Zona Sella – la Primavera sboccia su un passato antico

Dopo l’inverno si ha sempre voglia di un po’ di primavera vero Topi?

Anche se quest’anno il periodo invernale è stato particolarmente mite so che lo sbocciare di Veroniche, Borragini e Primule mi aprirà il cuore e quindi, essendo a Triora, storico borgo conosciuto come “Il Paese delle Streghe”, mi reco in Zona Sella che mi mostrerà tante piccole nuove fioriture.

A dire il vero non ho solo voglia di Natura… intendo sentire attorno a me anche la forza di un passato che non morirà mai, radicato bene nelle memorie dei trioresi, inciso su pietre e pagine antiche.

Un passato che appartiene alla mia terra e che voglio condividere con tutti voi.

Prendete con voi elmi e blasoni… si parte per vivere un topo-tour strabiliante!

Dalla Strada Provinciale una piccola mulattiera scende verso il basso tra varie costruzioni. E’ Via Sella, a Sud del Paese, adiacente all’ex Albergo “La Colomba d’Oro” (storico locale chiuso da diversi anni ma il suo nome echeggia ancora in questi luoghi) mi dirigo in giù ammirando i miei monti che, come sempre, mi circondano.

Farò un anello e sbucherò di nuovo sulla Provinciale 52 per poi risalire in paese. Seguitemi quindi.

Via Sella si apre davanti a me con il sole che la illumina. So già che vedrò cose meravigliose percorrendola ma, prima di proseguire oltre, alzo subito gli occhi al cielo voltandomi all’indietro.

Da qui posso vedere il retro dell’Albergo e, immediatamente, vengo catapultata alla fine dell’800. Ebbene sì! “La Colomba d’Oro” era in realtà un Convento, chiamato Convento di San Francesco, e gli amati frati del paese alloggiavano in questa struttura posta in una delle zone migliori del territorio. Appena fuori dal centro abitato ma vicina al popolo e in grado di prendere sole tutto il giorno vista l’ampia apertura della Valle sulla quale si affacciava.

Di quel tempo è rimasto l’umile e squadrato campanile. Un campanile che sembra insignificante e invece tratta di avvenimenti molto importanti di questo paese.

I padri francescani dovettero presto lasciare la loro dimora perché quella struttura venne adibita a Caserma così come venne spazzata via la Chiesa dei Santi Pietro e Marziano, poco più su, per realizzare una piazza d’armi.

Continuo a scendere e, quel passato, è come se si facesse sempre più ricco e significativo. Consistente, quasi tangibile.

E’ come se mi toccasse nonostante la presenza di case più moderne.

Dopo aver attraversato campi e orti, dai quali mi saluta persino la Calendula che qui nasce in gran quantità, mi rendo conto di avere accanto a me numerosi muretti in pietra e pezzi di ruderi. Sono infatti nei pressi dell’antico Fortino Sella o meglio… di quel che rimane di lui.

I Rovi si sono di nuovo impossessati del loro ambiente in certi tratti.

Questo Fortino, uno dei più grandi di Triora, è conosciuto anche con il nome di San Bernardino e presto capirete il perché.

E’ stato distrutto, assieme agli altri Forti, dagli stessi trioresi quando si ribellarono alla Repubblica di Genova e continuando per la mulattiera che lo attraversa abbraccio magnifici campi che in questo periodo dell’anno iniziano a mostrare di nuovo un bel verde vivido.

Da qui posso vedere Triora da una nuova angolazione. Si erge lassù in tutta la sua bellezza e la vedo come uno scrigno prezioso che racchiude segreti.

Vedo anche il cimitero e le mura che lo circondano. Anche loro appartenevano ad un Fortino ma di questo ve ne parlerò in un altro articolo.

Continuando il percorso ecco lo spuntar di un tetto ben noto tra quelle fasce e l’infinito. E’ il tetto in ciappe di ardesia di una Chiesetta famosissima in Valle Argentina. E’ anche una delle più antiche.

Una Chiesetta del XV secolo dedicata a San Bernardino da Siena, francescano e teologo del ‘400.

San Bernardino è circondata da ampie radure pianeggianti.

A presentare la struttura religiosa c’è una croce e girando attorno a questo Santuario si passa sotto ad archi e contrafforti in pietra.

Sì, è proprio la pietra la vera protagonista, lo si nota anche guardando delle creazioni che sfidano l’equilibrio e abbelliscono il luogo.

Tanti sono al suo interno gli affreschi di valore e un giorno ve li farò vedere.

Ora dobbiamo continuare inoltrandoci per la via che ci riporterà sulla Provinciale e che anch’essa si chiama come il Santo.

La vista che si gode da qui è unica. Riesce persino a raccontare un territorio e una vita che non esiste più.

Un Fringuello mi accompagna di ramo in ramo. A volte si nasconde tra i fiori di Pesco, a volte invece si posa su alberi ancora spogli.

Il suo canto è paragonato alla voce dell’Anima. E’ così melodioso che vari popoli pensavano arrivasse direttamente dal cuore di quell’esserino, il quale diventava un mezzo per far udire una delle voci più belle e che raramente ascoltiamo all’interno di noi.

