ogni colore si palesa davanti ai miei occhi con tutte le sue sfumature e anche ogni tipo di petalo è pomposo e felice di lasciarsi ammirare.

Sono impressionanti il Trifoglio e l’Ortica. Il primo ha fiori alti e enormi rispetto al normale. Sembrano grossi pon pon dai colori decisi. L’erba urticante, invece, ha foglie grandi quanto una mia zampa! E attorno a lei altri minuscoli fiorellini piccoli come puntini.

E poi ancora: Non Ti Scordar Di Me, Veronica, Scarpetta della Madonna, Botton d’Oro, Camenerio, Pigamo, Acetosella, Valeriana Rossa… grandi, piccoli, alti, bassi… un trionfo di tinte stupende. Anche loro emozionano, sembra di essere in una cartolina. Persino il verde è cangiante.

Qui, gli insetti, stanno davvero alla grande. Possono cibarsi di ogni ben di Dio!

Nel bel mezzo del Passo della Mezzaluna sono diversi i sentieri che prendono il via ma potete fidarvi che, qualsiasi decidete di scegliere non vi lascerà scontenti.

In questo periodo i pastori sono saliti con i loro greggi e non è difficile incontrare Pecore, Capre e Mucche, quest’ultime sempre molto protette dai Tori, muscolosi e attenti, ai quali è bene non rompere le scatole.

Io vado a riposare ora, voi aspettatemi per la prossima escursione.

Un bacio verdeggiante a voi.

Un formaggio da K2!

Topi! Sono venuta a conoscenza di una cosa che mi ha fatto vibrare i baffi di orgoglio!

La mia Valle non smette mai di stupire, è proprio vero.

Nel mio girovagare ho scoperto, infatti, che il formaggio d’alpeggio delle mucche del Saccarello nel 2004 è stato selezionato come alimento fondamentale per ben due spedizioni italiane di alpinisti sul K2. Ma ci pensate?  Il latte munto sulle mie montagne è arrivato fino in Nepal. Roba da non credere!

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Il K2, tra l’altro, è la seconda vetta più alta del mondo dopo l’Everest, ma è considerata la più difficile da scalare. All’evento era stato dedicato persino un articolo su La Stampa, in cui si sottolineava che, quello di portare nello zaino il tipico formaggio triorese, non fosse un capriccio o una questione di gola, visto che per chi si appresta ad affrontare percorsi così estremi l’alimentazione è studiata, programmata, calcolata da esperti.

Il formaggio di mucca d’alpeggio è lavorato a crudo, è stagionato e avvolto in teli di lino e viene affinato in cantine su assi di legno. Dopo due mesi di stagionatura, assume un sapore caratteristico, con retrogusto mandorlato e ha un inconfondibile profumo di funghi porcini e fieno. Questo suo sapore delicato unito alla particolare fragranza è dato dall’alimentazione delle mucche, costituita da foraggi freschi arricchiti dalle erbe aromatiche montane. Io mi lecco già i baffi. Ha proprietà organolettiche per le quali è unico in tutta la Liguria.

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Ci sareste dovuti essere, il giorno in cui mi è giunta notizia di questo primato culinario che non sapevo la mia Valle avesse.

Ero con topoamica, stava sorseggiando una tisana al lampone nella mia tana, quando mi è tornata in mente la sensazionale scoperta di quel giorno.

«Per tutti i topi, devo dirti una cosa! Ho una notiziona!»

«Avanti, dimmi. Hai fatto la scoperta del secolo, finalmente?» mi ha chiesto lei.

Non appena, però, le ho detto del formaggio, degli alpinisti, del K2 e di tutto il resto, topoamica ha posato la tazza e mi ha guardata come fossi ammattita.

«Che c’è?», le ho domandato confusa.

«Belin, Pruna! Dal tono che avevi, credevo tu avessi trovato il Sacro Graal della Valle Argentina. E invece te ne stai qui, a parlarmi di tome!»

«Ma… guarda che il K2 è una cima importante!»

«Sì, sì. Già ti ci vedo, sul tetto del mondo con la toma nostrana tra le zampe!»

E’ finita tra le risa di entrambe e, dopo un allegro battibecco, ho anche promesso che il Sacro Graal lo troverò, almeno topoamica smetterà di prendermi per una mangia-tome.

E voi? Sapevate di questo primato della Valle Argentina?

Io vi saluto, topi. Vado a scalare… il Monte Trono, così il formaggio me lo compro direttamente a Triora, che mi è venuta l’acquolina in bocca. E poi, ormai, voglio proprio conoscere il gusto di questa prelibatezza!

A presto.

Prunocciola

De Pè Russu mancu a Vacca!

Il titolo di questo post, deriva da un antico detto del mio paese e significa: di pelo rosso nemmeno la mucca!

Detto così può sembrare una frase senza senso, o inventato da chi preferisce una livrea bionda o bruna, piuttosto che color carota.

Ebbene, dietro a questa frase, c’è molto di più.

Tutta la mia Valle, è stata abitata, così vuole la tradizione, da numerose streghe.

Donne, amiche del diavolo, secondo la tradizione, che venivano condannate dalla popolazione ad atroci torture perchè devote al maligno.

Oggi, si ha nel cuore il loro vissuto, le si ricorda con rispetto, le riteniamo vecchie amiche ormai inesistenti e i luoghi, dove si crede abbiano abitato, sono mete turistiche molto ambite ma, un tempo, le poverine, ne hanno patito di ogni sorta.

La stragrande maggioranza delle misere, aveva proprio come colore di capelli, il colore rosso. Se nascevi pel di carota, ed eri una femmina, automaticamente venivi marchiata con il nome di “megera”.

Il rosso non era come oggi, il colore dell’amore e della passione, apparteneva a lui, a Lucifero, al Signore del Male e bisognava fargliela pagare alle malcapitate sue seguaci.

E’ così che, ancora fino a pochi anni fa, i vecchi dei miei luoghi, alle ragazze, mie coetanee, se nascevano con i capelli di quel bel caldo arancio intenso, rispondevano al loro educato saluto, con la sprezzante frase “De pè russu mancu a vacca!”.

Non si faceva nemmeno il latte con una mucca di quel colore, sarebbe stato come minimo avvelenato!

Pensate che la prima macchina che si vide nella mia vallata, o meglio, in uno dei paesini montani della mia Valle, una Spider rosso fiammante, impauriva gli abitanti così tanto da farli rintanare in casa dicendo “U ghè u Diau cu i oeggi de foegu” (C’è il diavolo con gli occhi di fuoco).

E questo Diavolo doveva essere anche arrabbiato, visto il rombo che emetteva attraverso uno splendido motore.

Cari topi, qui, nella Valle Argentina, sono tutti tori, appena vedono rosso, non capiscono più niente. Ma sono i miei compaesani e ogni luogo, immagino, ha le sue credenze.

Io comunque invidio le donne dai capelli color della carota soprattutto quando sono anche piene di lentiggini perchè, che se ne dica, a me piacciono tantissimo!

La foto è presa da internet, non è mia, ma guardate che bella chioma ad esempio! La splendida Rita Hayworth! Donna, per me, stupenda. Se fosse nata in questo borgo non sarebbe di certo divenuta una star mondiale del Cinema!

Un caloroso, anzi rovente, abbraccio. Pigmy.

M.