Sono diverse le cappelle votive e le edicole che si possono ammirare strada facendo.

Sono dedicate alla Madonna e immagino i contadini di un tempo che dopo aver lavorato per ore in questi campi, sotto al sole cocente, tornavano a casa al rintocco delle campane soffermandosi davanti a questi capitelli per pregare o ringraziare chi, dall’alto, proteggeva quei raccolti.

Questo è l’ultimo tratto della mulattiera e poi rieccomi sulla strada asfaltata.

Adesso c’è un intero borgo che mi aspetta. Un borgo pieno di misteri. Un borgo che conosco bene ma ha sempre qualcosa di nuovo da raccontarmi.

Non mi resta che inoltrarmi tra questi carrugi e stare ad ascoltare.

E voi muovetevi, su! Non posso aspettarvi! Devo scrivere un altro articolo!

Ecco… lo sapevo che vi sareste incantati…

Da Verezzo ai prati di San Giovanni

Lo so che la mia Valle sarà gelosa del post che sto scrivendo, ma oggi vi porto a conoscere un posto che non si trova nella Valle Argentina, bensì nelle zone immediatamente limitrofe.

Se c’è una cosa che di solito ci invidiano tutti della Liguria, è la sua caratteristica di essere a metà tra i monti e il mare, e spesso percorrendo sentieri dell’entroterra si può osservare la distesa d’acqua che lambisce la costa, mentre si danno le spalle alle Alpi.

Ebbene, un giorno d’autunno prendiamo la topo-mobile e allontaniamoci dai miei luoghi, ma non tanto, eh!

Arriviamo fino a Verezzo, frazione di Sanremo, e lasciamo la macchina proprio davanti alla chiesetta di Sant’Antonio.

Mi perdonerete se non farò tante foto, questa volta, ma ho le zampe ghiacciate. Tira un’aria così fredda che si fatica a tirarle fuori dalle tasche, figurarsi a scattare fotografie!

Comunque, dicevo, dalla chiesa imbocchiamo la mulattiera visibile sulla strada e, inerpicandoci, arriviamo su una strada asfaltata che sale ancora tra bellissime villette. Presto l’asfalto si trasforma in cemento, e il cemento in pietra. Si raggiunge così un’altra mulattiera, contornata dalla vegetazione di tipo mediterraneo, dalle campagne curate da mani sapienti e da case di agricoltori.

Il percorso prosegue tutto al sole, non ci sono alberi ad adombrare il sentiero. Lungo il cammino ci imbattiamo nella Ginestra, nel Cisto, nel Timo, in cespugli rigogliosi di Ginepro. E poi, di tanto in tanto, ecco spuntare Querce, Mandorli, Pini e Ulivi.

Si sale sempre, senza fermarsi mai, e la presenza delle mucche è evidente, bisogna fare attenzione a dove si mettono le zampe, se non si vuole finire dritti dritti nella… busa!

Più si va in alto, più la vista diventa mozzafiato. Se volgiamo lo sguardo verso l’interno, possiamo vedere le antenne di Monte Bignone, ma guardando verso sud veniamo invasi dal colore del mare, che oggi è blu intenso, specchio perfetto del cielo terso. E poi si scorgono Sanremo, la Valle Armea, Bussana, Castellaro, da una postazione più elevata possiamo vedere anche Arma di Taggia.

Verezzo

Tornando con lo sguardo verso l’entroterra, riconosciamo il Monte Faudo.

Salendo, la vegetazione si fa più brulla e i Grilli saltano allegri in mezzo all’erba, ormai quasi del tutto secca.

Poi, a un tratto, il sentiero si fa più pianeggiante, la pendenza diminuisce drasticamente. Si procede in mezzo alle Ginestre, i cui rami spogli si impigliano allo zaino, alla giacca e ai capelli. Anche il Rovo si fa spazio in questo ambiente, bisogna fare attenzione a non lasciare che prenda confidenza con noi, perché potrebbe graffiarci le guance, le zampe e lacerare i nostri vestiti. Si sale ancora un po’, ma questa volta la salita è più dolce che in precedenza. Ed eccoci arrivati ai prati, bellissimi, quasi sconfinati, in mezzo ai quali si stagliano ruderi di costruzioni antiche come il tempo e alberi solitari di maestosa bellezza.

Verezzo1

Continuando a camminare in mezzo alle distese erbose, dove pascolano le Mucche, grufolano i Cinghiali e dove passano anche i Cavalli, ci dirigiamo verso la pineta che si vede sulla cresta, poco più in alto rispetto a dove ci troviamo.

E, una volta arrivati, le meraviglie da assaporare non sono poche.

prati Verezzo

Tappeti di pigne ricoprono il terreno e un Pino Silvestre trasuda resina dalla corteccia, si vede anche a distanza. Guardate la meraviglia di questa colata d’ambra!

Sebbene la perdita della resina dalla corteccia non sia un buon segno per la pianta, non possiamo che rimanerne affascinati.

Più avanti ci fermiamo a mangiare un boccone con lo sguardo rivolto al mare, ma facciamo in fretta, perché il vento è forte quassù, non si riesce a rimanere fermi a lungo. Dopo mangiato, proseguiamo il sentiero per pochi istanti e ci ritroviamo alla chiesetta rurale di San Zane, San Giovanni. Subito sotto c’è il paese di Ceriana, un cartello indica che è possibile arrivarci, ma oggi non vogliamo proseguire. Da qui si potrebbe arrivare anche a Monte Bignone, ma neppure questo sarà la nostra meta. In lontananza scorgiamo il Toraggio e, sullo sfondo, le cime innevate delle alture cuneesi.

prati di san giovanni ceriana

C’è pace, il profumo della neve arriva quasi alle nostre narici. Il freddo sferza il viso, ci copriamo di più per sentire di meno il suo schiaffo, ma il vento è potente. E allora decidiamo di tornare indietro, contenti per la bella e rigenerante passeggiata, mentre godiamo dell’oro del sole che ci pervade e illumina ogni cosa intorno a noi.

Pigmy

L’Anello della Madonna della Neve

Topi, scrivo questo articolo per un motivo preciso.

Vi ho già parlato in passato del Santuario della Madonna della Neve, ma fino ad appena un anno fa era raggiungibile quasi esclusivamente dalla strada carrozzabile. Da prima dell’abitato di Badalucco, in prossimità del ristorante Ca’ Mea, si svolta a sinistra in direzione Vignai e si arriva così a destinazione.

Tuttavia, da un anno a questa parte, è possibile giungere al Santuario anche a piedi, godendo di una vista meravigliosa. Tutto questo è stato reso possibile dai Cugini dei Sentieri, un’associazione di promozione sociale con sede a Badalucco che si è occupata di ripristinare antiche mulattiere che, dalla Chiesa di San Nicolò, conducevano alla Madonna della Neve, sulla cima del Monte Carmo (772 m.s.l.m.).

 

Si tratta di un percorso ad anello che regala scorci indimenticabili, ben tracciato e segnalato anche da cartelli. Che lavoro deve essere stato! Ci pensate? I volontari si sono rimboccati le maniche e, alla fine, il percorso è stato nominato Sentiero 117 ed è entrato a far parte del REL (Rete Escursionistica Ligure). Si snoda lungo 5 chilometri caratterizzati da macchia mediterranea, tratti boschivi e terrazzamenti un tempo coltivati. Ad aiutare i Cugini dei Sentieri sono stati gli imprenditori locali del paese, insieme all’Amministrazione comunale.

badalucco - anello madonna della neve

Si sale abbastanza, lungo il sentiero, ma ne vale proprio la pena! Pensate che in alcuni tratti si può godere persino della vista del mare, incorniciato dai monti. E’ uno spettacolo di cui si è testimoni non di rado, nella mia Valle, ma è sempre bello poterlo rimirare.

anello madonna della neve badalucco

E’ impossibile non fermarsi a scattare foto-cartolina mentre si cammina, perché è un anello davvero suggestivo. I tratti ombrosi si alternano a quelli soleggiati, si può godere sia del fresco del bosco che del calore del sole, accontentando i gusti di tutti e in ogni stagione. Anche la vegetazione si adegua di conseguenza: la macchia mediterranea colora e profuma i punti più esposti, ma si incontrano anche il Rovere, il Carpino, il Castagno, il Leccio, il Nocciolo. Tra gli arbusti, invece, non è difficile imbattersi in cespugli di Lavanda, Ginestra, Rosa Canina, Rovo, Timo, Cisto e Orchidee. E’ massiccia la presenza degli argentei Ulivi, d’altro canto ormai lo sapete che noi della Valle Argentina non possiamo fare a meno di questa pianta meravigliosa e dagli innumerevoli significati.

Proprio per la sua caratteristica di attraversare ambienti differenti tra loro, questa zona è abitata da numerose specie botaniche e faunistiche spesso tutelate. Nei cieli che fanno da tetto all’itinerario volano la Capinera, il Merlo, il Pettirosso e la Rondine, ma anche l’Aquila Reale, il Biancone, il Falco Pecchiaiolo. E poi, in questo contesto così spettacolare, possiamo incontrare Cinghiali, Volpi, Tassi, Scoiattoli e Donnole. Insomma, la Vita si spiega in tutta la sua bellezza su questo sentiero ad anello: un cerchio, così come il ciclo della vita, che continua perpetuo a prescindere da tutto.

Si passa in mezzo a campi coltivati, tra muretti a secco anche piuttosto alti, e si resta incantati dalle cime dei monti vicini, con il loro verde brillante in questa stagione. Il Monte Faudo, con i suoi 1149 metri sul livello del mare, è vicinissimo, gli abitati di Badalucco e Montalto, poi, sembrano piccoli presepi adagiati sul letto del fiume e sul colle. Tutto è fonte di meraviglia, durante l’ascesa. Si sale e, salendo, si alleggeriscono i pensieri, ci si prepara all’incontro con lei, la maestosa Madonna della Neve, che ti accoglie con la sua facciata candida di purezza al termine della prima metà del percorso ad anello. E’ un breve, ma intenso pellegrinaggio, quello offerto dal sentiero 117. E quando si arriva alla meta tanto ambita, è d’obbligo fermarsi a riposare nei dintorni del santuario. Pare accoglierti a braccia aperte, con la sua scalinata in dolce salita e il colonnato, pronto a offrire tutta l’ombra e la frescura di cui si desidera.

 

Ho percorso per la prima volta questo sentiero qualche settimana fa, in seguito a una furiosa grandinata, e ne sono rimasta molto colpita. Trovo che sia proprio bello sapere che nella mia Valle ci sia qualcuno di così volenteroso da voler recuperare antichi sentieri caduti in disuso, sono un patrimonio nostrano che sarebbe un peccato perdere per l’incuria o lo scarso interesse. Insomma, complimenti ai Cugini dei Sentieri! E speriamo che presto ci permettano di praticare nuove strade boscose, io non vedo l’ora! Squit!

Il Ponte di Mauta

Che meraviglia, topi miei!

Qui nella mia Valle ci sono tantissimi ponti, sono antichi, veri e propri monumenti storici che resistono con tenacia allo scorrere del tempo, e spesso ve ne ho parlato.

Oggi voglio farvi conoscere meglio il Ponte di Mauta, proprio sotto quello gigantesco e colossale di Loreto.

ponte di mauta triora loreto

E’ romanico e il suo arco è lungo ben sedici metri. Sopra di esso svetta il capolavoro di architettura moderna che dal 1960 è divenuto uno dei simboli della Valle Argentina. Prima del ponte di Loreto, a essere usato era quello di Mauta, immerso nel bosco e invaso da rampicanti che lo incorniciano tutto, come fosse un quadretto. Sotto di lui scorre in gole profonde il torrente Argentina. Non si può descrivere la bellezza di questo luogo, il cuore palpita dall’emozione guardando in giù, affacciandosi dal basso parapetto per raggiungere con lo sguardo l’acqua scura che scende impetuosa a valle, con innumerevoli giochi d’acqua, curve e sfumature. L’Argentina pare contorcersi, è facile rassomigliarlo a un serpente che striscia via, lontano. La natura rigogliosa pare voler proteggere il ponte e il corso d’acqua, li abbraccia, impedendo di godere appieno della loro vista.

torrente argentina forra grognardo ponte mauta

Un tempo era temuto, questo luogo. Il bosco era ritenuto la dimora di creature malvagie, demoni e streghe. Qui la vegetazione si faceva – e si fa – più fitta e quel torrente scuro per via della luce del sole che fatica a sfiorarlo divenne con facilità il luogo prediletto per le congreghe delle bàzue. Più in basso del ponte di Mauta, dove l’Argentina si incontra con il Rio Grognardo, si forma una conca d’acqua celebre e conosciuta come Lago Degno. Ve ne ho già parlato altre volte, per cui non mi soffermerò a farlo ancora.

E’ un luogo suggestivo, uno dei più belli della mia Valle, non esagero! In questa stagione, poi, credo dia il meglio di sé in quanto a colori.

Qui convergono le mulattiere del Langan, in un antico sentiero che permette di raggiungere addirittura le Cime di Marta e il Monte Gerbonte. Fino agli anni Sessanta del Novecento – non molto tempo fa, quindi – il Ponte di Mauta rappresentava l’unico collegamento con Cetta e passaggio per raggiungere la vicina Val Nervia e la Francia. Sono percorsi ancora oggi praticabili, di cui il ponte è un crocevia. Risalendo il sentiero poco prima di esso, si può giungere a Loreto, tornare a Triora, oppure andare avanti per Creppo, Bregalla, Realdo e Verdeggia. Proseguendo, invece, si giunge a Cetta oppure a Molini di Triora.

Un ponte importante, insomma, anche se oggi è stato quasi dimenticato per il suo cugino più moderno. Eccolo qua, il contrasto tra i due: il parapetto di pietra del vecchio confrontato col cemento in lontananza del nuovo. Che strano effetto fa, non trovate?

ponte di mauta e ponte di loreto

Il Ponte di Mauta è conosciuto, invece, da chi pratica canyoning nei torrenti della Riviera dei Fiori, uno sport che consiste nella discesa a piedi di corsi d’acqua che scorrono in gole strette e modellate nella roccia, formando cascate. Da Loreto, infatti, un cartello  esplicativo sulla Forra Grognardo riporta tutte le regole e le caratteristiche del percorso torrentistico, segno della grande frequentazione del luogo da parte di appassionati.

Nei pressi del ponte è stata posta una lapide a ricordo di un giovane che qui perse la vita per via di una caduta accidentale che gli fu fatale. Per la precisione, su di essa si legge:

A Roberto Moraldo di anni 17 da caduta mortale decedeva il 14.09.1927. I genitori e parenti inconsolabili posero.

lapide ponte di mauta

Eh, topi, bisogna fare attenzione alle pendenze di questa zona, purtroppo. Lo strapiombo è notevole, non lo si può negare, intimorisce per la sua profondità. Un tempo non era sicuramente difficile che questi incidenti accadessero, ma oggi, per fortuna, sono facilmente evitabili e, con la giusta prudenza, possiamo godere del panorama mozzafiato che questo angolo di Valle Argentina offre ai nostri occhi.

Vi mando un vertiginoso saluto!

La vostra Pigmy.

 

Stregati dal sentiero

Questa Primavera è davvero pazzerella con il suo tempo instabile, ma niente può fermare la vostra Pigmy dal percorrere sentieri in lungo e in largo per la Valle.

E allora un sabato di questi decido di inoltrarmi su un percorso intitolato da molti alle streghe, proprio perché attraversa alcuni dei luoghi che si credevano frequentati dalle nostre ormai celebri bàzue.

Con lo zaino in spalla e topoamico a fianco a me, mi addentro nell’abitato di Molini di Triora, passando accanto alla bottega stregata di Angela Maria e salendo su per i carruggi. Il pavimento lastricato si fa sterrato nei pressi del camposanto, e si continua a salire la stradina tortuosa, una mulattiera che conduce fino a Triora.

sentiero molini di triora

Durante la salita non possiamo impedirci di fermarci a godere della vista. L’abitato di Molini è sempre più piccolo, sembra un presepe sotto le nostre zampe. Sopra di esso, svettano i monti che fanno da cornice al Passo della Mezzaluna, antico luogo di culto delle popolazioni liguri nonché importante per i pascoli alti in cui i pastori trascorrevano – e trascorrono ancora – i mesi più caldi con il bestiame. Si distinguono molto bene anche i borghi di Andagna e Corte, che formano un triangolo con il più basso Molini.

Molini - Corte - Andagna

Intorno a noi è un tripudio colorato e profumato di fiori, la natura è rinata, finalmente! Fiori candidi spandono per l’aria la loro dolce fragranza, mescolandosi a quella dei meli selvatici, dei ciliegi e dei rovi. L’erba è alta e di un verde brillante, le timide lucertole fuggono via veloci al nostro passaggio. E poi le farfalle! Ce ne sono tantissime e dalle ali variopinte, accarezzano i fiori con la loro tipica eleganza e poi volteggiano via, alla ricerca di nuovo oro da poter gustare. Le api sono così operose e impegnate da non badare alla nostra presenza, ronzano allegre, affaccendate, tuffandosi in tutto quel ben di Dio fiorito fatto di tarassaci, pratoline, trifogli e nontiscordardimé.

Continuiamo a salire col profumo nelle narici, godendo della vista dei borghi vicini di Corte e Andagna. Ogni tanto qualche gocciolina di pioggia ci cade sul muso, come rugiada, ma noi non ci lasciamo intimorire dalla sua bugiarda minaccia e, di buona lena, raggiungiamo la parte bassa di Triora. C’è una panchina qui, con vista sulla Valle. E’ uno spettacolo per gli occhi restare seduti a guardare la vita umana che scorre sotto di noi, si intravedono le automobili, piccole, piccole come quelle dei modellini. Proprio alle spalle di quel sedile panoramico c’è la chiesetta della Madonna delle Grazie, risalente al XVII secolo, come reca il cartello posto sull’ingresso. La sua facciata colorata si intona bene col prato rigoglioso, pare un fiore anch’essa.

Proseguendo, ci troviamo a poggiare le zampe sul nero asfalto della strada provinciale e continuiamo a camminare in salita fino a raggiungere il tratto di mulattiera che conduce alla chiesa campestre di San Bernardino, ben segnalato.

chiesa san bernardino triora

Questo piccolo edificio è un vero gioiello della mia Valle, così antico che, se fosse un essere vivente, avrebbe il volto scavato da rughe profonde. Raggiungiamo la chiesa e anche qui troviamo delle panchine; possiamo fermarci, se lo desideriamo, per mangiare un boccone prima di ripartire.

chiesa san bernardino triora2

Fiancheggiamo a questo punto l’edificio, passando sotto le arcate dei contrafforti, e proseguiamo in discesa. Ci sono piccole case ai margini di questo sentiero, alcune davvero suggestive, con sculture moderne poste a ogni angolo e curate nei minimi dettagli, seppure lasciate alla loro spartana semplicità. Poco dopo esserci lasciati alle spalle l’agglomerato di costruzioni in pietra, ci troviamo a un bivio. Dobbiamo salire, dirigendoci verso Loreto.

Come si fa bello il sentiero, topi miei! L’erba è alta, succulenta, e gli alberi sono più fitti. Ciliegi, meli selvatici, noccioli, querce e carpini ci fanno da tetto con le loro fronde rigogliose e in aria volano fiocchi di polline come fossero neve. Si continua a scendere, e ogni tanto il sentiero è attraversato da giocosi ruscelli, che scendono giù da chissà dove, non ne vediamo l’inizio né la fine. Creano polle d’acqua limpida, lo scroscio è piacevole, lento. Li attraversiamo con estrema facilità, accompagnati dal cinguettio degli uccelli, eterni presenti soprattutto in questo periodo dell’anno, mentre gridano al mondo le loro canzoni d’amore. Nonostante le numerose deviazioni, continuiamo a seguire il sentiero maestro, senza mai abbandonarlo, e seguiamo il segno rosso e bianco, sicuri di non rischiare di sbagliare strada. Ci imbattiamo persino in un tavolo da pic-nic.

sentiero triora

A un certo punto arriviamo in un posto bello, meraviglioso, incredibile! Giungiamo sul ponte di Mauta, sotto quello più moderno e vertiginoso di Loreto. E’ una costruzione antica, in pietra e, salendoci sopra, si può godere di uno spettacolo che ci toglie il fiato: sotto di noi scorre il torrente Argentina, scavando gole profonde e scure.

Qui l’acqua sembra quasi d’inchiostro, perché la luce solare fatica ad accarezzarla e rischiararla con i suoi raggi dorati. Poco più in giù delle gole di Mauta si trova la località di Lago Degno, luogo un tempo rinomato come raduno delle bàzue, che vi si incontravano in compagnia del demonio (così dice la leggenda). Oggi, invece, Lago Degno è frequentato da esploratori, turisti ed esperti di canyoning, nonostante il divieto di accesso che dal 2010 interessa tutta la zona per via di un enorme masso che rischia di franare. Restiamo ad ammirare le curve del torrente, affascinati da questo ennesimo spettacolo naturale della mia bella Valle, poi proseguiamo. Oltre il ponte si tiene la sinistra e riprende la salita in mezzo al bosco.

E che bosco! Ogni tanto, dal fitto della vegetazione, spiccano rocce di dimensioni enormi, pareti grige sulle quali sono addossati i ruderi di antiche costruzioni.

Qui la salita si fa importante, ma è breve, non preoccupatevi. Si giunge a un bivio non segnalato, ma a giudicare dalla traccia GPS che vediamo dal topo-smartphone (sono una topina tecnologica, ormai!), da qui si prosegue verso Cetta, mentre noi dobbiamo rientrare a Molini. Imbocchiamo allora il sentiero più stretto che svolta alla nostra sinistra e, procedendo tra gli alberi, giungiamo su un percorso a me conosciuto e molto caro, quello che costeggia il Rio Grognardo.

Attraversiamo l’affluente dell’Argentina grazie al ponte di legno. Sì, lo so che sembra traballante e pericolante, ma non lo è! Certo, non bisogna ballarci sopra, ma è bello mettere le zampe su quella passerella, dà un brivido lungo la spina dorsale che non è niente male.

ponte rio grognardo2

Avanti, dov’è finito il vostro spirito d’avventura? Non fate quella facce e continuate a seguirmi. Questo è un luogo magico, per me, dove lo Spirito della Valle fa sentire più forte la sua eco. Se ancora non avete conosciuto lo Spirito della Valle, leggete il mio articolo “In nessun luogo, eppure dappertutto”.

Questo tratto del sentiero è di grande facilità, prosegue per gran parte in piano. A un certo punto lo troviamo sbarrato da un tronco poggiato sul terreno: è il segno che, anziché proseguire dritti e in piano, dobbiamo imboccare la deviazione a destra, in salita in mezzo ai castagni, che ci permette di aggirare la frana di cui vi avevo parlato nell’articolo “Frana per andare a Lago Degno”. Terminata la salita, il percorso si snoda nuovamente in piano e in discesa e poi, finalmente, raggiungiamo la provinciale.

lago degno molini di triora strada colle langan

Proseguendo in su arriveremmo a Monte Ceppo, San Giovanni dei Prati o Colle Melosa, mentre oggi imbocchiamo la discesa per Molini di Triora.

Lungo la strada possiamo rifarci gli occhi con le case che gli esseri umani si sono costruiti in questa zona tranquilla. Ce n’è per tutti i gusti, davvero! Ci sono abitazioni spartane, con pietre a vista, altre dai colori sgargianti e con giardini popolati da nanetti e e altre fiabesche creature. E’ bello fantasticare sulla vita in un luogo del genere, immerso nel bosco e con tanto giardino intorno. E pensare che, una sera, su questa stessa strada, saltavano una moltitudine mai vista di grossi rospi! Passavo da qui con la mia topo-mobile e dovevo fare una grande attenzione nel guidare, perché saltavano da ogni dove e c’era anche una nebbia così fitta che quasi si tagliava col coltello. Era proprio una notte da streghe, quella! Vedete, nella mia Valle non ci si annoia mai, davvero!

A un certo punto, giungiamo nei pressi di una casetta intonacata di un rosa molto pallido, al di sotto della quale possiamo scorgere un ponte di pietra. Scendiamo, dunque, e lo attraversiamo. E’ un ponte a schiena d’asino, la sua è una gobba notevole! Ci fermiamo ancora una volta a rimirare il torrente Argentina, il bosco sembra volerlo celare, proteggere da sguardi indiscreti.

Che vegetazione fitta, e che verde intenso! Scendiamo dal ponte e ci dirigiamo verso il borgo di Molini di Triora, ammirando anche il punto in cui il Rio Capriolo si getta tra le braccia dell’Argentina e si mescola con lui.

torrente capriolo torrente argentina molini triora

Siamo stanchi, estasiati e stregati dalla passeggiata di oggi, ne abbiamo viste proprio delle belle, non trovate anche voi?

Un abbraccio incantato dalla vostra Pigmy.

La via dei commercianti e dell’essenza di Lavanda

Ancora un altro giro topini. Un tour più serio di quello dell’ultimo post ma senza perdere la magia della fiaba.

Un lungo percorso nella mia Valle. Un sentiero nel quale possiamo ammirare tantissime cose e avere parecchi incontri.

Sempre dal libro “U Camin” di Giampiero Laiolo, scopriamo un’altra meraviglia. Un sentiero a volte tortuoso, a volte più lineare, dove un tempo, i nostri vecchi parenti, commerciavano cereali, carni e fiori.

Mettetevi un paio di scarpe comode e venite con me. Attraverso questo scritto potrete percorrere perfettamente e rivivere la vita quotidiana di un tempo.

DA BADALUCCO A PIETRABRUNA

La mulattiera svolgeva una funzione politico-amministrativa e commerciale quale prolungamento della via trasversale tra Baiardo e la media Valle Argentina con Pietrabruna, Civezza e Porto Maurizio nonchè un utilizzo agropastorale collegando Badalucco con il Devin, Lona ed i pascoli dei monti Sette Fontane, Follia e Faudo. Questa direttrice fece la fortuna economica di Badalucco quando attorno al dodicesimo secolo il borgo si sviluppò ai piedi della rocca. Tramite questa via si negoziavano animali da carne e da lavoro, formaggi, uova, pollame, vino, lenticchie, grano, olio e da due secoli anche i noti fagioli. Ancora alcuni decenni or sono gli interessati uomini di Civezza protestarono a causa della nuova carrozzabile tra Pietrabruna e San Lorenzo che comportava l’esclusione di questo paese dall’itinerario verso Porto Maurizio con notevole danno economico. Sulla displuviale orientale del crinale, nei primi decenni di questo secolo, gli uomini di Pietrabruna e Boscomare piantarono nei gerbidi e nei prati la lavanda. Da circa un secolo comunque si produceva già essenza ricavandola dalla lavanda spontanea; la richiesta ed il relativo guadagno spinse a coltivarla selezionando varietà  sempre più produttive sino ad ottenere una varietà di lavandino che triplica la resa della lavanda vera anche se non può porsi qualitativamente in paragone con l’essenza estratta dalla pianta spontanea. Da alcuni decenni la profumeria di sintesi, le fitopatie, l’abbandono, il fuoco ed una pessima politica economica causarono una riduzione delle aree coltivate a lavanda con il risultato che oggi assistiamo al dissolversi di quest’attività (1).

Il Percorso

Ci accompagnano lungo la direttrice che da Badalucco conduce al Passo di San Salvatore i Badalucchesi Carassale Giacomo, Raibaudo Filippo, detto “Du Passo” e Boeri Filippo, dagli amici più semplicemente chiamato Nino U Biscau. La mulattiera lascia Badalucco al Ponte di Santa Lucia, la tradizione vuole che qui i viandanti invochino la santa affinchè  preservi loro la vista e l’udito. Dopo il ponte voltiamo a destra, attraversiamo il Vallone dei Rossi (detto anche Ruglietto) e salendo dolcemente lungo le campagne degli Ortai lasciamo il cimitero e l’Oratorio di San Bartolomeo. Dopo il Rio “Fascia Ciana” (Fascia Piana) incontriamo a sinistra una prima biforcazione della mulattiera; la via di sinistra ci porterebbe lungo la “Pineta dei Meelli” ( fragola- patronimico di un segmento della famiglia Panizzi) oltrepassa poi le Case del Passo, il “Crinale dell’Alberone”, il Casone di Dionisio, il Devin giungendo quindi al Passo della “Sotta da Folia”. Presso la citata biforcazione noi voltiamo a destra superando poco dopo la “Cappella de Spellaratti” (patronimico di un segmento della parentela Bianchi di Badalucco) entriamo nell’oliveto “da Pernixe”: queste edicole sacre conservano ancora pregevoli dipinti bisognosi d’immediato restauro. La valle tende a stringersi e farsi rocciosa e scoscesa. Dopo poche centinaia di metri i lecci sostituiscono gli olivi; la displuviale rocciosa che discende ripidamente dalla “Cresta dell’Alberone” ci sovrasta: il toponimo “Bosco de Caranche” (caranca- luogo scosceso) è di per sè esplicito. La linea di sprone che discende dall’Alberone, chiamata “i Termi”, è la terminazione storica sia del territorio comunale di Badalucco come della Podesteria di Taggia con quella di Triora: questo confine è tracciato da rocce naturali e da strutture litiche infisse (2). Giacomo mi ricorda che sulle pendici del Monte Faudo, sovrastanti il paese, le vipere sono stranamente molto rare mentre alcune testimonianze concorderebbero sulla presenza nella stessa zona di un rettile con “gambette e orecchie”. Oltrepassati i lecci ed un malandato pilone votivo giungiamo nelle Campagne dei Bregonzi e alle omonime case (Bregonzo è una deformazione di Bergonzo) dove Giacomo Carassale possiede un casone e relativa campagna. Superiamo in lenta salita le campagne dei “Campetti” e la “Cappelletta di Monte Isidoro” quindi attraversiamo il “Vallone del Passo” grazie ad un secolare piccolo ponte oggi in disuso essendo sostituito da un “passaggio carrabile”. Da questo punto una nuova rotabile ricalca per un tratto la vecchia mulattiera. La nuova via a fondo naturale prosegue in salita per alcune centinaia di metri sino alle due “Sorgenti dei Bastei” e all’omonima cappelletta (i Bastei sono un segmento della Famiglia Boeri). La mulattiera, qui detta “U Camin de l’Urmu” (Olmo- Case e Bosco dell’Olmo), si biforca conducendo rispettivamente verso Lona Alta e Lona Bassa. Noi proseguiamo superiormente sempre sulla nuova strada che ricalca la mulattiera lasciando i pochi casoni ancora esistenti. Ponendo attenzione all’aspro ed interessante paesaggio agrario risaliamo la “Muntà de l’Urmu” (Salita dell’Olmo) al cui vertice si distacca, a sinistra, un sentiero verso il Devin. Ancora un breve tratto e si giunge alle “Case Ciazze” dove troviamo un’altra “cappelletta”. Questa località che termina superiormente con il bosco ha un’unica generica denominazione: Lona. Questo soleggiato areale fu il territorio agricolo privilegiato di Badalucco, particolarmente vocato all’olivicoltura, alla viticoltura ed alla produzione d’ortaglie, compresi i famosi fagioli. Lasciamo quindi Lona per salire verso “l’Ubago del Castellaro” (ubago = luogo poco soleggiato), ampio bosco comunale di lecci e roveri, all’inizio del quale, a sinistra, troviamo una sorgente ed un “troglio” (vasca/abbeveratoio) detto “dei Soldati”. Proseguiamo attorniati da una fitta e bassa vegetazione; poco prima del limite superiore del bosco vi è un’altra sorgente detta la “Vena du Figu”. Quando giungiamo nella fascia prativa, presso il “Passo dei Porchi” dalla mulattiera si distacca, a destra, un sentiero che porta a Castellaro. Proseguendo nei prati ci viene incontro la “Ca’ du Dragu” ovvero la “Casa degli Agnesi”, bella struttura di casa colonica degradata dall’abbandono che ricorda ancora fortune migliori. Da qui poche centinaia di metri di salita ci separano dal passo e dall’omonimo Oratorio di San Salvatore. Dal Passo di San Salvatore ci accompagna Renato Castelli (della famiglia dei Cian” di Pietrabruna), floricoitore, cacciatore ed appassionato raccoglitore di funghi; conosce molto bene questi boschi perchè li vive ed ancor oggi non è raro che vi pernotti. L’oratorio campestre di San Salvatore recentemente restaurato dalla comunità di Pietrabruna coincide, non a caso, con il luogo d’intersezione tra la via di crinale e la trasversale di valle quale località di sosta, di preghiera e di riparo. Discendiamo lungo la via rotabile che ricalca per alcuni tratti la precedente mulattiera attraversando i gerbidi ed il rado bosco di querce di Gagliardo per giungere nel Vallone “du Bossa” (fitonimo, da bosso) dove v’e’ l’omonima casa e trogIio (vasca). Quest’area, quasi totalmente gerbida, era sino a pochi decenni or sono coltivata a grano, vite e lavanda. Continuiamo la nostra via lungo i campi di Carpe (fitonimo derivante da Carpino) sino all’omonima casa dove intersechiamo la vecchia mulattiera proveniente da Pietrabruna che proseguiva verso il Passo di San Salvatore parallela e di poco superiore all’attuale strada rotabile a fondo naturale. Presso la citata “Casa du Carpe” lasciamo la nuova via discendendo verso la Fontana dei “Campi Comen”; anche in questo tratto vi è una nuova strada interpoderale che in caso di difficoltà può sostituire la mulattiera sino alle campagne della “Ciana’” (luogo largo e pianeggiante). La vecchia direttrice discende dai Campi Comin oltrepassando un pilone votivo e l’Oratorio di San Rocco immerso negli olivi per giungere infine nel paese. Osservando la muratura di alcuni casolari periferici non ancora intonacati si evidenzia nella superficiale colorazione bruna dell’ossido di ferro la motivazione del toponimo “Pietrabruna” mentre la distribuzione urbana lungo la mulattiera ci indica l’importanza che questa aveva un tempo.

Note:

(1) –   Rovesti G. – La lavanda e le piante aromatiche e medicinali nella Provincia di Porto Maurizio

(2)- Dalla “Visita dei luoghi di Badalucco e Montalto fatta dai delegati Giobatta Veneroso e Cristoforo Spinola nell’anno 1652”:  <… giunti lontano da Badalucco circa un miglio di là dal fiume si sono visti due pilastri ossia rocche alquanto eminenti vicine l’una all’altra, quasi pilastri, ossia rocche, sono li termini che termina il territorio di Badalucco e Montalto …> Arch. Stato Genova – Busta Paesi 17/357; Riferimento tratto dalla Tesi di Laurea di Franco Bianchi  “Ricerca di Geografia Storica nel Territorio di Badalucco” Genova 1970

Avete visto? Quanta strada! Chissà che animaletto è quello con le orecchie e le zampette. Mi piacerebbe incontrarlo. Ora vi lascio riposare, dovete riprendervi per la prossima passeggiata che faremo. A presto!

M.